Di Lionello Mancini
Di Lionello Mancini
È complicata la partita tra imprese e pubblica amministrazione. Da una parte si vantano miliardi di crediti, dall’altra non c’è denaro per onorare gli impegni (e se c’è, non si può usare); da una parte raffiche di leggi confuse e malfatte che fanno impantanare ogni urgenza, dall’altra i ritmi e le scadenze del mercato; da una parte la sostanziale irresponsabilità delle scelte burocratiche, dall’altra il duro prezzo dei ritardi e degli errori.
Due settimane fa abbiamo riferito di come il consiglio comunale di Milano abbia rinviato l’adozione di un efficace strumento anticorruzione (il whistleblowing): un vero azzardo, quello di Palazzo Marino, che nella peggiore delle ipotesi serve a perpetuare pratiche disdicevoli ma, anche nella migliore, prolunga e amplia il rischio delle procedure opache che favoriscono le contiguità e non la qualità.
Per fortuna, il tessuto degli enti locali non è formato solo dagli stolidi ed esausti partiti: esiste anche la sana rete amministrativa dei segretari comunali (nuovi responsabili dell’anticorruzione), dei funzionari, degli impiegati, che non perdono tempo a discettare sull’utilità di colmare l’abisso tra partitocrazia e mondo reale, ma si applicano a come farlo, anche grazie a nuove leggi che una parte del corpo legislativo si è affannato a ritardare e a disapplicare.
In uno di questi ambiti virtuosi, l’incontro organizzato venerdì scorso a Milano da ReteComuni, sono emerse con chiarezza le tematiche e le criticità che ostacolano l’avvicinarsi del pianeta burocrazia alla vita vera del Paese.
Sentir finalmente parlare di modello 231/01 (responsabilità delle figure giuridiche) applicato alle società partecipate dai comuni, di comitati di vigilanza autonomi e indipendenti che separino controllore e controllato, di accountability, trasparenza e tracciabilità delle pratiche, apre il cuore e intanto riporta alla mente le asperità e i trabocchetti che le imprese sono chiamate ogni giorno ad affrontare e a evitare, dotandosi di assetti moderni, procedure efficaci, controlli interni.
Vale la pena di rilevare che molte delle trasformazioni in atto nella burocrazia di prossimità (meglio ancora tacere costi e inettitudine di ministeri ed enti centrali) sono frutto dell’osteggiata legge 190 sull’anticorruzione che, pur migliorabile, comincia a coprire vuoti preoccupanti e irritanti disparità. Allo stesso tempo, è d’obbligo sottolineare che le disposizioni della legge varata a dicembre potevano essere facilmente intuite e applicate ben prima: bastava guardare con meno distacco al faticoso percorso intrapreso dal mondo dell’economia con i suoi protocolli, i suoi codici etici e tutti quegli irrigidimenti introdotti nelle governance per mettersi al riparo dall’illegalità. Un processo stimolato dalle frustate delle procure, certo: ma non solo. Tanto che ha già sedimentato alcuni elementi di prospettiva quali il rating di legalità (che, tanto per cambiare, attende da mesi due decreti ministeriali che ne stabiliscano il valore premiale).
Per fortuna, mentre Roma aspetta confusa e immota le nuove e rovinose spallate elettorali, la burocrazia del territorio, quella che guarda ogni giorno negli occhi imprese e cittadini, sta cominciando ad andare loro incontro.
Sole 24 Ore