PIPPO GIORDANO: “ ANTIMAFIA? NO GRAZIE, HO CHIUSO.”

 

Sono disgustato, amareggiato e oso dire sfinito da questa antimafia circense: sto seriamente valutando di non leggere più articoli riconducibili al mondo antimafia, che ai miei occhi appare come il circo Barnum. Dichiarazioni sconcertanti profferite da chi, proprio per il rapporto del legame di sangue avrebbe dovuto tacere e non dire. “ Esibiscono come un feticcio (la borsa) mentre l’oggetto vero del delitto resta nei caveau dei servizi segreti, protetti dal buio e dall’omertà istituzionale”.
Queste parole vengono attribuite a Salvatore Borsellino, e mi permetto di far notare, che la “borsa” di Paolo Borsellino non può essere considerata un “feticcio”.
Io, mi sono emozionato nel vedere i figli di Paolo Borsellino, il genero Fabio Trizzino, nel luogo sacro delle istituzioni.
Vederli insieme al Presidente Mattarella, al presidente del Consiglio, Giorgia Meloni e alla presidente della Commissione parlamentare Chiara Colosimo, non ho potuto fare altro che ricordare quel galantuomo siciliano ch’era Paolo Borsellino.
Io ricordo l’ultima volta che vidi quella borsa stretta nella mano del magistrato Paolo Borsellino. E a proposito dell’agenda rossa, mi permetto di evidenziare che la borsa di Paolo Borsellino, non fu “asportata”,- come qualcuno sostiene, ma prelevata dal capitano dei carabinieri Arcangioli e fu consegnata all’ispettore della polizia di Stato Lo Presti.
Invito tutti di fare delle ricerche in rete per scoprire – anche attraverso le dichiarazioni rese dal magistrato Vittorio Aliquò -, che la borsa di Paolo Borsellino fu portata in Procura la sera stessa della strage di via D’Amelio. E, quindi, ripropongo quel che da tempo vado dicendo: “Chi c’era in Procura la sera del 19 luglio 1992?” Possibile che non si riesca a stabilire quali persone fossero presenti nei momenti che precedettero l’apposizione del sigilli nell’ufficio di paolo Borsellino?
Ora vorrei affrontare un altro argomento che mi ha fatto sobbalzare dalla sedia, appena ho visto un video. Il noto giornalista Giorgio Bongiovanni, il 27 maggio di quest’anno, in occasione dell’anniversario dell’attentato in via dei Georgofili di Firenze, dove persero la vita i coniugi Nencioni, le loro bambine Nadia di nove anni e Caterina di 50 giorni, e lo lo studente Dario Capolicchio -, fa una denuncia eclatante.
Il Bongiovanni, ha affermato che Salvatore Riina, era il capo di Cosa nostra, ma che la mente di Cosa nostra, che ha progettato le stragi, era il suo autista Biondino. Già in passato, non ricordo quale pentito ebbe a dire che, Totò Riina baciava le mani al mafioso Mariano Tullio Troia: che obbrobrio! Ma la denuncia di Bongiovanni, si arricchisce di un fatto davvero surreale e cioè, che lo stragista mafioso Giuseppe Graviano, “vestito a festa, ha girato l’angolo ed è andato all’Ambasciata americana, perché Cosa nostra voleva avere delle garanzie se doveva uccidere, cento carabinieri! Cento carabinieri!”. Dopo queste denunce, platealmente esplicitate, il Bongiovanni è andato dai magistrati per depositare atti che avvalorino il suo dire? E mi domando, se il procuratore di Prato Luca Tescaroli, così come Salvatore Borsellino – presenti alla commemorazione – , ritengono possibile che i fatti narrati siano davvero degni di attenzione da parte dei magistrati? Perchè se il narrato, non potrà essere dimostrato da elementi fattuali, allora ahimè, siano davvero innanzi all’antimafia circense. Il solito cortocircuito di questa antimafia urlata e forgiata secondo le proprie convinzioni, ma prive di fondamento giuridico: in buona sostanza fantamafia.
L’antimafia, è ormai ridotta a un teatrino, ove tutti possono dire qualsiasi cosa, senza presentare un briciolo di prove.
Leggo – come detto in narrativa – di borse esposte in Parlamento, ma altresì, leggo castronerie con tante di firme di illustri giornalisti, che intervistando supposti esperti antimafia, affermano che la borsa di Falcone, è stata fatta sparire nell’immediatezza della strage di Capaci: non è assolutamente vero, bastava fare una ricerca in rete e avrebbero accertato che tutte le borse erano state rinvenute, repertate e custodite in un armadio blindato della Procura di Palermo. Chiudo, esprimendo tutta la mia solidarietà, a Lucia, Fiammetta, Manfredi e Fabio Trizzino, per tutto questo odio – anche da fuoco amico – , che gli viene addosso riversato.
Esprimo, il mio compiacimento a Chiara Colosimo, per il suo profuso impegno nel “trattare” il dossier Mafia-appalti.
Infine, mi rivolgo agli esperti di scienza giuridica, avvocati magistrati in servizio o quiescenza: le sentenze si possono opinare, ma vivaddio occorre tener conto di quella magica parolina, ossia “ sentenza passata in giudicato”.
E fatevene una ragione, siamo in uno Stato di diritto: amen!
 
NOTA DI SERVIZIO.
Per anni sono stato attaccato, diffamato e offeso. Ma a nessuno ho consentito di farmi stare zitto: non ho mai svenduto la mia dignità per compiacere qualcuno. E non ho mai mercificato il mio impegno antimafia. Se talvolta ho ritenuto di dissentire sul comportamento di qualche magistrato o giornalista, l’ho fatto a ragion veduta. Ma non mi sono mai permesso di offendere qualcuno: altri l’han fatto nei miei confronti. E quindi ora è giunto il momento che io smetta di commentare. Se l’antimafia di oggi è diventata una gara tra fans mi spiace non fa per me: è un mondo che non mi appartiene. L’unica certezza è, che si è perso il senso del rispetto.
 
 

 

 

PIPPO GIORDANO