“E’ stato solo un momento di sconforto, confermo la mia volontà di collaborare con la giustizia”. Lo dice al pubblico ministero di Caltanissetta CARMELO PETRALIA. in relazione al “caso Scarantino” la procura di Caltanissetta diffonde una nota nella quale definisce “grave il comportamento di quanti hanno strumentalizzato un comprensibile desiderio di affetto per fini processuali che nulla hanno che vedere con una vicenda che presenta tratti esclusivamente umani”. Aggiunge l’altro pm del processo, ANNAMARIA PALMA: “La mobilitazione, non nuova, della sua famiglia e di un intero quartiere conferma, se mai ve ne fosse bisogno, la caratura del personaggio e l’importanza delle dichiarazioni ve ne fosse bisogno, la caratura del personaggio e l’importanza delle dichiarazioni che ha reso”.
Esplode il caso del pentito: ma dietro la ritrattazione ci sarebbe la manovra della mafia Scarantino: su via D’Amelio ho mentito «E innocenti sono finiti in carcere»
L’onda lunga del «caso Melluso» comincia a farsi sentire – e questa non è una sorpresa – anche nelle vicende processuali che riguardano Cosa Nostra. E così ieri, proprio mentre il pentito della camorra veniva «espulso» dal programma di protezione per essere «tornato a delinquere» circa un anno fa e quindi molto prima della clamorosa ritrattazione delle accuse su Enzo Tortora, un misterioso giallo si è abbattuto su Vincenzo Scarantino, il collaboratore che ha confessato la sua partecipazione alla strage Borsellino e portato alla sbarra gli organizzatori dell’attentato. Riferisce l’avv. Paolo Petronio, per mezzo dell’agenzia giornalistica Adn-Kronos, che il pentito ha detto per telefono alla madre «che sta ritrattando tutto e che torna in carcere». «Aggiunge ancora – insiste il legale – di essere stato costretto a parlare e a dire cose che non rispondevano al vero».
Questo l’essenziale comunicato che è stato diffuso per telescrivente. Immediatamente dopo l’agenzia Ansa «batte» la smentita del procuratore Carmelo Petralia, pubblico ministero al processo per la strage di via D’Amelio. «Non risulta alcuna volontà di Scarantino spiega il magistrato – di ritrattare le dichiarazioni fin qui rese. Non risultano sue ritrattazioni né alla polizia, né al pubblico ministero. né alla Corte d’Assise» Il pm ha negato pure che al pentito sia stata tolta la tutela del Servizio centrale di protezione. Ma Scarantino, rintracciato telefonicamente nel corso dell’edizione serale di «Studio aperto» ha dichiarato di aver «deciso di dire tutta la verità e di non collaborare più, perchè ho detto tutte bugie. Voglio andare in carcere, e voglio andare nelle udienze, in quelle dove si sta svolgendo il processo del dottor Borsellino». Alla domanda del giornalista che lo aveva rintracciato se «quindi sono tut¬ ti innocenti quelli che lei ha nominato?», Scarantino ha risposto: «Tutti innocenti, me ne vado in carcere e lo so che mi faranno morire. Però morirò con !a coscienza a posto».
Il sostituto Petralia denuncia una «manovra di Cosa Nostra, che sa trovare i tempi e i modi per mettere in moto un meccanismo di pressione per indurre il collaboratore a ritrattare. Si sono rimessi in moto gli uffici stampa di Cosa Nostra.
Una campagna messa in atto ricorrendo ad ogni mezzo: la mafia ha capito che le vendette trasversali, i gesti eclatanti non pagano più e spesso ottengono reazioni ^ opposte a quelle attese».
Certo, l’interesse di Cosa Nostra a delegittimare i pentiti è innegabile. Ma non è il solo che mota attorno alla Corte d’Assise di Caltanissetta. Ci sono interessi più strettamente processuali che stanno a cuore ai familiari di Vincenzo Scarantino che, «facendosi infame» (come si dice a Palermol, ha «rovinato» due fratelli, in car cure por reati minori ma pur sempre in galera, e il cognato – Salvatore Profeta – accusato di strage. Insomma, Scarantino non è stato mai risparmiato dalla pressione che i familiari hanno esercitato per «riportarlo alla ragione» e cioè dalla parte della «famiglia».
Forse per questo il procuratore Petralia, commentando la vicenda, ha osservato come questo sia un caso dove «i concetti di famiglia mafiosa e famiglia di sangue coincidono perfettamente».
Perchè altrimenti la madre del pentito avrebbe dovuto registrare le telefonate del figlio, i suoi sfoghi (pure legittimi se si considera la difficile posizione del giovane trovatosi improvvisamente solo e «rinnegato» dai consanguinei), per farli diffondere da un avvocato che difende Profeta, il marito della figlia? L’ipotesi più credibile è che Scarantino sia stato preso da uno dei suoi ricorrenti momenti di depressione, che abbia cercato i familiari per ottenere conforto e che, quindi, questi abbiano fiutato il momento opportuno per tarlo ritrattare.
Proprio la madre e le sorelle, quando Vincenzo si fece pentito, andarono ad incatenarsi alla cancellata del Tribunale, affermando che il giovane era stato «costretto ad accusare dogli innocenti».
Una interpretazione, questa, condivisa da Lucia Falzone, divenuta legalo di Scarantino dopo il pentimento (prima era difeso dallo stesso avv. Petronio). Lucia Falzone dice di non avere «notizie ufficiali sulla volontà di ritrattare del suo assistito», ma aggiungo che si tratta di un dramma umano. «Un momento di sconforto – spiega può capitare a chiunque.
C’è poi da considerare che la madre di Scarantino è suocera dell’imputato Salvatore Profeta: ci sono gli estremi del “particolare interesse”». E il «dramma umano» appare in tutta la sua evidenza, ascoltando le registrazioni dei colloqui tra il pentito e i familiari. Lui appare stremato e confuso, mentre nitide arrivano le esortazioni della madre a «non cedere», «devi essere forte e resistere», non ci devi far fare un’altra brulla figura».
Poi, riferendosi alla possibilità di dover ospitare la moglie e i figli del pentito, la donna è rassicurante: «Non ci sono problemi. Abbiamo già fatto la spesa». Come a voler diro che non patiranno stenti.