Agnese, moglie di Borsellino. Storia di un amore e quell’ultima lettera

 

“Caro Paolo, hai lasciato una bella eredità; ho idealmente adottato tanti altri figli, uniti nel tuo ricordo dal nord al sud – non siamo soli.”

Al fianco di un grande uomo, come solo lui lo è stato, non poteva che esserci una grande donna. Una coraggiosa, virtuosa e dignitosa, una che non ha mai smesso di lottare, nonostante quella battaglia le abbia portato via la cosa più preziosa della sua vita, l’amore. Questa è la storia di Agnese Piraino Leto, la moglie di Paolo Borsellino.

Nata a Palermo nel 1941, figlia dell’allora magistrato e presidente del tribunale della città, Agnese conosce e si innamora del giovane e coraggioso magistrato Paolo Borsellino. Un amore forte, inteso, avvalorato dagli stessi ideali che i due condividono. Nel 1968 decidono di convolare a nozze, e da quel matrimonio nasceranno tre figli: Lucia, Fiammetta e Manfredi.

Poi sono arrivate le lotte contro la mafia, le minacce da parte delle associazioni criminali e la consapevolezza che anche Paolo sarebbe potuto diventare una vittima della mafia. Il cerchio si stringe e la spensieratezza lascia spazio all’angoscia. E poi quel 19 luglio del 1992, l’ultimo pranzo insieme a Manfredi e Lucia e un bacio di saluto. Paolo si reca con la sua scorta in Via d’Amelio, a casa della madre e non fa più ritorno. Il resto è storia.

«Tante vite ho vissuto. Prima e dopo Paolo Borsellino, mio marito, il padre dei miei figli. Me l’hanno portato via una domenica di luglio di vent’anni fa, ma è come se fosse ieri. Lo sento ancora avvicinarsi: mi sorride, mi fa una carezza, mi dà un bacio, poi esce accompagnato dagli agenti di scorta. E non c’è più, inghiottito da una nuvola di fumo che vorrebbe ingoiare tutta la città». (Agnese Borsellino nel libro “Ti racconterò tutte le storie che potrò”)

Paolo Borsellino con la famiglia

Agnese, moglie di Borsellino

Durante tutte le lotte di Borsellino, Agnese è restata al suo fiancosupportandolo anche quando la consapevolezza che il marito fosse finito nel mirino dell’associazione era dilaniante. Di tutte le scelte coraggiose prese dalla donna, la più esemplare è stata proprio quella di accettare, per amore di Paolo, la sua stessa morte.

Da quel maledetto giorno, quello della strage di via D’Amelio, nonostante un dolore troppo grande da sopportare, portato nel cuore con estrema riservatezza, non ha mai smesso di portare avanti l’ideale di suo marito. Anzi, per lui ha continuato a sperare e a lottare per la voglia di giustizia e di verità.

Avrebbe potuto arrabbiarsi, incolpare lo Stato di non aver fatto abbastanza, urlare contro il mondo per il silenzio e l’omertà, per il poco coraggio di altri, e per il troppo coraggio di suo marito, ma non lo ha fatto. Anche quando lo sapeva e cercava di rassicurare Paolo del fatto che sarebbe andato tutto bene. Anche quando lui decideva di uscire da solo, e senza scorta, per non mettere in pericolo altre persone. Anche quel 19 luglio, dopo il loro ultimo pranzo insieme.

Lo sapeva, eppure in lei è rimasta radicata la volontà di continuare la lotta di suo marito. E lo ha fatto con riservatezza ed eleganza, con rispetto. Rifiutando di partecipare ai salotti televisivi e scegliendo di presenziare, invece, solo a cerimonie pubbliche e di commemorazione.

Ed è proprio in occasione del premio intitolato al marito che la vedova del giudice Borsellino ha scritto una lettera ai giovani. Per ricordare la memoria di Paolo, per chiedere di non dimenticare.

Carissimi giovani, mi rivolgo a voi come ai soli in grado di raccogliere davvero il messaggio che mio marito ha lasciato, un’eredità che oggi – ha scritto la donna – Dopo alcuni momenti di sconforto ho continuato e continuerò a credere e rispettare le istituzioni di questo Paese, perché mi rendo conto che abbiamo il dovere di rispettarle e servirle come mio marito sino all’ultimo ci ha insegnato, non indietreggiando nemmeno un passo di fronte anche al solo sospetto che può avere avuto di essere stato tradito da chi invece avrebbe dovuto fare quadrato attorno a lui.

Ha poi continuato: Io e miei figli non ci sentiamo persone speciali, non lo saremo mai, piuttosto siamo piccolissimi dinanzi la figura di mio marito che ribadisco ancora una volta, anche a molti di voi che non eravate nati l’anno delle stragi, non è voluto sfuggire alla sua condanna a morte, ha donato davvero consapevolmente il dono più grande che Dio ci ha dato. Io non perdo la speranza in una società più giusta ed onesta, sono anzi convinta che sarete capaci di rinnovare l’attuale classe dirigente e costruire una nuova Italia, l’Italia del domani.

La vedova nazionale

Agnese Piraino Leto immaginava probabilmente un destino diverso, per lei e per la sua famiglia. Probabilmente, se avesse potuto scegliere, avrebbe sicuramente evitato la grande esposizione che invece ha subìto, prima come compagna di un magistrato, poi come vedova nazionale.

Il lutto doloroso della perdita del suo grande amore non ha potuto affrontarlo ed elaborarlo con il tempo e con il silenzio, perché la sua sofferenza si è trasformata in un affare di Stato. Gli stessi ricordi di quella giornata sono stati ascoltati, setacciati, diffusi e poi ascoltati ancora. Dal Tribunale, dai giornali, dal pubblico.

L’eredità di Agnese e l’ultima lettera a Paolo

Agnese è morta nel 2013 a seguito di una lunga malattia. Prima di morire, però, ha lasciato un regalo a tutta la cittadinanza con un libro intitolato Ti racconterò tutte le storie che potrò. Una biografia emozionante e intensa che è stata portata alla luce dalla penna del giornalista Salvo Palazzolo.

Un vero e proprio dono per tutti coloro che, attraverso quelle parole, sono riusciti a vedere quel “sole bellissimo che entra dalle finestre di casa nostra”come ha raccontato Agnese a pagina 25, riferendosi a quei giorni sereni di via Cilea, prima che il giudice diventasse “prigionerio”.

Un’altra eredità, lasciata da Agnese, è quella lettera scritta e dedicata a Paoloin occasione del ventennale della sua scomparsa, per ringraziarlo per tutto quello che è stato: un padre modello, un marito premuroso, un fedele servitore dello Stato, un cittadino modello e un uomo saggio e puro.

Caro Paolo, da venti lunghi anni hai lasciato questa terra per raggiungere il Regno dei cieli, un periodo in cui ho versato lacrime amare; mentre la bocca sorrideva, il cuore piangeva, senza capire, stupita, smarrita, cercando di sapere. Mi conforta oggi possedere tre preziosi gioielli: Lucia, Manfredi, Fiammetta; simboli di saggezza, purezza, amore, posseggono quell’amore che tu hai saputo spargere attorno a te, caro Paolo, diventando immortale. Hai lasciato una bella eredità, oggi raccolta dai ragazzi di tutta Italia; ho idealmente adottato tanti altri figli, uniti nel tuo ricordo dal nord al sud – non siamo soli.

Desidero ricordare: sei stato un padre ed un marito meraviglioso, sei stato un fedele, sì un fedelissimo servitore dello Stato, un modello esemplare di cittadino italiano, resti per noi un grande uomo perché dinnanzi alla morte annunciata hai donato senza proteggerti ed essere protetto il bene più grande, “la vita”, sicuro di redimere con la tua morte chi aveva perduto la dignità di uomo e di scuotere le coscienze. Quanta gente hai convertito!!! Non dimentico: hai chiesto la comunione presso il palazzo di giustizia la vigilia del viaggio verso l’eternità, viaggio intrapreso con celestiale serenità, portando con te gli occhi intrisi di limpidezza, uno sguardo col sorriso da fanciullo che noi non dimenticheremo mai. In questo ventesimo anniversario ti prego di proteggere ed aiutare tutti i giovani sui quali hai sempre riversato tutte le tue speranze e meritevoli di trovare una degna collocazione nel mondo del lavoro.

Dicevi: ‘Siete il nostro futuro, dovete utilizzare i talenti che possedete, non arrendetevi di fronte alle difficoltà’. Sento ancora la tua voce con queste espressioni che trasmettono coraggio, gioia di vivere, ottimismo. Hai posseduto la volontà di dare sempre il meglio di te stesso. Con questi ricordi tutti ti diciamo ‘grazie Paolo’.