TORONTO – “Sette locali a Toronto. E per locali si intende la minima organizzazione attraverso cui la ‘ndrangheta opera per commettere crimini e per attaccare la società sana inquinando l’economia e danneggiando le imprese oneste che operano sul mercato.
Per il procuratore aggiunto dell’antimafia di Reggio Calabria Michele Prestipino ciò significa che anche in Ontario l’organizzazione mafiosa calabrese si è stabilizzata e “lavora” quotidianamente per rafforzarsi sul territorio. “Operando nel settore costruzioni, aprendo attività illegali per riciclare denaro sporco e soprattutto esportando il suo modo di operare per alterare le regole della società pulita. Dall’Italia al Canada il passo è quindi breve. E di sicuro è già stato fatto molto tempo fa””. Ad intervistare il magistrato che ha arrestato Provenzano è stato Mario Cagnetta del “Corriere canadese”, quotidiano diretto a Toronto da Paola Bernardini.
Ci può spiegare in che modo la ’ndrangheta cerca di operare nel sistema economico locale?
Innanzitutto occorre muovere da una premessa. E cioè che tutte le mafie, proprio in quanto mafie, hanno da sempre una spiccata vocazione e un interesse specifico per il mondo del lavoro e per il sistema impresa. Dalle indagini emerge sempre la stessa “storia”. Per le organizzazioni mafiose, le imprese e il sistema impresa hanno una plurima valenza: da un lato costituiscono un’importantissima fonte di approvvigionamento di risorse attraverso il meccanismo del pagamento del pizzo, ovvero della tangente su ogni lavoro che viene eseguito in un territorio dove è insediata l’organizzazione mafiosa o la sua articolazione territoriale. Dall’altro lato per le mafie, gli imprenditori e le imprese, in Sicilia e in Calabria costituiscono una risorsa fondamentale quando esse riescono a “impadronirsi” del sistema di relazioni che fanno a capo all’imprenditore ed utilizzarle a loro favore, per la realizzazione di interessi criminali.
Qual è la conseguenza per l’economia?
Se un imprenditore soggiace al pagamento del pizzo e alle pretese dell’organizzazione mafiosa non soltanto in termini monetari ma anche riguardo all’imposizione di manodopera, di forniture e di servizi, non è più il mercato che seleziona chi lavora e chi non lavora. Non funziona più la legge della domanda e dell’offerta. Ma sono le organizzazioni mafiose che fungono da veri e propri soggetti mediatori sul mercato determinando, secondo i loro interessi, chi può lavorare e chi invece no. E chi viene escluso ovviamente è destinato fatalmente a uscire dal mercato.
Le imprese servono come cinghia di trasmissione tra il crimine e la società?
Questo aspetto è molto importante: le mafie sono fortemente interessate al sistema di relazione che le imprese hanno con il mondo non mafioso. Quando le organizzazioni mafiose stringono patti con le imprese o le sottomettono e le attraggono nell’orbita criminale si impadroniscono di questo genere di relazioni con pezzi della società fondamentali per la loro stessa sussistenza. La mafia, di regola, non interloquisce direttamente con pubblici amministratori, con i tecnici, con i politici, con i professionisti perché nessuno appartenente a queste categorie può “sporcarsi” attraverso un contatto diretto con il mafioso. Il collegamento tra questi due mondi viene assicurato da un soggetto tramite, ruolo che spesso viene svolto da imprenditori collusi.
Che finiscono per fare l’interesse della cosca…
Esatto. Si tratta di imprenditori che entrano in rapporti con la mafia come vittime e poi si trasformano in imprenditori collusi e quindi in veri e propri complici. Questo vale in Sicilia, in Calabria, in Campania ovunque operi un’organizzazione di stampo mafioso.
E anche per il Canada?
Questa è la regola base. Anche se non conosco la situazione canadese dobbiamo partire da questo presupposto. E cioè che tra le organizzazioni mafiose, la ’ndrangheta in particolare, si differenzia perché ha una capacità e una propensione all’espansione verso territori lontani dai confini calabresi. Questo le ha permesso di proiettarsi e insediarsi in territori come il Nord e il Centro Italia, l’Europa, il Centro e il Nord dell’America e quindi arrivare in Canada e in Australia. Dove approda la ’ndrangheta riproduce le proprie cellule criminali con le regole e i modelli propri del sistema mafioso con cui opera nella sua terra di origine cioè quella dove è rimasto il cuore, il cervello del suo potere criminale e il luogo di accumulazione di questo potere.
In Canada esiste la stessa struttura che si può trovare in Calabria?
Nei territori dove la ’ndrangheta ha clonato le proprie cellule criminali non sono state esportate soltanto le strutture organizzative, la manovalanza e i picciotti in grado di operare nel traffico di stupefacenti e nel racket. Ma la ’ndrangheta ha esportato anche il proprio modello, il proprio sistema di relazioni stringendo patti con pezzi di società che non sono mafiosi.
Qual è il pericolo per un Paese come il Canada poco abituato ad affrontare il sistema mafioso?
Il maggior pericolo è appunto l’insediamento di queste strutture in territori che non conoscono il sistema e non sono preparati ad affrontare la pericolosità criminale e le capacità di espansione mafiosa in tutti i settori della società. Ovunque si ripete questo schema, la ’ndrangheta cerca poi l’espansione, il patto e l’alleanza per infiltrarsi nel sistema economico legale operando parallelamente in altri settori criminali come racket, droga, prostituzione e usura.
Costruzioni, attività commerciali per riciclare denaro sporco. Quali sono le conseguenze per le imprese oneste e per l’economia in generale?
In Italia per esempio succede questo: se sullo stesso segmento di mercato opera un’impresa mafiosa o un’impresa collusa che si fa carico degli interessi economico-criminali, il risultato è la creazione di posizioni monopolistiche a favore di queste imprese e la graduale espulsione dal mercato delle altre imprese. È una conseguenza inevitabile per due motivi: l’impresa sana per lavorare deve ricorrere al credito. Con la crisi economica, il ricorso al sistema bancario non è semplice per le imprese che spesso devono sopportare costi particolarmente elevati che incidono sui loro bilanci.
L’impresa mafiosa invece riesce ad evitare tutto questo, vero?
Esattamente. L’impresa mafiosa non deve ricorrere al credito perché ha un finanziatore occulto che soddisfa il suo fabbisogno finanziario e non deve sopportare quel costo iniziale per poter lavorare. E ciò fa la differenza. Un’altra cosa che accade, per esempio nell’impresa commerciale c’è una soglia minima oltre la quale un imprenditore onesto non può vendere i propri prodotti perché se vende sottocosto non pareggia il bilancio. L’impresa collusa certe volte vende volutamente sottocosto perché quell’attività serve a riciclare soldi sporchi. Più io vendo sottocosto e più posso colmare con dei capitali sporchi il vuoto tra il pareggio di bilancio e la vendita sottocosto. Con questo sistema l’impresa mafiosa o collusa vende di più e ciò porta alla marginalizzazione e all’espulsione dal mercato delle imprese sane. Per non parlare poi delle conseguenze sul sistema di relazioni sindacali e industriali.
Ovvero?
L’impresa collusa ha un sistema di gestione interno che prescinde da un meccanismo di buone relazioni sindacali e industriali. Le situazioni di conflitto le risolve attraverso l’intimidazione, la violenza, il ricatto e la minaccia. Le imprese mafiose non sono un luogo dove si coltivano i diritti dei lavoratori e dove esiste la sicurezza nei luoghi di lavoro. Anche questo si traduce in un costo. E chi riesce a evitare questi costi è molto più competitivo. Ciò determina dei veri e propri oligopoli, per non dire monopoli, con un fortissimo inquinamento di tutto il mercato.
In Québec la commissione Charbonneau sta cercando di capire i giri di corruzione nel settore costruzione e i legami con la politica. Ci può spiegare come il crimine riesce a finanziare la politica?
In Italia l’interesse della mafia per l’imprenditore è rivolto ad appropriarsi e a penetrare quel sistema di relazioni che lo fa lavorare quotidianamente: con la pubblica amministrazione e con il mondo delle professioni. Quei rapporti interessano molto le organizzazioni mafiose. In Italia il condizionamento avviene non tanto attraverso il finanziamento diretto ad un politico ma tramite il controllo dei voti. L’organizzazione mafiosa esercita un controllo sociale sul proprio territorio soprattutto nel meridione: se la mafia rende favori poi si rivale e chiede in cambio qualcosa. E naturalmente la prima cosa che chiede è indirizzare il voto verso alcuni candidati.
Lei crede che in Canada l’insediamento della mafia sia stato sottovalutato?
Non so se in Canada ci sia stata sottovalutazione del fenomeno mafioso: in Italia abbiamo avuto questo problema nel Nord. Per anni si è detto che la questione mafia non riguardava il Nord ma soltanto il Meridione. Più recentemente ci si è resi conto che così non è e mentre al Nord qualcuno parlava ancora di pericolo di infiltrazioni, la ’ndrangheta aveva già costituito, soltanto in Lombardia, oltre 25 locali che sono le sue strutture base organizzative che prevedono un minimo di 49 affiliati ciascuna. Quindi se la ’ndrangheta dispone di queste forze e ha più di 25 locali vuol dire che ha un numero di affiliati pari certamente consistente.
Potrebbero essere quasi mille persone… E a Toronto invece secondo l’Rcmp le locali sono sette. Questo cosa significa?
Numericamente vuol dire che ad ognuna di queste locali corrisponde un numero di affiliati, di organici alla struttura mafiosa, che non può essere inferiore alle 49 unità. Il vero problema non è tanto rappresentato dal numero degli affiliati perché un’organizzazione mafiosa può avere un numero bassissimo di affiliati ma una grande capacità di infiltrazione nel tessuto sociale. Il problema è capire la capacità di ogni affiliato di controllare la società e di entrare in contatto con le persone che mafiose non sono. Queste strutture vanno valutate in base alla loro capacità di penetrare pezzi di istituzioni, di società, di imprese e del mondo delle professioni. Dove c’è una struttura organizzativa di stampo mafioso c’è anche questo pericolo. Come ho detto prima, la struttura organizzativa della ’ndrangheta non è chiusa. Non sta su un territorio e si occupa solo di importare per esempio stupefacenti. Ma ha una propensione a fondare le proprie radici e a dirigere e a orientare i propri interessi soprattutto nelle attività economiche legali.
Il sostituto procuratore Roberto di Palma sul Toronto Star ha definito il Canada un territorio vergine per gli affari mafiosi. È d’accordo?
Indubbiamente dove ci sono sette locali di ’ndrangheta, vuol dire che c’è un insediamento stabilizzato. Questo lo dicono i fatti. Poi bisogna intendersi. Sette strutture organizzative sono una presenza significativa. Bisogna vedere cosa c’è intorno e se intorno c’è una società o pezzi di società che sono in grado di riconoscere e di contrastare la mafiosità di certe condotte e di certi soggetti, oppure se c’è un contesto che non è in grado di riconoscerli e quindi non è capace di contrastare la presenza mafiosa e la capacità di penetrare l’economia di mercato.
Molti ignorano la questione perché qui in Ontario la mafia non spara…
La prospettiva è sbagliata. La violenza è soltanto uno dei sintomi della presenza mafiosa. E può anche non vedersi. La mafia cerca di affermare i propri interessi nella “pace” perché così si fanno gli affari. Le mafie non sono organizzazioni ideologiche, si sono storicamente formate e hanno accumulato potere con l’obiettivo dell’arricchimento, per concludere affari. E per farlo hanno bisogno di agire in silenzio. Sul fondo naturalmente c’è sempre la violenza perché quando le mafie non riescono ad affermare i loro interessi in altro modo alla fine ricorrono alla violenza. Insomma la violenza costituisce l’estrema ratio in vista dell’affermazione dei propri interessi criminali. Se violenza non c’è o non si percepisce può anche significare che la ’ndrangheta sta realizzando i propri piani oppure che, non riuscendo, non vuole tuttavia farvi ricorso per non richiamare troppo l’attenzione su di sé. Ogni singola situazione va valutata caso per caso”.
Da AISE – Corriere canadese 2.10.2012