L’ex paladino di certa “antimafia” si è consegnato a Bollate.
Lo hanno chiamato “sistema Montante”, una P2 siciliana, non a caso: “Un uomo che ha creato dal nulla un’allarmante e pervasiva rete illecita (…) ponendo le premesse per il dispiegarsi della propria azione corruttiva” (Corte di Cassazione– fonte XVII LEGISLATURA ARS).
Anche se il reato di associazione a delinquere è stato cassato, le sentenze ci restituiscono il quadro di un sistema di potere e di un disinvolto piegare l’interesse pubblico agli interessi di Montante e della sua corte.
Una corte in cui sono cresciuti e hanno fatto carriera presunti “antimafiosi”, “paladini della legalità” e simili. (andate sul web e cercate i cortigiani)
Un sistema che ancora oggi gode dello scudo dell’invisibilità dato dal silenzio di tanti, di troppi.
Un apparato in metastasi che uccide meritocrazia, economia, istituzioni, aziende, libertà di stampa e, in definitiva, la democrazia.
Nella relazione della commissione regionale di inchiesta – ARS VVII legislatura – si legge: “Una sorta di cerchio magico – chiuso, aggressivo e sinergico – che ha accompagnato il presidente di Confindustria Sicilia nella progressiva erosione di legittimità delle istituzioni regionali, accentrando su di sé i compiti di decidere, premiare o punire”.
Le sentenze confermano l’esistenza di una struttura finalizzata al controllo di attività imprenditoriali rilevanti, resa possibile anche dalle coperture istituzionali. «Ecco perché tutti tacciono sul “sistema Montante” – scrisse Bolzoni su Il Domani nel marzo 2021 – L’ex potentissimo vicepresidente di Confindustria era coccolato da politici, giornalisti e uomini delle istituzioni». «Lo chiamiamo “sistema Montante” per comodità ma è riduttivo, in realtà è un sistema che si innesta su altri sistemi criminali e paracriminali già esistenti, è la stratificazione di organismi infetti che ciclicamente si riproducono in Italia supportati da complicità negli apparati» sottolinea l’autore del libro “Il padrino dell’antimafia”. «Allungano le mani sulla regione – la ricostruzione della rete politica di Montante nell’articolo del 28 marzo 2021 – Prima appoggiano il governo di centrodestra di Raffaele Lombardo che poi andrà a processo per mafia, poi sostengono il governo di centrosinistra di Rosario Crocetta che sbraita ogni giorno contro la mafia. Cambiano alleanze, si succedono governatori e assessori ma il “partito di Confindustria” è sempre nella giunta sotto la sapiente regia politica del senatore Beppe Lumia, parlamentare per sei legislature, un’innata duttilità per gli accordi più ardimentosi. E dopo la regione c’è Roma. […]Le informazioni sensibili degli uffici investigativi che transitano verso un pezzo di Confindustria, lo stato maggiore dell’Antimafia, giudiziaria e investigativa, e dei servizi segreti che si confonde con la polizia privata di Montante, nessuno che può mettere in dubbio ciò che dicono o ciò che fanno Montante e Lo Bello. Chi ci prova viene bersagliato da lettere anonime, perseguitato, qualcuno anche rovinato». «L’affaire Montante, ancora oggi, dai più viene liquidato “come una storia siciliana” o “una cosa di cui non si capisce niente”. Aggiungerei: di cui non si vuole capire niente. Meglio il silenzio – attacca Bolzoni e sono parole che paiono calzare perfettamente per uno dei personaggi nominati all’inizio di questo articolo e tanti suoi sodali dell’antimafia ufficiale – C’è chi straparla di massomafie e di criminalità interplanetaria, ma non dice o scrive una riga sul siciliano di Serradifalco. Eppure qui ci sono nomi, cognomi e indirizzi di personaggi che per lungo tempo hanno infettato le istituzioni e che – anche dopo l’arresto e la condanna di Montante a 14 anni – fingono che non sia successo nulla. Lui è travolto da processi e inchieste ma molti dei suoi sono sempre al loro posto. Ancora silenzio». L’unica istituzione che ha provato ad accendere i riflettori e indagare sul “sistema Montante” è stata la Commissione Regionale Sicilia Antimafia guidata da Claudio Fava che ha dichiarato che il “sistema Montante” non era solo di Montante ponendo l’attenzione sul ruolo fondamentale e centrale di chi Bolzoni nell’articolo citato negli scorsi paragrafi ha definito «sapiente regia politica» con «un’innata duttilità per gli accordi più ardimentosi».
Apprendo che stasera, alla festa de Il Fatto Quotidiano, come di consueto, c’è stata la grande lezione civile di Roberto Scarpinato, dal titolo “I pezzi mancanti delle stragi”. Il giornale, nella presentazione, si vanta di aver condotto per anni inchieste sulle stragi. Peccato, però, che non ne abbiano azzeccata una. In fondo, hanno seguito, e continuano a farlo, le grandi narrazioni meta-giudiziarie dell’attuale senatore grillino e
amici. È normale, quindi, prendere continuamente dei granchi.
Il caso vuole che ieri si sia costituito in carcere Antonello Montante, ex presidente di Confindustria Sicilia, che è stato al centro di una lunga inchiesta giudiziaria partita dalla procura nissena nel 2018 e riguardante presunte attività di dossieraggio, spionaggio e corruzione attraverso una rete di informatori. Sappiamo che le principali imputazioni hanno riguardato corruzione, accesso abusivo a sistemi informatici, rivelazione di segreti d’ufficio e, in origine, associazione a delinquere (poi decaduta con la Cassazione).
Ora, umanamente mi dispiace che sia finito in carcere. Per me deve essere un’extrema ratio, anche per i colletti bianchi. Cosa che ovviamente non condivide Scarpinato, il quale denuncia da sempre che i colletti bianchi in galera non ci vanno mai. Cosa non vera. Se vengono condannati, come nel caso di Montante, ci vanno eccome. Abbiamo numerosissimi esempi. Solo che, come accade spesso, chi evoca le manette, chi insegna la morale sui palcoscenici mediatici, tende a modificare la realtà.
Ricordo le ultime uscite di Scarpinato: “Ho conflitti di interesse in Commissione Antimafia? Sì, con i colletti bianchi”. Lo dice pensando probabilmente di essere Robespierre. E il mio pensiero va inevitabilmente proprio ad Antonello Montante. Era considerato un paladino antimafia ed era normalissimo che diversi magistrati, in buonissima fede, si rapportassero con lui. Non c’è nulla di male. Così come non c’è nulla di male che diversi giornalisti di grido avessero rapporti con lui. Anche chiedere aiuto non ha nulla di illegale. E, a parer mio, non è nemmeno “immorale”.
Ad esempio, Scarpinato ha chiesto aiuto a lui. Magari per un appartamento che doveva vendere, qualche aiuto all’epoca per qualcosa che aveva a che fare con il CSM. Insomma, nulla di male. Che ne poteva sapere che il capo di Confindustria siciliana potesse essere un corruttore e amasse creare dossier? Era a capo della procura antimafia, di grido, indagava sulle entità che eterodirigevano la storia della Repubblica italiana. È normale non accorgersi delle cose più terrene.
Così come, quando vendette (secondo un’interrogazione parlamentare al doppio del suo valore) quella specie di villa di famiglia alla moglie di un imputato di mafia appalti che aveva archiviato anni prima, non poteva mica sapere chi fosse. In fondo è vero: in “mafia appalti” figura solo il nome dell’imprenditore, mica della moglie! Quella è stata la risposta dell’allora ministro della Giustizia Diliberto in sua difesa. Ma che ne poteva sapere!
Così come, che ne poteva sapere di Giuseppe Montalbano, altro grande colletto bianco – membro dell’apparato del Partito comunista siciliano e proprietario del “covo” di Riina in via Bernini –, tanto da chiederne l’archiviazione con una paginetta e mezzo nonostante i suoi forti legami con Pino Lipari e le rivelazioni del pentito Baldassarre Di Maggio (che rivelò come disponesse di un altro alloggio per Riina e proteggesse altri boss mafiosi)? Evidentemente commise un errore di valutazione. Nessuno è infallibile, ma bisogna che uno lo ammetta. Ci penserà anni dopo la procura di Sciacca ad arrestare e far condannare Montalbano, protettore di numerosi latitanti.
Succede, e anche a me che non sono nessuno, un giorno potrà capitare di fidarmi di qualche malfattore. Ma non mi sognerei mai di dare lezioni di moralità. Non lo faccio oggi, figuriamoci in quel caso. Un magistrato che non ne ha azzeccata una e, almeno nel caso di Montante, ha frequentato un colletto bianco poi rivelatosi corruttore, dovrebbe avere almeno il pudore di non ergersi a moralizzatore, accusare di depistaggi chi osa dire qualcosa di concreto e rompa con la sua narrazione, e parlare come se fosse un profondo conoscitore della verità sulle stragi. Quello lo avrebbe dovuto dimostrare nei processi. Ha fallito, ma prosegue a dare lezioni tramite i vari palcoscenici allestiti da Il Fatto, Report, partiti, associazioni, sette ufologiche e via discorrendo.
Tanto c’è il pubblico ammaestrato e non gli fa paura.
Claudio Ramaccini 12.9.2025
Sono fra coloro che (una dozzina di anni fa insieme ad un collega del Centro Studi Progetto San Francesco) hanno incontrato il Cav. Montante a Roma, non in un ristorante ma nel suo ufficio in Confindustria nazionale. Tema dell’appuntamento l’organizzazione di un convegno riguardante il “RATING DELLA LEGALITÀ NELLE IMPRESE” rivolto in particolare ai Prefetti del Nord. Convegno che, per vicessitudini varie, non si fece.
Antonello Montante, come è noto, é stato uno dei massimi esponenti di Confindustria, tanto in Sicilia, quanto a livello nazionale: esercitava per conto della presidenza la delega per la legalità ed era stato nominato dal ministro Alfano all’interno dell’Agenzia per l’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati alla mafia.
Ciò premesso, é a dir poco sconvolgente ciò che emerso dalle indagini e dai successivi processi che l’hanno riguardato nonché dei suoi frequenti e amicali rapporti con giornalisti e magistrati.?