Cosa Nostra e i «concorrenti esterni»
Conclusione: l’attacco era diretto a colpire, indebolire e ricattare lo Stato, a influenzare la politica e la società civile al fine di creare le condizioni per un cambio di passo nelle relazioni tra mafia e istituzioni. Con l’obiettivo di trasformare Cosa nostra in Cosa nuova, da ricostruire su legami più alti, che guardino ai salotti buoni di imprenditoria, alta finanza, interessi internazionali. Una mafia che vada oltre i confini storici, questo era il traguardo ultimo delle bombe, alle quali vanno aggiunti altri fatti di sangue che si sono succeduti in quel periodo. Come l’omicidio di don Dino Puglisi (15 settembre ‘93) e l’attentato al collaboratore Totuccio Contorno (aprile ‘94). Va poi ricordata la strage fallita dello stadio Olimpico di Roma, dove il 23 gennaio 1994 un’auto carica di esplosivo doveva saltare per aria accanto al presidio dei carabinieri, scampati all’eccidio grazie a un difetto d’innesco dell’ordigno.
Fra gli strateghi mafiosi indiscussi Matteo Messina Denaro, simbolo di una mafia in evoluzione che quell’anno subì l’arresto di Totò Riina. Messina Denaro era un fedelissimo del boss dei boss insieme con i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, figure emerse prepotentemente in quegli anni e centrali rispetto al disegno stragista. «Non si deve commettere l’errore di separare i fatti del 1993 dagli attentati del 1992 a Falcone e Borsellino e dai delitti Lima e Salvo — puntualizza Antonino Di Matteo, magistrato di punta nella lotta alla mafia —. Una catena di sette stragi che risponde a una finalità politica di Cosa nostra, nel momento in cui i capi si rendono conto che la vecchia classe politica referente aveva tradito i patti».
CORRIERE DELLA SERA 16,5.2023
Ferruccio Pinotti restituisce il vivido affresco di una torbida vicenda criminale, soffermandosi sui rapporti che Cosa nostra intrattiene con entità esterne al suo perimetro e riportando i racconti e le testimonianze inedite di chi ha provato a fermare quei mafiosi, di chi ne è rimasto vittima, di chi si impegna tuttora a rintracciare i colpevoli.
Intorno alle stragi del 1993, nonostante i trent’anni trascorsi e le numerose sentenze giunte all’ultimo grado di giudizio, permangono ancora molti misteri e opacità. Tanto che sono tuttora in corso inchieste sui «concorrenti esterni» per la collocazione delle bombe esplose a Firenze, Milano e Roma che causarono dieci morti e centosei feriti. A ricostruire le inchieste nei particolari ed evidenziarne il rilievo è ora questo libro che segue il filo rosso che porta agli assassini di Falcone e Borsellino ma anche a quello di don Pino Puglisi. Nella cornice storica e investigativa si stagliano gli indiscussi strateghi mafiosi di quei fatti drammatici. Innanzitutto Matteo Messina Denaro, a lungo latitante, simbolo di una mafia in evoluzione che di lì a poco si trasformerà in una «Cosa nuova», fatta di legami con i «salotti buoni» dell’imprenditoria, di infiltrazioni nel mondo dell’alta finanza, di proiezioni e interessi internazionali. Oltre a lui emergono figure come i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, i boss di Brancaccio. Il primo regista di complesse operazioni finanziarie. Il secondo vero e proprio «gemello diverso» del trapanese Messina Denaro. Tutti e tre irriducibili uomini di fiducia del boss Totò Riina. E depositari di indicibili segreti.