1 Settembre 2022
Lo dichiara il dottor Antonio Balsamo, Presidente del Tribunale di Palermo, in una intervista esclusiva «L’Italia è un paese in cui c’è un grande bisogno di pieno accertamento della verità relativamente a una serie di fatti sui quali non è stato possibile compiere un accertamento integrale della verità e, in alcuni casi, non è più possibile celebrare dei processi penali»
Il dottor Antonio Balsamo, in magistratura dal 1991, nella sua carriera è stato giudice a Palermo, dove si è occupato di numerosi procedimenti di stampo mafioso. A Caltanissetta ha svolto funzioni di presidente della Corte di Assise e si è occupato anche dei processi sulle stragi del ’92. Nel 2016 è alla Corte di Cassazione come Sostituto Procuratore Generale e, dal 2018, ha rivestito l’incarico all’Onu presso la Rappresentanza permanente dell’Italia. È stato docente di “Criminal Law” al Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università LUMSA. Dal mese di luglio del 2021 è Presidente del Tribunale di Palermo. Grazie alle sue esperienze e competenze, ha una visione molto ampia del “pianeta giustizia” non solo italiano ma anche europeo e internazionale. Con lui abbiamo parlato di “giustizia riparativa” e della necessità del raggiungimento della verità.
Qualche giorno fa, parlando di diritto alla verità, lei ha citato Nelson Mandela e una sua grande intuizione
«La scelta di Nelson Mandela è stata particolarmente significativa. Si è collocata in un periodo storico altamente drammatico, quello in cui il Sud-Africa, dopo il periodo dell’apartheid, con tutte le violazioni dei diritti umani di portata gravissima che ne erano conseguite, si decise di ricostruire le fondamenta della democrazia. La sua grande intuizione è stata alla base del tema della giustizia riparativa in uno scenario internazionale. Nel 1995 decise di costituire una “Commissione per la verità e la riconciliazione”, nell’ambito della quale operava un comitato che s’impegnava nella protezione della dignità delle vittime di reato. La Commissione è riuscita a incoraggiare quanti potevano fornire elementi di conoscenza importanti su alcune delle fasi più drammatiche della vita del loro paese a dare il loro contributo senza esitazioni, con un procedimento che ha portato a una ricostituzione della dignità delle persone offese e, al tempo stesso, a ridisegnare il percorso esistenziale di molti degli autori delle violazioni più gravi dei diritti umani che hanno così modificato i propri obiettivi di vita. Questa esperienza di Mandela ha dimostrato il legame genetico, che è sicuramente ravvisabile, tra il concetto di giustizia riparativa e quello di diritto alla verità che può avere effetti concreti e molto efficaci anche per il nostro paese, in un momento in cui da un lato assistiamo a una generalizzazione di questo modello di giustizia riparativa, per effetto della riforma del processo penale che sarà prossimamente attuata e che prevede l’estensione a 360° della giustizia riparativa in tutte le fasi del procedimento e indipendentemente dalla tipologia di reato, ma, dall’altro, esiste una forte esigenza di piena realizzazione del diritto alla verità soprattutto su alcune delle fasi più drammatiche della nostra storia. Ritengo che questi due percorsi si possano incontrare con risultati importanti e con la capacità di restituire, alle vittime di reato e ai loro familiari, quel diritto alla verità che reclamano con grande convinzione e passione, una passione che deve essere di esempio per ciascuno di noi».
Ma, tutto ciò, come si può inserire all’interno del nostro ordinamento?
«Si tratta di un modello di giustizia che si deve applicare su tutto il territorio nazionale e rappresenta il “nuovo volto” della giustizia penale in coerenza con le tendenze più moderne emerse a livello internazionale. Anche in questo senso è orientata, nel periodo più recente, l’azione delle Nazioni Unite. In questo ambito ci saranno sia nuove metodologie e strutture di carattere nazionale sia esperienze da realizzare nei singoli territori. A proposito di questo, proprio per i singoli territori, non molti giorni fa è stato lanciato dal Ministero della Giustizia un progetto per la realizzazione di servizi pubblici per l’assistenza alle vittime di qualsiasi tipologia di reato e per la promozione di percorsi di giustizia riparativa, progetti che dovranno essere presentati entro il 13 settembre prossimo. In questo ambito si cercherà di sviluppare le logiche di rete che vedono coinvolte, al tempo stesso, gli uffici giudiziari, le altre istituzioni pubbliche e le realtà della società civile maggiormente impegnate in questo campo. Io mi auguro che proprio dalla Sicilia si possa realizzare un progetto particolarmente significativo, capace di diventare un esempio positivo a livello nazionale, e non solo, perché non c’è dubbio che, su tutte le tipologie di vittime di reati, ci sia una fortissima esigenza di tutela. Questo riguarda sia le vittime del racket delle estorsioni, sia quelle di tratta di essere umani, sia le persone offese da condotte di violenza di genere, ma anche un grande numero di ragazzi e ragazze vittime di altre forme di reato, di condotte aggressive che non vanno sottovalutate perché incidono direttamente sulla vita di tantissimi giovani. Teniamo anche conto di quanto è maturato, progressivamente, nella coscienza degli imprenditori a proposito dell’esigenza di sottrarsi al racket, presa di coscienza che deve corrispondere un fortissimo impegno da tutte le istituzioni dello Stato a partire proprio da quelle giudiziarie. Sono fortemente convinto che una presa di coscienza dei propri diritti e dei propri doveri, e un perfezionamento delle forme di assistenza e protezione, siano possibili proprio a partire da Palermo, città in cui già ci sono state esperienze positive che devono diventare capaci di interventi anche in quei settori su cui abbiamo ancora una conoscenza molto ridotta della realtà».
Che cosa intende, nello specifico?
«Riflettiamo su quante persone, provenienti da contesti nazionali ed etnici diversi, hanno bisogno di acquisire fiducia nella Giustizia e in generale sulle Istituzioni. Penso che si possa fare un enorme lavoro di mediazione culturale e di condivisione di valori, anche perché, troppo spesso, queste persone possono essere esposte a rischi gravissimi di sfruttamento da parte di organizzazioni criminali. Basta pensare a quante nuove “mafie” si sono sviluppate negli ultimi anni, anche nell’ambito di contesti di matrice etnica. Proprio in questi ambiti, un lavoro di costruzione di nuove strutture e di protezione delle vittime è doveroso e produce una serie di effetti positivi ad ampio raggio, facendo entrare nella legalità molti soggetti che vivono in una sorta di “zona grigia”, ridando fiducia nel futuro a persone che stanno attraversando fasi drammatiche della loro vita. Non dobbiamo dimenticare che molti ragazzi e ragazze, alla stessa età in cui i nostri figli sono felici e spensierati, hanno già vissuto esperienze drammatiche; su questi si deve fare un grosso lavoro nel rafforzamento della protezione e nello sviluppo di varie forme di collaborazione con la giustizia».
E sul piano nazionale?
«C’è una riforma in itinere che, a mio giudizio, ha importanti potenzialità. Sto parlando della riforma dell’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario, la norma che regola il c.d. ergastolo ostativo. La riforma, già approvata da un ramo del parlamento, la Camera dei Deputati il 31 marzo scorso, contiene alcune previsioni che si prestano a sviluppi molto interessanti, come quella che richiede al Giudice di Sorveglianza di accertare che vi siano state iniziative del soggetto a favore delle vittime sia nelle forme risarcitorie sia nelle forme di giustizia riparativa. Collegando il concetto di giustizia riparativa con quello di affermazione piena del diritto alla verità si può trasformare la riforma dell’art. 4-bis in un modello di riferimento importante a livello internazionale. L’Italia è un paese in cui c’è un grande bisogno di pieno accertamento della verità relativamente a una serie di fatti sui quali non è stato possibile compiere un accertamento integrale della verità e, in alcuni casi, non è più possibile celebrare dei processi penali. Nei reati soggetti a prescrizione, ci può essere un grosso problema dovuto al decorso del tempo; per altri reati, invece, possono essere venute a mancare le persone nei cui confronti sarebbe possibile instaurare un processo penale per diverse ragioni, come nel caso di soggetti di cui solo adesso si coglie il coinvolgimento in vicende particolarmente gravi ma che non ci sono più, o in altri casi in cui i soggetti non sono reperibili in alcun modo, nel qual caso il processo penale dovrebbe essere necessariamente sospeso. Oppure potrebbe esserci un’altra sentenza, fatta in un altro periodo storico e sulla base di un quadro probatorio molto limitato, che impedisce, per il principio del “ne bis in idem”, la riapertura di ogni ulteriore procedimento penale, ma che sicuramente non esclude il bisogno di accertamento della verità storica».
Possiamo, quindi, fare significativi progressi?
«Applicando in maniera efficace il concetto di giustizia riparativa, e collegandolo con il diritto alla verità in rapporto alla riforma dell’art. 4-bis che, per sua natura, riguarda i reati più gravi della nostra storia giudiziaria, penso che sia possibile. Sarebbe altresì importante che il Parlamento ricostituisse quel metodo di lavoro che aveva caratterizzato alcuni momenti fondamentali dell’attività, ad esempio, della Commissione Parlamentare Antimafia ma anche di altre commissioni parlamentari d’inchiesta, grazie alle quali è stato possibile dipingere un “affresco storico” di fenomeni che, in quel periodo, era difficile ricostruire per via giudiziaria. Ciò è avvenuto, in particolare, nella fase anteriore alla legge “Rognoni-La Torre” che è proprio figlia della ricostruzione ad ampio raggio fatta dalla Commissione Parlamentare Antimafia anche grazie al grande contributo che dettero lo stesso Pio La Torre e Cesare Terranova, una figura per troppo tempo oggetto di un progressivo oblio, e per la quale negli ultimi anni, fortunatamente, si è verificato il processo opposto: sono stato felice di vedere l’orgoglio con cui parlavano di Cesare Terranova e di Lenin Mancuso gli studenti della scuola Piazzi, dove è stato recentemente realizzato un murale raffigurante questi eroi civili, che è divenuto un elemento caratterizzante di tutta una zona della nostra città».
Ritiene che proprio in questo periodo questi processi debbano essere accompagnati da una riconciliazione tra il cittadino e la magistratura, a un aumento di fiducia nei suoi confronti da parte dei cittadini?
«La risposta è certamente sì, ma è necessario che questa ricostruzione di fiducia sia compiuta con i fatti. Abbiamo assistito a una grande sfiducia nei confronti della magistratura che coincide con il periodo successivo alla riforma dell’ordinamento giudiziario approvata tra il 2006 e il 2007, gli anni che hanno preceduto l’attuale fase storica. Si può discutere se la causa sia stata la riforma in sé o la sua attuazione, ma è un problema destinato a rimanere aperto. In realtà, negli anni in cui cominciano a vedersi alcuni degli effetti pratici della attuazione di questa riforma, si riscontra una pesante crisi di fiducia nella magistratura. Proprio su quest’argomento il “Corriere della Sera” ha pubblicato un interessante sondaggio realizzato da Ipsos, dal quale si evince che nel 2010 la fiducia nella magistratura era condivisa dal 68% degli intervistati mentre appena sei anni dopo, nel 2016, la fiducia era condivisa dal 34% degli intervistati».
Quali sono i fattori che hanno determinato questa enorme crescita di sfiducia?
«Innanzitutto i tempi troppo lunghi della giustizia, poi la ritenuta politicizzazione di una parte dei magistrati, la ritenuta corruttibilità di una parte dei magistrati, e infine la considerazione che le sentenze sono spesso discutibili, mentre il 10% degli intervistati ritiene che sia in atto una campagna denigratoria nei confronti della magistratura. A questa crisi di fiducia, come dicevo prima, bisogna però rispondere con i fatti. Per esempio, a proposito della durata dei processi, negli ultimi mesi è stata introdotta la valorizzazione della dimensione collettiva del lavoro del giudice attraverso l’immissione nell’amministrazione della Giustizia di una grande quantità di risorse umane, con l’assunzione di oltre 8000 giovani. Al Tribunale di Palermo, per esempio, nel mese di febbraio ne sono arrivati 155. Si tratta di giovani funzionari pieni d’idee, di entusiasmo, con una preparazione assai aggiornata, e alcuni di loro hanno competenze economiche che ben si applicano, per esempio, in alcuni settori specialistici come nel caso delle “Misure Patrimoniali”, dove è necessaria una conoscenza delle dinamiche aziendali che è più semplice avere con un background di tipo economico che non con uno esclusivamente giuridico. Hanno già dato un grande aiuto e supporto creando uno staff destinato a coadiuvare il magistrato in moltissime attività, a partire dalle più semplici, come quelle relative alla preparazione dei decreti di liquidazione di compensi agli ausiliari del giudice e ai difensori nell’ambito del gratuito patrocinio (attività semplici ma non meno importanti perché lo strumento del gratuito patrocinio serve a consentire anche alle persone meno abbienti di tutelare i propri diritti), ma che si occupano anche della redazione di minute di provvedimenti giuridicamente qualificati. Per quanto riguarda, invece, la sfiducia derivante dalla discutibilità delle sentenze, si tratta di un concetto che deve essere compreso alla luce di un problema più generale, che è quello della prevedibilità delle decisioni giudiziali e della conoscibilità del diritto vivente. In molti settori, così come avviene nell’ambito nelle corti europee, è necessario realizzare una conoscenza collettiva degli orientamenti interpretativi per far sì che chiunque sia incerto se fare o meno causa, conoscendo l’interpretazione prevalente di una norma che di per sé si presta a una pluralità di letture, si renda conto delle probabilità di successo della causa ma anche della possibilità che ha, attraverso nuove argomentazioni, di provocare un cambiamento negli orientamenti giurisprudenziali che si sono formati, perché non esiste la cristallizzazione del diritto. Questo è un metodo che permette al diritto di essere accessibile da tutti e che corrisponde alla visione europea del principio di legalità in cui assume un’importanza fondamentale la conoscibilità, da parte della collettività, non solo della legge ma anche della sua applicazione da parte del giudice. Anche in questo, i funzionari neo-assunti possono dare un grande apporto per la costruzione di banche dati della giurisprudenza accessibili a tutti. È altresì necessario riempire gli organici della magistratura perché ci sono carenze di organico visibilissime: a Palermo, per esempio, su 103 giudici ordinari ne mancano 12. È evidente che questa carenza porta a effetti problematici nel funzionamento della Giustizia anche in settori delicatissimi, in cui sono coinvolti i diritti di persone estremamente vulnerabili».
Problema risolvibile?
«È necessario un grosso impegno nel prossimo futuro, da parte di tutte le istituzioni. Se il CSM deciderà di rendere disponibili, nel prossimo bando per i trasferimenti dei magistrati, i 12 posti di giudice vacanti a Palermo, sono sicuro che verranno immediatamente coperti: l’anno scorso hanno fatto domanda 17 magistrati per due posti. Più in generale, i presupposti per colmare, in tempi brevi, gli organici della magistratura ci sono, la spesa, rispetto al bilancio dello Stato, è limitatissima ma in compenso gli effetti che si possono ottenere sono enormi in termini di fiducia di tutti quelli che hanno domande di giustizia, dalle imprese a tutti i cittadini, che potrebbero vedere realizzati i loro diritti in tempi molto più brevi e al tempo stesso gli stessi Giudici, finalmente, potrebbero vedere il loro lavoro incidere sulla realtà con la necessaria immediatezza. È necessaria, però, una grande presa di coscienza di tutte le istituzioni. Questa nuova fase va progettata con una visione comune anche con l’avvocatura e attraverso una modernizzazione delle forme di reclutamento dei magistrati che permetterebbe di ridurre sensibilmente i tempi della giustizia.. A questo proposito voglio citare una relazione di Giovanni Falcone del 5 novembre 1988 in un convegno a Milano, in cui si segnalano i limiti del sistema di reclutamento. Dopo la sua scomparsa, per tutta una serie di ragioni che sarebbe lungo analizzare, questi limiti si sono accresciuti. Non ultima, vi è la necessità di creare un sistema di assoluta trasparenza dell’attività giudiziaria al fine di allontanare qualsiasi sospetto sulla possibilità di corruzione nell’ambito della magistratura. È evidente come si possa, e si debba, operare per far sì che ogni scelta operata dal Giudice, ad esempio per quanto riguarda l’individuazione dei propri ausiliari, sia basata su parametri oggettivi e conoscibili, tali da valorizzare in maniera inequivocabile le qualità professionali delle persone che vengono a prestare funzioni fondamentali di collaborazione con la giustizia. Simili scelte possono, a loro volta, diventare un fattore d’impulso per la partecipazione delle migliori professionalità in questo campo, proprio perché costruendo un sistema di regole appropriato si può realizzare un forte incentivo per i migliori professionisti che potrebbero rendersi protagonisti di un cambiamento positivo. Ritengo che, proprio in questo momento storico, ci siano importanti potenzialità favorevoli. E’ sempre più diffusa la consapevolezza che in un paese in cui la giustizia ha problemi di funzionalità si creano delle pesanti conseguenze negative sul piano della crescita economica. Un tema emerso negli ultimi anni è che la Giustizia deve necessariamente essere oggetto di un grosso investimento che si basi, soprattutto, sulla valorizzazione delle risorse umane, sulla formazione delle persone, sulla modernizzazione degli strumenti, e, mi permetto di dire, anche sulla crescita di determinati valori».
ROBERTO GRECO Gli Stati Generali 1.9.2022 g