Resta ancora poco chiaro cosa accadde nei minuti successivi all’esplosione in via D’Amelio che uccise Paolo Borsellino e la sua scorta. Non sappiamo, per esempio, chi svuotò la borsa del giudice: come ha testimoniato Vincenzo Barone, amico del magistrato e di Giuseppe Tricoli, a casa del quale erano a pranzo quel maledetto quel maledetto 19 luglio 1992 – era piena fino all’orlo, talmente pesante che dopo pranzo, nel pomeriggio prima di recarsi dalla madre, un familiare offrì il suo aiuto per portarla fino all’auto. Quindi non sparì solo l’agenda rossa, ma anche altri documenti.
La procura di Caltanissetta ipotizza che l’agenda sia stata sottratta dall’allora superpoliziotto Arnaldo La Barbera, lo stesso che con i pm nisseni orchestrò il falso pentimento di Vincenzo Scarantino. Dall’inchiesta emerge anche un presunto coinvolgimento dell’ex procuratore Giovanni Tinebra, ma alcuni passaggi non tornano.
Il rischio è quello di cadere nei fraintendimenti, con testimonianze che, di bocca in bocca, si deformano come nel vecchio gioco del telefono. È più affidabile partire dai fatti, emersi grazie alla recente desecretazione – promossa dalla procura nissena guidata da Salvatore De Luca – dei verbali d’interrogatorio di cinque poliziotti presenti sul luogo della strage. Da quei documenti emerge come avvenne il “passaggio di consegne” della borsa di Borsellino: il carabiniere Giovanni Arcangioli – processato per la “sparizione dell’agenda rossa” e poi assolto – la ricevette dall’ex giudice Giuseppe Ayala o da un magistrato rimasto anonimo; quindi l’ispettore Giuseppe Lo Presti gli intimò di consegnargliela e dispose che il poliziotto Armando Infantino la collocasse nell’auto guidata dal sovrintendente Francesco Maggi.
Qui si apre un buco nero: Maggi dichiarò di aver recuperato lui stesso la borsa dall’auto ancora in fiamme, un racconto in conflitto con i verbali. Secondo la sua versione, avrebbe poi consegnato l’oggetto a un funzionario di polizia che lo affidò a La Barbera. Tuttavia sappiamo che il questore non era a Palermo quella sera, ma arrivò in aereo soltanto a notte fonda, e che alcune dichiarazioni di Maggi – tra cui la presenza dei servizi segreti nei primi minuti dopo l’esplosione – sono risultate contraddittorie e inaffidabili nelle motivazioni del primo processo Mario Bo + 4.
Grazie a un articolo di Saverio Lodato, uscito sull’Unità il 21 luglio 1992 – era uno dei pochi giornalisti a raccontare con coraggio anche le difficoltà interne alla procura subite da Falcone e Borsellino – sappiamo che il 20 luglio la valigia, con poco contenuto all’interno, fu depositata in una scatola di cartone e riposta in cassaforte da Arnaldo La Barbera, sotto gli occhi dei cronisti. Ora, grazie alle indagini attuali della procura nissena, sappiamo che lo stesso superpoliziotto ha redatto una relazione di consegna destinata al procuratore Tinebra, in cui annota scatolone e agenda.
Se guardiamo agli elementi a disposizione, è lecito ipotizzare che la borsa sia arrivata in questura già semivuota. Di quel contenuto si occuperà poi, mesi dopo, il magistrato nisseno Fausto Cardella: qualche oggetto personale, tre fogli di contenuto sconosciuto e, separata, l’agenda telefonica. Proprio quell’agenda che in seguito verrà restituita alla famiglia e che Lucia Borsellino consegnerà a Chiara Colosimo, presidente della Commissione Antimafia.
Un altro mistero riguarda una busta di plastica citata nel verbale di Cardella, con pochi effetti – tra cui tre documenti ancora non identificati – e un biglietto con la scritta “Rinvenuto sul luogo della strage, ass. Maggi Francesco”. Perché questa separazione, se il verbale include anche il contenuto della borsa? Maggi non aveva detto di aver prelevato soltanto la borsa, senza toccarne il contenuto? Com’è possibile che appaia una busta di plastica con dentro gli effetti di Borsellino? Tutto è sempre più contorto. Per avere risposte serve ricostruire l’intera vicenda, ascoltando tutti i magistrati ancora in vita quel giorno – non solo gli agenti – e recuperando eventuali verbali di servizio. In primis quello sull’ispezione che i pm palermitani effettuarono nell’ufficio di Borsellino, precedente a quella dei magistrati nisseni.
Nei verbali degli agenti compare l’attuale vicequestore Andrea Grassi, che dichiara: “Nell’immediatezza dell’evento non ho redatto atti di P.G. o, quanto meno, non ne ho ricordo, mentre ricordo che, credo nella tarda serata di quel giorno, ho coadiuvato magistrati della procura di Palermo nell’ispezione dell’ufficio del dottor Borsellino, presso la Procura di Palermo, per essere più precisi, da via D’Amelio raggiunsi gli uffici della Squadra Mobile unitamente al dottor Sanfilippo, a bordo della sua moto privata, e da lì mi recai in Procura, credo con il dottor Fassari”.
A ciò si aggiunge un ulteriore particolare, ben evidenziato nel libro di Vincenzo Ceruso “La strage. L’agenda rossa di Paolo Borsellino e i depistaggi di via D’Amelio”: le audizioni dei magistrati Gioacchino Natoli e Vittorio Aliquò, rese davanti al Csm una settimana dopo la strage di via D’Amelio. Da quei verbali emerge che Borsellino aveva dentro la borsa anche il fascicolo Mutolo, poi ritrovato tra le carte sequestrate in ufficio. Come è finito lì, se era nella borsa? Finché questo nodo non verrà sciolto, si corre il rischio di distogliere nuovamente lo sguardo in altre direzioni.