Caso Shalabayeva, appello bis: condannati Cortese, Improta e gli altri imputati

 

 

Renato Cortese è l’uomo che lo Stato chiama quando deve catturare un fantasma. Provenzano, 43 anni di latitanza, finito nelle mani dello Stato grazie a lui. E poi si è messo contro i boss della ‘ndrangheta, i clan romani, la corruzione: Cortese c’era sempre, con la sua squadra, senza cercare gloria. Per questo fa ancora più male vederlo ora schiacciato da una sentenza che ribalta la verità accertata, che contraddice un’altra Corte d’appello, che calpesta dodici anni di carte, fatti, logica.
Perché oggi la Corte d’Appello di Firenze conferma la condanna per il caso Shalabayeva.
Condanna cinque poliziotti che i giudici di secondo grado di Perugia aveva assolto con parole che non lasciavano margini: “lunare”, “incomprensibile”, “nulla di dimostrato”. Lo stesso procuratore Generale di Firenze, Bocciolini, aveva chiesto l’assoluzione, ricordando che Alma Shalabayeva non fornì documenti validi, mentì sulla sua identità, non chiese asilo. Eppure, la sentenza oggi li dichiara colpevoli. Di cosa? Di aver fatto ciò che la legge prevedeva.
È questo che disorienta. Perugia aveva sgretolato il teorema dell’accusa: nessun complotto, nessuna obbedienza ai kazaki, nessun tappezzare di favori un regime straniero.
Nessun movente. Nessuna prova. Eppure, oggi, i servitori dello Stato tornano colpevoli, come se la loro rettitudine fosse un dettaglio irrilevante.
Cortese è rimasto intrappolato in una spy story italiana in cui è stato trascinato. Ha perso la questura di Palermo, ha visto infangata una carriera costruita contro le mafie. E adesso? Adesso aspettiamo le motivazioni. Aspettiamo che qualcuno spieghi come si possa ribaltare l’evidenza.
E la ferita che si apre oggi non è solo di cinque uomini. È una ferita della giustizia. Una ferita per chi ancora crede nella giustizia.

Lirio Abbate


Caso Shalabayeva, appello bis: condannati Cortese, Improta e gli altri imputati

Condannati a 4 anni per sequestro di persona nell’Appello bis tutti gli imputati nel processo sull’espulsione di Alma Shalabayeva e di sua figlia Alua avvenuta nel 2013.
I giudici della Corte di Appello di Firenze, non accogliendo le richieste della procura generale che aveva sollecitato invece l’assoluzione, hanno condannato gli alti funzionari di polizia Renato Cortese, Maurizio Improta, Francesco Stampacchia, Luca Armeni e Vincenzo Tramma.
In primo grado i cinque funzionari erano già stati condannati dal Tribunale di Perugia a pene comprese tra i 4 e i 5 anni ma in secondo grado, il 9 giugno 2022, i giudici perugini avevano assolto tutti gli imputati “perché il fatto non sussiste” dall’accusa di sequestro di persona, ribaltando il verdetto di primo grado. La Corte di Cassazione nell’ottobre del 2023 aveva poi annullato le assoluzioni disponendo un nuovo processo davanti alla Corte d’Appello di Firenze. Oggi la nuova sentenza di condanna.
Un caso iniziato nella notte tra il 28 e 29 maggio 2013, quando Alma Shalabayeva è stata accompagnata dalla Digos presso l’ufficio immigrazione per essere identificata in quanto aveva presentato un documento di identità contraffatto. Le forze dell’ordine cercavano il marito, il dissidente kazako Muktar Ablyazov, ma alla donna è stata contestata l’accusa di possesso di un passaporto falso. Due giorni dopo, firmata l’espulsione, sono state rimpatriate.
La donna e la figlia sono poi tornate in Italia e a Shalabayeva nell’aprile 2014 è stato riconosciuto l’asilo politico. All’epoca dei fatti, Cortese era dirigente della Squadra mobile di Roma e Improta a capo dell’Ufficio immigrazione. Armeni, Stampacchia e Tramma erano loro collaboratori. ADNKRONOS 20.11.2025

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