di Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo
– 14 maggio 2013
Giuseppe Ayala: parole, parole, parole.Con un salto indietro nel tempo di 12 anni ci addentriamo nei labirinti delle dichiarazioni di Giuseppe Ayala. In un verbale dell’8 aprile 1998 Ayala fornisce la sua prima versione dei fatti. L’ex pm dichiara di aver udito perfettamente lo scoppio dell’autobomba quel 19 luglio 1992 in quanto abitante al residence Marbella, a meno di 200 metri da via d’Amelio. Secondo la sua prima ricostruzione dopo circa dieci minuti dall’esplosione scende in strada insieme ai suoi agenti di scorta per verificare l’accaduto. Una volta giunto in via d’Amelio comincia ad accorgersi dei pezzi di cadaveri per terra. Vede due macchine blindate. Il suo pensiero va subito a Paolo Borsellino.
A detta dell’ex parlamentare in quel momento arrivano i pompieri. Ayala si trova in prossimità del cratere. Si avvicina alla Croma. «Tornai indietro verso la blindata della procura – racconta ai magistrati – anche perché nel frattempo un carabiniere in divisa, quasi certamente un ufficiale, se mal non ricordo aveva aperto lo sportello posteriore sinistro dell’auto». «Guardammo insieme in particolare verso il sedile posteriore – afferma Ayala – dove notammo tra questo e il sedile anteriore una borsa di cuoio marrone scuro con tracce di bruciacchiatura e tuttavia integra, l’ufficiale tirò fuori la borsa e fece il gesto di consegnarmela. Gli feci presente che non avevo alcuna veste per riceverla e lo invitai pertanto a trattenerla per poi consegnarla ai magistrati della procura di Palermo… Davanti a me la borsa non fu mai aperta… non so poi a chi di fatto sia stata consegnata…». Nelle dichiarazioni dell’ex pm non v’è alcuna traccia dell’apertura della portiera della Croma di Borsellino effettuata dal suo agente di scorta Rosario Farinella. «Subito dopo – continua Ayala nel suo racconto – mi diressi verso lo stabile. In prossimità dell’ingresso, sulla sinistra per chi lo guardava, inciampai in un troncone umano che solo successivamente capii essere quello del collega Borsellino. Nel frattempo arrivarono infatti i colleghi Lo Forte e Natoli e insieme cercammo conferma del sospetto che già avevamo. Dalle caratteristiche somatiche riconoscemmo Paolo Borsellino. L’arrivo dei colleghi sul posto ebbe luogo, stimo, circa venti minuti dopo che vi ero giunto io. […] Complessivamente pertanto rimasi sul posto circa un’ora, forse anche meno».
A distanza di quasi dieci anni l’ex pm ritocca palesemente il contenuto dei suoi ricordi. E’ il 12 settembre 2005 quando si siede davanti agli investigatori nisseni per riannodare i fili della sua memoria. Ayala arriva addirittura ad affermare di aver prelevato personalmente la borsa del giudice dalla sua macchina e di averla affidata immediatamente a un ufficiale dei carabinieri senza però ricordare se quest’ultimo indossasse o meno una divisa. «Notai – sottolinea Ayala – che lo sportello posteriore sinistro dell’autovettura (di Paolo Borsellino, nda) era aperto. Scorsi sul sedile posteriore una borsa di pelle bruciacchiata. Istintivamente la presi, ma mi resi subito conto che non avevo alcun titolo per fare ciò per cui ricordo di averla affidata immediatamente ad un ufficiale dei carabinieri che era a pochi passi. Nell’affidargli la borsa gli spiegai che probabilmente era la borsa appartenente al dottore Borsellino». A quel punto gli inquirenti chiedono all’ex pm un approfondimento sull’ufficiale dei carabinieri al quale avrebbe consegnato la borsa di Paolo Borsellino. «Per quanto ricordo – replica laconico Ayala – la persona a cui consegnai la borsa era un ufficiale dei carabinieri ed era in divisa, perché diversamente non avrei potuto identificarlo come tale. Non riesco a ricordare se si trattasse della formale divisa oppure di una casacca come quelle che vengono adoperate in tali circostanze, comunque, per quanto posso ricordare tenuto conto del tempo trascorso e dell’emozione del momento, non conoscevo l’ufficiale in questione». I magistrati gli mostrano allora la foto del capitano Arcangioli, ma Ayala non lo riconosce. «Non ricordo di aver mai conosciuto, né all’epoca né successivamente il capitano Arcangioli. Non posso escludere ma neanche affermare con certezza che detto ufficiale sia la persona alla quale io affidai la borsa – osserva –. Per quanto posso sforzarmi di ricordare mi sembra che la persona alla quale affidai la borsa fosse meno giovane, ma può darsi che il mio ricordo mi inganni. Insisto comunque nel dire che l’ufficiale ricevette la borsa e poi andai via. Escludo comunque in modo perentorio che all’inverso sia stato l’ufficiale di cui si parla a consegnare a me la borsa». Gli investigatori chiedono all’ex parlamentare quali altre personalità istituzionali ricordi presenti in via d’Amelio in quei momenti e quali altri dettagli ricordi sulla borsa prelevata. «Sul posto – risponde Ayala – non ricordo esattamente quali magistrati fossero presenti. Posso solo ricordare la presenza del dottore Lo Forte, che fu colto da crisi di pianto, e ricordo anche che era presente il dottore Teresi (che invece asserisce di essere arrivato in via d’Amelio un’ora e mezza dopo lo scoppio della bomba, nda). Complessivamente credo di essere rimasto in via d’Amelio per non più di 20 minuti». «La borsa da me prelevata – evidenzia Giuseppe Ayala – era bruciacchiata ma apparentemente integra. Non era particolarmente pesante, nel senso che il suo contenuto non sembrava avere un grosso spessore». Anche in questo caso l’evidenza che le sue dichiarazioni non coincidono con le altre testimonianze diviene sempre più palpabile.
Il confronto Ayala/Arcangioli
Alle 16,15 di mercoledì 8 febbraio 2006 Giuseppe Ayala viene sentito nuovamente dall’autorità giudiziaria. Come primo atto gli vengono riletti i suoi due verbali del 1998 e del 2005. La palese contraddizione tra i due verbali viene riconosciuta dallo stesso Ayala che ammette la «discordanza» tra le sue affermazioni. «Successivamente a tali dichiarazioni – spiega l’ex pm agli inquirenti – sono stato contattato, specificatamente nella giornata di ieri, dal giornalista Felice Cavallaro il quale, come ho già riferito, giunse sul posto dell’attentato dopo che vi ero arrivato io e che quindi mi ha riferito ieri, di avere assistito all’episodio della borsa. Verificando insieme i nostri ricordi ritengo di avere ricostruito l’episodio così come si è effettivamente verificato». Nel suo nuovo resoconto non è più lui a prelevare la borsa, ma un agente rigorosamente in borghese. «Ebbi modo di vedere una persona in abiti borghesi che non sono in grado di descrivere neanche nell’abbigliamento ma che comunque è certo che non fosse in divisa la quale prelevava dall’autovettura attraverso lo sportello posteriore sinistro una borsa. Io mi trovavo a pochissima distanza dallo sportello e la persona in divisa si volse verso di me e mi consegnò la borsa». «Poichè ero già in posizione di fuori ruolo dalla magistratura per mandato parlamentare – ribadisce Ayala – non avevo alcun titolo per ricevere detta borsa e quindi, dato che accanto alla macchina vi era anche un ufficiale dei carabinieri in divisa, quasi istintivamente la consegnai al predetto ufficiale». I magistrati chiedono di conoscere ulteriori dettagli, ma l’ex parlamentare continua ad avere grandi difficoltà a mettere insieme una volta per tutte i ricordi di quella giornata. «Non ricordo assolutamente – prosegue Giuseppe Ayala – se con i due personaggi di cui ho detto sia stata scambiata parola o espressione; subito dopo aver consegnato la borsa all’ufficiale in divisa mi allontanai dai luoghi per raggiungere i miei figli». Gli inquirenti insistono per farsi raccontare la scena del rinvenimento della borsa di Paolo Borsellino. «In mia presenza – replica Ayala smentendo Arcangioli – la borsa non fu aperta né vi fu alcuna attività diretta a verificarne il contenuto; tutto l’insieme durò lo spazio di una trentina di secondi, forse un minuto. Non conoscevo, e tuttora non ho mai avuto modo di conoscere né l’ufficiale in divisa né la persona in borghese di cui ho detto. Non lo ho riconosciuto neanche nella fotografia che mi viene mostrata». A quel punto viene disposto il confronto tra Giuseppe Ayala e Giovanni Arcangioli. L’ufficiale dei carabinieri rientra nella saletta della Dia adibita agli interrogatori per essere ascoltato la terza volta. Arcangioli ripercorre il filo delle sue dichiarazioni plasmando nuovamente la precedente versione. Riepilogando l’accaduto l’ufficiale ricorda di avere preso la borsa dall’auto del giudice Borsellino per «esortazione ricevuta» da una persona di cui non ricorda il nome, di essersi spostato verso il lato opposto alla casa del dott. Borsellino e dopo aver visionato il contenuto della borsa (trovandovi «solo un crest e pochi altri oggetti di nessuno interesse») di averla rimessa lui stesso o qualcun altro nella macchina di Borsellino. Gli inquirenti tornano a chiedere maggiori dettagli sul momento specifico del rinvenimento della borsa del giudice. Arcangioli ritiene plausibile che nell’istante della verifica del contenuto della borsa «fosse presente il dottore Ayala e, forse, anche un’altra persona di cui non so indicare alcun elemento significativo». «Credo di ricordare – insiste l’ufficiale dei carabinieri – anche come ho già detto, che il prelievo della borsa mi fu richiesto dal dottore Ayala e che alla verifica del contenuto era presente anche il dottore Ayala». I magistrati chiedono quindi ad Ayala di reiterare succintamente la versione dei fatti precedentemente dichiarata. Questa volta la versione fornita dall’ex parlamentare mira decisamente a contraddire l’esposizione dell’accaduto fatta da Arcangioli. Dopo avere ribadito le dichiarazioni rese qualche ora prima Ayala si determina a smontare la testimonianza dell’ufficiale dei carabinieri. «Nego – sottolinea con forza l’ex pm del Maxiprocesso – sia di avere comunque richiesto il prelievo della borsa, sia di avere in qualsiasi modo aperto la borsa stessa o visionato il contenuto della predetta. Per altro, in contrasto con quanto ha affermato il col. Arcangioli io in quella circostanza non ho mai attraversato la via d’Amelio e non mi sono mai portato sul lato opposto rispetto alla casa della madre di Borsellino». Gli inquirenti chiedono allora a Giovanni Arcangioli di chiarire se effettivamente abbia rivolto la parola ad Ayala in quella occasione. L’ufficiale dei carabinieri “lima” la sua precedente versione sconfinando nel campo delle ipotesi. «Non ricordo se fra me e il dottore Ayala vi fu un qualsivoglia scambio di parole o espressioni – replica sommessamente Arcangioli – io conoscevo il dottore Ayala ma non ricordo se in quella occasione gli rivolsi la parola». Ayala non ci sta. Interviene e puntualizza la sua versione. «Non credo di avere mai conosciuto in precedenza il col. Arcangioli che credo di aver incontrato oggi per la prima volta. Non sono in grado di affermare o escludere che lo stesso col. Arcangioli si identifichi nella persona in borghese che estrasse la borsa dall’autovettura». Punto e a capo. Si conclude così un confronto definito dagli stessi magistrati «infruttoso», che non riesce a fare luce sulle rispettive contraddizioni in quanto, così come riporta il verbale, «i testi insistono nelle rispettive versioni». Il 23 febbraio 2006 viene sentito l’inviato del Corriere della Sera Felice Cavallaro. La sua versione si adatta ineluttabilmente all’ultima di Ayala. «Giunto al palazzo dove abita la madre del dottore Borsellino – racconta il cronista – ho visto Ayala che usciva gravemente turbato dal giardinetto antistante l’edificio dove poi appresi essere stati rinvenuti i resti del dottore Borsellino. Davanti al giardinetto, in mezzo alla strada vi era un’autovettura che appresi successivamente essere del dottore Borsellino che appariva con lo sportello posteriore sinistro aperto». Il particolare della portiera aperta temporizza inevitabilmente l’avvenimento in sé ponendolo successivo al racconto dell’agente di scorta di Ayala, Rosario Farinella, che per primo si fa aiutare da un vigile del fuoco ad aprire l’auto di Paolo Borsellino. «Per quanto posso ricordare – continua Cavallaro – l’autovettura non era in fiamme e nemmeno da essa si levava fumo. Io e il dottore Ayala ci fermammo per qualche momento vicino all’autovettura di cui ho detto scambiandoci commenti sull’accaduto». «A questo punto – ricorda il giornalista del Corriere – vidi una persona ancor giovane di età che indossava abiti civili con una camicia estiva e senza giacca il quale prelevava dall’autovettura del dottore Borsellino una borsa di cuoio che era posata sul pianale posteriore sinistro, dietro lo schienale dell’autista. La persona di cui ho detto prese la borsa e stava per consegnarla al dottore Ayala il quale, per quanto possa ricordare, non arrivò neanche ad impugnarla saldamente ma nel momento in cui ne sfiorava il manico venne preso dal dubbio di non essere a ciò autorizzato, dato che non rivestiva più la qualità di magistrato». «Vidi pertanto il dottore Ayala, quasi con lo stesso movimento, consegnare la borsa ad un ufficiale dei carabinieri in divisa che si avvicinò in quel momento». Gli inquirenti chiedono quindi a Cavallaro ulteriori dettagli sul carabiniere in divisa che si avvicina a loro. «L’ufficiale – risponde il cronista – indossava la divisa estiva dei carabinieri completa della giacca. Si trattava di un colonnello o di un tenente colonnello perché le spalline portavano il contrassegno di una torre e comunque certamente non si trattava di un capitano perché non aveva le tre stelle che io riconosco. Dopo che il colonnello prese in consegna la borsa non ci siamo più interessati della questione perché il dottore Ayala riteneva di avere fatto quanto necessario consegnando il reperto ai carabinieri». I magistrati mostrano a quel punto una foto in bianco e nero di Giovanni Arcangioli in via d’Amelio chiedendo se sia in grado di riconoscere nell’immagine mostratagli la persona che estrae dall’auto la borsa del giudice Borsellino. Cavallaro però riferisce di non essere in grado di riconoscerla anche perché «la persona indicata nella fotografia ha un distintivo delle forze dell’ordine» e lui non ricorda che la persona vista in quel frangente «recasse su di sé un tale contrassegno». «Chiarisco – ribadisce l’inviato del Corriere – che io all’epoca dei fatti non conoscevo il capitano dei carabinieri Arcangioli che, invece, ho avuto modo successivamente di conoscere sia pure superficialmente. Pertanto la mia affermazione di poco prima va interpretata nel senso che io ho riconosciuto nella fotografia l’immagine del capitano Arcangioli ma, come ho detto, non lo identifico con la persona che estrasse dall’autovettura la borsa del dottore Borsellino». «Chiarisco ancora – conclude Cavallaro – che per quanto ho potuto vedere, il colonnello dopo avere ricevuto la borsa dal dottore Ayala si allontanò con la borsa stessa, nel senso che in mia presenza non la restituì alla persona che l’aveva estratta dalla macchina». Anni dopo è lo stesso Cavallaro a raccontare in un’intervista gli attimi cruciali di quella domenica di fine luglio del ’92 in via d’Amelio aggiungendo il particolare di avere tenuto anche lui per pochi istanti la borsa di Paolo Borsellino. «Erano già trascorsi tre quarti d’ora dall’esplosione – racconta il cronista al collega che lo sta intervistando – e la portiera posteriore della macchina di Borsellino era spalancata. Lì, tra il sedile anteriore e quello posteriore c’era la sua borsa. A un certo punto un agente in borghese la prese e vedendomi, forse mi credeva un uomo della scorta di Ayala, me la diede in mano. Solo pochi attimi. Mi girai verso Ayala, vedendo un carabiniere in divisa, fu lo stesso Ayala che disse: “Ma questa dovrebbe tenerla lei”. Fu così che la consegnammo. Quando fu ritrovata mancava l’agenda rossa di Borsellino». In un’intervista del 23 luglio 2009 Giuseppe Ayala ritorna inspiegabilmente alla sua seconda versione. «La borsa nera di Borsellino l’ho trovata io – dichiara l’ex parlamentare – dopo l’esplosione, sulla macchina. Che ci fosse, nessuno lo può sapere meglio di me, perché l’ho presa io. Non l’ho aperta io perché ero già deputato e non avevo nessun titolo per farlo. […] Quando l’ho trovata l’ho consegnata ad un ufficiale dei carabinieri. E’ verosimile che l’agenda fosse dentro la borsa e che sia stata fatta sparire». Il 30 luglio del 2010 un sito Internet pubblica un’altra intervista a Giuseppe Ayala. Questa volta la narrazione del ritrovamento della borsa di Paolo Borsellino acquisisce un nuovo dettaglio. «Ho preso la valigetta (del dott. Borsellino, nda), ma l’ho consegnata subito ad un ufficiale dei carabinieri che compare in un video mentre si allontana». Nell’ultimissima versione di Ayala quindi, il carabiniere al quale consegna la borsa sarebbe l’ufficiale ripreso nei filmati acquisiti dall’autorità giudiziaria. Ma il video che riprende un uomo delle forze dell’ordine con la valigetta di Paolo Borsellino in mano riguarda un solo carabiniere: Giovanni Arcangioli.
Tratto dal libro: “Gli ultimi giorni di Paolo Borsellino” (Bongiovanni – Baldo, ed. Aliberti)