Non era la prima volta, in effetti. Era il 21 giugno 2018 quando Salvatore Borsellino, durante una conferenza organizzata da “WikiMafia” presso la Camera del Lavoro di Milano, si rivolse direttamente al sostituto Procuratore nazionale antimafia, Nino Di Matteo dicendo: «Ti chiedo scusa se qualche mio familiare ti ha accusato di essere coinvolto nel depistaggio Scarantino. Sono sicuro che per quel depistaggio sono altri i magistrati che debbono essere portati a processo. Quindi ti chiedo scusa per le amarezze che ti hanno portato queste incaute affermazioni che sono state fatte da membri della mia famiglia».
Ma chi sono questi haters?
L’acqua passa sotto i ponti, i processi proseguono, i fatti diventano acclarati, i nuovi gradi di giudizio processuale danno luce diversa a quanto ritenuto da quelli precedenti ma tutto ciò viene bellamente ignorato.
Ma chi sono questi haters “specializzati”? Innanzitutto hanno in comune molte cose. La prima è di essere stati plagiati. Non tutti, perché alcuni di loro sono, in effetti, i plagiatori che però, come indicato prima, hanno molte cose in comune con i plagiati. Innanzitutto, loro, possiedono il “verbo”, quello realizzato attraverso la fedeltà assoluta ad una serie di dogmi che devono essere parte del loro pensiero. Tra questi, in ordine sparso, osannare e idolatrare quegli stessi magistrati di cui Paolo Borsellino non si fidava, come dichiarato proprio da diversi magistrati sia in Commissione Antimafia sia nel corso di vari dibattimenti processuali, credere nel “papello” vergato a mano da Totò Riina, quando le sentenze hanno dimostrato che si trattava di un falso, credere nella “scellerata trattativa” tra Stato e mafia anche come motivo scatenante della decisione di uccidere Borsellino quando proprio nelle sentenze, alcune relative a procedimenti passati in giudicato, si legge il contrario.
I fiancheggiatori
Le sentenze mentono? Per loro sì, con assoluta certezza e far dare forza e ragione alle loro convinzioni, sposano le pseudo tesi giornalistiche propalate da un paio di testate online, una testata cartacea nazionale e alcune trasmissioni di approfondimento giornalistico che vengono trasmesse da Rai e La7. A questo si aggiunge la strenua difesa dei giornalisti protagonisti delle trasmissioni sopra citate anche quando, come nel caso della puntata di Report andata in onda lo scorso 24 gennaio, il loro “coup de théâtre” settimanale è stato un interrogatorio del neofascista Alberto Volo reso ai magistrati Roberto Tartaglia e Nino Di Matteo nel 2016 in cui dichiara, tra l’altro, che Borsellino lo avrebbe sentito in gran segreto e si sarebbe confidato con lui. Dare credito a questo suo racconto, vuol dire dipingere Borsellino come una persona ridicola perché, e Report ovviamente lo tace, non solo il verbale del suddetto interrogatorio non è entrato in nessuno dei processi sulle stragi che erano in corso ma, soprattutto, le dichiarazioni del Volo sono state definite “deliranti” dal suo amico e collega Falcone che lo aveva interrogato e letteralmente fatto a pezzi nella requisitoria. Haters? Sicuramente sì anche perché i plagiatori, pretenziosi opinion leader e novelli influencer di un’antimafia da social networke da passerelle mediatiche, sono rancorosi, vendicativi, rabbiosi e assolutisti. Truppe cammellate di un gioco più grande di loro. Utili idioti, ossia persone che, senza rendersene conto, portano a qualcuno un vantaggio indiretto. E poco importa se non portano vantaggio alla verità perché i loro dogmi, oramai del tutto assimilati, non gli permettono di rendersene conto poichè il plagio operato nei loro confroni risulta oramai essere permanente e niente e nessuno potrà fargli cambiare idea. Aveva ragione, ancora una volta, Umberto Eco quando dichiarò che i «social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli».
Le accuse a Fiammetta Borsellino
Di cosa è accusata, oggi, Fiammetta Borsellino? Come al solito di aver detto, senza peli sulla lingua, il suo pensiero, il pensiero della figlia di Paolo Borsellino. Ma, con le sue parole che tuonano nel silenzio, ha dichiarato ciò che ha contraddistinto in questi anni la sua battaglia per la ricerca della verità. Ma, proprio in queste parole, le truppe cammellate percepiscono un attacco ai loro idoli. «Io non ho mai visto mio padre scrivere o promuovere libri su attività giudiziarie in corso. L’uomo che ho conosciuto io lavorava in silenzio e quando capitava non mancava di aiutare gli uomini della scorta a cambiare la ruota della macchina blindata che si era forata in autostrada. Io conservo quest’esempio. Mio padre ha rilasciato pochissime interviste e solo quando non ne poteva fare a meno». Si riferiva a qualcuno in particolare? Evidentemente sì perché, come già affermato in precedenza, Fiammetta Borsellino nutre qualche dubbio sull’operato di alcuni magistrati che si occuparono, a suo tempo, dei procedimenti “Borsellino uno” e “Borsellino bis”, quelli che dopo la dolosa costruzione del pentito-pupo Vincenzo Scarantino per la quale è ancora in corso a Caltanissetta un processo, lo validarono come affidabile nonostante diversi collaboratori di giustizia lo ritenessero un balordo e non, come lo Scarantino stesso fece credere, organico a Cosa nostra. E se, per puro caso, questi stessi magistrati, ma anche altri, passano molto tempo a scrivere libri e presentarli in giro per l’Italia sempre seguiti dal loro servizio di tutela che, lo ricordo, viene pagato dallo Stato quindi dai contribuenti, oppure a rilasciare interviste e ad apparire in una moltitudine di dirette online e nei programmi televisivi cui si è già accennato, non è sicuramente colpa di Fiammetta Borsellino. Anzi, verrebbe da chiedersi quando trovino il tempo per svolgere il loro compito, quello del magistrato.
Dal mafioso il male te lo aspetti. Non dovresti aspettartelo da chi è chiamato ad amministrare la giustizia
L’altro grande errore di Fiammetta, sempre durante l’intervista, è stato quello di riuscire ad andare oltre al sentimento di vendetta che può, inevitabilmente ma non giustamente, essere proprio di un familiare di vittima di mafia. E lo fa parlando degli assassini di suo padre, i fratelli Graviano, ossia il “demonio”: «Ma in ogni caso penso che bisogna smettere di porre la questione in termini di “perdono” o di “vendetta”. Io preferisco parlare di percorsi di cambiamento che mi possano avvicinare a una persona che mi ha fatto del male. Il confronto può anche essere doloroso, ma è anche la strada verso la riconciliazione interiore. Convivere con pulsioni di vendetta provocati dal delitto è una cosa pesantissima». E continua dicendo che «la rabbia in realtà è un sentimento che ho provato e continuo a provare non nei confronti dei mafiosi, piuttosto nei confronti di chi mafioso non è ma non ha fatto il proprio dovere. Dal mafioso il male te lo aspetti. Non dovresti aspettartelo da chi è chiamato ad amministrare la giustizia. Mi fa male pensare che mio padre abbia potuto definire il suo luogo di lavoro, quello in cui passava la gran parte delle sue giornate, come un covo di vipere. Mi fa male anche pensare che mio padre dovesse difendersi anche dai suoi stessi colleghi. E mi fa male prendere atto che nei tanti anni trascorsi dopo la strage di via D’Amelio, molti che avrebbero dovuto indagare o capire che era in corso un depistaggio diabolico invece sembravano voltarsi dall’altra parte, forse impauriti dal pericolo che un accertamento a tutto tondo avrebbe messo in discussione quantomeno la linearità di molti magistrati».
Fiammetta Borsellino è inoltre molto lucida rispetto al regime di carcere duro e alla situazione carceraria italiana dichiarando che «a me è capitato di frequentare anche alcune carceri italiane per partecipare ad alcuni incontri con i detenuti. Mi rendo conto che non possiamo non porci il problema del senso della detenzione, specie in un sistema carcerario come il nostro, così pieno di problemi. Riesce davvero il carcere a provocare un cambiamento nelle persone? Se rispondiamo negativamente il carcere è una sconfitta. Questo vale anche per il 41 bis. Anche rispetto alle persone che più mi hanno fatto male come i Graviano, io non mi sento più appagata se loro restano segregati in una cella, ma se si accende una miccia di cambiamento. Attenzione: non necessariamente questa deve condurre a una collaborazione. A me interessa che si produca un mutamento profondo nelle persone. Per il resto, a me mio padre non lo restituirà mai nessuno».
Sulla base di queste affermazioni, ovviamente, le truppe cammellate si sono scandalizzate definendola incapace di intendere e di volere e di essersi fatta convincere da quanti gli stanno molto vicino. Persone che vengono accusate, a loro volta, di essere portavoce delle richieste del potere mafioso. Quindi, secondo loro, Fiammetta Borsellino, presta il fianco alla mafia e non alla ricerca della verità, ovunque essa dimori.
Tutto ciò potrà disturbare le truppe cammellate e i loro condottieri ma con queste affermazioni Fiammetta Borsellino afferma di essere figlia di cotanto padre che, come ricorda sempre nell’intervista, «guardava l’uomo prima del criminale: questa secondo me è stata anche la chiave del suo successo investigativo e professionale»
LA DENUNCIA DI FIAMMETTA – cronologia