Più coraggio sul registro dei lobbysti

 

 

Di Lionello Mancini

Il fatto è obiettivamente minuscolo, ma non per questo meno intrigante. Purtroppo è anche uno di quei germogli di novità che potrebbe fiorire o appassire. Lo vedremo. 
Il fatto è questo: Riccardo Nencini, viceministro socialista con delega ai Trasporti, ha istituito un registro delle lobby nel ramo di ministero di sua competenza.

Si tratta di una griglia informatica che riporta gli estremi degli appuntamenti del viceministro: con chi si incontra, a quale titolo viene chiesto l’incontro, per quale problema è stato chiesto, di cosa si è effettivamente parlato.
Ogni venerdì il “registro” viene aggiornato sul sito del ministero e, così, chiunque lo voglia potrà controllare l’agenda di Nencini relativamente alle lobby.
Il rapporto tra lobbysti e istituzioni è una delle tante questioni da tempo regolate nei Paesi più avanzati poiché si colloca al crocevia di problemi cruciali come la formazione e la qualità delle leggi, l’equilibrio tra interesse pubblico e interessi privati, la corruzione.
Le lobby attive sul fronte istituzionale sono società o anche persone che vogliono portare all’interno dei processi legislativi, di Governo e amministrativi il punto di vista dei gruppi privati e anche attirare l’attenzione sulle esigenze dei soggetti le cui attività saranno interessate da nuove normative, dalla liberalizzazione o dalla regolamentazione di un settore.

Le lobby possono contribuire più o meno apertamente alle campagne elettorali, possono far eleggere in Parlamento portatori di interessi più o meno diretti di categorie professionali, settori produttivi e commerciali; possono intervenire in molti modi sulla scrittura delle leggi rendendole più efficaci o almeno non dannose, oppure incasinarne i commi e farle inceppare.
Ci sono lobbysti che agiscono alla luce del sole e lobbysti travestiti da avvocati, da giornalisti, da uffici stampa, da consulenti; ci sono lobbysti profondamente competenti nelle materie trattate e affaristi che si basano unicamente o quasi sul potere del denaro elargito sottobanco. 
Se per Nencini quella del registro non è un’iniziativa nuova – ne aveva voluto uno anche da presidente del Consiglio regionale della Toscana –, lo è invece per il ministero di cui fa parte, che nel suo complesso muove notevoli somme di denaro pubblico. 
Se pensiamo alle centinaia di soggetti apicali che operano a Roma nelle istituzioni centrali (dimentichiamo, per un momento, la complicazione delle Regioni), si comprende che il registro di Nencini è una goccia nel mare.
Ma gli interrogativi che solleva questo fatto “obiettivamente minuscolo”, sono obiettivamente strategici.

Il primo interrogativo: se è così semplice e immediato istituire uno strumento di trasparenza, perché lo ha fatto il viceministro con delega ai Trasporti e non anche il sottosegretario, o lo stesso ministro Lupi? E il ministro alla Sanità? E quello all’Economia?
Potremmo continuare con i parlamentari, il Consiglio superiore della magistratura, la Cassazione e il Consiglio di Stato, con tutto ciò che da questi vertici istituzionali discende in termini di Gabinetti, Dipartimenti, Uffici, regolatori e superburocrati vari.
Il secondo interrogativo: quale sarà l’effetto del registro sul mondo delle lobby? Vogliamo sperare che gli squali avvezzi a nuotare sotto il pelo dell’acqua con le mazzette tra i denti ne siano scontenti e svantaggiati, perché una firma, un luogo preciso, un verbale di riunione, li costringerebbe a riaffiorare; ne saranno invece soddisfatti e trarranno maggior forza i gruppi di pressione con tanto di codice etico e governance aderente alla legge 231.
Infatti i lobbysti seri e professionali invocano da tempo una legge, un albo e un registro come quello caparbiamente istituito da Nencini.
L’Europa (come si dice) ce lo chiede e anzi ce lo impone a partire dal 2016; l’Anticorruzione brinderebbe; le Procure avrebbero un po’ di lavoro in meno. Manca soltanto il solito ingrediente: la volontà politica di agire.

 

SOLE 24 ORE 26.1.2015