Desecretate il verbale dell’audizione di Carmelo Canale Quello che doveva essere il jolly di chi vorrebbe ricondurre le stragi di Capaci e via D’Amelio a mafia-appalti – l’indagine condotta dai Ros di Mori – rischia di trasformarsi in un boomerang.

Quello che doveva essere il jolly di chi vorrebbe ricondurre le stragi di Capaci e via D’Amelio a mafia-appalti – l’indagine condotta dai Ros di Mori – rischia di trasformarsi in un boomerang.

Dopo la volontà espressa dalla presidente della Commissione antimafia Chiara Colosimo di desecretare l’audizione dell’ex maresciallo Canale, poi ufficiale dei carabinieri, resa il 3 settembre 1997 in Commissione antimafia sul dossier mafia-appalti, la prima reazione negativa l’ha avuta proprio l’ufficiale dei carabinieri: «Non desecretate la mia audizione, piuttosto vengo a deporre in Antimafia» (leggi l’articolo).

Cosa avrebbe da aggiungere Canale a proposito dell’interesse del giudice Paolo Borsellino per l’indagine mafia-appalti, rispetto quello che già si sa?

Sarebbe sufficiente leggere gli atti processuali per rendersi conto che più che di fatti – rispetto mafia-appalti -il colonnello Canale nei processi ha fatto riferimento a sue deduzioni.

Deduzioni che in un’aula giudiziaria hanno un valore probatorio pari allo zero.

Ad avvalorare l’ipotesi secondo la quale fu il dossier dei Ros la causa delle stragi, alcuni stralci di deposizioni testimoniali rese da Canale artatamente ‘depurate’ sui social e su una certa stampa, in merito all’incontro del 25 giugno 92, tra Borsellino e i Ros alla Caserma Carini.

Che Borsellino diffidasse di alcuni colleghi, in particolare dell’allora procuratore Giammanco, non v’è dubbio, ma su cosa si dissero quel giorno il giudice con i carabinieri non abbiamo, e non potremo avere, alcuna certezza, se non quanto narrato dai due ufficiali (De Donno e Mori), che quanti vorrebbero addebitare alla sola mafia la responsabilità delle stragi, vorrebbero utilizzare le parole di Canale a conferma delle loro ipotesi, partendo da quell’incontro, prova della fiducia che il giudice riponeva nei confronti degli ufficiali dei carabinieri.

Quale fosse il rapporto di conoscenza, di fiducia e quali i motivi di quell’incontro, lo riferisce Canale nel corso dell’udienza 22/02/2011 del processo Mori-Obinu:

  • Un giorno eravamo al Tribunale, alla Procura e lui mi chiese se conoscevo il Capitano De Donno. Io Giuseppe De Donno lo avevo conosciuto proprio per questa questione di questo rapporto mafia – appalti e quindi ricordai al Dottor Borsellino che era, secondo il mio convincimento di allora, era quel bravo ufficiale che aveva sviluppato quell’inchiesta che lui aveva avuto copia di questo rapporto, che l’aveva portato De Donno proprio al Dottor Borsellino. E lui mi chiese, nella circostanza, di incontrare, ma molto riservatamente e all’interno non della Procura, ma all’interno della sezione anticrimine di Palermo, l’allora Colonnello Mori e il Capitano De Donno perché, secondo quello che io ricordo e che mi riferì il Dottor Borsellino, vi era una voce all’interno, da parte di colleghi suoi, che non mi ha detto, perché altrimenti lo avrei pure rivelato questo, una voce che dava il Capitano De Donno come il compilatore di un anonimo […] l’argomento era questo discorso mafia – appalti”.

Una deduzione di Canale, nulla di più, visto che non aveva assistito all’incontro, né altro seppe da Borsellino.

E che si trattasse soltanto di una sua deduzione lo provano le sue stesse risposte alle domande da parte del pubblico ministero:

  • PUBBLICO MINISTERO: Bene. Senta, un’altra cosa, se non ho capito male lei mi conferma del colloquio alla Caserma Carini con De Donno e Mori, che a quel colloquio lei non ha assistito?
  • DICH. CARMELO CANALE: Assolutamente, io ero nell’ufficio di fronte, perché il Colonnello Mori, lui era, allora era il vice comandante del raggruppamento operativo speciale, Signor Presidente, ed è chiaro che gli spettava la stanza del comandante. Il Colonnello Mori entrò nella stanza del comandante e io attesi in una stanza di fronte.
  • PUBBLICO MINISTERO: Mi conferma…
  • DICH. CARMELO CANALE: Non avevo titolo ad assistere.
  • PUBBLICO MINISTERO: Ma neanche dopo, lei ha detto io non chiesi nulla.
  • DICH. CARMELO CANALE: No, no.
  • PUBBLICO MINISTERO: Ma neppure il Dottore Borsellino le disse nulla.
  • DICH. CARMELO CANALE: Assolutamente.

Neppure una notizia appresa de relato ma soltanto una sua personale deduzione, come confermato dalle risposte alle domande da parte del presidente del collegio:

  • PRESIDENTE:  Ma ho capito male o lei con il Dottore Borsellino aveva rapporti intimi?
  • DICH. CARMELO CANALE: Diciamo che lui definiva, bontà sua, mi definiva un amico. Se per intimità si può…
  • PRESIDENTE: Perché così, mi era parso un po’ strano che dopo un incontro così importante come quello, non avete, né lei ha chiesto…
  • DICH. CARMELO CANALE: No, no non ho chiesto.
  • PRESIDENTE: Né lui ha detto nulla.
  • DICH. CARMELO CANALE: Presidente, non ho chiesto perché…
  • PRESIDENTE: In genere, voglio dire, il Dottore Borsellino invece si confidava con lei?
  • DICH. CARMELO CANALE: Certamente.
  • PRESIDENTE: E quindi…
  • DICH. CARMELO CANALE: Ma in quella circostanza non so, lui era, guardi Presidente, lui aveva questa, cioè usciva fuori da una, io oserei dire, una calunnia che veniva messa in giro nei confronti di questo Capitano e quindi lui voleva capire che cosa era, chi era sto capitano, lui non lo ricordava […] quindi lui voleva vedere chi fosse sto Capitano De Donno e voleva parlare prima con il Colonnello Mori e poi col capitano… Ripeto, credo che l’argomento fosse mafia – appalti, non è che poteva essere altro.

Se è vero – e non abbiamo motivo per dubitarne – che Borsellino chiese ai Ros di proseguire l’indagine mafia-appalti, perché non ne parlò con il suo uomo più fidato?

  • PUBBLICO MINISTERO: Mi conferma che non tornò mai con lei, diciamo, dopo quell’incontro sull’argomento necessità di svolgere direttamente indagini sulla vicenda mafia – appalti?
  • DICH. CARMELO CANALE: No questo no, lo confermo certamente.
  • PUBBLICO MINISTERO: Mi conferma?
  • DICH. CARMELO CANALE: Sì, sto confermando quello che dice lei, questo è, non mi disse nulla e non chiesi nulla.

E non fu questa l’unica circostanza rispetto la quale il giudice mantenne il massimo riserbo anche con quello che si ritiene fosse stato il suo collaboratore più fidato.

Analoga cosa avvenne a proposito dell’incontro tra Borsellino e la dottoressa Liliana Ferraro, nel corso del quale Borsellino venne informato che l’allora capitano De Donno le aveva detto dell’intenzione di contattare Vito Ciancimino.

Anche in questo caso il giudice ritenne di non dover dire nulla al suo braccio destro che ne apprese solo a distanza di molto tempo:

  • PUBBLICO MINISTERO: Mi dica una cosa, credo che sia l’ultima o comunque una delle ultime domande, il Procuratore Borsellino le parlò mai di avere appreso dalla Dottoressa Ferraro, in quel periodo, di contatti tra ufficiali del Ros, in particolare tra ufficiali del Ros e Vito Ciancimino?
  • DICH. CARMELO CANALE: No è una storia che mi giunge nuova a me, completamente mai.

Che Borsellino non era convinto che mafia-appalti fosse l’unico movente per il quale venne ucciso Giovanni Falcone, lo sostiene lo stesso Canale:

  • Lui era convinto che ci fosse più di una causa. La prima poteva essere la chiusura del Maxiprocesso, con le sentenze di condanne definitive. L’altra era legata… l’altra era legata alla, dunque una era quella degli omicidi, l’altra era legata al fatto che lui stava per diventare superprocuratore nazionale, però il Dottore Falcone, in questo lui voleva, almeno io ricordo questo, voleva che la nomina del superprocuratore fosse legata anche, come dire, non a livello come si parlava, come si ventilava allora, quasi burocratico, ma che il Procuratore nazionale avesse il potere di attivare su di sé, sul suo ufficio le indagini da coordinare nel campo della mafia, quindi anche questo. Tanto è che Borsellino, questi erano gli accordi tra Falcone e Borsellino, scelse di venire a Palermo proprio in funzione di questo, perché si sarebbe coordinato un domani col Dottore Falcone, lui a Roma e Paolo Borsellino a Palermo, avrebbero avuto questo coordinamento”.

Borsellino durante quel periodo stava conducendo diverse indagini e stava sentendo molti collaboratori di giustizia.

Tra le tante indagini condotte da Borsellino, anche una che lo portò a chiedere a Canale di recuperare un rapporto dei Ros:

  • PUBBLICO MINISTERO: Qualche specificazione, su argomenti che lei ha già affrontato, rispondendo alle domande della difesa degli imputati. Senta, lei ricorda se quel rapporto che il Dottor Borsellino le chiese di recuperare, dall’allora Maggiore Obinu, riguardasse collegamenti tra famiglie mafiose palermitane e famiglie, o comunque attività criminose svolte a Milano?
  • DICH. CARMELO CANALE: In tutta onestà, devo dirle che io non ho ricordi certi. Io, se non ricordo male, però non vorrei sbagliarmi, attenzione, perché stiamo parlando di fatti datati, io credo che si chiamasse, credo però, non vorrei sbagliarmi, Duomo Connection o qualcosa del genere…

Duomo Connection, storie di mafie, maqssoneria, corruzione, politica e grandi traffici, come dimostra l’operazione Big John, una delle più grandi importazioni di cocaina mai organizzate in Italia.

Strani intrecci ben descritti da Marco Birolini nel suo libro Stato Canaglia (a cura di Simona Zecchi).

Cosa disse in Canale Commissione antimafia rispetto le indagini che conduceva Borsellino, e non soltanto in merito a mafia-appalti?

Cosa disse riguardo alle collusioni politiche o da parte di uomini dello Stato, se qualcosa disse?

Perché non desecretare il verbale dell’audizione di Canale del ’97, dando la possibilità alla Commissione di porre le domande al colonnello conoscendo gli antefatti?

Gian J. Morici

 


Carmelo Canale: Non desecretate la mia audizione!

Redazione 2 Gennaio 2025

«Non desecretate la mia audizione, piuttosto vengo a deporre in Antimafia».

È questa la richiesta dell’allora maresciallo Carmelo Canale, divenuto poi ufficiale – considerato il braccio destro  del giudice Paolo Borsellino – alla presidente della Commissione antimafia Chiara Colosimo che vorrebbe desecretare la sua audizione del 3 settembre 1997 in Commissione antimafia sul dossier Mafia-appalti.

Per quale motivo Canale chiede che non venga desecretato l’atto?

Stando a quanto dichiarato da Canale, l’allora presidente Del Turco sarebbe stato più volte rassicurato da Caselli che il carabiniere non era iscritto al registro degli indagati, mentre invece risultava già indagato per concorso esterno in associazione mafiosa.

A seguito di quelle rivelazioni – afferma Canale –  che egli subì false accuse che lo inguaiarono per anni, fin quando non venne assolto con sentenza irrevocabile “perché il fatto non sussiste”.

A smentire di aver rassicurato l’allora presidente Del Turco in merito al fatto che Canale al momento della sua audizione in commissione antimafia non fosse indagato, è lo stesso Gian Carlo Caselli, che con una sua nota precisa di non aver mai riferito a Del Turco nulla in merito al fatto che non ci fosse un’iscrizione al registro degli indagati.

Del Turco, nel corso di un’intervista, aveva rivelato che l’audizione di Canale era stata oggetto di tensioni all’interno della Commissione, poiché c’era il timore che le sue dichiarazioni potessero destabilizzare gli equilibri istituzionali della giustizia siciliana, aggiungendo che l’audizione si tenne in un’atmosfera molto tesa.

Una vicenda complessa della quale si è interessato anche il giornale ‘Il Dubbio’ che riporta come Del Turco, allora presidente della commissione, successivamente all’audizione dovette intervenire per impedire che il carabiniere facesse i nomi di due magistrati palermitani riferiti dalla moglie di Lombardo, ufficialmente per evitare di trasferire tutta la documentazione alla Procura di Caltanissetta, competente per eventuali reati commessi da magistrati di Palermo.

Come riportato dal giornalista Aliprandi, autore dell’articolo, il verbale dell’audizione venne inoltrato alla Procura di Palermo, e successivamente, per competenza, sarebbe poi dovuto essere inviato alla procura di Caltanissetta.

Un verbale che non si sa se venne inviato o meno, ma che è tuttora secretato in commissione antimafia.

Canale è una figura centrale di quegli anni, accusato da diversi pentiti di aver venduto a Cosa Nostra informazioni riservate – assolto da tutte le accuse mossegli – fu tra i testi a carico di Bruno Contrada, all’epoca numero tre del Sisde, in merito al fallito attentato all’Addaura in danno del giudice Giovanni Falcone, e sulla strage di via D’Amelio, nella quale morì il giudice Paolo Borsellino (leggi quando Mori disse che l’attentato escludeva fosse opera di Cosa Nostra, attribuendolo ad altri ambienti).

Una figura controversa del quale ne ha scritto anche un magistrato, narrando di perplessità manifestate dal Giudice Borsellino in merito alle indagini sul duplice omicidio del colonnello Giuseppe Russo,  uno degli uomini più fidati di Carlo Alberto Dalla Chiesa, e del professore Filippo Costa .

L’omicidio del colonnello Russo fu voluto da Totò Riina, Bernardo Provenzano e Leoluca Bagarella.

Dell’uccisione del colonnello vennero accusati tre pastori, a seguito della confessione in caserma da parte di uno di loro stessi.

Tre innocenti, uno dei quali si era autoaccusato del delitto, chiamando in correità gli altri due.

Al momento di quella confessione, che poi si scoprirà falsa, c’era Canale.

Secondo il magistrato che ne scrive, più volte Borsellino chiese a Canale di dirgli la verità.

La giudice Alessandra Camassa nel corso di un’udienza come teste al processo al generale Mario Mori a Palermo, all’epoca accusato di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra, disse di che il maresciallo Canale l’avesse sollecitata più volte a parlare con il giudice Borsellino e dirgli di stare più attento e che non si doveva fidare dei carabinieri del Ros di Palermo perchè erano pericolosi.

Nel corso di una conversazione intercettata tra gli ufficiali dei carabinieri De Donno, Raffaele Del Sole e il generale Mario Mori, ad avere dei dubbi sull’ex maresciallo, facendo riferimento al momento di scoramento e alla confidenza fatta da Borsellino ad Alessandra Camassa e Massimo Russo a proposito di un amico che lo aveva tradito, furono De Donno e Mori che ipotizzarono che l’amico traditore potesse essere proprio Canale.

Secondo il giornalista del Dubbio, l’audizione secretata di Canale, del 1997 in Commissione antimafia, potrebbe rivelare particolari importanti in merito all’incontro tra Borsellino e gli uomini del Ros del generale Mori, relativi all’indagine mafia-appalti e al coinvolgimento dei due magistrati dei quali all’epoca non fece i nomi.

Canale durante un’udienza del 2013 nell’ambito del processo Borsellino quater, aveva già dichiarato che il motivo per cui Borsellino aveva voluto incontrare De Donno e Mori il 25 giugno 1992 nella caserma Carini dei Carabinieri di Palermo, era dovuto all’interesse che il giudice aveva per il “Corvo 2”, l’anonimo che a cavallo tra le stragi di Capaci e via D’Amelio aveva scritto una lettera che aveva fatto tremare i palazzi romani e palermitani, svelando trame politiche e accordi di uomini importanti con la mafia, infangando anche Falcone e persone a lui vicine.

Secondo la testimonianza di Canale al processo contro Contrada, si trattava di una lettera anonima arrivata al Sisde, che il numero tre dei servizi aveva rielaborato e mandato a procure e giornali.

Un’altra ipotesi, era quella che il “Corvo 2” fosse stato scritto in ambienti del Ros.

L’autore anonimo, era comunque qualcuno che sapeva che a Palermo in via Roma 457 c’era la Gus, società di copertura del centro palermitano del Sisde, dove si trovava anche lo studio di Pietro Di Miceli, il commercialista che nella lettera anonima veniva accusato di aver commissionato ai servizi la strage di Capaci.

A gettare ombre sull’operato di Canale, oltre a Giovanni Brusca, Angelo Siino, Antonino Patti e Vincenzo Sinacori – dalle cui accuse il carabiniere venne assolto – in epoca più recente era stato anche Vincenzo Calcara, che come altri pentiti definiti in più sentenze inattendibili, aveva incontrato l’allora maresciallo Canale, tessendone gli elogi.

Sulla figura di Canale, che si era occupato di dichiaranti poi scoperti inattendibili (leggi l’articolo), come Spatola, Filippello, Scavuzzo, la Grimaldi e lo stesso Calcara, questi alla domanda di Enza Galluccio (autrice di libri su mafie e relazioni tra Stato e criminalità organizzata) affermò:

“Nell’arma dei carabinieri c’erano uomini che lavoravano con lui (Borsellino -ndr), ma lo hanno tradito, lo hanno lasciato solo … al suo destino.  Se dobbiamo parlare di Canale, io so che ha fatto una buona carriera”.

Anche il pentito  Gioacchino Schembri, collaboratore di giustizia originario di Palma di Montechiaro, aveva parlato di Canale, raccontando come in uno degli incontri avuti con il carabiniere ebbe modo di conoscere il Generale Mori.

Schembri – che poi chiese di non avere più contatti con Canale – aveva dichiarato di come questi gli avesse detto di appartenere ai servizi segreti.

“Forse è giunta l’ora di togliere i sigilli, soprattutto alla luce delle attuali indagini di Caltanissetta riguardanti l’operato di almeno due magistrati di Palermo di allora”, scrive Aliprandi sul Dubbio, aggiungendo che “la commissione Antimafia potrebbe desecretare il verbale Canale, anche per capire se ci siano o meno dei pezzi mancanti, e perché quell’audizione avrebbe potuto creare una crisi istituzionale di alto livello”.

Non v’è dubbio che la desecretazione dell’audizione di Canale del ’97 – così come tutti gli atti relativi a quel periodo  – sarebbe un atto doveroso per una commissione che a distanza di oltre trenta anni si pone come obiettivo il far chiarezza sulle stragi, e coerenza vuole che proprio i giornalisti che hanno ritenuto tale desecretazione un momento importante – così come i familiari delle vittime di quelle stragi – insistano perché non rimangano dubbi sul movente e sulle dinamiche che portarono all’uccisione dei giudici Falcone e Borsellino, e dei componenti delle loro scorte.

Spetterà adesso alla presidente Colosimo rendere noti i contenuti di quell’audizione.

Un atto di riguardo verso le vittime, i loro familiari, e tutti gli italiani che di quegli eventi ancora oggi subiscono le conseguenze.

Gian J. Morici


Stragi del ’92. L’enigma del maresciallo/colonnello Carmelo Canale

Redazione 17 Ottobre 2024

Colonnello dei carabinieri Carmelo Canale, ex fedelissimo di Paolo Borsellino.

A tirare in ballo l’ufficiale dei carabinieri Carmelo Canale, all’epoca della strage di via D’Amelio ancora maresciallo, è il giornale “Il Dubbio” con un articolo a firma di Damiano Aliprandi.

Un articolo dal taglio politico con l’accusa al Partito Democratico, che inspiegabilmente andrebbe “in fibrillazione quando spunta in commissione Antimafia la questione del dossier mafia- appalti e alcune ombre riguardanti l’allora Procura di Palermo quando era in vita Paolo Borsellino”.

Aliprandi riporta le dichiarazioni di Ottaviano Del Turco, ex presidente della commissione Antimafia, a Radio Radicale, intervistato da Massimo Bordin il 17 novembre 2004.

Nell’intervista – scrive AliprandiDel Turco ha rivelato alcuni retroscena riguardanti l’audizione del maresciallo Carmelo Canale”, raccontando di un’audizione, avvenuta il 3 settembre 1997, osteggiata  all’interno della Commissione, dai membri del centrosinistra che si erano opposti temendo che le dichiarazioni di Canale potessero destabilizzare gli equilibri istituzionali della giustizia in Sicilia.

Va detto fin da subito che in merito alle stragi del ’92 si sono creati due fronti contrapposti, quello ‘trattativista’ che ha sempre puntato l’indice in direzione di una matrice esterna (forze dell’ordine infedeli, servizi segreti deviati ecc) non indagando mai a fondo su possibili responsabilità dei magistrati dell’epoca, e quella dei mafio/appaltisti, che attribuirebbero la responsabilità delle stragi a sola ‘Cosa nostra’, guardando in direzione di una magistratura incapace o infedele, escludendo tutti gli eventuali attori indicati dai ‘trattativisti’.

Un articolo – quello di Aliprandi – che mette a nudo solo parte di una complessa verità.

L’ex presidente – riporta il quotidiano – ricorda come l’audizione si svolse in un’atmosfera tesissima, con Canale fatto entrare da un ingresso secondario, quasi clandestinamente. Ma non solo. Durante la testimonianza, Del Turco dovette intervenire per impedire che Canale facesse i nomi di due magistrati palermitani riferiti dalla moglie del maresciallo Antonino Lombardo, ritrovato senza vita nella sua auto nella caserma dei carabinieri di Palermo il 4 marzo 1995. Del Turco, come spiega lui stesso a Bordin, pregò Canale di non fare quei nomi. Il motivo? «Nel caso sarebbe stato obbligatorio, sulla base dell’articolo 11 del Codice di procedura penale, trasferire tutta la documentazione alla Procura di Caltanissetta che era competente per eventuali reati commessi dai magistrati di Palermo», ha spiegato”.

Le dichiarazioni di Canale, sono tutt’ora secretate in commissione Antimafia, e “forse è giunta l’ora di togliere i sigilli, soprattutto alla luce delle attuali indagini di Caltanissetta riguardanti l’operato di almeno due magistrati di Palermo di allora” – afferma il giornalista.

Non v’è dubbio che tanto questi atti, quanto altri documenti riguardanti il periodo stragista di ‘Cosa nostra’ andrebbero tutti desecretati.

Quando fu trovato senza vita (del maresciallo Lombardo – ndr), gli trovarono accanto una lettera-testamento. Ma i figli hanno sempre sostenuto che la scrittura non fosse la sua. Ma soprattutto non hanno mai creduto al suicidio. Sappiamo che Lombardo aveva promesso ad Agnese Borsellino che avrebbe indagato sulla strage di Via D’Amelio. Cosa aveva scoperto? Canale, nel corso dell’audizione, avrebbe offerto spunti investigativi, addirittura stava per fare due nomi di magistrati riferiti dalla moglie di Lombardo” – riporta ancora il giornalista.

Affermazioni e conclusioni che dovrebbero indurre anche ad altre riflessioni e approfondimenti, valutando se non sia l caso il caso che ciò avvenga nelle sedi deputate.

Canale afferma che fu la moglie del maresciallo Antonino Lombardo a riferire il nome dei due magistrati.

Un aspetto noto almeno dal 2004, ovvero da venti anni.

Eppure, nel corso dell’intervista rilasciatami nell’agosto del 2020 da Rossella Lombardo – figlia del maresciallo ucciso – la stessa non fa alcun riferimento a questa vicenda, rispetto la quale quasi certamente avrà chiesto notizie alla madre, testimone di un fatto che avrebbe dovuto permettere di rivalutare lo strano caso del suicidio del maresciallo Lombardo.

Papà – dichiarò Rossella Lombardo nel corso dell’intervista – provò una grandissima delusione per il fatto che l’Arma dei Carabinieri non prese pubblicamente le sue difese, visto che a lui non veniva data la possibilità di farlo, così come avevano impedito al  Generale Federici che immediatamente aveva provato a chiamare in trasmissione e gli venne  negata la possibilità di intervenire. In procura non c’era nulla contro mio padre, al contrario di quello che diceva Orlando… non fu certamente questa la causa della sua morte”.

Non mancarono neppure le critiche alla magistratura, rispetto la quale si chiese come fosse stato possibile che il PM che si trovò là quella sera avesse preso la decisione di non effettuare l’autopsia, così come ai vertici dell’Arma rispetto i quali disse:

Del viaggio americano (Lombardo doveva portare Badalamenti dagli Stati Uniti in Italia) che non si fece più nulla, l’Arma disse che volevano tutelarlo, che non volevano sovraesporlo. Non lo mandi in America per non sovraesporlo e  me lo mandi a portare il pentito Salvatore Cangemi… non mi sembra una cosa meno pericolosa… Secondo me papà si aspettava qualcos’altro dai suoi superiori. Stava vivendo un periodo caldo.  Una settimana prima, qui a Terrasini, era stato ucciso il suo confidente.

Dietro la morte di mio padre, ci sono delle cose molto pesanti che riguardano alcuni pezzi dello Stato. Che questa morte sia stata voluta, ne sono pienamente convinta. Da chi, mi piacerebbe scoprirlo.

Che ci sia una responsabilità da parte di alcuni esponenti dell’Arma dei Carabinieri lo penso pure io, non è solo un pensiero di mio fratello. Mio padre per l’Arma ha dato la vita e per i suoi superiori avrebbe fatto qualsiasi cosa, perché mio padre era uno che diceva sempre ‘Comandi… Signorsì…’ e sono sicura che mio padre è morto dicendo ‘Comandi, Signorsì’. Papà aveva cercato un aiuto da parte dei tuoi superiori, un aiuto che non c’è stato. Una settimana prima di morire aveva chiesto di andare via per un po’ dalla Sicilia, perché aveva capito che il territorio era diventato pericoloso per la sua famiglia… Papà ne aveva parlato con noi, ci aveva chiesto se eravamo disposti ad andare per un po’ di tempo all’estero per fare calmare le acque… Noi ovviamente eravamo d’accordo, perché capivamo quello che stava succedendo. Dinanzi la sua richiesta ci fu un muro insormontabile, gli venne detto che lui serviva qui. Com’è possibile che non volete mandarlo in America per non esporlo, però mio padre vi chiede di andare via per un po’ di tempo e voi dite no, tu ci servi qui? Sapevano benissimo che qui il territorio scottava, che  era stato ucciso il suo confidente… Per questo dico che in ogni caso ci sono delle responsabilità nella morte di mio padre. Un suo superiore, del quale non voglio fare il nome, che si riteneva molto amico di mio padre, anni fa venne casa mia e prima di andare via mi disse: ‘La verità, quella vera, vi farebbe ancora più male’.  Mi dici una frase del genere ma non mi dici il perché mi sta dicendo questa frase? Di quale verità stai parlando?

Importanti alcuni aspetti relativi a quanto dichiarato da Rossella Lombardo nel corso dell’intervista che dovrebbe essere letta con particolare attenzione:

Solo uno lo sente, dice di sentire un tonfo – afferma Rossella Lombardo  riferendosi alla sera della morte del padre – Dai verbali risulta che l’allora Capitano Ultimo dice di aver sentito un tonfo alle 22:30 e pensa che arrivi dall’ufficio dove si trovano le armi. Lo sente lui che si trova a 70 m di distanza e non il piantone che si trova a 20 m di distanza? L’auto di papà era un’auto di servizio, possibile che nessuno registrò l’ingresso di quell’auto, che nessuno lo vide? Non hanno visto entrare l’auto e hanno saputo della sua morte la mattina successiva. Uno dei piantoni parla di un’ambulanza che all’improvviso si presenta lì al Battaglione. Lui la ferma e chiede dove stia andando e cosa sia successo. L’autista risponde che c’è un uomo che sta male… che sono stati chiamati perché c’è un uomo che sta male. Il piantone fa entrare l’ambulanza che fa il giro del cortile ed esce immediatamente. Perché arrivò l’ambulanza,  cosa ha fatto, chi era che stava male? Il Capitano Ultimo dichiara che un Brigadiere gli riferì che c’era un uomo in un’auto che stava male…  Un uomo sta male e te ne vai? Non chiami aiuto, non chiami i soccorsi, non fai nulla? Non ti avvicini per vedere che cos’ha,  per vedere chi è? Cosa hai visto per dire che c’è un uomo che sta male? Guarda caso, tutti vengono interrogati tranne questo Brigadiere. non c’è nessuna dichiarazione da parte sua… nessuno ritiene importante chiedere al Brigadiere cosa avesse visto, chi avesse visto, chi è che stava male…

Il Capitano Baudo, riferisce che incontra papà via Belgio, a Palermo, intorno alle 18:00 e di avergli detto di non andare assolutamente al Comando Legione e di non rispondere per nessun motivo al Generale Cagnazzo se lo avesse cercato per telefono. In Procura qualcuno ha chiesto al Capitano Baudo perché ha dichiarato questo? Perché il Capitano Baudo dice a mio padre di non andare assolutamente al Comando Legione e di non rispondere alle chiamate del Generale? Qualcuno se lo dovrebbe chiedere come mai… non mi sembra normale che tu consigli a mio padre di non andare al Comando e dopo poche ore viene trovato morto proprio lì…

Fino ai primi di gennaio del 95, abitavamo in caserma a Terrasini. poi andammo a stare in una casa nostra, perché papà aveva lasciato la stazione dei Carabinieri per andare al Ros. Papà prima di lasciare la caserma disse mia madre che voleva portarla all’archivio per farle vedere una cosa e così un giorno andarono in caserma e la porto nella stanza dell’archivio e disse a mia madre ‘Vedi questo faldone? Se mi succede qualcosa, qua troverai la verità sul perché mi hanno ammazzato…

Papà aveva una valigetta 24h che portava sempre con sé. Anche quella mattina uscì con la sua 24h che conteneva documenti dai quali non si staccava mai… ma, stranamente, con la morte di papà sparisce anche la sua 24h…la valigetta in macchina non si è trovata… Ci danno la notizia che mio padre è appena morto e ci perquisiscono casa… i documenti di mio padre spariscono…

Di anomalie tante, di dubbi e di sospetti altrettanti.

Certezze poche.

Che Lombardo il 4 marzo del 1995 morì – e morì nella caserma dei carabinieri oggi è intitolata al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa – è un dato certo.

Che il carabiniere Canale non riferì i nomi appresi (dalla vedova Lombardo) dei due magistrati, lo si dà per certo stando all’intervista rilasciata da Del Turco.

L’allora maresciallo Canale, essendo a conoscenza di notizie di reato tanto gravi da potere essere legati ad omicidi e forse anche alla strage di via D’Amelio, aveva il dovere di informarne l’Autorità Giudiziaria?

Perché passarono anni prima che ne riferisse in commissione Antimafia?

Che Rossella Lombardo di quanto riportato nell’articolo evidentemente non sapesse nulla, anche questo sembrerebbe un dato certo.

Che avanzasse dubbi sull’archiviazione da parte dei magistrati della morte del padre come suicidio, è un dato certo; come altrettanto certo è che proprio per la morte del padre avesse dubbi sul coinvolgimento di soggetti appartenenti all’Arma, quantomeno nell’immediatezza della scoperta del cadavere e nella conduzione delle indagini.

Il caso Lombardo è soltanto uno dei tanti misteri italiani nei quali di volta in volta si citano o si presentano testimoni a distanza di decenni da un fatto.

Spesso, su gravissimi fatti di sangue, si allunga l’ombra di appartenenti ai servizi di sicureza, che secondo le circostanze e i momenti compaiono o scompaiono dall’orizzonte mediatico/giudiziario, come nel caso della gestione dell’ex pentito Vincenzo Scarantino, come tratto dalle memorie del 2018 depositate dall’avvocato Fabio Trizzino, genero di Paolo Borsellino – delle quali parleremo successivamente – che riportano testualmente:

Tale documento – confezionato secondo le modalità osmotiche descritte dal Dottor Contrada e coinvolgenti normalmente investigatori della Squadra Mobile diretta da A. La Barbera e personale dei Servizi di Sicurezza Democratica di stanza a Palermo – sia rivelatore della precisa volontà di consolidare lo sviamento delle indagini, iniziato subito con il sopralluogo del garage Orofino del 20 luglio 1992.

Val la pena di ricordare la doppia veste di Arnaldo La Barbera, dirigente della Squadra Mobile di Palermo, nonché uomo ai vertici del Sisde.

Come mai fin dall’inizio i Servizi di Sicurezza si prestarono a consolidare lo sviamento delle indagini, e come mai i successori ai vertici del servizio lasciarono che per tanti anni ancora il depistaggio continuasse?

Gian J. Morici