Falcone, scoperto il Dna di un killer Nuovo tassello nelle indagini sull’attentato di Capaci dopo il disegno dei sei identikit Falcone, scoperto il Dna di un killer Ricostruito dai mozziconi di sigaretta
Sembrava una stranezza, roba da film di 007, invece attraverso i mozziconi delle sigarette fumate da uno degli attentatori a Giovanni Falcone, alla moglie e alla scorta, è stato possibile risalire al suo Dna. E’ una traccia di una certa importanza, mentre corrono voci su polemiche a proposito dell’annosa rivalità tra carabinieri e poliziotti che starebbe riproponendosi con effetti negativi sulle indagini. Dopo essere riusciti a mettere a punto gli identikit di sei attentatori che nei giorni precedenti la strage e sabato 23 maggio furono notati a Capaci e vicino all’autostrada «A 29», ora la notizia sul Dna. Potrà servire ovviamente a ben poco se non si riuscirà a identificarne il possessore, ma se ciò sarà possibile si tratterà indubbiamente di un elemento che potrà costituire prova schiacciante. Su questo sviluppo dell’inchiesta, a Caltanissetta, il pool degli investigatori mantiene riserbo e non è stato possibile strappare nulla di più neanche a Palermo negli uffici della Squadra Mobile e della Criminalpol, né in quelli del Ros dei carabinieri. Così non si sa con certezza se il Dna sia stato •scoperto nei laboratori degli inquirenti italiani o negli Stati Uniti in quelli deh’Fbi. Quando, giorni fa, i dieci agenti speciali inviati a Palermo dalle autorità federali Usa se ne tornarono dopo aver frugato a lungo nel posto della strage, fu confermato che essi avevano portato con sé alcune delle 40 cicche di sigaretta trovate accanto a tre pacchetti di «Merit» ormai vuoti sulla collinetta da dove fu premuto il radiocomando che fece scoppiare la potente carica di tritolo e altro materiale esplosivo.
E le polemiche su contrasti che coverebbero tra poliziotti e carabinieri malgrado la delicatezza delle indagini e la gravità della nuova sfida della mafia? Venerdì sera l’agenzia «Adn Kronos» in una nota si è riferita «agli investigatori dei carabinieri che rifiuterebbero di mettere a disposizione dei loro colleghi della Ps i mozziconi di sigaretta raccolti sul luogo». Ieri mattina immediata e secca è giunta la smentita del procuratore della Repubblica di Caltanissetta Salvatore Celesti che nel suo studio ha peraltro ricevuto un nuovo rapporto informativo degli inquirenti che documenterebbe la dinamica dell’attentato.
Dopo aver definito «destituita di qualsiasi fondamento» la notizia, Celesti ha assicurato che «nelle indagini in questione tutti i gruppi investigativi hanno agito e agiscono in piena sintonia operativa sotto la direzione coordinatrice di questo procuratore. In particolare, tutto il materiale sequestrato dai carabinieri è oggetto di accertamenti anche da parte della polizia scientifica della polizia di Stato».
Al di là della smentita, della quale va certamente preso atto, si ha comunque l’impressione che in realtà polizia, carabinieri e Guardia di Finanza ancora una volta stiano muovendosi ciascuno per proprio conto. E’ un modo che può evitare aggregazioni scarsamente funzionali rispetto all’autonoma capacità operativa e agli stessi metodi investigativi dei tre corpi di polizia dello Stato, ma non vi è dubbio che siamo ben lontani da quelle «centrali operative interforze» ripetutamente promesse dal governo e tanto spesso auspicate da non pochi magistrati alle prese con mafia, camorra e ‘ndrangheta. Nel Palazzo di Giustizia di Caltanissetta, epicentro dell’inchiesta giudiziaria, Celesti sta avvalendosi dei tre sostituti procuratori inviati come rinforzo dal Csm (due da Catania, l’altro da Messina) che stanno affiancando il sostituto Francesco Polino, unico finora aggregato alla procura distrettuale antimafia nissena. E tutti insieme, i cinque magistrati stanno muovendosi convinti di avere un compito difficilissimo, ma non proibitivo. Non si esclude che qualcuno dello staff quanto prima vada all’estero per accertamenti che la «pista russa» e la «pista dei narcos» potrebbero rendere indispensabili e urgenti. Intanto il presidente dell’Assemblea siciliana Paolo Piccione, nell’esprimere gratitudine al Parlamento europeo che l’altro giorno ha commemorato Falcone e le altre vittime della strage, ha insistito sulla internazionalità della mafia.
Piccione ha parlato di «ramificazioni a livello continentale e mondiale» e di «grave pericolo per l’integrità e la libertà dei cittadini». Sull’attenzione che nei giorni precedenti l’attentato Falcone aveva dedicato ai finanziamenti del pcus al pei, nessuno tra gli investigatori a Caltanissetta e Palermo immagina, al momento, di poter stabilire una connessione con la strage di Capaci. «Tutto riconduce alla mafia», ha confermato ieri uno degli inquirenti che stanno prendendo in considerazione, ma attualmente parrebbe senza molti riscontri, l’ipotesi di un’intesa tra colombiani e turchi interessati al traffico di droga e di armi e che avrebbero deciso di togliere di mezzo Falcone. Tutto possibile, tutto da valutare. Una sola comunque è la certezza: i boss siciliani hanno avuto parte attiva nella decisione e, nel caso della pista internazionale, sono stati loro a fornire uomini e mezzi per ehminare il loro nemi, co numero uno. Antonio Ra vidà Carabinieri e polizia sarebbero in polemica Ma il procuratore di Caltanissetta smentisce «Accordo perfetto» Le auto di Giovanni Falcone e della sua scorta dopo l’attentato di Capaci in cui hanno trovato la morte il giudice, la moglie e tre agenti ^
Ventuno anni dopo, c’è adesso una prova concreta per individuare con certezza almeno uno dei protagonisti del fallito attentato a Giovanni Falcone, nella villa all’Addaura. Il suo profilo genetico è stato isolato nei giorni scorsi dai biologi della polizia scientifica esaminando gli occhiali da sub che erano stati sequestrati nel 1989, dentro la borsa con l’esplosivo. C’è adesso una sequenza di numeri che indica la carta d’identità di “Individuo 1”, così è stato ribattezzato il principale indiziato dagli investigatori in camice bianco: il Dna inizia con “12-14, 30-31.2, 10-12, 12-12, termina con “xy”. Le sue tracce – che erano in alcune “cellule epiteliali di sfaldamento”, così scrivono gli esperti nella loro relazione al procuratore di Caltanissetta Sergio Lari- erano rimaste nelle cinghie della maschera.
La polizia ha esaminato anche altri reperti sequestrati all’epoca sulla scogliera dell’Addaura: una muta da sub, delle pinne, due teli da bagno e una maglietta. Ma per il troppo tempo trascorso sono stati trovati soltanto “profili genetici costituiti da Dna degradato o non utile ai fini identificativi o di comparazione”, questo scrivono gli esperti del Servizio di polizia scientifica di Roma. Il 21 giugno, nel corso di un incidente probatorio chiesto dalla Procura, il profilo di “Individuo 1” sarà comparato con quello di alcuni mafiosi dell’Arenella chiamati in causa dal pentito Angelo Fontana: Salvatore Madonia, Gaetano Scotto, Raffaele e Angelo Galatolo. I magistrati di Caltanissetta sperano adesso nella stessa svolta che era arrivata nelle indagini sulla strage Falcone: il Dna di alcuni attentatori fu estratto dalla polizia scientifica dai mozziconi di sigaretta che erano stati abbandonati sulla collinetta dove Giovanni Brusca azionò il telecomando dell’esplosivo.
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