Obiettivo rating: da Assonime dubbi e prudenza

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di Lionello Mancini

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Il Regolamento di assegnazione del rating di legalità si può e si deve migliorare. Ma – lo scrivevamo lunedì scorso – un conto è stringere i bulloni per rendere più efficiente un meccanismo, un conto è gettare sabbia negli ingranaggi, perché il meccanismo rallenti o si fermi. Sempre che sia condivisa l’idea di un rating che favorisca l’accesso al credito e ai fondi pubblici, quale tentativo di affiancare ai controlli di legge una convenienza delle scelte virtuose rispetto a quelle collusive e sottomesse ai riti opachi del non-mercato.

Esaminando i pareri giunti al Garante del mercato nell’ambito della consultazione sul regolamento, è abbastanza facile distinguere analisi e argomenti propositivi da quelli che celano giudizi contrari al rating. Abbiamo già dato conto delle modifiche proposte da Confindustria per rendere più efficaci le procedure. Tra queste, alcune compaiono in altri documenti – niente elenco delle imprese “bocciate” o retrocesse, considerare anche le violazioni delle norme antitrust europee – altre rispecchiano punti di vista più particolari, ritagliate sulle esigenze dei diversi portatori di interesse.

I “miglioramenti possibili” suggeriti da Assonime, per esempio, sono raccolti in un fitto documento di 12 cartelle dal quale emergono almeno tre preoccupazioni: indicare con precisione e graduare la gravità dei comportamenti che portano al diniego e al downrating; difendere la discrezionalità delle banche nel valutare il merito del credito a prescindere dal rating; evitare percorsi e cornici troppo rigidi per ottenere le tre stellette, ovvero il massimo del punteggio.

Molte osservazioni dell’associazione che rappresenta il mondo delle Spa, vanno approfondite e soppesate con attenzione, proprio per prevenire diatribe legali, sempre in agguato nel nostro Paese. Altre paiono invece ispirate a una prudenza frenante, fino a far percepire un soffuso scetticismo sullo strumento stesso, derivante dall’idea che la premialità per comportamenti etici e corretti possa turbare il mercato, o addirittura creare squilibri tra chi intende utilizzare il rating e chi non ne fa domanda. Un approccio che sembra aver smarrito gli obiettivi del progetto, ripiegando su una più agevole elencazione dei commi eventualmente impugnabili in sede legale, più che indicare soluzioni che rimedino a possibili falle.

Si veda poi (il documento è reperibile sul sito) l’invito a modificare radicalmente il sistema di certificazione pubblica della legalità, a vantaggio di scelte autoregolamentari. Opzione legittima e anche da incoraggiare, purché non venga meno il “cambio di passo” che il Regolamento impone alle imprese che investono in legalità. Ma uno dei paragrafi più contrari all’impianto premiale, Assonime lo scrive in una sorta di impeto “filobancario” in cui viene richiamata la necessità di «preservare il rigore dei criteri di erogazione del credito da parte delle banche», come se la valorizzazione legata al rating facesse venire meno tale indispensabile rigore.

Ovviamente l’Associazione respinge questa chiave di lettura, rivendicando il proprio ruolo critico. Eppure, al di là delle cortesi formule di rito, è davvero difficile cogliere nel documento una condivisione del progetto-rating.

 Sole 24 Ore. 8.10.2012

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