Berlusconi e quella vignetta che sta facendo rivoltare nella tomba Falcone e Borsellino

 

Un intreccio di storie e Storia che parte negli anni ’80 e finisce, o continua, oggi: dal comunismo della Guerra Fredda a Berlusconi, passando per Falcone e Borsellino

 

Oggi, in occasione dei funerali di Stato di Silvio Berlusconi, è stato proclamato il lutto nazionale. E puntuali, come un orologio svizzero, sono arrivate le polemiche. Tra tutte ne spicca una che farebbe ridere, se non fosse che parliamo dei due magistrati uccisi negli anni ’90 dalla mafia e sui cui cadaveri gli sciacalli si sono avventati fin dal primo istante.

La vignetta, in basso, mostra Falcone e Borsellino in paradiso, stupiti per il fatto che per Silvio Berlusconi sia stato proclamato il lutto nazionale e per loro no. Chi ha ideato la vignetta, con molta probabilità, ha le idee alquanto confuse. Il lutto nazionale, infatti, è una decisione del governo di turno. E nel ’92 al governo non c’erano di certo Meloni e Salvini, maprima Andreotti a poi Amato. Potremmo chiedere a loro, perché non abbiano optato per il lutto nazionale. Anche se forse chiedere ad Andreotti, ora, risulterebbe un tantino difficoltoso.

Falcone e Borsellino

Ma se il tutto si fosse limitato solo a questa vignetta il danno sarebbe minimo. Accade però che da giorni, sempre sui social, in opposizione alla commozione di milioni di italiani per la morte di un personaggio che, volenti o nolenti, ha segnato le sorti dell’Italia e l’ha modellata, salvandola di fatto dal pericolo comunista dopo la caduta del muro di Berlino e la fine della Guerra Fredda, molti stiano postando foto di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Quasi come se fosse Berlusconi la causa della loro morte. Ma questo punto, complesso e con lati rimasti tutt’ora un mistero, è difficile da sbrogliare, dunque andiamo con ordine.

“Mio padre non era di sinistra”

Le figure di Falcone e Borsellino, di cui la sinistra post caduta del muro di Berlino si è impossessata facendole proprie, sono in realtà un’ipocrisia elevata all’ennesima potenza. “Mio padre di sinistra non lo era di certo“. Lo disse Manfredi Borsellino nel 1994, ovvero due anni dopo la strage di via D’Amelio in cui suo padre venne trucidato. Non solo, da giovane studente Paolo Borsellino si iscrisse al Fuan, l’organizzazione universitaria del Msi. E il 19 maggio 1992 l’Msi votò Borsellino come capo dello Stato di bandiera. Quattro giorno dopo Falcone venne ucciso. E dopo qualche settimana fu la volta dell’amico Paolo.

Il Giornale lo definì, tempo fa, “un’icona di destra strattonata da una sinistra che continua a tentare di usare lui e che ha usato e buttato via alcuni dei suoi affetti più cari“.

L’inchiesta ‘Mafia e appalti’ e le domande di Borsellino rimaste senza risposta (perché venne ucciso)

Di recente, dopo che il tribunale ha smontato completamente il teorema della Trattativa Stato-Mafia, il generali Mori, in seguito ad una lunga gogna mediatica, ha deciso di svelare molte carte rimaste coperte per troppo tempo. Secondo l’ufficiale dell’Arma il governo deve creare “”na Commissione parlamentare di inchiesta sull’inchiesta ‘mafia e appalti’ per andare a fondo. Perché, se come ha detto la sentenza del processo Borsellino quater, l’inchiesta mafia e appalti è la causa della strage, mi sembra doveroso per i morti e i vivi che si trovi la verità”.

Ma cosa è il dossier ‘mafia e appalti’?

Nel 1989 la Procura di Palermo concede al Ros dei Carabinieri una delega allo scopo di accertare “la sussistenza, l’entità e le modalità di condizionamenti mafiosi nel settore degli appalti pubblici nel territorio della provincia di Palermo”. Cosa significava? Semplice: che c’erano dei “condizionamenti” di Cosa nostra negli appalti pubblici. Un triangolo formato da mafia, imprenditori e politica che veniva messo nero su bianco per la prima volta. Su quella indagine Mori, insieme al capitano Giuseppe De Donno, tra il 1990 e l’inizio del 1991, lavorò per mesi.

Saltiamo poi al 14 luglio 1992, quando si tenne in Procura a Palermo un briefing tra magistrati. Paolo Borsellino chiese notizie sull’inchiesta ‘Mafia e appalti’. Nessuno, in quell’occasione, disse a Borsellino, il quale si era fatto portavoce delle lamentele dei Ros, che era già stata firmata la proposta dell’archiviazione. I pm titolari di quell’indagine avevano già avanzato richiesta di archiviazione sulle posizioni degli imprenditori.

L’insabbiamento dell’inchiesta

Quel dossier, in sostanza, venne insabbiato. E avvenne poco prima che si profilassero le infamanti accuse sulla presunta trattativa Stato-Mafia. Che oggi si è rivelata praticamente inesistente. L’indagine mafia-appalti venne archiviato nell’estate del 1992, quando, come ebbe a dire l’avvocato della famiglia del giudice Fabio Trizzino al processo depistaggio, “stavano ancora chiudendo la bara di Paolo Borsellino e dei suoi angeli custodi“.

Falcone e Borsellino lasciati soli, ma non da tutti

Questi sono i fatti noti. Veniamo ora alle evidenze di cui nessuno ama parlare. Dopo la morte di Falcone e Borsellino tutti, da ogni parte politica, si affrettarono a farne dei vessilli. Le loro figure, abusate e sovraesposte, sono state usate da chiunque, cani e porci. Eppure, se andiamo a leggere le cronache degli anni precedenti alle stragi, tutti li avevano abbandonati:politici, giornalisti, magistrati compiacenti. Abbandonati anche da quei politici socialisti e comunisti che, dopo la cruciale caduta del muro di Berlino e l’ascesa politica di Silvio Berlusconi, si sentivano in pericolo: quell’ago della bilancia italiano che fino al 1989 pendeva verso il comunismo, si stava lentamente spostando verso destra. Verso la libertà delle idee, verso la modernità dei valori.

Era un pericolo e quel pericolo andava eliminato. Come? Anche, tra i tanti modi, grazie ai magistrati compiacenti. Un’accusa al momento giusto e alla persona giusta, e il gioco era fatto. (Che poi è un po’ quello che è successo a Berlusconi, accusata decine di volte e condannato, in parte, una sola volta). Tra le fila di questi magistrati allineati, però, non c’erano mai stati Falcone e Borsellino. Vennero abbandonati per questo, e anzi si diede man forte a quelle dita che fecero saltare il tritolo sotto alle loro automobili.

Non tutti, però, li abbandonarono. I giornalisti dell’allora Fininvest creata da Silvio Berlusconi davano loro spazio e voce. Falcone, ancora più che Borsellino, era tra gli ospiti preferiti da Maurizio Costanzo nel suo noto e amato show. Costanzo, nel 1993, subì persino un attentato per questa sua presa di posizione, mantenuta anche dopo le Stragi. E Costanzo lavorava per Berlusconi. Era espressione di Berlusconi. Ma gli italiani dimenticano. Gli italiani amano fingere di vivere di grandi valori dei quali non conoscono nemmeno il significato. E amano pensare che il mondo sia fatto da bene e male che si contrappongono in maniera netta.

Il Fascismo, morto e sepolto e che ormai è rimasto solo nell’animo di qualche nostalgico, viene puntualmente ripescato dal cappello come uno spauracchio. E si tenta, da più parti, di usarlo come sinonimo di destra. Perché serve un nemico comune, e quello è comodo da usare: ha già fatto danni in Italia, e non solo, e quasi tutti, indiscriminatamente, lo aborrano. Della serie: ti piace vincere facile! Peccato che la destra, dal dopoguerra in poi, sia tutt’altro che fascismo. E prima o poi lo capiranno anche i comunisti. Forse.

E’ lecito, su Berlusconi, dare giudizi politici negativi: come ogni altra forma di espressione umana, anche la politica è soggetta ad opinione e a gusto. Ma per trovare i responsabili politici delle stragi di Capaci e via D’Amelio bisogna guardare verso ben altri lidi. Forse, dall’altro lato della barricata. Perché quell’agendina rossa di Borsellino non era rosso comunista, ma rosso sangue. E il sangue, si sa, a volte lava via la verità ma non i peccati di chi si traveste da angelo.