Richiesta di archiviazione “Dagli atti in questione, emergeva, in sostanza, che la gestione illecita del sistema di aggiudicazione degli appalti in Sicilia aveva costituito uno dei molteplici moventi che avevano indotto “cosa nostra” a deliberare ed eseguire le terribili stragi siciliane del 1992; che tale movente era rappresentato dall’interesse che alcuni ambienti politico–imprenditoriali e mafiosi avevano di evitare lo sviluppo e l’approfondimento di indagini, il cui esito positivo avrebbe interrotto l’illecito “approvvigionamento finanziario”, per l’ammontare di svariati miliardi, di cui imprenditori, politici e mafiosi beneficiavano mediante l’illecito sistema di controllo e di aggiudicazione degli appalti pubblici; che il movente suddetto aveva influito fortemente nella deliberazione adottata da “cosa nostra” di attualizzare il progetto, già esistente da tempo, di uccidere Giovanni FALCONE e Paolo BORSELLINO, atteso che era intenzione dell’organizzazione criminale neutralizzare l’intuizione investigativa di Falcone in relazione alla suddetta gestione illecita degli appalti, le indagini sulla quale avrebbero aperto già nel 1991 scenari inquietanti e, se svolte con completezza e tempestività fra il 1991 e il 1992, inquadrandole in un preciso contesto temporale, ambientale e politico, avrebbero avuto un impatto dirompente sul sistema economico e politico italiano ancor prima, o al più contestualmente, dell’infuriare nel Paese della cosiddetta “Tangentopoli”. La magistratura di Palermo, probabilmente per il limitato bagaglio di conoscenze a disposizione, non attribuì soverchia importanza alla connessione BUSCEMI-Gruppo FERRUZZI, dal momento che: a) il procedimento iniziato a Massa Carrara, a carico di BUSCEMI Antonino, fu archiviato a Palermo il 1.6.1992, subito dopo la strage di Capaci e le relative intercettazioni furono smagnetizzate , anche se si diede atto dei rapporti commerciali, di “scambio o di concambio di pacchetti azionari” fra la famiglia FERRUZZI, la CALCESTRUZZI e i BUSCEMI; b) soltanto in un secondo momento a carico del BUSCEMI Antonino vennero elevate imputazioni inerenti al reato associativo . Tutto ciò fa ritenere che vi fosse una sorta di scompenso fra le intuizioni investigative elaborate da Giovanni FALCONE (di cui si dirà dopo e che erano state in qualche misura anticipate al Convegno di Castel Utveggio), e puntualmente tracciate dai Reparti specializzati della polizia giudiziaria (ROS in primo luogo e SCO, successivamente), da un lato, e le utilizzazioni processuali conseguenti, da parte della Procura di Palermo dell’epoca. Il che dimostra ulteriormente come gli eccidi di Capaci e di Via D’Amelio avessero rallentato di molto l’attuazione dell’originario programma investigativo e che, di conseguenza, “cosa nostra” avesse raggiunto in parte i suoi obiettivi attraverso le stragi del 1992.” Nota 24 V. i relativi provvedimenti del P.M. di Palermo nel proc. pen. n. 3589/91 R.G.N.R. acquisiti.” Gabriella Tassone Fraterno Sostegno ad Agnese Borsellino
13 LUGLIO. SCARPINATO E LO FORTE FIRMANO LA RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE DEL DOSSIER MAFIA-APPALTI.
- 14 luglio. Si tiene l’assemblea dei Pm nella quale Borsellino parla di mafia-appalti senza evidentemente sapere che è stata già avanzata la richiesta di archiviazione.
- 19 luglio. Borsellino viene ucciso insieme alla scorta.
- 22 luglio. La richiesta di archiviazione del dossier mafia-appalti viene depositata formalmente.
- 14 agosto. Mafia-appalti è archiviata e non se ne parlerà più. Nel dossier erano indicate tutte le aziende dell’Italia continentale che trattavano con la mafia.
- S. 1 – La domanda è questa: il processo sull’ipotesi di trattativa tra stato e mafia è stato messo in piedi per dare una spiegazione all’uccisione di Borsellino diversa dalla ragione che ora appare in tutta la sua evidenza e sulla quale non si è voluto indagare?
- S. 2 – Un ricordo: nei verbali di interrogatorio della moglie di Borsellino, dopo la sua uccisione, si legge questa frase: «Ricordo perfettamente che il sabato 18 luglio 1992 andai a fare una passeggiata con mio marito sul lungomare di Carini, senza essere seguiti dalla scorta. Paolo mi disse che non sarebbe stata la mafia a ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi e altri a permettere che ciò potesse accadere. In quel momento era allo stesso tempo sconfortato, ma certo di quello che mi stava dicendo». Dopo aver letto queste parole, c’è qualcuno che può restar tranquillo?
MAFIA-APPALTI-POTERI OCCULTI: FALCONE E BORSELLINO UCCISI PER L’INFORMATIVA CARONTE DOCUMENTO ESCLUSIVO COMMISSIONE ANTIMAFIA: LA RELAZIONE CHOC DELL’EX PROCURATORE GRASSO SULL’INCHIESTA DEI CARABINIERI ROS DI MORI SVELA I RETROSCENA DEGLI ATTUALI PROCESSI PER TRATTATIVA STATO-MAFIA E DEPISTAGGI «Se dobbiamo parlare di aspetti inquietanti, ce ne sono diversi, certamente per la strage di Borsellino. Il mio ufficio, come Procura nazionale, nei limiti dei suoi compiti istituzionali, non si è fermato nel cercare di rivedere il più possibile tutte le acquisizioni, le carte e gli accertamenti fatti non solo per la strage di via D’Amelio, ma anche per tutte le altre, partendo dall’attentato all’Addaura, per proseguire poi con le varie fasi dell’omicidio Lima, della strage di Capaci e di quella di via D’Amelio, per arrivare a Firenze, Roma, Milano e quella – fallita – all’Olimpico». Queste parole virgolettate sono state pronunciate dall’ex Procuratore Nazionale Antimafia, Pietro Grasso, davanti alla Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulla Mafia in merito ai Grandi Delitti e sulle Stragi di Mafia 1992-1993. Le frasi dirompenti ed i quesiti inquietanti emersi dalla sua audizione del 22 ottobre 2012 nella 115° seduta dell’organismo bicamerale presieduto da Giuseppe Pisanu, contenuti in un atto già pubblico dell’Archivio del Parlamento della Repubblica Italiana, sono di sconcertante attualità alla luce delle inchieste e dei processi ancora in corso. Il magistrato Pietro Grasso, procuratore nazionale Antimafia dal 2005 al 2012. Grasso, divenuto Presidente del Senato con il Partito Democratico nella precedente legislatura ed ora senatore eletto nelle file Leu, nel suo lungo colloquio coi parlamentari evidenziò da un parte i limitati poteri della Procura Nazionale Antimafia dall’altra la sua visione “politica” sugli attentati compiuti da Cosa Nostra quale «agenzia di servizi criminali» per conto di «centri occulti di potere». Si tratta di 42 pagine fitte di riferimenti, a volte anche assai circostanziati, a terroristi estremisti esperti di esplosivi piuttosto che alla massoneria fino alla citazione dei rapporti scottanti della Dia e degli Sco che con «la palla di cristallo» previdero «azioni criminali devastanti» indicando però altre piste investigative che rimasero binari morti… Infine c’è il movente degli interessi convergenti sulla «economia criminale»: un allarme lanciato 7 anni orsono divenuto certezza nell’ultimo rapporto semestrale 2018 della DIA (Direzione Investigativa Antimafia) in cui si evidenzia l’ormai acclarata infiltrazione mafiosa nell’alta finanza ed il riciclaggio di denaro provento di illeciti all’interno di attività pulite nell’ambito turistico di alberghi e ristoranti. Solo alcune parti, poco più di un’ora su 5 di audizione, furono secretate perché ritenute dallo stesso magistrato Grasso inerenti questioni allora oggetto di indagini. L’importanza cruciale di quel resoconto dell’allora Procuratore Nazionale deriva soprattutto dalla circostanza che è una delle rarissime occasioni in cui la cosiddetta Trattativa Stato-Mafia è stata approfondita parallelamente alle inchieste sulla strage di Via Capaci, in cui morirono i magistrati Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, sua moglie, insieme agli uomini della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, e sull’eccidio di Via d’Amelio, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino con gli agenti Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
LA TRATTATIVE STATO-MAFIA E IL DOSSIER SCOTTANTE Ma soprattutto è stato uno dei pochi momenti di analisi del contesto giudiziario siciliano in cui si sviluppò la cosiddetta Informativa Caronte, l’indagine sugli intrecci mafia-appalti avviata dai Carabinieri del Ros (Raggruppamento Operativo Speciale) sotto il coordinamento di Falcone, ripresa da Borsellino per fare luce sull’attentato mortale dell’amico collega, e rapidamente archiviata dalla Procura di Palermo, a due giorni dall’uccisione dello stesso Borsellino, tanto da essere stata ancora di recente oggetto delle recriminazioni della figlia Fiammetta in un’intervista su RAI 1. Nella relazione di Grasso il cerchio tra mafia, imprenditoria, politica, massoneria, deep-state, servizi segreti, si chiude come un anello prodigioso destinato prima o poi a donarci il miracolo della tanto sospirata verità. Successivamente a quell’inchiesta mafia-appalti, il Palazzo dei Veleni si trasformò in un urna di misteri che a distanza di 27 anni rimbalzano da un processo all’altro. C’è stato quello davanti alla Corte d’Appello di Palermo (che approderà in Cassazione) per cui sono stati condannati nell’aprile 2018 proprio gli autori di quel dossier, l’allora generale dei Ros Antonio Subranni, il colonnello Mario Mori (poi generale di brigata e direttore del Sisde), ed il capitano Giuseppe De Donno per la presunta trattativa Stato-Mafia, da cui però era stato assolto, nel 2015 e ancora l’altro giorno, in un procedimento stralciato, sia il loro presunto “mandante”, l’ex ministro Calogero Mannino, che l’ex Ministro dell’Interno Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza ed al centro della polemica sulla cancellazione delle sue intercettazioni telefoniche con l’allora presidente della Camera Giorgio Napolitano, divenuto presidente della Repubblica e poi emerito nelle fasi processuali. C’è il dibattimento davanti al Tribunale di Caltanisetta sul depistaggio nelle indagini sulla strage di via D’Amelio con tre poliziotti indagati per calunnia aggravata. Ma c’è pure l’eco dell’inchiesta penale del Tribunale di Caltanisetta che nel 1999 si concluse con il proscioglimento di alcuni magistrati per corruzione per atti contrari all’ufficio e quella attualissima della Procura di Messina che, invece, nel mese scorso ha indagato due ex magistrati del Pool Antimafia proprio per i depistaggi nelle indagini sulla morte di Borsellino. E’ impossibile ricostruire in un solo articolo 27 anni di investigazioni, depistaggi, sparizioni di documenti (come la famosa agenda rossa di Borsellino), manipolazioni di pentiti e processi in parte ancora in essere. Ma è anche assai pericoloso perché il quotidiano online Il Dubbio che dedicò una ricostruzione a puntate all’Informativa Caronte sugli appalti gestiti dal cosiddetto ministro dei Lavoro Pubblici di Cosa Nostra, l’arrestato Angelo Sinio, divenuto poi collaboratore di giustizia, è stato puntualmente querelato… In attesa di raccogliere informazioni più dettagliate (auspicando di ricevere anche contributi da fonti ufficiali o anonime), in questo primo reportage ci atteniamo pertanto scupolosamente alle parole dell’ex Procuratore Nazionale Antimafia ed a quelle della figlia del giudice ucciso, parte civile nel processo nisseno sul depistaggio. Le ultime dichiarazioni di Fiammetta Borsellino piovono come grandine a ciel sereno contro l’iniziativa politica targata Movimento 5 Stelle di desecretazione degli atti delle Commissioni parlamentari antimafia dal 1962 al 2001: una strategia di trasparenza su documenti assai datati che saranno peraltro viavia oggetto di selezione prima della pubblicazione ragionata in un sito ad hoc del Parlamento.
L’INCHIESTA MAFIA-APPALTI ARCHIVIATA DOPO LA STRAGE «Oggi, anzi ieri – dice la figlia del magistrato – molti si pavoneggiano di avere desecretato quegli atti. Loro, (Commissione antimafia e Parlamento ndr) puntano agli anniversari per fare vedere che lavorano. Loro, il Csm e la Commissione antimafia, lo fanno il 19 luglio nell’anniversario della morte di mio padre e degli uomini della sua scorta e hanno il sapore della strumentalizzazione mediatica». Parole ben comprensibili visto che le sue precedenti accuse al Csm per l’intenzione di archiviare i procedimenti disciplinari contro i magistrati coinvolti nei depistaggi sulle indagini sulla strage e le sue perplessità sull’archiviazione dell’inchiesta mafia – appalti avevano trovato eco sui media ma nessuna sponda in iniziative politiche o parlamentari volte a fare chiarezza sull’operato delle toghe. Il quotidiano Il Dubbio ha ripreso le parti salienti dell’intervento di Fiammetta Borsellino su Rai 1, ospite nel febbraio scorso di Fabio Fazio a Che Tempo che Fa. Il conduttore le chiese su che cosa stesse lavorando suo padre, cosa c’era di così di occulto tanto da ammazzarlo e attuare un depistaggio. «A mio padre – risponde Fiammetta- sicuramente stavano a cuore i temi degli appalti, dei potentati economici: eppure il dossier su mafia e appalti fu archiviato il 20 luglio, a un giorno dalla strage. Ci saranno sicuramente state delle ragioni, ma io non le ho mai sapute». Per precisione, il quotidiano Il Dubbio, segnala che l’inchiesta sviluppata a partire dalla nota informativa “Caronte” dei Carabinieri del Ros fu oggetto di una richiesta di archiviazione il 13 luglio, vistata dal procuratore capo di Palermo ed inviata al Gip del Tribunale il 22, ed archiviata da quest’ultimo solo il 14 agosto.
IL DOSSIER “MAFIA-APPALTI” / LA CHIAVE PER CAPIRE LE STRAGI DI CAPACI E VIA D’AMELIOIl rapporto “Mafia-Appalti” come movente base per le stragi di Capaci e Via D’Amelio. L’assalto delle “imprese di partito” – anzi di corrente – ai mega appalti pubblici, a cominciare da quelli dell’Alta Velocità, che rappresentava la grande torta. La mafia come collante e come braccio armato. La Voce ne ha scritto fin da inizio anni ’90, così come ha fatto uno dei nostri autori più prestigiosi, Ferdinando Imposimato, che a metà anni ’90 ebbe il coraggio di firmare una “storica” relazione di minoranza all’interno della Commissione Antimafia per puntare l’indice su quell’esplosivo dossier finito sulla scrivania di Giovanni Falcone alcuni mesi prima di essere trucidato. Un lavoro condiviso subito con Paolo Borsellino e portato avanti fino all’eccidio di via D’Amelio. Una pista – quella Mafia Appalti – sempre “osteggiata” dai papaveri della magistratura. E che invece, di tanto in tanto, torna a turbare i sonni dei potenti, molti pezzi da novanta travestiti da politici, imprenditori o in toga.
LA VERA MAFIO-TANGENTOPOLI Adesso succede con le fresche dichiarazioni di Basilio Milio, avvocato, figlio di un altro avvocato storico, Pietro Milio, radicale, per anni braccio destro di Marco Pannella in tante battaglie sul fronte dei diritti civili. Ha sempre lottato, Pietro, per far emergere la verità su quelle “Stragi di Stato”, ed ha sempre indicato quella pista, l’esplosivo dossier “Mafia-Appalti”, redatto dal Ros dei carabinieri all’epoca guidato da Mario Mori e dal suo allora braccio destro, Giuseppe De Donno. 980 pagine davvero “al tritolo”, come quello che ha fatto saltare per aria le vetture di Falcone e Borsellino. Verità all’epoca, appunto, esplosive, perché facevano già luce su una maxi Mafio-Tangentopoli, uno tsunami ben più gigantesco di quello innescato, mesi e mesi dopo, dal pool di Milano. Perché in quelle carte e in quei documenti da quasi mille pagine erano dettagliate tutte le connection tra le big dell’imprenditoria di casa nostra, soprattutto sigle del nord, e vip di riferimento della politica, i legami con le cosche di mafia e di camorra. Ancora: le ragnatele dei subappalti, la mappa delle commesse, le infrastrutture pubbliche nel mirino. A cominciare, appunto, dai super appalti per l’Alta Velocità, 27 mila miliardi di lire allo start, nel ’90, una torta lievitata a dismisura. Tanto che nel loro mitico libro-j’accuse – “Corruzione ad Alta Velocità” scritto nel 1999 – gli autori Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato già all’epoca scrivevano di una cifra mostre, 150 mila miliardi di lire. Che nell’arco di questi oltre vent’anni hanno raggiunto vette stratosferiche, ormai incalcolabili, un pozzo senza fine per lobby d’ogni sorta e politici d’ogni risma. Torniamo alle parole di Basilio Milio – oggi legale di Mario Mori per il processo sulla “Trattativa” – nel corso di un’intervista rilasciata a “il Riformista”.
PARLA BASILIO MILIO “Le ragioni dell’accelerazione della strage in cui persero la vita Borsellino e gli uomini della scorta furono altre (non quelle che riportano alla ‘Trattativa’, ndr). Si temeva che Borsellino fosse nominato Super Procuratore Antimafia. E soprattutto c’era il timore che Borsellino proseguisse con De Donno, avvalendosi della collaborazione del Ros, l’inchiesta iniziata da Falcone sulla correlazione mafia-appalti, che coinvolgeva anche uomini politici”. Milio rammenta anche “una riunione avvenuta il 14 luglio 1992, cinque giorni prima della morte di Borsellino, tra gli appartenenti alla procura della repubblica di Palermo. Nella quale Borsellino chiese conto e ragione del fatto che i carabinieri si erano lamentati degli esigui sbocchi processuali di quell’inchiesta su mafia e appalti”. “Borsellino chiese conto e ragione del perché l’indagine Mafia-Appalti procedesse così a rilento. Manifestò interesse e protesse i carabinieri, chiedendo di quella indagine ai suoi colleghi”. Di lì a qualche ora due colleghi rispondono con i fatti. Anzi con un ceffone in faccia a Borsellino. Si tratta di due icone (sic) antimafia, Giuseppe Lo Forte e Roberto Scarpinato che – udite udite – chiedono nientemeno che l’archiviazione – poi regolarmente arrivata – di quella inchiesta bomba! Ai confini della realtà. Come buttare sotto montagne di naftalina e cenere un tesoro di notizie, di reati pesantissimi, di fatti che avrebbero fatto crollare i Palazzi, rappresentando una super Tangentopoli con condimento mafioso, disvelando la più grande associazione di stampo mafioso mai scoperta in Italia! Ma è meglio chiudere gli occhi, non vedere. E affossare. Rammenta Milio: “Borsellino, davanti al feretro di Falcone, disse che le ragioni della morte di Falcone andavano ricercate nell’ambito dell’indagine Mafia-Appalti”. E aggiunge: “non mi spiego come, a distanza di quasi trent’anni, si continua a non prendere nella dovuta considerazione quell’indagine del Ros e anzi a non attribuirle alcuna importanza”.
Informativa Mafia Appalti 1991L’informativa Mafia Appalti è stata la prima operazione che ha fatto luce sulle connessioni mafioso-politico-imprenditoriali, svolta in Sicilia. L’informativa Mafia Appalti, nasce dalla collaborazione diGiovanni Falcone, del colonnello Mario Morie del capitano Giuseppe De Donno ma era contrastata oltre che dai mafiosi, dai politici, dagli imprenditori, perfino da diversi elementi della procura stessa di Palermo: l’ordinanza fu congelata per 5 mesi, dal procuratore capo di Palermo, che sosteneva l’inutilità di una tale inchiesta, poi l’inchiesta fu inviata a tutte le procure della Sicilia, fu inviata a Roma, fu data per intero agli avvocati degli indagati, fu data sottobanco ai politici e mafiosi[15], in modo da avvisare i delinquenti mafiosi interessati e dare loro tempo di scappare. Infine su 45 richieste di custodia cautelare di mafiosi, noti imprenditori nazionali, progettisti, faccendieri e un paio di politici palermitani, 24 di loro per associazione mafiosa e 21 di loro per associazione per delinquere finalizzate alla spartizione degli appalti pubblici, ne furono eseguite solo 5 personaggi. L’inchiesta su mafia e appalti inizia nel 1988, in seguito ad una delazione ricevuta dai carabinieri che indagano sull’assassinio di un allevatore in un comune delle Madonie Il 20 febbraio 1991 il ROS depositò l’informativa Mafia e Appalti[, relativa alla prima parte delle indagini sulle connessioni tra politici, imprenditori e mafiosi, dove si rivelava l’esistenza di un comitato d’affari illegale e si facevano i nomi di società e persone coinvolte. Il ROS indicò in Angelo Siino[ il riferimento centrale per la gestione illecita di tutte le gare pubbliche in Sicilia. Il dossier fu dato a Giovanni Falcone depurato dei nomi di politici, Salvo Lima, Rino Nicolosi, presidente della Regione Siciliana e Calogero Mannino. Il 9 luglio 1991, furono arrestati Angelo Siino organizzatore, un massone mafioso legato ai Brusca di S. Giuseppe Jato. Il geometra Giuseppe Li Pera, capoarea in Sicilia occidentale della Rizzani De Eccher di Udine, e gli imprenditori Cataldo Farinella, Alfredo Falletta e Serafino Morici. All’inizio del 1992, si aggiungeranno Vito Buscemi e Rosario Cascio. Angelo Siino in particolare spiegò che da un dato momento in poi Cosa Nostra non si accontentò più di estorcere tangenti, ma passò direttamente a far aggiudicare gli appalti a imprese a lei sottomesse. Dirigevano gli appalti Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Antonino Buscemi, Giuseppe Lipari, Giovanni Bini responsabile della Calcestruzzi Spa del gruppo Italcementi, di proprietà Ferruzzi, Antonino Reale, Benedetto D’Agostino, Agostino Catalano (amministratore della Reale costruzioni e consuocero di Vito Ciancimino). Paolo Borsellino aveva deciso di approfondire l’indagine mafia e appalti. Pietro Giammanco, procuratore capo della Repubblica a Palermo, il 13 luglio 1992, fece depositare da Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato e controfirmò il 22 luglio la richiesta di archiviazione dell’inchiesta Mafia e Appalti, che venne eseguita il 14 agosto 1992. wikiwand
Estratto di verbale di sommarie informazioni testimoniali di FERRARO Liliana del 14 ottobre 2009, reso alla procura di Caltanissetta. Dalla Sentenza con rito abbreviato Borsellino quater. “Quanto al colloquio che ebbi col dott. BORSELLINO nella saletta dell’aeroporto di Fiumicino, posso dire che lo stesso avvenne anche alla presenza della moglie, anche se ricordo che per brevi momenti ci siamo spostati anche fuori per effettuare alcune telefonate. Ricordo che feci anche una telefonata al Procuratore GIAMMANCO, in cui sollecitai lo stesso a concentrare sul dott. BORSELLINOle indagini antimafia come mi aveva chiesto lo stesso BORSELLINO. Ricordo che il discorso col dott. BORSELLINO nacque affrontando il tema dei colloqui investigativi che erano in corso in quel periodo, in particolare di Gaspare MUTOLO e di Gioacchino SCHEMBRI.
Tra gli altri argomenti che ho affrontato col dott. BORSELLINO ricordo di aver parlato anche della tematica degli appalti. Ho memoria del fatto di aver affrontato col dott. BORSELLINO il tema del rapporto mafia-appalti poiché lo stesso sapeva della mia conoscenza di tale rapporto. Ed invero nell’agosto dell’anno prima, in una giornata di sabato, il dott. FALCONE mi contattò telefonicamente per dirmi che avevano portato un plico al Ministro MARTELLI e voleva che fossi io a prenderlo e ad esaminarlo, cosa che effettivamente feci.
Il giorno seguente il dott. FALCONE mi contattò nuovamente, chiedendomi di fare in fretta ad esaminare i documenti e a sigillarli nuovamente.
Il plico in questione venne poi restituito alla Procura di Palermo e ricordo che in una occasione entrai nella stanza del dott. FALCONE il quale era in conversazione telefonica col dott. BORSELLINO cui disse che ero stata io a redigere la lettera, unitamente a lui, con la quale il plico venne restituito alla Procura di Palermo. Ricordando tale ultimo episodio, il dott. BORSELLINO volle sapere quale fu la reazione del dott. FALCONE a quella vicenda.
Ricordo, inoltre, che sempre nel corso del colloquio avuto all’aeroporto di Fiumicino il dott. BORSELLINO mi disse che “era solo” ed Agnese Borsellino, udendo tale frase, si inserì nel discorso chiedendomi più volte di convincere il marito a non andare avanti poiché non voleva che i suoi figli rimanessero orfani del padre.
Riferii poi al dott. BORSELLINO della visita del cap. DE DONNO negli stessi termini in cui ho oggi riferito alle SS.LL. ivi compreso il fatto che avevo detto al capitano di accennare a lui la questione — ed il dott. BORSELLINO non ebbe alcuna reazione, mostrandosi per nulla sorpreso e quasi indifferente alla notizia, dicendomi comunque che “se ne sarebbe occupato lui”.
In ogni caso devo dire che il dott BORSELLINO, così come del resto il dott. FALCONE, era solitamente molto riservato in merito alle indagini che stava conducendo, limitandosi a darmi notizie solo allorché ciò necessitava per essere agevolati nel loro lavoro.
Escludo che durante tale colloquio il dott. BORSELLINO mi abbia riferito di aver incontrato il DE DONNO e MORI e di aver affrontato con loro queste tematiche Sono portata ad escludere che Agnese BORSELLINO abbia percepito l’esatto tenore della conversazione intercorsa col dott. BORSELLINO; ella era infatti molto agitata e preoccupata per la sorte del marito tanto che aveva deciso di accompagnarlo al convegno di Giovinazzo per non lasciarlo da solo. Durante la mia conversazione talvolta si allontanava per leggere qualcosa, altre volte eravamo io e Paolo che uscivamo fuori dalla stanza per telefonare, per non dire che i nostri dialoghi avvenivano “parlottando” sottovoce per non coinvolgere Agnese BORSELLINO in discussioni che avrebbero potuto turbarla ancor di più. Anche se non lo ricordo, ritengo di aver riferito al dott. BORSELLINO che anche il Ministro era stato informato della visita del cap. DE DONNO.
Verosimilmente avrò parlato col Ministro MARTELLI della visita del cap. DE DONNO, e credo che ciò sia avvenuto nel suo ufficio all’interno del Ministero; tenderei ad escludere che ciò possa essere avvenuto in occasione della Messa del trigesimo del dott. FALCONE. Ricordo, comunque, che il Ministro approvò il comportamento che avevo tenuto col cap. DE DONNO ed in particolare disse “ha fatto benissimo, che cosa vogliono, vadano nelle sedi opportune”. Ritengo verosimile che il Ministro MARTELLI possa aver fatto riferimento ad un’ingerenza del ROS in compiti che riteneva in quel momento di stretta competenza della neo istituita DIA, poiché effettivamente alla base della creazione di tale ultimo organismo vi era l’idea di un riordino delle competenze in tema di antimafia. All’epoca dei fatti conoscevo MORI e con lo stesso avevo avuto molte più occasioni di incontri che non con il cap. DE DONNO. L’Ufficio dà atto che alla data del 28 giugno 1992 dell’agenda grigia del dott. BORSELLINO risulta un’annotazione alle ore 17.30 “Giovinazzo (Riva del Sole)” alle ore 19 Bari Palese, alle ore 20.30 “Fiumicino (Ferraro)”
Prendo atto che dall’esame dell’agenda grigia del dott. BORSELLINO si ricava che questi si recò a Giovinazzo il 27 giugno 1992 e fece ritorno a Palermo il 28 giugno 1992. A questo punto posso quindi affermare con certezza che l’incontro di cui sto facendo menzione si svolse nel pomeriggio del 28 giugno 1992.
Ribadisco che l’incontro col cap. DE DONNO avvenne qualche giorno prima, nell’arco della settimana che va dal 21 giugno al 28 giugno 1992, anche perché, qualora fosse passato più tempo, avrei certamente informato telefonicamente il dott. BORSELLINO di quanto avvenuto.
A.D. R Dopo il 28 giugno 1992 non ho avuto più alcun colloquio col dott. BORSELLINO o col Ministro MARTELLI in merito ai fatti che sto riferendo alle SS.LL., né su questi temi fui più contattata da Ufficiali de ROS . Ricordo di aver avuto, successivamente a tale data, un colloquio telefonico col dott. BORSELLINO sabato 18 luglio 1992 in cui lo stesso mi disse che era in partenza il lunedì successivo e che al ritorno si sarebbe fermato a Roma per avere un altro colloquio con me perché voleva parlarmi di tutte le questioni che avevamo in sospeso. Più esattamente mi disse ” poi dobbiamo parlare” sicché ritenni che vi potesse essere un nesso con le discussioni avvenute il 28 giugno 1992.”