“Come scoprire un cimitero di mafia a San Giuseppe Jato e portarselo a casa”.

 

Quel ritrovamento, avvenuto in un momento tra i più drammatici della storia del nostro Paese oltre che di massima presenza dei più noti latitanti di mafia sul territorio, venne ripreso da tutti gli organi di informazione sia locali che nazionali, ma a parte gli inquirenti e una presenza quasi “vestale” sul posto, nessuno, finora, ha mai saputo come andarono veramente i fatti.
Questa vicenda mi ha consentito di approfondire le mie letture provando a costruire una realtà e i suoi perché.
Un evento, quello avvenuto tra i monti di San Giuseppe Jato, che inevitabilmente si è intrecciato con il mio modo di essere, fatto anche di storie familiari e di processioni con uomini vestiti di nero, nella più tradizionale Palermo.
Un mondo del quale oggi è più difficile tenere memoria. 
di Giovanni Guadagna   

 


Libri: quando un ornitologo scoprì un cimitero di mafia

“Come scoprire un cimitero di mafia a San Giuseppe Jato e portarselo a casa”.
E’ il titolo del libro di Giovanni Guadagna con la prefazione del criminologo Ciro Troiano.
Un romanzo che racconta un fatto realmente accaduto in una delle montagne che sovrasta il comprensorio di San Giuseppe Jato.
Una storia che riserva più di un colpo di scena e il susseguirsi di eventi surreali, quasi fantozziani, per “colpa” di quell’amore per la natura e la protezione degli animali che Guadagna ha sempre avuto.
Quattro scheletri, trovati a due passi da dove i collaboratori rivelarono l’uccisione del boss Saro Riccobono e di altri che lo accompagnavano. Un luogo di latitanza, tra cui quella di Totò Riina e della sua famiglia.
Giovanni Guadagna era lì con macchina fotografia e una guida al riconoscimento dell’avifauna europea quando s’imbatté, senza poterlo immaginare, in una “necropoli dei corleonesi”.
Gli stessi carabinieri, che accolsero la denuncia, dovettero precisare che dietro quel ritrovamento non vi era alcun collaboratore di giustizia: il “mistero” rimase tale.
Il libro è anche una “dichiarazione d’amore” per Palermo, come nella prefazione sottolinea il criminologo Ciro Troiano. Un libro che si legge tutto di un fiato per scoprire, poi, che la mafia è molto più vicina a noi, proprio in quella Palermo che Guadagna descrive scegliendo storie familiari e di vita.    ANSA 16 luglio 2025


Come scoprire un cimitero di mafia a San Giuseppe Jato e portarselo a casa

 

E sì, uno si può imbattere nella nefasta presenza mafiosa anche così, facendo un’escursione naturalistica in una zona impervia, trovando un teschio di un morto ammazzato, scambiarlo per un sensazionale ritrovamento paleontologico e portarselo a casa.  Sembra un racconto noir umoristico quello di Giovanni Guadagna, ma in realtà “Come scoprire un cimitero di mafia a San Giuseppe Jato e portarselo a casa”  è una storia vera, a tratti surreale ma drammaticamente vera, che ci mette a confronto con “la nostra mafia quotidiana”, locuzione che per chi come noi vive a certe latitudini non appare così strampalata: la cappa pesante e asfissiante della criminalità organizzata permea, invisibile ma spietata, ogni dove e ogni momento della giornata. Giovanni Guadagna ci narra della sua disavventura inserendola, in modo spontaneo, come ogni racconto di mafia che si rispetti, in contesti storici e sociali, ricostruendo e spiegando aspetti culturali e tipologie antropologiche. Fatti e cronache familiari si intrecciano con azioni umane, eventi politici, costumi, istituzioni e organizzazione sociale: in sintesi, con la storia e il tentativo di una narrazione coerente e sistematica dei fatti. Con il suo stile semplice ma nel contempo forbito e a tratti duro, tipico della migliore scrittura siciliana, Guadagna ci ricorda che per capire il mondo mafioso dobbiamo andare oltre quello che vedono i nostri occhi e toccano le nostre mani, anche se si tratta di un teschio, per valutare non solo ciò che è, ma anche ciò che potrebbe essere.
Il volume, però, non narra solo di mafia. È anche un’aperta dichiarazione d’amore per Palermo e la Sicilia in genere, città e regione in cui è nato e vive l’autore, e dalle quali non si è mai allontanato. Un amore, lacerante e sofferto, che traspare dalle descrizioni delle strade, dal racconto amaro della trasformazione urbanistica selvaggia e violenta che ha rubato natura e poesia, che ha cancellato storie e mondi. È, ancora, una narrazione fatta di ricordi di sapori, di profumi, degli odori forti della campagna, ormai persi, annientati dal cemento, dal consumismo e dalla smania della moda. Sapori che sono un sapere; una sapienza antica che racconta di passioni, lavoro della terra, fatiche, sofferenze e magica poesia.
Un libro che si legge con piacere e che senza fatica ci porta tra storie familiari e di vita giornaliera, e ci mostra come la mafia si manifesti negli ambiti e modi più disparati, spesso senza che se ne abbia nemmeno la consapevolezza.
Nello scrivere la prefazione al volume, conoscendo personalmente l’autore, sono giunto alla conclusione che solo lui poteva vivere una storia simile. Non poteva essere altrimenti per un ragazzo al quale cadde in testa, letteralmente, Bakunin. Sì, proprio così. Quando aveva 13 o 14 anni, come con tenerezza racconta, a casa di un suo cugino fu colpito in testa da un volume di Bakunin, non si sa come caduto dalla libreria: “Dio e lo Stato”. E “ancora duole”, dice.  
Un libro da leggere per comprendere, riconoscere, rifiutare e lottare quegli atteggiamenti criminali, spesso ammiccanti e sinuosi, che offendono la nostra quotidianità. Ciro Troiano il