IL DEPISTAGGIO SU VIA D’AMELIO
Le falle della sicurezza e la mancata protezione del procuratore
COMMISSIONE ANTIMAFIA ARS
«Come ci si può sorprendere che ci siano stati depistaggi se all’inizio non c’è stata protezione nei confronti di Paolo Borsellino?», è il commento dell’ex Ministro Claudio Martelli
Lo ha detto senza mezzi termini dinanzi questa Commissione l’ex Ministro della Giustizia Claudio Martelli: come ci si può sorprendere che ci siano stati depistaggi se all’inizio non c’è stata protezione nei confronti di Paolo Borsellino?
Non è la prima volta che Martelli propone una considerazione di questo tipo. Era già successo durante le indagini sulla strage di via D’Amelio quando, nella veste di testimone, viene sentito dal Procuratore di Caltanissetta Tinebra e dai suoi sostituti.
MARTELLI, già Ministro della Giustizia. La cosa che mi colpì è che anche a loro prospettai la questione della mancata protezione, della mancata tutela di Borsellino, ma la cosa lasciò Tinebra del tutto… «sì, sì», come se fosse un aspetto trascurabile e tutto l’interrogatorio poi che mi riguardò… mi ha dato la sensazione di essere un rito puramente formale, insomma, che non è che cercasse neanche spunti investigativi, suggestioni, fantasie o qualche fatto. Il fatto più grave l’avevo bello che sciorinato, ma su quello non s’è dato pena di fare alcun approfondimento.
Secondo quanto riferito da Martelli, dunque, il fatto che il dispositivo di sicurezza intorno a Borsellino presentasse più di una criticità non costituiva in quel momento per la procura nissena un elemento da approfondire e comunque da suggerire piste investigative degne di rilievo. Come se si fosse trattato solo di semplici disguidi. Aggiungiamo, come se attorno a Paolo Borsellino in quelle settimane tra Capaci e via D’Amelio non si fossero addensati presagi, avvertimenti, minacce, disvelamenti che avevano tutti (come vedremo nelle pagine che seguono) un comune denominatore: attentare alla vita del magistrato palermitano.
Facciamo un passo indietro e torniamo a sabato 23 maggio 1992. Una sola certezza riesce a farsi strada tra le macerie fumanti dell’autostrada A29: con l’uccisione di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino diventa agli occhi dell’opinione pubblica, dei suoi colleghi, del governo, delle forze dell’ordine “il prossimo della lista”: se qualcosa accadrà, sanno e temono tutti, avrà come obiettivo il giudice Borsellino. E allora cosa succede? Niente! Parte soltanto un silenzioso conto alla rovescia che durerà per cinquantasette giorni. Fino a metà giugno, ci spiega Antonio Vullo, la scorta di Borsellino non ebbe alcun rafforzamento.
SENZA NEANCHE VIGILANZA FISSA
- FAVA, presidente della Commissione. Ci furono procedure particolari di sicurezza adottate (per Borsellino) dopo la strage di Capaci?
- VULLO, componente della scorta del giudice Paolo Borsellino. Quando ho preso in custodia il giudice Borsellino siamo andati subito in via Cilea (dov’era l’abitazione del giudice, ndr.). Io immaginavo di trovare un bunker perché dopo la strage di Capaci pensavo che tutelare il giudice Borsellino fosse doveroso anche perché sapevamo tutti che dopo Falcone toccava a Borsellino, lo sapeva anche la gente comune. Solo che quando siamo arrivati… non c’era la vigilanza fissa e questo ci ha dato molto da pensare: eravamo solo un’auto con tre componenti e dovevamo controllare il box interno all’edificio dove abitava il giudice, l’androne, le scale, l’ascensore e tre uomini non sono sufficienti. (…) Difatti il giorno successivo chiedemmo l’ausilio della volante per fare la bonifica quando si arrivava all’abitazione del giudice Borsellino… Poi si sono fatte relazioni perché c’era bisogno della vigilanza fissa, e credo intorno al 16 o 17 di giugno sia stata messa sia la vigilanza fissa del reparto mobile di Palermo e sia una seconda auto che faceva un turno in seconda, ossia 8-14 e 14-20, mentre la scorta, di cui io facevo parte, faceva anche la sera e la notte.
- FAVA, presidente della Commissione. Quindi dal 16 o 17 giugno eravate due auto più quella del dottore Borsellino che però aveva un autista del Ministero.
- VULLO, componente della scorta del giudice Paolo Borsellino. Un autista giudiziario, sì, però il sabato pomeriggio e la domenica guidava sempre lui.
- FAVA, presidente della Commissione. L’autista non era in servizio?
- VULLO, componente della scorta del giudice Paolo Borsellino. Non era in servizio.
- Riepiloghiamo: muore Giovanni Falcone ma il dispositivo di protezione nei confronti di Paolo Borsellino per diverse settimane non viene modificato: una sola auto, nessuna bonifica a casa, nessun posto fisso sotto l’abitazione, nessun divieto di sosta davanti all’abitazione della madre in via D’Amelio… Alcune di queste misure verranno successivamente migliorate ma solo per le relazioni di servizio che gli agenti di scorta si impuntano a trasmettere ai loro uffici. Se non fosse stato per loro, e per le premure del collega Gioacchino Natoli1, il livello di protezione sarebbe rimasto minimo.
- Resta inspiegabilmente priva di qualsiasi vigilanza l’abitazione materna di via D’Amelio, nonostante fosse una delle poche frequentazioni abituali del giudice Borsellino, come ha avuto modo di spiegare la moglie Agnese durante il processo di primo grado del “Borsellino 1”:
- TESTE PIRAINO A.: Credo che il punto più vulnerabile era proprio questo dove abitava la mamma.
- P.M. dott.ssa PALMA: Perché ci dice così?
- TESTE PIRAINO A.: Perché i suoi spostamenti erano limitatissimi e sempre gli stessi: il Palazzo di Giustizia, la chiesa di fronte casa nostra e la mamma, dove lui andava sia per vederla sia per prestare quell’assistenza che era necessaria allorquando lei non stava bene. (…) E tutte le domeniche andava dalla mamma a trovarla. Sempre. DOMANI BLOG MAFIE 26.10.2021
Prove di depistaggio, l’agenda rossa scomparsa e il falso pentito
COMMISSIONE ANTIMAFIA ARS
Un’ulteriore prova del fatto che tutto avviene negli attimi immediatamente susseguenti allo scoppio è rappresentata, secondo Scarpinato, dagli strani movimenti che quel giorno fa l’allora capitano Giovanni Arcangioli: prende la borsa, fa qualche metro, e poi ritorna indietro rimettendo il tutto all’interno del mezzo le cui fiamme non sono state ancora del tutto domate. Perché?
Un’ulteriore prova del fatto che tutto avviene negli attimi immediatamente susseguenti allo scoppio è rappresentata, secondo Scarpinato, dagli strani movimenti che quel giorno fa l’allora capitano Giovanni Arcangioli: prende la borsa, fa qualche metro, e poi ritorna indietro rimettendo il tutto all’interno del mezzo le cui fiamme non sono state ancora del tutto domate. Perché?
SCARPINATO, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello Palermo. Il capitano Arcangioli prende la borsa dall’interno della macchina, percorre sessanta metri fino a raggiungere via Autonomia Siciliana e fin qui niente di strano: è un capitano… che prende la borsa che può consegnare ai magistrati, alla polizia… Quello che è inspiegabile è che il capitano Arcangioli ritorna indietro con la borsa… la macchina in quel momento ha un ritorno di fiamma… prende la borsa, la rimette nella macchina e la borsa non prende fuoco solo perché un vigile del fuoco getta l’acqua con la pompa. Il capitano Arcangioli non è riuscito a spiegare questo comportamento. Ha detto che ha aperto la borsa e che dentro non c’era niente: c’era un crest, un costume bagnato, alcuni fogli appuntati con una graffetta. I casi sono due: o mente o qualcuno era arrivato prima di lui. Comunque sia l’agenda viene sottratta nei pochi minuti susseguenti alla esplosione…
Non possiamo dare una risposta al quesito di Scarpinato, anche perché sulla posizione di Arcangioli, come è noto, si è già espressa l’Autorità Giudiziaria con sentenza di non luogo a procedere. Ciò che è certo, e che qui va ribadito, è l’anomalo interesse, in quei primi momenti di assoluta concitazione, che esponenti delle istituzioni mostrano, più che per le sorti delle vittime, per gli appunti raccolti dal giudice Borsellino tra le pagine della sua agenda.
E proprio sul valore investigativo di quest’agenda, e sull’imbarazzante sottovalutazione di taluni inquirenti, è utile riferire lo stralcio di un’intervista rilasciata un anno dopo la strage dal procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra:
TINEBRA, già procuratore della Repubblica di Caltanissetta. Posso dire che non abbiamo elementi per ritenere che sia stata sottratta e soprattutto per stabilire chi l’abbia potuta prendere. Posso affermare solo che non l’abbiamo trovata.
Il passo successivo sarà la costruzione del falso pentito Vincenzo Scarantino.
Il Colonnello Arcangioli è stato prosciolto dall’accusa di furto dell’agenda rossa, aggravato dalla finalità mafiosa (nell’ambito del procedimento penale n° 287/2008 RGNR) con sentenza di non luogo a procedere emessa dal Gup presso il Tribunale di Caltanissetta il 1° aprile 2008, confermata dalla Corte di Cassazione DOMANI BLOG MAFIE 3.11.2021
I suggerimenti e le imbeccate del questore Arnaldo La Barbera
COMMISSIONE ANTIMAFIA ARS
Vincenzo Pipino ha anche raccontato: «Dopo due-tre anni, quando Scarantino si è pentito, tra virgolette, raccontando un sacco di bugie, sono venuti a trovarmi quei tre che mi avevano accompagnato… mi hanno portato i saluti di La Barbera dicendomi sempre di star tranquillo, questa storia qui di tenermela per me, che era una cosa mia che mi ero inventato…»
Torniamo a Pipino, alla sua missione per conto di La Barbera. E al momento in cui riferisce al questore di Palermo le sue impressioni su Scarantino.
PIPINO. Quando è venuto La Barbera, gli ho detto «gira la testa dall’altra parte che questa è una persona completamente innocente», e lui mi ha detto «Tienitela per te, non dirlo a nessuno, sappi che questa è una tua deduzione», «Sì, sì, come vuoi, mi faccio gli affari miei. Ho un processo delicato, me ne vado in carcere, devo curarmi il mio processo», e ci siamo mollati, diciamo così.
«Tienitela per te», dice il questore La Barbera, dominus delle indagini in quel 1992: un altro tassello per irrobustire (in questo caso per proteggere) l’impianto di falsità che da lì a poco Scarantino avrebbe dovuto interpretare in sede processuale. La missione di Vincenzo Pipino non ha prodotto il risultato sperato, il detenuto incaricato conferma l’idea che tutti quelli che verranno a contatto con Scarantino (e che non siano accecati dall’ansia di un risultato, qualunque esso sia) comprenderanno dopo poche battute: quel ragazzo è un poveraccio, terrorizzato, confuso, ignorante, certamente incapace di recitare il ruolo dentro Cosa nostra che altri gli hanno ritagliato addosso. Eppure il capo del cosiddetto gruppo investigativo “Falcone-Borsellino” liquida la faccenda rimandando Pipino a Roma con quel messaggio che non ammette obiezioni: «Tienitela per te».
E a Pipino il “suggerimento” viene ribadito qualche anno dopo:
- PIPINO. Poi, dopo due-tre anni, quando Scarantino si è ‘pentito’, tra virgolette, raccontando un sacco di bugie, sono venuti a trovarmi quei tre che mi avevano accompagnato… mi hanno portato i saluti di La Barbera dicendomi sempre di star tranquillo, questa storia qui di tenermela per me, che era una cosa mia che mi ero inventato… Non c’è problema, gli dissi di salutarmelo e finiamola qua.
- IL RACCONTO DI VINCENZO PIPINO
- PIPINO. Ero a Prato (in carcere, ndr.), ad un certo momento vedo Scarantino che stava parlando su Italia Uno e mi è scappato dire “guarda questo brutto pezzo di merda, un pentito manovrato dai servizi segreti, con la compiacenza di qualche magistrato”. Non l’avessi mai detto! In quella cella c’erano i Gionta, c’erano personaggi molto importanti della malavita e anche un siciliano che era proprio del quartiere di Scarantino, che ha ascoltato questo mio discorso…
- FAVA, presidente della Commissione. Mi scusi, si ricorda come si chiamava?
- PIPINO. No, non mi ricordo… Comunque, al mattino mi si avvicina questo soggetto e mi dice: «ma come fai a dire queste cose, che è un pentito manovrato dai Servizi segreti con la compiacenza di qualche magistrato». Dico: «è una deduzione, una cosa mia. Penso che sia così perché sono stato in cella con lui…». Cosa fa questo? Scrive a Vigna, al Procuratore antimafia, e mi trovo processato per aver detto queste cose. Interrogato dal giudice, dissi: «guardi, è una mia deduzione, non è nulla di confermato», e sono stato assolto. Ma li ho avuti sempre addosso, purtroppo qui a Venezia ho avuto problemi seri perché La Barbera qui lo conoscevano come un mito, era un personaggio molto conosciuto e ho avuto delle conseguenze, ecco…
- FAVA, presidente della Commissione. Quanto tempo siete rimasti insieme in cella con Scarantino?
- PIPINO. Sette giorni. Poi io dissi di mandarmi a Roma e chiamai il comandante del carcere dicendogli di chiamare La Barbera perché volevo dirgli una cosa. Lui me lo chiamò e gli dissi: «guarda, gira la testa dall’altra parte e portami a Roma».
- SCHILLACI, componente della Commissione. Perché lei all’inizio di questa audizione ha riferito che secondo lei La Barbera era soltanto un esecutore di ordini? Mi faccia capire questa sensazione.
- PIPINO. Io ho avuto questa sensazione, cioè non sono un mago… però, da esperienze, conoscendo La Barbera e non solo lui, ma tutti i commissari di Venezia perché io ho passato la mia vita a lottare con questi poliziotti, mi è venuto il forte dubbio che fosse lui l’autore di questa oscura trama giuridica. Perché è talmente strano che un detenuto sottoposto ad una vigilanza così stretta, come era Scarantino, che dopo sette giorni non era ancora stato interrogato né dai magistrati né sentito dai suoi avvocati… che arrivasse addirittura in carcere a Venezia, che è un carcere aperto, perché io lo portavo in sala giochi, si giocava a bigliardino… secondo me non era tanto facile che a organizzare un’operazione del genere fosse una persona sola… questo voglio dire, che non sia stata un’idea di La Barbera.
- DE LUCA, componente della Commissione. Nella sua vita ha mai avuto contatti con apparati dei Servizi segreti, a livello di confidenze, di richiesta di informazioni dato che lei aveva questa ampia confidenza col tessuto carcerario?
- PIPINO. Io sono stato in contatto con Servizi segreti forse inconsciamente, perché ho fatto tante cose sulla giustizia.
- DE LUCA, componente della Commissione. Si è mai stato chiesto perché lei viene scelto da La Barbera per essere tradotto in questo carcere ed essere posizionato al fianco di Scarantino?
- PIPINO. No. A me è parso molto strano che La Barbera abbia scelto me sapendo che io, per quanto riguarda collaborazioni e cose varie, non le ho mai accettate nella mia vita, io preferisco morire piuttosto che fare la spia a qualcuno. DOMANI BLOG MAFIE 5.11.2021
L’agenda rossa e le “numerose contraddizioni” dei testimoni
COMMISSIONE ANTIMAFIA ARS
Secondo il procuratore generale Roberto Scarpinato, «Borsellino ha capito cosa c’è dietro la strage di Capaci. Ha capito che dietro la strage di Capaci ci sono entità esterne a Cosa nostra, ci sono spezzoni dei servizi, pezzi deviati dello Stato e annota tutto questo nella sua agenda rossa con uno sgomento che è progressivo».
Prima di proseguire nella nostra trattazione, è importante rileggere – facendo tesoro di quanto riferito nel precedente paragrafo – le motivazioni della sentenza di secondo grado del Borsellino Quater, laddove si fa riferimento alla “scomparsa” dell’agenda rossa.
Sono state, inoltre, ricostruite da parte dei primi giudici le “zone d’ombra” esistenti sulla “sparizione” dell’agenda rossa, smaterializzata dal luogo infuocato della strage dalla borsa del magistrato, ricomparsa dopo alcuni mesi nelle mani del dott. La Barbera che la riconsegna alla moglie del magistrato. Non può dimenticarsi che le numerose dichiarazioni raccolte dai testi escussi – intervenuti nell’immediatezza della terribile esplosione nella via D’Amelio, fra fumi e macerie e con lo sconcerto per il terribile fatto accaduto – hanno rivelato numerose contraddizioni che non è apparso possibile superare, gettando al tempo stesso l’ombra del dubbio che altri soggetti possano essere intervenuti sul luogo della strage, nell’immediatezza dell’esplosione, “in giacca” nonostante la calura del mese estivo e l’ora torrida, non appartenenti alle forze dell’ordine, e individuati anzi da taluni agenti intervenuti nell’immediatezza come “appartenenti ai servizi segreti”. E tale ultimo particolare appare ancora più inquietante se si considera che di “un uomo estraneo a Cosa Nostra” ha riferito anche il collaboratore Gaspare Spatuzza, indicandolo come presente nel magazzino di via Villasevaglios quando, come già detto, il pomeriggio precedente la strage, veniva consegnata la FIAT 126 che sarebbe stata, di lì a poco, imbottita di tritolo.
Delle “numerose contraddizioni” cui accennano i giudici della Corte di Assise di Appello di Caltanissetta abbiamo già riferito nella relazione conclusiva della prima inchiesta, cui espressamente si rinvia. Quello che qui ci preme comprendere meglio è l’importanza dell’agenda rossa, nella prospettiva dell’organizzazione e della pianificazione del depistaggio stesso.
Cruciale, a tal riguardo, è stata l’audizione del procuratore generale Roberto Scarpinato, il quale preliminarmente ci dà una sua lettura sul perché quell’agenda abbia, per coloro che l’avrebbero sottratta, un’importanza vitale.
SCARPINATO, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello Palermo. Borsellino ha capito cosa c’è dietro la strage di Capaci. Ha capito che dietro la strage di Capaci ci sono entità esterne a Cosa nostra, ci sono spezzoni dei servizi, pezzi deviati dello Stato e annota tutto questo nella sua agenda rossa con uno sgomento che è progressivo.
APPUNTI E DETTAGLI
Borsellino prende nota di tutto. Al momento debito riverserà tutte le sue informazioni all’Autorità giudiziaria competente. Bisogna fermarlo a tutti i costi. Ed è qui che la fase esecutiva della strage si interseca, ed armonizza, con il furto dell’agenda.
SCARPINATO, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello Palermo. Non basta uccidere Borsellino. Perché se tu lo uccidi, vabbè, Cosa nostra ha fatto quello che doveva fare. Ma se l’agenda rossa nella quale Paolo Borsellino aveva annotato tutti i dialoghi informali e così via finisce nelle mani della magistratura è finita. È finita perché… le chiavi che lo avevano sgomentato sono in grado di aprire scenari che non colpiscono soltanto gli interessi di Cosa nostra ma colpiscono e portano ad individuare i mandanti ed i complici esterni di quella strage.
Scarpinato è categorico: i fatti riportati all’interno dell’agenda sono tali da determinare un terremoto che potrebbe risultare letale non solo per Cosa nostra ma anche per quel sistema di deviazione istituzionale che in questa vicenda gioca un ruolo centrale. Una ricostruzione in aperto contrasto col tentativo di Avola di ricondurre il tutto ad una visione semplificata e confortante: fu solo mafia.
SCARPINATO, Procuratore Generale presso la Corte d’Appello Palermo. È estremamente interessante la sequenza della sparizione dell’agenda che io credo che il pubblico non conosca bene… Il pubblico ritiene che viene sottratta la borsa, viene portata negli uffici di polizia, e poi l’agenda scompare: non è così! L’agenda viene prelevata pochi minuti dopo l’esplosione e qui notate la cooperazione tra mafiosi e soggetti esterni: i mafiosi fanno esplodere la bomba ma non si possono incaricare, dopo l’esplosione, anche di prelevare l’agenda perché è troppo pericoloso. Questo compito può essere assolto soltanto da soggetti insospettabili, perché hanno la veste istituzionale per andare sul luogo e fare questa operazione di prelievo… E poi il carattere selettivo dell’intervento perché nella borsa ce n’erano due agende: c’era l’agenda rossa e l’agenda marrone, ma l’agenda marrone viene lasciata lì dentro. Quindi non è un’operazione protocollare dei servizi: perché l’operazione protocollare dei servizi è che per esigenze di Stato si prende tutto e poi si vede. Invece l’agenda marrone viene lasciata e viene tolta l’agenda rossa.
DOMANI BLOG MAFIE 2.11.2021
Quegli uomini in giacca e cravatta nell’inferno di Via D’Amelio
COMMISSIONE ANTIMAFIA ARS
Il sovrintendente Francesco Paolo Maggi e il vice sovrintendente Giuseppe Garofalo sono tra i primi poliziotti ad accorrere sul luogo della strage. Ma non sono i soli ad arrivare tempestivamente: perché, quella domenica pomeriggio, si aggirano indisturbati tra le macerie di via D’Amelio anche soggetti che si qualificheranno come appartenenti ai servizi
Ci siamo già soffermati, nel corso della precedente inchiesta di questa Commissione, sulla rilevanza delle testimonianze rese nell’ambito del processo di primo grado del “Borsellino quater” da parte del sovrintendente Francesco Paolo Maggi, all’epoca in servizio presso la squadra mobile di Palermo, e del vice sovrintendente Giuseppe Garofalo del reparto volanti della locale questura.
I due poliziotti, lo ricordiamo, sono tra i primi ad accorrere sul luogo della strage. Ma non sono i soli ad arrivare tempestivamente: perché quella domenica pomeriggio si aggirano indisturbati tra le macerie di via D’Amelio anche soggetti che si qualificheranno come appartenenti ai servizi.
Maggi ne nota più d’uno: (“quattro o cinque”, “gente di Roma” dirà al dibattimento). Garofalo ne incrocia uno soltanto. Coincide la descrizione: rigorosamente in giacca e cravatta (nonostante fosse il 19 luglio!), non sembrano per nulla scioccati e neppure interessati a prestare soccorso ai residenti feriti.
Qual è allora il motivo della loro presenza? Probabilmente il contenuto della cartella di Paolo Borsellino, rimasta all’interno della Fiat Croma che il magistrato guidava quel pomeriggio (l’autista ministeriale non era in servizio).
La loro è una corsa contro il tempo: bisogna far presto prima che altri possano mettere le mani sull’inseparabile agenda rossa del giudice e magari venire a conoscenza di tutte quelle informazioni che il procuratore aggiunto di Palermo ha scrupolosamente raccolto fino al momento della sua tragica uccisione.
Abbiamo provato a ricostruire quei momenti con uno dei due testimoni, Giuseppe Garofalo, oggi ispettore superiore della Polizia di Stato, all’epoca capo pattuglia della volante 32.
- FAVA, presidente della Commissione. Torniamo a quello che è successo il 19 luglio. Voi eravate in servizio da quanto tempo quella mattina?
- GAROFALO, ispettore di Polizia. Noi facevamo l’orario 13 – 19. Quindi, dalle 13, dall’una alle sette del pomeriggio.
- FAVA, presidente della Commissione. Avevate un settore della città?
- GAROFALO, ispettore di Polizia. Sì, la volante 32 si occupava di quella zona lì, ma anche della zona Mondello, insomma, abbastanza larga come zona.
- FAVA, presidente della Commissione. Venite avvertiti dalla sala operativa o andate perché sentite il rumore dell’esplosione?
- GAROFALO, ispettore di Polizia. Noi siamo stati allertati dalla sala operativa anche se il botto si è sentito… All’inizio si è pensato all’esplosione di una bombola del gas, qualcosa del genere, solo che poi quando le notizie sono iniziate a confluire parlando della via D’Amelio abbiamo capito che c’era qualcosa, insomma, che era collegata al dottore Borsellino. E quindi, immediatamente abbiamo fatto strada… eravamo in zona, a Mondello, tenga presente che abbiamo messo pochissimo ad arrivare perché non c’era traffico.
- FAVA, presidente della Commissione. Pochi minuti?
- GAROFALO, ispettore di Polizia. Sì, sì, non c’era traffico quindi siamo arrivati subito, abbiamo trovato già la volante 21 che era già arrivata, però oltre alla 21 ancora non c’era nessuno.
LA “VOLANTE” 32
La volante 32 ci mette poco ad arrivare. Sul posto ci sono già i colleghi della 21. Ed è in quel momento che, a pochi metri dall’autovettura di Paolo Borsellino, Garofalo si imbatte in uomo che si qualifica come appartenente ai servizi. Afferma di essere in cerca della borsa del giudice o, addirittura, Garofalo non lo rammenta bene, ne è già entrato in possesso.
- GAROFALO, ispettore di Polizia. C’è stato questo momento che ripeto all’inizio pensavo fosse qualcosa di immaginario…
- FAVA, presidente della Commissione. Si ricorda se l’uomo le mostrò un distintivo, un tesserino?
- GAROFALO, ispettore di Polizia. Allora, su questo non ho dubbi perché se non fosse stato così, ovviamente, io l’avrei immediatamente bloccato quanto meno controllato o identificato.
- FAVA, presidente della Commissione. Per cui ha mostrato qualcosa?
- GAROFALO, ispettore di Polizia. Sì, sì, sì.
- FAVA, presidente della Commissione. E lo vide vicino all’auto del giudice… a quello che restava dell’auto del giudice?
- GAROFALO, ispettore di Polizia. Allora, consideri che in quel momento lì io lo ricordo sempre come una scena di un film di guerra perché vi erano i palazzi con le vetrate sfondate, le auto incendiate, fumo, fiamme… lo shock emotivo è stato enorme… vero è che (l’incontro, ndr.) è durato un secondo perché poi l’obiettivo era quello di aiutare le persone che erano rimaste all’interno delle abitazioni, perché ci siamo resi conto che chi era sulle macchine o era fuori purtroppo era già deceduto. Quindi, sì, questo soggetto lo incontro proprio, c’era la macchina di Borsellino, e ho avuto questo incontro.
- FAVA, presidente della Commissione. Lo vede in abiti civili.
- GAROFALO, ispettore di Polizia. Abito civile, vestito con una giacca, ecco, la cosa che ha attirato la mia attenzione è stata proprio che aveva una giacca e in estate nessuno porta la giacca e questo è stato il momento in cui io ho avuto un minimo di attenzione… ma anche perché era lì, ora non ricordo se mi ha chiesto della borsa del dottore Borsellino, o piuttosto era in possesso della borsa.
- Fermiamoci un istante perché dietro a quello che può apparire come un ricordo sfuocato potrebbe celarsi la fase embrionale del depistaggio. Ossia – così come avrà modo di chiarirci meglio il procuratore generale Roberto Scarpinato – il momento in cui l’agenda rossa di Paolo Borsellino scompare (o, per meglio dire, viene fatta sparire) dalla scena del crimine.
- FAVA, presidente della Commissione. Il suo ricordo è che in qualche modo c’entra questa valigetta.
- GAROFALO, ispettore di Polizia. Sì.
- FAVA, presidente della Commissione. …perché lui le ha chiesto dove fosse o perché lei lo ha visto con la valigetta.
- GAROFALO, ispettore di Polizia. Ma parliamo sempre di attimi, di frazione di secondo, istanti.
- FAVA, presidente della Commissione. Però certamente c’è un interesse di questa persona: perché la valigetta ce l’ha già o perché chiede a lei dove si trovi.
- GAROFALO, ispettore di Polizia. Sì. In ogni caso doveva comunque far parte dell’entourage, delle indagini, perché in quel momento lì…
- FAVA, presidente della Commissione. Di questo incontro lei ha fatto menzione in una relazione di servizio?
- GAROFALO, ispettore di Polizia. No.
- FAVA, presidente della Commissione. Nemmeno verbalmente?
- GAROFALO, ispettore di Polizia. Allora non ho fatto menzione nella relazione perché di fatto alla fine, visto che si trattava di personale dei Servizi non c’era motivo di riportare in quel momento lì un fatto che era normale per Palermo, io ho lavorato alla sezione omicidi per un paio di anni qui a Palermo, quindi, capitava sovente che sui luoghi, sui posti dove c’era stato un omicidio piuttosto che qualcosa di particolare vi era personale dei servizi…
LE DICHIARAZIONI DI MAGGI
Anche in questa sede è tuttavia utile riportare alcuni stralci della deposizione di Francesco Paolo Maggi dinanzi la Corte di Assise del Tribunale di Caltanissetta nel dibattimento del Borsellino Quater (udienza del 20 maggio 2013, pp. 72, 77-79):
- TESTE MAGGI F.P. – Cioè la cosa strana è che io notai molta gente che si aggirava giacca e cravatta dei Servizi. Ho detto: “Ma questi come hanno fatto a… a sapere già…?”, Ma dopo dieci minuti io già ne avevo visto un paio là che gironzolavano.
- P.M. Dott. GOZZO – Lei ha ricostruito che si trattasse dei Servizi o…?
- TESTE MAGGI F.P. – Sì, perché un paio li conosco, di Roma. Io ho lavorato sette anni a Roma.
- P.M. Dott. GOZZO – E a questo punto la invito a fare i nomi di queste persone, se li riconosce.
- TESTE MAGGI F.P. – E non li conosco, conosco di… di faccia, è gente questa che… manco ti dà confidenza.
- P.M. Dott. GOZZO – E quando ha notato queste persone? Dal punto di vista del timing, diciamo così.
- TESTE MAGGI F.P. – Dopo dieci minuti che era avvenuto tutto il fatto.
- P.M. Dott. GOZZO – E quindi quando siete arrivati voi, praticamente.
- TESTE MAGGI F.P. – Sì, sì, subito dopo. Io uscii da… da ‘sta nebbia che… e subito vedevo che arrivavano tutti ‘sti… tutti chissi giacca e cravatta, tutti cu’ ‘u stesso abito, una cosa meravigliosa.
[…]
- TESTE MAGGI F.P. – … ripeto, io sono stato uno dei primi ad arrivare là. E poi in questo andirivieni, che saranno passati cinque – dieci minuti, forse pure un quarto d’ora, non riesco a quantificare i minuti, notavo questa gente giacca e cravatta che… che si avvicinava, che cercava, che… Cioè non.. (…) In primo tempo mi volevo avvicinare a queste persone per chiedere: “Ma voi che state facendo? Che state cercando?” Poi ho visto che era gente di Roma, perché li conoscevo di vista, e ho lasciato perdere.
- P.M. Dott. GOZZO – Eh, ma mi scusi, ecco, allora a questo punto esploriamo meglio questa cosa. Stavano cercando cosa? Cioè non dico che lei sapesse cosa stavano cercando, dico, ma cosa facevano?
- TESTE MAGGI F.P. – No, tipo che si aggiravano in tutto… in tutta la… come vogliamo dire.
- P.M. Dott. GOZZO – In tutta l’area.
- TESTE MAGGI F.P. – In tutta l’area, sì.
- P.M. Dott. GOZZO – Attorno al cratere, diciamo.
- TESTE MAGGI F.P. – Ecco, nelle macchine parcheggiate.
- P.M. Dott. GOZZO – Anche vicino a questa macchina azzurrina che lei…?
- TESTE MAGGI F.P. – Certo, qualcuno si avvicinò pure là. Va beh, si avvicinarono quando il fumo già forse era un po’
- meno, sennò i vestiti si sporcavano.
- P.M. Dott. GOZZO – Quindi forse cercavano qualche traccia, come stava facendo lei.
- TESTE MAGGI F.P. – E penso di sì, essendo… essendo poliziotti pure loro.
- P.M. Dott. GOZZO – Ecco, essendo lei un poliziotto può capire anche l’atteggiamento che si…
- TESTE MAGGI F.P. – Non è che gli posso dire a un collega: “Oh, ma che stai facendo? Che fai qua?” Non glielo posso
- dire.
- P.M. Dott. GOZZO – Diciamo che ha notato, ha registrato questa presenza, ma chiaramente non ha fatto altro.
- TESTE MAGGI F.P. – Sì, ho detto: “Ma chissi… ma che ci avevano la radio?” Non lo so io, va’, mi sono posto questa domanda, ho detto: “Ma come mai?” E me la sono posto ora. Ai tempi non lo so perché, forse ero troppo giovane, ora, con il tempo, ‘sta cosa.
- P.M. Dott. GOZZO – Senta, a questo punto, visto che lei ha un ricordo abbastanza nitido, mi pare, se può specificare, ecco, adesso quante sono queste persone, se può in qualche modo quantificarle.
- TESTE MAGGI F.P. – Perché arrivavano man mano, diventarono poi un esercito.
- P.M. Dott. GOZZO – Allora, diciamo, nell’immediatezza lei già ha individua…?
- TESTE MAGGI F.P. – Quattro o cinque potevano essere.
- P.M. Dott. GOZZO – Quattro o cinque persone.
- TESTE MAGGI F.P. – E c’era qualcuno pure che non conoscevo, ah? Solo che parlavano tra di loro e ho detto: “Mi’, su’
- puru colleghi”, erano vistuti uguali, avevano ddocu ‘a spilletta, perché poi…
- P.M. Dott. GOZZO – Avevano anche la spilletta di riconoscimento?
- TESTE MAGGI F.P. – Penso del Ministero degli Interni o…
- P.M. Dott. GOZZO – Del Ministero degli Interni.
- TESTE MAGGI F.P. – …dell’ufficio che facevano parte questi, non lo so.
- P.M. Dott. GOZZO – Senta, riesce a descriverli, cioè a dire com’erano, insomma, che…? Oppure ha un ricordo semplicemente numerico, diciamo così?
- TESTE MAGGI F.P. – Sì, grossomodo è numerico, dottore, io non… non riesco a vedere… a riconoscere i visi. Mah,
statura normale, tipo la mia. DOMANI BLOG MAFIE 25.10.21
Il mistero degli agenti “invisibili” sul luogo della strage
COMMISSIONE ANTIMAFIA ARS
Di fronte al dato incontrovertibile della loro presenza, confermato da più testimonianze, quei funzionari dei servizi erano in via D’Amelio in via ufficiale o no? La risposta di Bruno Contrada, all’epoca numero tre del SISDE, è inequivocabile: il primo a metter piede in via D’Amelio per conto del SISDE fu lui alle 22.30 di quel 19 luglio 1992
Durante la sua audizione, l’ispettore Garofalo ci riferisce che quell’uomo avrà avuto «quaranta cinquant’anni». Ad oggi costui non ha ancora un volto. Svelare la sua identità significherebbe provare a far luce su uno dei momenti più controversi di quel pomeriggio del 19 luglio. E soprattutto permetterebbe di capire a che titolo, nell’immediatezza dell’esplosione, uno o più appartenenti ai servizi segreti si trovavano in via D’Amelio alla ricerca della borsa del dottor Borsellino. In altri termini, di fronte al dato incontrovertibile della loro presenza, confermato da più testimonianze, quei funzionari dei servizi erano in via D’Amelio in via ufficiale o no? La risposta che ci ha fornito Bruno Contrada, all’epoca numero tre del SISDE, è inequivocabile: il primo a metter piede in via D’Amelio per conto del SISDE fu lui alle 22.30 di quel 19 luglio 1992: è quello l’orario dell’ingresso ufficiale in scena dei servizi.
Ma allora, l’uomo dei servizi che viene identificato pochi minuti dopo la strage da chi era stato mandato in via D’Amelio? E a fare cosa?
- CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del SISDE. Verso le dieci e mezzo di sera io andai sul posto, in via D’Amelio… Ricordo che contemporaneamente a me arrivò il Ministro della difesa, l’onorevole Salvo Andò, attorniato da quattro o cinque generali, due generali dei Carabinieri, gli altri dell’Esercito…
- FAVA, presidente della Commissione. Lei sa se fu mandato subito del personale dei servizi, parliamo di dieci-dodici minuti dopo l’esplosione, in via D’Amelio? Da parte di Narracci, visto diciamo che era lui che aveva la gestione operativa del Centro di Palermo?
- CONTRADA, già dirigente della Polizia di Stato e del SISDE. Io ritengo di no. Ritengo che il primo intervento sul luogo sia stato quello mio e di Narracci (alle 22.30, ndr.), perché mi accompagnò il dottore Narracci…
- Contrada, dunque, esclude che qualcuno abbia dato a funzionari del SISDE l’ordine di intervenire tempestivamente sul teatro della strage: fu lui il primo. Resta, però, l’immagine che Francesco Paolo Maggi consegna al Corte di Assise di Caltanissetta nel corso della sua deposizione del 20 maggio 2013.
- TESTE MAGGI F.P. – Non mi ricordo i volti, perché… non lo so, non mi interessava. Poi la mente elabora con il tempo, ti fai tante domande, acquisisci magari attraverso i giornali riscontri, e quindi ti fai pure tu delle domande. Dico: ma se la chiamata arrivò al 113, questi qui… Minchia, ma erano belli freschi, proprio senza una goccia di sudore, proprio come se erano dietro l’angolo… Da chi hanno appreso la notizia questi? Dopo dieci minuti sul posto… vularunu? Chissi di Roma vularunu?
Freschi, in giacca e cravatta, senza una goccia di sudore, mentre tutt’attorno via D’Amelio è un inferno di fiamme. Come se fossero stati comodamente ad aspettare dietro l’angolo, commenta Maggi. Non possono non tornare alla mente le considerazioni fatte da Salvatore Borsellino, fratello del magistrato e fondatore del movimento Agende Rosse, nel corso di un’intervista del 3 luglio 2018:
C’era qualcuno, al corrente di quanto sarebbe successo, che attendeva di potersi avvicinare alla macchina di Paolo e prendere la borsa dove era stata contenuta l’agenda.
Qualcuno, ci spiegherà il procuratore generale Scarpinato, talmente ben mimetizzato nella sua veste istituzionale da risultare invisibile. DOMANI BLOG MAFIE 1.11.2021