L’infiltrazione mafiosa nell’economia legale è diventata oramai una fenomenologia consolidata con sue prassi e suoi modus operandi.
Come evidenziato in uno degli ultimi rapporti della DIA, “l’aspetto più rimarchevole della fenomenologia mafiosa è l’accentuata tendenza all’inquinamento dell’economia legale, ove le imprese mafiose (…) irrompono con una disponibilità di risorse che, nello scorcio attuale, caratterizzato da una crisi economica di sistema, le rende competitori imbattibili”
Nelle regioni del Nord, il fenomeno criminale sembra presentare una fisionomia diversa rispetto al Sud Italia; in prima battuta il ‘contagio’ mafioso avviene in gran parte attraverso il mercato dei capitali, grazie al quale masse di denaro sporco giungono alle imprese creando meccanismi di dipendenza.
La colonizzazione da parte delle consorterie criminali dei settori produttivi italiani ha visto l’evolvere di strategie di aggressione indirizzate alle regioni più sviluppate del Paese, in cui si concentrano anche il maggior numero di imprese e di aziende sane.
Nel nord Italia la mafia è riuscita ad alterare le dinamiche economiche mediante il controllo dei settori tradizionali (come quello degli appalti pubblici) e l’occupazione di settori nuovi e diversificati come, ad esempio, lo smaltimento dei rifiuti, la sanità, il gioco online, la ristorazione, la contraffazione, il floro-vivaismo e le energie alternative.
Come evidenziato dai dati forniti dalla DIA, si assiste a una evoluzione delle modalità di infiltrazione che fa leva su due elementi che caratterizzano le gare d’appalto: prezzi di offerta sempre più bassi e tempi di realizzazione sempre più stretti.
Inoltre, l’uso sistematico delle estorsioni e dell’usura a danno di imprese, soprattutto del settore edile, e la chiara monopolizzazione mafiosa delle attività illecite delle regioni del Nord (in primis in Lombardia ed in Piemonte), sembrano essere dovute ad una vera e propria esportazione in loco della struttura e del modello mafioso, soprattutto di stampo ‘ndranghetista:
“La ndrangheta ha trovato il suo punto di forza in nuove e sfuggenti tecniche di infiltrazione, che hanno sostituito le capacità di intimidazione con due nuovi e acuti fattori condizionanti: il ricorso al massimo ribasso, caratterizzante le gare di appalto basate sulla possibile contrazione dei costi e la decisiva importanza contrattuale attribuiti ai fattori temporali molto ristretti per la conclusione delle opere”
(si riconosce ndr) l’unicità della “ndrangheta” quale organizzazione criminale che, benché nata storicamente in Calabria, ha conosciuto forme di espansione e radicamento in altre regioni, tra cui quella lombarda, attraverso varie articolazioni territoriali, una delle quali denominata dagli stessi affiliati “La Lombardia”, con compiti di coordinamento nella regione di almeno 15 “locali” 7.
“L’esito complessivo dei procedimenti giudiziari scaturiti dai nuovi filoni investigativi avviati nel periodo di riferimento, conferma il dato già espresso nella precedente relazione, secondo cui nel territorio lombardo è avvenuta una vera e propria “colonizzazione” da parte della criminalità di tipo organizzata calabrese nel tessuto socio – politico – economico della regione” 8
Questo processo di colonizzazione criminale viene richiamato in una relazione della Commissione Parlamentare Antimafia, dove vengono evidenziati gli elementi che hanno facilitato l’ingresso al Nord delle mafie:
“In sintesi i fattori che negli ultimi anni hanno giocato a vantaggio delle cosche operanti in Lombardia possono essere i seguenti:
– la capacità delle cosche, e soprattutto quelle calabresi per la loro strutturazione familistica di tipo orizzontale, di rigenerarsi tramite l’entrata in gioco di figli e familiari di capi-cosca arrestati e condannati all’ergastolo o a pene elevatissime a seguito dei processi degli anni ’90. In pratica ogni cosca, da quella di Coco Trovato a quella di Antonio Papalia a quella dei Sergi, ha visto il formarsi, sotto la guida dei capi detenuti, di una nuova generazione;
– le scarse risorse specializzate messe in campo dallo Stato in Lombardia e in genere nel Nord Italia per combattere la mafia. Basti pensare ad un distretto come quello di Milano che comprende anche città con forte presenza mafiosa come Como, Lecco, Varese e Busto Arsizio, con le forze in campo costituite da poco più di 200 uomini: 40 uomini del R.O.S. Carabinieri, 50 uomini del G.I.C.O., 55 dello S.C.O. della Polizia di Stato cui si aggiungono 68 uomini della D.I.A. che ha competenza peraltro su tutta la Lombardia;
– l’insufficienza di uomini, più volte denunziato dai rappresentanti della D.D.A. è pari all’insufficienza di mezzi, causa spesso del rallentamento di alcune indagini;
7 DNA, Relazione annuale sulle attività svolte dal Procuratore nazionale antimafia e dalla Direz