“La giustizia e la legalità sono state la fede del giudice Paolo Borsellino – dice don Massimiliano Purpura, il cappellano della questura di Palermo alla messa che si tiene alla caserma Lungaro – Borsellino che possiamo definire come un uomo delle beatitudini e un martire della giustizia.
Pertanto, io penso e credo, che nel giudice Borsellino ci siano tutte le condizioni, se la Chiesa vuole, di avviare l’iter per un eventuale processo di beatificazione e canonizzazione. Come lo fu per il giudice Rosario Livatino”.
Sono parole accorate, parole commosse quelle che don Massimiliano pronuncia davanti alle autorità, ma soprattutto davanti ai familiari delle vittime di via d’Amelio. Ad ascoltarlo c’è anche Manfredi Borsellino, che al termine della messa abbraccia il sacerdote e si ferma a parlare con lui, a lungo.
“Già il cardinale Ersilio Tonini nel 2002 affermava: ‘La beatificazione del giudice antimafia è più che plausibile. Paolo Borsellino è un modello”.
Il cappellano della questura ricorda un altro riferimento autorevole: “Nel 2011 fu il vescovo di Cefalù, Vincenzo Manzella, ad affermare: ‘Borsellino ha sacrificato la sua vita per una giusta causa, ecco perché merita la beatificazione’.
Perché l’impegno per la giustizia del magistrato era continuamente alimentato da una vita di fede. Consapevole di quanto potesse costare; soprattutto dopo l’eccidio del suo caro collega e amico Falcone, il giudice Borsellino, con fede e alto senso di servitore della Patria, è andato avanti sapendo di andare incontro alla morte, non si è girato dall’altra parte, non si è tirato indietro, con fede e fermezza ha continuato a prodigarsi fino all’estremo sacrificio della vita”. C’è già l’indicazione di un percorso ben preciso nelle parole del cappellano della questura di Palermo.
“Se la strada per la beatificazione di un martire, ucciso dalla mafia, è stata già possibile in passato per padre Puglisi – ricorda don Massimiliano – oggi il diritto della Chiesa ha ulteriori elementi per procedere in maniera ancora più spedita. È dell’11 luglio del 2017 il motu proprio di Papa Francesco che stabilisce una quarta via per procedere alla beatificazione di un ‘Servo di Dio’: oltre alle tre già stabilite del martirio, delle virtù eroiche e della beatificazione equipollente che, di fatto, è il riconoscimento di un culto antico presso il popolo cristiano, oggi si è aperto alla beatificazione di fedeli che, spinti dalla carità per il prossimo, offrono la propria vita, accettando una morte certa e prematura con l’intento di seguire Gesù. E la carità è un nome della giustizia, che attinge energia e forza in Dio”.
Don Massimiliano Purpura cita alcuni passaggi del bel libro di Vincenzo Ceruso (“Paolo Borsellino – la Toga, la Fede e il Coraggio”): “Quella di Paolo Borsellino era una religiosità semplice, non devozionale e non esibita, che si nutriva di alcuni elementi profondi ed essenziali.
Ricorda la figlia minore Fiammetta: con la religione aveva un rapporto interiore molto intenso”.
Rita Borsellino, la sorella di Paolo, ha raccontato invece che “il fratello iniziava le sue giornate con un salmo e le terminava con un salmo.
Poco prima di essere ucciso, si accostò alla confessione, a cui ricorreva ogni volta che poteva”, scrive ancora Ceruso. “Un altro asse fondamentale della sua esistenza era la mensa eucaristica, a cui partecipava tutte le domeniche”.
Le parole dell’omelia non sono rivolte solo al passato. Le virtù di Paolo Borsellino sono lo spunto per dire: “Ultimamente ho l’impressione che nella nostra Isola, come in tutta la nostra nazione, ci sia una sonnolenza della coscienza civile – le parole di don Massimiliano diventano anche un profondo atto d’accusa –sembra che ciò che accade, ad ogni livello della società, non ci riguardi come cittadini, oppure è la paura di esporsi, di sporcarsi le mani nel dare il proprio contributo affinché ciò che non va cambi e ciò che è male sia vinto dal bene, che rende quasi apatici o inoperosi”. L’esempio di Paolo Borsellino e degli altri martiri diventa infine lo spunto per un appello: “Avanti, allora, insieme – scandisce il sacerdote – Con coraggio, determinazione e speranza, affinché, guardando ogni giorno il loro esempio, possiamo contribuire a far sorgere un’alba nuova di redenzione della nostra terra”. Parole che sono anche un messaggio chiarissimo per gli uomini della mafia e per i loro complici, pure queste scandisce il giovane sacerdote, in nome di Paolo Borsellino e degli altri martiri: “Su tutti i mafiosi, di ieri, di oggi e di domani, su tutti i corrotti e corruttibili, si abbatte il giudizio di Dio, che leggiamo nel vangelo di Matteo al capitolo 25: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli”. SALVO PALAZZOLO La Repubblica 19.7.2025