di Nino Amadore – Sole 24 ore 19.7.2019
Genchi venne fermato, cosa resta da scoprire
Genchi in quegli anni era direttore della zona telecomunicazioni del ministero dell’Interno per la Sicilia occidentale e dirigente del nucleo anticrimine sempre per la Sicilia occidentale. Ma soprattutto Genchi era ed è un superesperto di informatica e intercettazioni ed è lui che crea l’architrave dei controlli operativi sui telefoni nell’immediatezza delle stragi, controllando le utenze delle vittime ma soprattutto dei boss: una vera e propria rete calata su Palermo. Peccato che quel lavoro non sia stato completato: Genchi viene fermato e lascia il gruppo guidato da La Barbera. Quel materiale raccolto in quei drammatici mesi, sistematizzato e organizzato potrebbe cominciare a “parlare” raccontandoci pezzi di verità fin qui rimaste nascoste e che rischiano di cadere nell’oblio. Già nel dicembre 1992 Genchi, analizzando i dati di traffico dei giorni delle stragi , aveva proceduto all’identificazione di Gaspare Spatuzza, individuando pure il numero del cellulare di cui si era servito per contattare i suoi complici. Genchi si era riservato di eseguire su quella e su altre utenze ulteriori accertamenti, che non sono stati più proseguiti dopo la sua fuoriuscita dal gruppo nel maggio 1993. Insomma la responsabilità di Spatuzza era già stata individuata ma era più utile o più comodo a qualcuno far cadere la responsabilità su Scarantino con una sceneggiata smentita dai processi.
E non è ancora finita. Ci si chiede dunque oggi cosa potrebbe venir fuori riprendendo in mano i 136mila record raccolti con le intercettazioni nel dopo stragi oppure rileggendo tutti i fascicoli e i rapporti del Gruppo Falcone Borsellino. «Bisogna evitare che continuino a formarsi altri vuoti – ha detto Donadio alla presidente Bindi in quell’audizione -: uno dei pochi soggetti istituzionali che può salvare la memoria di queste vicende è la commissione parlamentare Antimafia. Non vedo alternative».
Il presidente dell’Antimafia Morra: «Lavoriamo per fare chiarezza»
In questa direzione va il lavoro avviato dall’attuale commissione Antimafia: «Da un punto di vista storiografico – dice il presidente Morra – io ho fatto in modo che tutto ciò che era in archivio potesse essere disponibile nell’ottica della democratizzazione dell’informazione e della conoscenza. Sappiamo però che tantissimo è conservato presso altre istituzioni, per esempio le procure, e possiamo dire che la mancata pubblicità del materiale disponibile potrebbe essere lesiva del diritto del cittadino a sapere per esempio in riferimento alla strage di Via D’Amelio ma anche ad altre vicende. Con un approccio dinamico la commissione potrebbe acquisire nel tempo il materiale, così da diventare una sorta di caveau delle informazioni che riguardano le mafie e i misteri nel nostro Paese. Ci sono atti che singolarmente forse non hanno alcun significato ma che, una volta informatizzati e sistematizzati, ci possono dire parecchio».