Esposto denuncia di Bruno Contrada

 

            Al Signor Procuratore della Repubblica

presso il Tribunale

di CALTANISSETTA

 Io sottoscritto CONTRADA BRUNO, nato a Napoli il 02 settembre 1931, domiciliato a Palermo in Via Angelo Maiorana n.4, dirigente generale della P.S. a r.,

espongo e denunzio

quanto segue:

   Alcuni giorni dopo la strage di Via D’Amelio del 19.7.1992, in cui persero la vita il Giudice Paolo Borsellino e cinque Agenti della P.S., il Maggiore dei Carabinieri Umberto Sinico, allora capitano in servizio alla Sezione Anticrimine del Comando Prov. CC. di Palermo, riferì al dott. Antonino Ingroia, Sostituto Procuratore della Repubblica di Palermo, che era stata notata, rilevata e accertata la mia presenza sul luogo della strage qualche attimo dopo la deflagrazione.

In particolare – come dichiarato dallo stesso ufficiale – riferì al magistrato:

        che la “Volante” della Polizia, giunta per prima sul luogo dell’attentato, subito dopo l’esplosione, aveva ivi rilevata la mia presenza e, quindi, mi aveva identificato e generalizzato, redigendo in proposito una relazione di servizio;

        che tale fatto lo aveva riferito al dott. Ingroia circa quindici giorni dopo la strage e non appena ne era venuto a conoscenza;

        chela notizia gli era stata data da persona a lui “ben nota”, sulla cui “attendibilità non aveva alcun dubbio”; persona , però, che non aveva avuto cognizione diretta e personale del fatto, ma che, a sua volta, l’aveva appresa da un altro;

        che tale notizia, oltre che al dott. Ingroia, l’aveva riferita ad altri Ufficiali dell’Arma in servizio a Palermo, e cioè al cap. Del Sole, al cap. Adinolfi, al ten. Jerfone e al mar.llo Canale;

        che non poteva rivelare l’identità della persona che gli aveva rivelato il fatto per un preciso e inderogabile impegno preso con la stessa;

        che il motivo per cui tale sua fonte lo aveva legato al segreto sulla propria identità era dovuto al fatto che temeva fortemente per l’incolumità dell’altra persona da cui derivava la notizia.

Quanto sopra ha formato oggetto delle dichiarazioni rese dal magg. Sinico al Magistrati della Procura di Caltanissetta, dott. Cardella e dott.a Boccassini, in data 11.12.1992 (v. alleg. n.1).

E’ evidente, infatti, che il dott. Ingroia della Procura di Palermo, aveva ritenuto di informare del fatto i Magistrati di Caltanissetta, titolari della inchiesta sulla strage.

Il successivo 20 dicembre 1992, il magg. Sinico fu nuovamente interrogato dai Sostituti Procuratori dott. Cardella e dott.a Boccassini e, nella occasione, dichiarò:

        che colui che gli aveva riferito la notizia era “un suo caro amico”, “un soggetto attendibile”, “fidato” e “di indiscutibile moralità”, e che dello stesso non poteva e voleva ancora rivelare l’identità;

        che a tale suo amico, in occasione di un incontro avvenuto circa 15 giorni dopo la strage, lui stesso, magg. Sinico, aveva narrato due fatti accaduti subito dopo la strage: il primo consistente nella confidenza ricevuta dal dott. Ingroia o dal mar.llo Canale, secondo cui il dott. Borsellino, poco dopo l’interrogatorio reso dal pentito Mutolo Gaspare che aveva fatto propalazioni su di me e sul Giudice Signorino, e quindi poco prima della sua morte, si era con me incontrato a Roma; il secondo, consistente nel fatto che il dott. De Francisci, Sost. Proc. Rep. Di Palermo, gli aveva detto, in un momento di sfogo e con le lacrime agli occhi, che “fino a quando ci sarebbero state in giro persone come Contrada, episodi come quelli di Borsellino si sarebbero ripetuti”. A quest’ultimo fatto erano presenti i capitani dei Carabinieri Adinolfi e Del Sole;

        cheil suo amico, dopo essere stato messo a conoscenza di questi due episodi (incontro Contrada-Borsellino e sfogo di De Francisci), gli rivelò la circostanza della mia presenza sul luogo della strage.

   Quanto sopra ha formato oggetto delle dichiarazioni rese dal magg. Sinico ai PP.MM. di Caltanissetta, in data 20 dicembre 1992 (v. all. n.2).

   Nello stesso periodo di tempo, cioè tra novembre e dicembre 1992, il mar.llo dei CC. Carmelo Canale – che aveva prestato servizio alla Squadra di P.G. presso la Procura della Repubblica di Marsala negli anni in cui quell’ufficio giudiziario era retto dal dott. Paolo Borsellino -, dichiarò ai Magistrati della Procura di Caltannissetta (dott. Cardella e dott.a Boccassini) quanto segue:

        verso le ore 17/17,30 di venerdì 17 luglio 1992 (due giorni prima della strage), mentre si trovava negli uffici della Sezione Anticrimine CC. di Palermo, ricevette una telefonata dal dott. Borsellino, tramite cellulare;

        il dott. Borsellino iniziò la telefonata accennando alle dichiarazioni del pentito Gaspare Mutolo e allora, lui (Canale) lo pregò di richiamarlo via filo;

        nel corso della telefonata, il dott. Borsellino gli riferì che quella mattina (17.07.92) o il giorno precedente, il pentito Mutolo aveva fatto propalazioni accusatorie sul Giudice Signorino e sul dott. Contrada;

        il dott. Borsellino, sempre nel corso di tale telefonata, aggiunse “che si era incontrato con Bruno Contrada”, al che lui (Canale) gli disse:”ma che è pazzo!?”, e allora il giudice tagliò corto, che poi gli avrebbe raccontato tutto;

        gli disse, ancora, che si era incontrato con il Capo della Polizia, Parisi.

   Nel corso dello stesso interrogatorio il m.llo Canale riferì anche altre cose riguardanti la mia persona:

  1. che un giorno aveva accompagnato il dott. Borsellino a far visita al dott. Falcone, al Ministero di Grazia e Giustizia, e che, entrato nella stanza ove i due Magistrati si trovavano, aveva udito il dott. Falcone dire al suo collega che “era sicuro che dell’attentato all’Addaura era responsabile il dott. Bruno Contrada, e che, se ce l’avesse fatta a diventare Procuratore Nazionale, gli avrebbe messo i ferri (sic!). Che di questo fatto non ne aveva parlato con nessuno sino alla morte del dott. Borsellino, e che solo dopo la strage lo aveva riferito al dott. Ingroia, Sost. Proc. Rep., e agli Ufficiali dei CC., Sinico, Del Sole e Adinolfi;
  2. che un giorno imprecisato del 1992 aveva accompagnato il dott. Borsellino dal Prefetto Finocchiaro, allora Alto Commissario, e che, dopo il colloquio tra i due, il dott. Borsellino gli aveva confidato che “il Prefetto gli aveva manifestato il sospetto che Bruno Contrada potesse essere l’autore dell’anonimo che era circolato dopo la morte di Falcone”, che tali sopetti erano stati riferiti al Prefetto da un funzionario a nome De Luca, e che il Prefetto, infine, aveva detto al dott. Borsellino che “l’ultimo anonimo era stato affidato come indagini al dott. Contrada”.

   Le dichiarazioni di cui innanzi sono contenute nel verbale di assunzione di informazioni del 26.11.1992, pagg. 11-14 (v. all. n.3).

   Ritengo utile, per una migliore intelligenza dei fatti, unire lo scritto anonimo (v. all. n. 4).

   Analoghe dichiarazioni farà, poi, al mio processo, all’udienza del 27.9.1994 (v. allegg. nn.5 e 6).

Dichiarò, infatti, nel corso della testimonianza, che un giorno aveva accompagnato il dott. Borsellino a far visita al dott. Falcone, al Ministero di Grazia e Giustizia. Entrato nell’ufficio del dott. Falcone, dopo che i due Magistrati erano riuniti da circa dieci minuti, vide e sentì quanto segue: “C’era il dott. Falcone molto agitato, come dicono a Palermo, aveva gli occhi di fuori. Parlava con Paolo Borsellino e sentii pronunziare il dott. Falcone: “Caro Paolo, il responsabile dell’attentato all’Addaura è il dott. Contrada”. Cominciai ad allontanarmi perché, sentita questa frase, vidi Borsellino bianco, il dott. Falcone che era agitatissimo, perché poi continuò mentre io mi stavo allontanando, dicendo che se ce l’avesse fatto a diventare superprocuratore nazionale, gli avrebbe messo i ferri(v. pag. 24 verb. ud. 27.9.1994, all. n. 5).

Per quanto riguarda l’altro episodio, dichiarò che nell’estate 1992 accompagnò il dott. Borsellino a far visita all’Alto Commissario Prefetto Finocchiaro, nel suo ufficio a Roma, e che dopo il colloquio, il dott. Borsellino gli riferì quanto segue: “E lui (Borsellino) mi raccontò che il Prefetto Finocchiaro lo aveva notiziato che sospettava del dott. Bruno Contrada che aveva, dunque era arrivato un anonimo all’A.C…. …Questo anonimo era stato non si sa, come diceva il Prefetto Finocchiaro, era stato preso dal dott. Contrada e quindi rielaborato, da lui (Contrada) inviato a tutti gli indirizzi, che c’erano diversi indirizzi su questo anonimo e quindi, diceva sempre il Prefetto Finocchiaro, che aveva l’incarico di svolgere gli accertamenti era proprio il dott. Contrada” ( v. pag. 27 verb. ud. 27.9.1994, all. n. 6).

   Al termine dell’udienza, feci delle dichiarazioni spontanee in ordine alla testimonianza del ten. Canale, con specifico riferimento ai miei rapporti con il dott. Paolo Borsellino (v. all. n. 7).

Di conseguenza, la stampa dette ampio risalto alle dichiarazioni rese in sede di testimonianza dal ten. Canale con titoli ed articoli in cui, ancora una volta, venivo additato quale autore o responsabile di stragi.

A titolo esemplificativo, se ne riportano alcuni:

GIORNALE DI SICILIA,28 settembre 1994:

“L’Ufficiale dei Carabinieri in aula: ‘Nel gennaio ’92 Falcone disse a Borsellino che il funzionario del SISDe era il responsabile del fallito attentato alla sua casa dell’Addaura’ – Contrada, altro giorno di accuse – “Falcone lo sospettò di un attentato”.

la REPUBBLICA, 28 settembre 1994:

“Il giudice lo disse a Borsellino” – Al processo un carabiniere rivela: ‘Falcone accusò Contrada per l’attentato all’Addaura’- Parla il tenente Carmelo Canale, l’ombra di Borsellino. E svela il mistero del fallito attentato dell’Addaura.

“Contrada voleva uccidere Falcone” – Testimone accusa: ‘Il Giudice sapeva’.

LA STAMPA, 28 settembre 1994:

Un ufficiale dei Carabinieri: ‘Il giudice parlò di quel piano anche a Borsellino’ –“Contrada tentò di uccidere Falcone” – In aula nuove rivelazioni sull’ex questore.

LA SICILIA, 28 settembre 1994:

“Contrada regista dell’Addaura” – ‘Falcone lo disse a Borsellino durante un incontro a Roma. E aggiunse: “Se divento superprocuratore, gli metto i ferri”.

L’INFORMAZIONE, 28 settembre 1994:

Contrada, autogol dell’Accusa sul fallito attentato a Falcone.

   E’ facile immaginare quale impressione negativa determinassero sull’opinione pubblica, che seguiva il processo con attenzione, siffatte accuse enunciate dal Canale e amplificate dai mass media (v. alleg. n. 8).

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   Il successivo 15 dicembre 1992, il m.llo Canale fu nuovamente interrogato dal P.M. di Caltanissetta, e dichiarò:

        di essere certo di avere ricevuto la telefonata del dott. Borsellino, venerdì 17 luglio 1992, mentre si trovava negli uffici del R.O.S. di Palermo:

        di essere, altresì, certo che nel corso della telefonata il dott. Borsellino gli parlò delle dichiarazioni di Mutolo su Signorino e Contrada, senza, però, verbalizzarle;

        di confermare che in quella occasione il dott. Borsellino gli disse di avere incontrato il dott. Contrada, senza, però, precisare se lo aveva incontrato quello stesso giorno venerdì 17 luglio o il giorno precedente, giovedì 16;

        di essere certo che il dott. Borsellino, nel corso della telefonata, gli parlò dell’incontro con il Capo della Polizia Parisi.

Dal verbale di cui innanzi, a pag. 6, risulta che dall’esame dell’agendina del dott. Borsellino, alle pagine corrispondenti ai giorni venerdì 17 e giovedì 16 luglio 1992, non vi è alcuna annotazione circa un incontro con il dott. Contrada e con il capo della Polizia, nonostante in dette pagine si rilevasse una fitta serie di annotazioni con i vari appuntamenti e spostamenti del Giudice, tra cui, al giorno 16, l’appuntamento per il pranzo con il dott. De Gennaro e quello per cena con l’on.le Vizzini.

   Constatato ciò, il Canale osservò che evidentemente l’incontro con me non era programmato, sia perché il dott. Borsellino “non avrebbe mai accettato di incontrarsi con Contrada”, sia perché, altrimenti, sarebbe stato annotato nell’agendina.

Pur avendogli il P.M. fatto notare che l’incontro Borsellino-Capo della Polizia risultava annotato alla data del 1° luglio 1992, il m.llo Canale, nel prendere atto di ciò, ribadì tuttavia che il magistrato gli disse a telefono, venerdì 17 luglio, di essersi incontrato col Capo della Polizia, facendogli chiaramente intendere che ciò era accaduto poco prima.

Le dichiarazioni di cui sopra sono contenute nel verbale del 15.12.1992, alle pagg. 5 e 6 (v. alleg. n. 9).

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   Occorre a questo punto far rilevare che in quel periodo di tempo si verificò un fatto inquietante, che allora sottovalutai non conoscendone i retroscena, e non prevedendone le gravi conseguenze che ne sarebbero derivate.

   Tra il momento in cui il magg. CC. Sinico, in compagnia di altri ufficiali dell’Arma, riferiva al Sost. Proc. Ingroia della mia presenza in Via D’Amelio (dieci o quindici giorni dopo la strage) e il periodo di tempo (11 e 15 dicembre 1992) in cui l’Ufficiale rendeva le dichiarazioni di cui innanzi ai PP.MM. di Caltanissetta, l’Agenzia giornalistica “REPUBBLICA”, n. 177, 21.9.1992, con sede a Roma, riportava la notizia della mia presenza sul luogo della strage.

La notizia era stata data da un maresciallo della P.S., Carmine Mancuso, allora in aspettativa perché eletto Senatore nella lista della “RETE”, e Presidente del Comitato di coordinamento antimafia della Sicilia.

Infatti, a pag. 2 del menzionato numero dell’Agenzia “REPUBBLICA”, è scritto: “…Ci parla (il sen. Mancuso), tra l’altro, di un certo Bruno Contrada, ex capo di gabinetto del Prefetto De Francesco ed oggi funzionario del Sisde, il quale – secondo alcuni documenti giudiziari – risulta sia stato visto pochi minuti prima nei luoghi dove furono assassinati il capo della Mobile palermitana Boris Giuliano, il giudice Terranova e il generale Dalla Chiesa. Tutte coincidenze, forse, ma il Sen. Mancuso dice di avere avuto notizia che la stessa presenza sia stata registrata poche ore prima dell’esplosione in Via D’Amelio. Il che, per la verità, ci sembra eccessivo” (v. alleg. n.10).

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   Il 24 dicembre 1992 – in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. di Palermo per il reato di concorso esterno in associazione per delinquere di stampo mafioso, sulla scorta delle accuse di Mutolo Gaspare e altri pentiti, nonché di ulteriori presunti elementi di prova – fui arrestato e tradotto al carcere militare di Forte Boccea a Roma.

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Ho motivo di ritenere che tali notizie (tutte senza fondamento alcuno e incontrovertibilmente false, come verrà dimostrato in prosecuzione di esposizione dei fatti) diffuse da appartenenti alle Forze dell’Ordine (Sinico, Canale, Mancuso) e portate a conoscenza delle Procure della Repubblica di Palermo e di Caltanissetta e della stampa, abbiano contribuito o influito a creare un clima a me avverso e ostile in cui è maturata peraltro la determinazione dei Magistrati della Procura di Palermo di richiedere alla vigilia di Natale del ’92 la mia restrizione, in custodia cautelare in carcere, ove sono rimasto per oltre 31 mesi.

   In proposito assume forte valore sintomatico e significativo e, forse, anche esplicativo l’espressione, tra le lacrime, del Sost. Proc. Rep. Di Palermo dott. De Francisci, riferita dal magg. Sinico: “fino a quando ci sarebbero state in giro persone come Contrada, episodi come quelli di Borsellino si sarebbero ripetuti” (v. verb. 20.12.1992, all. n. 2).

   Cioè, in altri termini: se fossi stato lasciato libero, così come avevo perpetrato la strage di Via D’Amelio, ne avrei organizzate ed eseguite altre!

   E’ significativo, in proposito, che già qualche giorno dopo il mio arresto, la stampa iniziò a collegare l’arresto stesso con le indagini per le stragi, in via di espletamento da parte dei Magistrati di Caltanissetta.

   Si riporta, per esempio, l’articolo pubblicato sul MATTINO, in data 4 gennaio 1993, con il seguente titolo: I Giudici di Caltanissetta: ‘Vogliamo capire se c’è qualcosa che interessa le nostre inchieste” – Stragi e Sisde, si apre il dossier – L’ora della verità sulle accuse al questore Contrada.

   Titoli che lasciano chiaramente comprendere che io fossi stato arrestato anche per le stragi! (v. all. n. 11).

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   Il 27 gennaio 1993 fui interrogato in carcere dai PP.MM. di Caltanissetta (dott. Cardella e dott.a Boccassini), nell’ambito della indagine sulla strage di Via D’Amelio.

   Mi furono poste domande circa i miei incontri con il dott. Borsellino e, in particolare, sul periodo, occasione e circostanza in cui l’avevo incontrato l’ultima volta; ciò evidentemente, in relazione a quanto riferito dal m.llo Canale nelle sue dichiarazioni ai PP.MM. del 26 11.1992 e 15.12.1992.

   Io risposi con sufficiente precisione collocando i miei ultimi incontri con il dott. Borsellino nel periodo attorno a maggio 1992; incontri estemporanei e occasionali, avvenuti negli uffici del SISDe a Roma, ove il magistrato si era recato per parlare col Direttore Prefetto Voci, e nella Caserma della Polizia “Lungarno” a Palermo, in occasione di cerimonie militari.

   In quel momento non fui in grado di ricordare e indicare le date precise degli incontri, ma dissi che esse potevano essere rilevate consultando la mia agenda del 1992, che mi era stata sequestrata al momento dell’arresto il 24.12.1992. Mi risulta che ciò fu fatto dai Magistrati di Caltanissetta, che richiesero alla Procura della Repubblica di Palermo copia della predetta agenda. Le date sono riportate con indicazione dei particolari e motivi degli incontri, nell’atto di denunzia-querela da me sporta il 18.1.1998, come si dirà in seguito.

   Mi fu anche chiesto se avessi, nel corso del 1992, incontrato il Capo della Polizia, Prefetto Parisi. Io risposi negativamente, specificando che l’ultima volta che lo avevo visto era stato a Natale del 1991, in occasione degli auguri appunto per le festività natalizie, e, comunque, mai a luglio del 1992 (verb. 27.1.1993 – v. all. n. 12).

   Mi risulta, anche se non sono in possesso del relativo verbale, agli atti, però, della Procura della Repubblica di Caltanissetta, che subito dopo il mio interrogatorio, i Sostituti Procuratori Cardella e Boccassini si recarono dal Capo della Polizia per riscontrare quanto da me dichiarato, e che lui confermò.

   Qualche mese dopo questo interrogatorio, e in coincidenza col primo anniversario della strage di Capaci (23.5.1993), furono pubblicati sulla stampa alcuni articoli aventi per oggetto la mia implicazione nelle stragi.

   Riporto, qui di seguito, alcuni di tali articoli, a titolo esemplificativo:

CORRIERE DELLA SERA, 21.5.1993:

Strage di Capaci: spunta Contrada. Lo 007 entra nell’inchiesta che mira all’intreccio piovra-servizi segreti.

LA REPUBBLICA, 21.5.1993:

Mentre nella notte suonano le campane in tutta Italia, in ricordo del giudice Falcone. Gli 007 delle cosche – Stage di Capaci. Interrogato Contrada. I giudici da Contrada per Falcone e Borsellino. Quando Falcone parlava di menti raffinatissime. Quella lunga scia di morti e di misteri.

LA SICILIA,

Il Procuratore Tinebra ottimista sulle indagini a un anno dalla strage. Interrogato anche Contrada.

   Naturalmente, tali articoli dei giornali furono accompagnati anche da vari servizi televisivi sull’argomento.

   Tutto appariva essere il prodotto di una occulta regia tendente a presentarmi quale responsabile o corresponsabile o comunque coinvolto sulle stragi, proprio in concomitanza col primo anniversario dell’eccidio di Capaci (v. alleg. n. 13).

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   Il 25 giugno 1993, il m.llo dei CC. Carmelo Canale fu nuovamente interrogato dal P.M. di Caltanissetta, dott. F. Cardella (v. all. n. 14). Confermò che la prima volta che il dott. Borsellino gli parlò delle dichiarazioni di Mutolo su di me e sul Giudice Signorino, fu nel corso della telefonata che ricevette il pomeriggio di venerdì 17 luglio 1992, mentre si trovava negli uffici della Sezione Anticrimine di Palermo. Il P.M., in merito, gli contestò che dall’esame dei tabulati del cellulare del dott. Borsellino non risultava tale chiamata.

Confermò, ancora, che il dott. Borsellino, nel corso di quella telefonata del 17 luglio,gli disse di avere incontrato il Capo della Polizia, senza però specificare se l’incontro era avvenuto il 17 o il 16 luglio, ma, comunque, alluse ad un incontro in quei giorni, cioè il 16 o il 17 luglio, e non in epoca precedente.

Confermò, infine, che il dott. Borsellino, sempre nel corso di quella telefonata, gli disse di avere incontrato anche me, e che, se l’incontro non risultava annotato nell’agenda del Magistrato, ciò evidentemente era dovuto al fatto che non si trattava di un incontro programmato, ma estemporaneo e occasionale.

   In proposito, si richiama quanto rappresentato ed osservato nel trattare dell’interrogatorio del m.llo Canale del 15.12.1992, da cui emerse che né l’incontro col Capo della Polizia né quello con me risultavano annotati nell’agendina del dott. Borsellino.

Confermò, in ultimo, che il dott. Borsellino gli disse che il Prefetto Finocchiaro, Alto Commissaro, aveva esternato il sospetto che l’autore dell’anonimo circolato in ambienti giudiziari dopo la morte del dott. Falcone fosse il dott. Contrada.

Il Canale ribadì la sua precedente dichiarazione nonostante che il P.M. gli avesse fatto rilevare che il Prefetto Finocchiaro, sentito sull’argomento, aveva negato di aver mai espresso dubbi sul dott. Contrada al dott. Borsellino.

   Sul punto, ritengo utile aggiungere che il dott. Angelo Finocchiaro – già Prefetto di Caltanissetta, di Palermo e di Napoli, nonché Alto Commissario e Direttore del SISDe – nel corso della testimonianza resa al mio processo dinanzi al Tribunale, all’udienza del 4 ottobre 1994, ha smentito decisamente quanto riferito dal Canale. Ha precisato, anzi, che il dott. Borsellino gli aveva chiaramente confidato che, secondo lui, l’anonimo proveniva dai Carabinieri (v. verbale ud. 4.10.1994 – pagg. 107 – 117 – 118 – 119 – 120 – 139 – 140 – 141, all. n. 15).

Il dott. Antonio De Luca, che – secondo Canale – avrebbe manifestato al Prefetto Finocchiaro sospetti su me quale autore dell’anonimo, da parte sua, ha smentito recisamente quanto affermato dal canale, dichiarando che ciò non era mai avvenuto (v. dichiarazione dott. De Luca, ud. Del 28.10.1994, proc. Contrada, pagg. 89-98-99, all. n. 16).

   Di recente, l’on.le Giuseppe Gargani, eurodeputato e già Presidente della commissione giustizia della Camera, nel corso della testimonianza resa all’udienza del 23 ottobre 2000 del processo a carico dell’ex ministro Calogero Mannino, ha affermato di avere appreso dall’on.le Luciano Violante che l’anonimo del 1992, circolato dopo la strage di Capaci, “fu scritto dai Carabinieri” (v. proc. verb. ud. 23.10.2000, processo Mannino).

In sintesi, le dichiarazioni che il m.llo Canale aveva fatto nei precedenti interrogatori del 26.11 e 15.12 del 1992, circa la telefonata del dott. Borsellino del 17.7.1992, gli incontri del Magistrato con il Capo della Polizia e il dott. Contrada, l’asserito sospetto dell’Alto Commissario sul dott. Contrada, sulla scorta degli accertamenti svolti dal P.M. di Caltanissetta, risultavano non rispondenti al vero.

   Il ten. Canale, in sede di testimonianza che successivamente, il 24.3.1998, rese dinanzi la Corte di Assise – sez. 1°- di Caltanissetta nel processo a carico di Riina Salvatore + 17 per la strage Borsellino, confermò di avere ricevuto il 17 luglio 1992, sul suo cellulare, una telefonata del Magistrato nel corso della quale il dott. Borsellino lo avrebbe messo al corrente del fatto che il pentito Mutolo Gaspare gli aveva parlato del Giudice Signorino e del dott. Contrada.

Dichiarò, infatti: “…Appresi in quella telefonata che c’era… aveva avuto confidenze… confidenze, aveva avuto notizie regolarmente verbalizzate dal Mutolo per un caso di corruzione riguardante il dott. Signorino, qualche altra cosa di Contrada e giù di lì…” (pag. 60, verb. ud. proc. 24.3.1998).

Poi dichiarò che, sempre per telefono quel giorno, venerdì 17 luglio 1992, il dott. Borsellino gli disse che si era incontrato con il Capo della Polizia e il dott. Contrada: “…che si era incontrato con il Capo della Polizia in quei giorni mentre era a Roma, non so se fu il giovedì, se fu il venerdì, e che aveva incontrato anche Contrada” (pag. 67, verb. ud. proc. 24.3.1998).

Disse ancora che, in effetti, i PP.MM. di Caltanissetta gli avevano contestato che di tale telefonata non esisteva traccia nel tabulato delle telefonate (pagg. 60-61-123 verb. ud. proc. 24.3.1998).

Le dichiarazioni di cui innanzi sono contenute nello stralcio del verbale di udienza 24.3.1998 (v. all. n. 17).

   Nel frattempo ero stato iscritto nel registro degli indagati nel procedimento n. 2430/93 R.G. per il delitto di cui all’art. 422 c. p., commesso in Palermo il 19.7.1992 in danno del dott. Paolo Borsellino e del personale di Polizia della scorta, e ne gennaio del 1994 la Procura della Repubblica di Caltanissetta chiese ed ottenne dal G.I.P. la proroga del termine delle indagini preliminari.

Ciò era accaduto, oltre che per il fatto di essere stato arrestato perché ritenuto responsabile di concorso esterno in associazione mafiosa, principalmente per le notizie riferite alla A.G. di Caltanissetta: cioè, la mia presenza sul luogo della strage prima, al momento, o subito dopo la deflagrazione e il mio incontro col dott. Borsellino il giorno, o subito dopo, in cui il Magistrato aveva interrogato il pentito Mutolo che gli aveva rivelato la mia presunta connivenza con “Cosa Nostra”.

Essendo io venuto a conoscenza da notizie di stampa, televisione e radio, che ero indagato per la strage (in proposito, ritengo utile, per una migliore intelligenza e valutazione della vicenda, sotto porre all’attenzione di codesta A.G. alcuni degli articoli di stampa che, unitamente ai servizi di radio e televisione, mi presentavano dinanzi all’opinione pubblica come abietto individuo autore di stragi di magistrati e agenti di polizia), chiesi ed ottenni, tramite i miei legali, di essere sentito dal P.M. di Caltanissetta.

   Infatti, il 7 aprile 1994, nel carcere militare di Forte Boccea a Roma, fui interrogato dal Sost. Proc. Rep. Di Caltanissetta, dott. C. Petralia.

   Come si rileva dal relativo verbale di interrogatorio, detti al Magistrato le più ampie ed esaurienti spiegazioni sui fatti in argomento, fornendogli elementi concreti, circostanziati e precisi che davano la prova sicura, certa, incontestabile, incontrovertibile, che:

  1. non era vero che io mi trovassi in Via D’Amelio al momento della strage o subito dopo;
  2. non era vero che io mi fossi incontrato con il dott. Borsellino il 17 luglio 1992 o il giorno precedente a Roma, o in altro giorno del mese di luglio, da solo o alla presena del Capo della Polizia, Prefetto Parisi;
  3. non era vero che io fossi venuto a conoscenza delle propalazioni accusatorie di Mutolo nei miei confronti prima della strage del 19.7.1992.

Specificamente:

per quanto riguarda il punto 1, dichiarai che il pomeriggio del 19 luglio 1992, e quindi al momento della strage, ero in alto mare, a bprdo di una imbarcazione di un mio amico, in compagnia di dieci persone, tutte indicate e facilmente identificabili;

per quanto riguarda il punto 2, i giorni 17 e 16 luglio 1992 non ero a Roma ma a Palermo, ove mi trovavo in ferie dal 10 luglio precedente;

per quanto riguarda il punto 3, ero venuto a conoscenza, per la prima volta, delle accuse di Mutolo soltanto il 26 luglio 1992, per avermelo confidato in quel giorno il dott. Antonio De Luca, funzionario del Sisde, il quale l’aveva saputo dal dott. Angelo Sinesio, funzionario dell’Amministrazione Civile dell’Interno, all’epoca in servizio presso l’Alto Commissariato; il dott. Sinesio, a sua volta, l’aveva appreso il 23.7.1992 dalla dott.a Camassa, Magistrato della Procura di Marsala, che era stata informata dallo stesso dott. Borsellino.

   La verità di quanto da me dichiarato al P.M. è stata riscontrata e provata, senza che nulla potesse essere revocato in dubbio, sulla scorta di numerose, univoche e precise testimonianze, dati di fatto incontestabili, documenti esplicativi e inequivocabili, tra cui l’agendina personale del dott. Borsellino e quella mia, sequestrata dall’A.G. lo stesso giorno del mio arresto, il 24.12.1992.

Quanto sopra è contenuto nel verbale di interrogatorio del 7.4.1994 del Proc. Rep. Di Caltanissetta dott. C. Petralia (v. all. n. 18).

   Qualche giorno dopo, la stampa, in particolare LA REPUBBLICA del 14 aprile 1994, pubblicò un articolo intitolato: “Per la strage di Via D’Amelio Contrada davanti al giudice – Interrogato lo 007 – I giudici cercano il filo che lega gli attentati.

Nell’articolo, tra l’altro, era scritto: “…Anche per questo, ancora giovedì scorso, Bruno Contrada è stato interrogato dal Sost. Proc. Carmelo Petralia nella veste di indagato per la strage di Via D’Amelio. All’ex funzionario del Sisde sarebbero state chieste spiegazioni sulla sua presenza in Via D’Amelio pochi minuti dopo il massacro e conferme sui suoi incontri con Paolo Borsellino…(v. all. n. 19).

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   In data 7 marzo 1995, il G.I.P. (dott. Emanuele Secci) del Tribunale di Caltanissetta – su conforme richiesta del P.M. del 2.3.1995 – dispose l’archiviazione del procedimento n° 382/95 R.G. n° 568/95 R.G.I.P. a mio carico, in ordine al reato di cui agli artt. 110 e 422, commesso a Palermo il 19.7.1992 (strage Borsellino), (v. all. n. 20).

   Di tale provvedimento venni a conoscenza casualmente ed esso fu riportato e diffuso soltanto da organi di stampa locali:

– Il Giornale di Sicilia – 11.10.1995 – con l’articolo: “Via D’Amelio, Contrada non era presente sul luogo – Milio: un’archiviazione stranamente “riservata”.

– Il Mediterraneo – 11.10.1995 – con l’articolo: “Via D’Amelio, archiviata la posizione di Contrada” (v. all. n. 21).

   Nel decreto di archiviazione il G.I.P. premette che una traccia di indagini fu offerta dalle dichiarazioni del m.llo dei CC. Canale: telefonata del dott. Borsellino del 17.7.1992, incontro Borsellino-Contrada probabilmente al termine dell’interrogatorio del pentito Mutolo, etc., dichiarazioni di cui ai verbali 26 novembre 1992 e 15 dicembre 1992 e 25 giugno 1993, sopra richiamati (v. allegg. nn. 3-4-7).

   Il G.I.P. prosegue nella premessa: “…tali congetture”, cioè quelle scaturite dalle dichiarazioni del Canale, erano state alimentate da “alcune dichiarazioni testimoniali che riferivano della presenza di Contrada nei pressi di Via D’Amelio poco dopo l’esplosione… In particolare, il cap. CC. Umberto Sinico dichiarò di avere appreso da fonte assolutamente attendibile, di cui si riservava di fornire il nominativo, che la prima ‘Volante’ della Polizia sopraggiunta in Via D’Amelio pochissimo tempo dopo l’esplosione, avrebbe fermato e generalizzato una persona che si trovava sul posto rispondente al nome di Bruno Contrada, circostanza che risulterebbe in una nota di servizio” (pag. 3 del decreto).

Su queste tracce di indagine, derivanti dalle dichiarazioni degli Ufficiali dei CC. Canale e Sinico, il G.I.P. esprime giudizi di inconsistenza, non conducibilità e non aderenza alla realtà.

In particolare, per quanto riguarda il m.llo Canale, nel decreto è scritto: “…nessun elemento è stato acquisito a conferma di quanto riferito dal m.llo Canale” (v. pag. 4 decreto).

Per ciò che concerne la notizia del magg. Sinico, è scritto: “Quanto, infine, alla dichiarazione del cap. Sinico circa la presenza di Contrada in prossimità di Via D’Amelio nell’immediatezza dell’esplosione, nessun elemento è stato acquisito, nel corso delle indagini, tale da suffragare detto assunto” (v. pag. 5 decreto).

Sul punto il G.I.P. ha evidenziato che “Contrada ha fornito un alibi di forte intensità persuasiva, in quanto confermato da diversi testimoni, quali il cap. CC. Paolo Zanaroli ed il funzionario del Sisde Lorenzo Narracci, che hanno riferito che l’indagato si trovava a bordo di una barca in loro compagnia quando fu compiuta la strage”.

   In effetti, più che un “alibi di forte intensità persuasiva”, si trattava della prova certa, assoluta, indiscutibile e definitiva della falsità della notizia riferita dal magg. Sinico, il quale l’avrebbe ricevuta ‘de relato’, confidenzialmente, da persona innominata, la quale, a sua volta, l’avrebbe appresa da altra persona sconosciuta, e quest’ultima, infine, dagli Agenti della Polizia, per primi intervenuti sul posto, i quali, tutti, concordemente, decisamente e inequivocabilmente, hanno negato di avermi visto in Via D’Amelio nell’immediatezza della strage, o di aver riferito una cosa del genere a chicchessia.

   Comunque, tale incredibile fatto sarà ulteriormente e più compiutamente trattato in seguito.

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   Una volta venuto a conoscenza del decreto di archiviazione, pensai e mi illusi che l’assurda vicenda che mi aveva coinvolto fosse definitivamente conclusa. Ma, in effetti, non fu così.

Infatti, dopo circa un anno dal decreto di archiviazione del G.I.P. di Caltanissetta (7.3.1995), il pentito Gaspare Mutolo fu escusso all’udienza del 22.2.1996 nel processo penale n. 3/’95 – 5/’95 R.G. Ass. – Strage Falcone – innanzi la Corte di Assise di Caltanissetta.

Nel corso della sua testimonianza il Mutolo dichiarò:

        che il 1° luglio 1992, nel corso delle dichiarazioni che stava rendendo quel giorno al dott. Paolo Borsellino e altri Magistrati di Palermo, il dott. Borsellino sospese l’interrogatorio per assentarsi per un po’ di tempo, in quanto aveva ricevuto una telefonata del Ministro che lo aveva invitato a recarsi da lui;

        che aveva parlato al dott. Borsellino del dott. Signorino e del dott. Contrada per la prima volta quel giorno, sia prima della telefonata che dopo, nonché anche nei giorni successivi, però solo al dott. Borsellino, mai alla presenza di altri, approfittando di quei momenti in cui appunto rimaneva solo con lo stesso e senza che mai il Magistrato verbalizzasse tali sue propalazioni;

        che quel giorno, quando il dott. Borsellino ritornò e riprese l’interrogatorio, era preoccupato e “arrabbiato”, “stizzito”, perché invece del Ministro, aveva trovato il Capo della Polizia Parisi e il dott. Contrada (ciò gli disse il dott. Borsellino).

Mutolo pensò, nel corso della sua audizione, che il dott. Borsellino era irritato perché poco dopo che gli aveva parlato di me (quello stesso giorno 1° luglio 1992), mi aveva poi incontrato col Capo della Polizia, invece del Ministro che lo aveva chiamato con una telefonata sul cellulare.

Queste dichiarazioni di Mutolo sono contenute nel verbale di udienza del 22.2.1996, alle pagg. 7-12-13-32-34-35 (v. all. n. 22).

   Allo scopo di svelare le menzogne contenute in queste dichiarazioni di Mutolo, mi pare doveroso osservare quanto segue:

        se Mutolo parlò di me a Borsellino in maniera assolutamente riservata, e se subito dopo il Giudice ha ricevuto la telefonata di invito all’incontro con me e col Capo della Polizia invece del Ministro, insinuando così il sospetto che io fossi venuto a conoscenza delle sue accuse nei miei confronti, solo due avrebbero potuto informarmi: o il pentito (impossibile) o il Giudice. Nel caso fosse stato il Giudice, non si riuscirebbe a capire la sua rabbia e la sua stizza;

        stralcio dal verbale di interrogatorio del Mutolo del giorno 1° luglio 1992: “1° luglio 1992 – Roma, sede della DIA – Interrogatorio di Mutolo, presenti Aliquò e Borsellino della Procura di Palermo. Inizio ore 15,00;

           sospensione per “esigenze di servizio” dalle ore 17,40 alle ore 19,15;

           ripresa dell’interrogatorio alle ore 19,15;

         chiusura ore 20,10;

         firme in calce al verbale: Mutolo, Borsellino, Aliquò, ecc… ( v. all.n. 22 bis);

        dalla sentenza N. 29/97 – “Borsellino ter” – Corte di Assise di Caltanissetta –

     pag. 20 della Sezione Terza: “Il 30 giugno (Borsellino) si recò in aereo a

     Roma e rientrò a Palermo alle ore 20.00 del successivo 1° luglio” (v. all. n. 22 ter).

   Da questi documenti inoppugnabili si rileva che alle ore 17,40 del 1° luglio il dott. Borsellino abbandonò l’interrogatorio, non per andare a un incontro con chicchessia, ma per correre in aeroporto (un’ora di tragitto), da dove, dopo un’ora di volo, alle 20,00 raggiunse Palermo.

   Per completezza di argomentazione e per una migliore intelligenza dei fatti, allego alcuni articoli di stampa riportanti l’audizione di Mutolo e le sue dichiarazioni circa il mio presunto incontro con il dott. Borsellino e il Capo della Polizia, che sarebbe avvenuto il 1° luglio 1992.

In particolare:

GIORNALE DI SICILIA del 22 e 23 febbraio 1996;

LA SICILIA del 22 e 23 febbraio 1996 (v. all. n. 23).

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   Il 19 marzo successivo, cioè meno di un mese dopo l’udienza del 22.2.1996, nel corso della quale aveva reso le sopradette dichiarazioni, il Mutolo fu interrogato da Magistrati delle Procure della Repubblica di Caltanissetta e di Palermo, nonché della D.N.A., e precisamente dai Sostituti Procuratori dott.ri Palma, Di Matteo, Ingroia e Petralia, nell’ambito del procedimento N° 2516/95 R.G.N.R. CL e N° 5664/93 Mod. 44 PA.

   Gli fu chiesto di chiarire i fatti che aveva riferito nell’udienza del 22.2.1996 tenutasi a Mestre nel processo per la strage di Capaci e concernenti l’incontro che ci sarebbe stato il 1° luglio 1992 tra il dott. Borsellino, il Capo della Polizia Parisi e il dott. Contrada. Mutolo confermò, chiarendo in particolare:

        che il primo incontro che ebbe con il dott. Borsellino fu il 1° luglio 1992:

        che in quella circostanza, prima dell’inizio dell’interrogatorio, ebbe modo di rimanere solo con il dott. Borsellino per un po’ di tempo, e gli parlò della collusione del dr. Signorino e del dr. Contrada con la mafia;

        che, il pomeriggio dello stesso giorno 1° luglio, verso le ore 17-17,30, nel corso della successiva verbalizzazione, il dott. Borsellino ricevette una telefonata, probabilmente sul cellulare, in seguito alla quale disse ai presenti che doveva allontanarsi;

        che, subito dopo quella telefonata, rimase di nuovo solo con il dott. Borsellino il quale gli disse che doveva andare a parlare con il Ministro;

        che il dott. Borsellino si assentò per circa un’ora, o un’ora e mezza, e tornò “teso e turbato”. Essendo rimasto ancora una volta solo con il Magistrato, ebbe confidato dallo stesso che invece che con il Ministro si era incontrato con Parisi e Contrada, esprimendosi con una frase del tipo: “Quale Ministro! C’erano Parisi e Contrada”;

        che non conosceva l’oggetto specifico dell’incontro Borsellino-Parisi-Contrada, ma che il Giudice gli disse soltanto che il dott. Contrada si era mostrato a conoscenza del fatto che stava iniziando a collaborare;

        che della presunta collusione con la mafia del dott. Signorino e del dott. Contrada, nonché dell’incontro Borsellino-Parisi-Contrada, non aveva mai parlato in presenza degli altri Magistrati che partecipavano agli interrogatori, ma sempre e solo con il dott. Borsellino.

Queste dichiarazioni di Mutolo sono contenute nel verbale di interrogatorio del 19 marzo 1996 (v. all. n. 24).

   Anche con riferimento a queste ultime dichiarazioni di Mutolo si ritiene di dover evidenziare come tutto sia pura e menzognera invenzione del pentito, richiamando gli allegati nn. 22 bis e 22 ter; ma non possono essere sottaciute altre considerazioni:

        il 1° luglio 1992 à la prima volta che il dott. Borsellino incontra il pentito Mutolo;

        lo spazio temporale in cui i due risultano assieme va dalle ore 15,00 alle ore 17,40;

        il Mutolo sarebbe rimasto solo col dott. Borsellino in tre occasioni: – prima delle ore 15,00; – subito dopo la presunta telefonata ricevuta dal dott. Borsellino verso le ore 17 – 17,30, spazio temporale che il Mutolo indica come seconda verbalizzazione, che invece il verbale precisa essere avvenuta dalle ore 19,15; – e siccome a suo dire il Giudice si sarebbe assentato per un’ora, un’ora e mezza, al suo presunto rientro, cioè alle ore 18,30/19,00, quando, a dire della richiamata sentenza del Borsellino-ter il Giudice era in aereo per rientrare alle ore 20 in punto a Palermo, Mutolo avrebbe avuto il suo terzo colloquio riservato nel quale il Giudice gli avrebbe esternato il suo sconcerto e la sua inquietudine per l’incontro con Parisi e Contrada;

        il giudice Borsellino, a dire di Mutolo, si fida di lui che vede e incontra per la prima volta, e non si fida dei colleghi Magistrati di Palermo, rappresentati dal Proc. Agg. di Palermo dott. Vittorio Aliquò, al quale nulla dice e nulla esterna.

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   A questo punto della esposizione dei fatti, occorre fare un passo indietro, e cioè, al 1994.

   Mutolo, infatti, nel corso del processo a mio carico, all’udienza del 7 giugno 1994, dichiarò che la prima volta che aveva parlato, anzi accennato, di me al dott. Borsellino fu il 16 luglio 1992, cioè durante una breve pausa dell’interrogatorio cui era sottoposto quel giorno, e in un momento in cui era rimasto solo con l Magistrato.

   La sua dichiarazione in proposito fu chiara e inequivocabile. Disse, infatti: “Io l’ultima volta che ho visto il dott. Borsellino (ciò avvenne il 17 luglio 1992, n.d.r.), cioè che dopo l’indomani l’ho visto di nuovo, però lui andò prima, io ci ho un momento libero… c’era un piccolo cortiletto, noi facciamo una specie di pausa… e io a un certo punto ci ho detto: ‘dott. Borsellino, io intanto prima devo parlare sulla mafia… dopo io dovrò parlare anche di giudici e poliziotti… c’è il dott. Contrada che è a disposizione della mafia…’” (pag. 101, verb. ud. 7.6.1994).

“L’indomani (17 luglio 1992, n.d.r.) noi ci siamo visti di nuovo, lui stette fino a non lo so, se erano le 4 o le 5, se ne andò prima e io rimango ancora a fare interrogazioni col giudice Natoli e col giudice Lo Forte…” (v. verb. proc. ud. 7.6.1994).

   Quindi, Mutolo, dopo avere collocato al 16 luglio 1992 (in proposito è opportuno ricordare che gli interrogatori di Mutolo condotti dal dott. Borsellino furono tre: il 1°, il 16 e il 17 luglio 1992) il primo accenno fatto al dott. Borsellino circa la mia presunta collusione con la mafia, nulla disse in ordine all’episodio della telefonata ricevuta dal dott. Borsellino durante l’interrogatorio, del suo allontanamento per incontrarsi col Ministro, dell’incontro, invece, col Capo della Polizia e col dott. Contrada, del rammarico manifestatogli dal Magistrato per tale incontro. Ciò verrà raccontato da Mutolo soltanto molto tempo dopo, come innanzi riferito.

   Le dichiarazioni di cui sopra di Mutolo sono contenute nello stralcio (pagg. 101-102) di verbale dell’udienza del 7.6.1994 del processo Contrada dinanzi la V sez. pen. del Tribunale di Palermo. (v.all. n. 25).

   Analoghe dichiarazioni il Mutolo fece ai PP.MM. di Caltanissetta (dottori Cardella e Boccassini) il 9 dicembre 1992. Disse, infatti: “…E tuttavia, qualche nome lo feci in quel nostro secondo incontro (16 luglio 1992, n.d.r.) al dr. Borsellino, quello del dott. Signorino, del dott. Contrada e del dott. Barreca. Fu un accenno del tutto informale, perché mi riservavo di rendere precise dichiarazioni a verbale al momento opportuno…” (v. stralcio pag. 21, verb. interr. 9.12.1992, all. n. 26).

   Invece, nel verbale di interrogatorio reso il 23.10.1992 ai PP.MM. di Palermo, in cui per la prima volta enunciò accuse a mio carico, non fece alcun accenno a ciò che informalmente aveva riferito al dott. Borsellino sul mio conto il 16 luglio 1992 o in occasione degli altri due interrogatori del 1° e del 17 luglio 1992, né tampoco dell’incontro Borsellino-Contrada-Parisi in uno di quei giorni del luglio ’92 (v. stralcio pagg. 227-230, verb. interr. 23.10.1992 – all. n. 27).

   Dalla lettura dei verbali su richiamati (7.6.1994, 22.2.1996, 19.3.1996, 9.12.1992 e 23.10.1992 – allegati nn. 25, 22, 24, 26 e 27) emergono in tutta evidenza le discordanze e le contraddizioni delle dichiarazioni di Mutolo.

   Infatti, in ordine di tempo, il Mutolo:

        il 23.10.1992 non dice nulla ai PP.MM. di Palermo sul giorno in cui la prima volta parlò di me al dott. Borsellino, né dice nulla della telefonata e dell’incontro del Magistrato con me e il Capo della Polizia (all. n. 27);

        il 9.12.1992 dice ai PP. MM. di Caltanissetta che la prima volta che parlò di me al dott. Borsellino fu al secondo incontro, cioè il 16 luglio, e non dice nulla della telefonata e dell’incontro (all. n. 26);

        il 7.6.1994 dice al Tribunale di Palermo – V Sez. Pen. – che la prima volta che parlò di me al dott. Borsellino fu il giorno prima di quello in cui lo vide per l’ultima volta, cioè il 16 luglio, e non dice nulla della telefonata e dell’incontro (all. n. 25);

        il 22.2.1996 dice alla Corte di Assise di Caltanissetta (processo strage Falcone) che la prima volta che parlò di me al dott. Borsellino fu il 1° luglio, e che in quello stesso giorno ci furono la telefonata e l’incontro (all. n. 22);

        il 19.3.1996 dice ai PP.MM. di Caltanissetta, confermando la sua testimonianza del 22.2.1996, che la prima volta che parlò di me al dott. Borsellino fu il 1° luglio, e che in quello stesso giorno ci furono la telefonata e l’incontro (all. n. 24).

   Né appaiono plausibili le giustificazioni addotte dal pentito alle contestazioni in proposito dei Magistrati delle Procure di Palermo e di Caltanissetta e della Direzione Nazionale Antimafia (interrogatorio del 19.3.1996). Infatti, i predetti fecero presente al Mutolo: “…che dalla trascrizione della deposizione dibattimentale del Mutolo stesso in data 7 giugno 1994, nell’ambito del processo in corso davanti la V sezione penale del Tribunale di Palermo a carico di Bruno Contrada, risulta che il Mutolo ha dichiarato di avere riferito per la prima volta al dott. Borsellino dei rapporti con ‘Cosa Nostra’ del dott. Signorino e del dott.Contrada in occasione dell’ultimo interrogatorio reso al medesimo dott. Borsellino” (v. pag. 3 verb. 19.3.96 -.all. n. 24 – e pagg. 75-76-77-101-102-103 verb. 7.6.94 – all. n. 25).

   Mutolo, a siffatta contestazione, rispose che: “in realtà, nel corso dell’interrogatorio al processo Contrada, io non precisai di averne parlato sin dalla prima volta, perché era mia intenzione affrontare in modo definitivo tutto questo argomento, compresa in particolare la vicenda dell’incontro tra il dott. Borsellino e Contrada, in occasione del dibattimento per la strage di Capaci” (cioè, quella in cui perse la vita il dott. Falcone).

   Alla successiva contestazione che non ne aveva parlato neanche quando venne interrogato al dibattimento per la strage di Via D’Amelio (non sono in possesso del relativo verbale di udienza), si giustificò dicendo che aveva fatto questa scelta essendo “rimasto particolarmente legato al ricordo del dott. Falcone…” (pagg. 3 e 4 verb. interr. 19.3.1996, all. n. 24).

   Al termine di questo interrogatorio, il Mutolo lasciò chiaramente intendere che le sue rivelazioni su Signorino e Contrada al dott. Falcone e al dott. Borsellino erano da collegarsi – come causa o concausa – alle stragi. Infatti, disse: “…vicende riguardanti il dott. Signorino e il dott. Contrada, vicende alle quali io ricollegavo e ricollego tuttora gravissime conseguenze, visto che sia il dott. Falcone, sia il dott. Borsellino, che ne erano stati i primi ed esclusivi depositari, poco dopo averne avuto conoscenza, erano stati ferocemente assassinati(pag. 4 verb. 19.6.1996, all. n. 24).

   Non è chi non veda che Mutolo volle dire che i due Magistrati furono uccisi perché avevano saputo da lui che Signorino e Contrada erano collusi con la mafia!

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   Sulle dichiarazioni di Mutolo, occorre attirare l’attenzione sulle seguenti circostanze che sono sintomatiche, anzi illuminanti del quadro accusatorio che sulle menzogne e calunnie si andava costruendo sulla mia persona.

   Le dichiarazioni da lui rese ai PP.MM. di Caltanissetta il 9.12.1992 e la successiva testimonianza al mio processo, all’udienza del 7 giugno 1994, sono perfettamente in linea con le dichiarazioni del m.llo Canale del 26.11.1992 e del15.12.1992, per quanto riguarda il punto specifico della rivelazione al dott. Borsellino della mia presunta collusione con la mafia il 16 luglio 1992.

Nulla, però, disse sull’incontro che lo stesso giorno il Magistrato avrebbe avuto con me e col Capo della Polizia invece che col Ministro, anche se accennò al fatto che il 17 luglio 1992 il dott. Borsellino si allontanò nel pomeriggio dalla sede in cui stava conducendo il suo interrogatorio (v. verb. 7.6.1994, all. n. 25).

   Nel frattempo, tra gennaio e giugno del 1993, i Sostituti Procuratori di Caltanissetta Boccassini e Cardella avevano svolto le loro indagini sui fatti narrati dal m.llo Canale a novembre-dicembre 1992, giungendo alla conclusione che non risultava essere avvenuto l’incontro del 16 o 17 luglio 1992 del dott. Borsellino con me e con il Capo della Polizia, e che, peraltro, dall’esame dei tabulati del cellulare non era stata rilevata la telefonata di venerdì 17 luglio, che Canale asseriva essergli stata fatta mentre si trovava negli uffici della Sezione Anticrimine di Palermo. Tali accertamenti, contrastanti con le sue dichiarazioni, furono contestati al sottufficiale dei CC. dai Magistrati nell’interrogatorio del 25.6.1993, come sopra riferito (v. all. n. 14).

   Dalla successione e concatenazione dei fatti non si può non ritenere, o almeno ipotizzare, che il Mutolo, essendo venuto a sapere (si ignora in quale modo e da chi) che ciò che aveva dichiarato il m.llo Canale e, in parte, lui stesso era stato accertato non essere rispondente al vero, sposta dal 16 al 1° luglio la data in cui avrebbe, per la prima volta, parlato al dott. Borsellino di me e del dott. Signorino, e allo stesso giorno la circostanza della telefonata ricevuta dal Magistrato e il successivo incontro con Contrada e il Capo della Polizia. Tutto il 1° luglio, e non più il 16 luglio!

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   Qui, per inciso, si fa rilevare (e anche questo particolare è illuminante) che, come risulta dalla mia agenda personale del 1992, sequestratami il 24.12.1992, all’atto dell’arresto, il 16 e il 17 luglio ero a Palermo, in ferie, mentre il 1° luglio ero a Roma, in servizio. Nelle pagine corrispondenti ai tre giorni ci sono annotazioni relative a ciò che avevo fatto appunto in quei giorni, tra cui alcuni incontri, dei quali certamente nessuno con il dott. Borsellino e con il Capo della Polizia Parisi.

   Però, mentre il 16 e 17 luglio l’incontro non era assolutamente possibile, data la mia presenza a Palermo (almeno che non avessi avuto il dono dell’ubiquità), per quanto riguarda il 1° luglio, l’incontro stesso sarebbe stato teoricamente possibile, data la mia presenza a Roma.

   Si pone, quindi, la legittima domanda se questa circostanza non fosse la motivazione e la spiegazione della diversa versione del Mutolo, laddove sposta il presunto surripetuto incontro dal 16 al 1° luglio 1992 (v. agenda dott. Contrada del 1992, pagg. dal 1° al 31luglio – all. n. 28. Vedi, ancora, fogli Sisde relativi congedo ordinario dott. Contrada dal 13/7 al 1°/8/1992, all. n. 29).

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   A margine, senza per nulla volerne sminuire l’importanza ai fini dell’intelligenza delle tappe e delle modalità di costruzione del castello di menzogne a mio carico, si sottopone all’attenzione di codesta Procura della Repubblica una “lettera personale” avente ad oggetto ‘accertamenti relativi alle utenze cellulari in uso a Contrada Bruno”, spedita l’8 novembre 1993 dal P.M. dott. Ingroia al ma.llo Carmelo Canale, presso il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri a Roma.

   Per gli accertamenti relativi a dette utenze cellulari il P.M. di Palermo avrebbe potuto rivolgersi alla D.I.A. che già era investita nella quasi totalità delle indagini sul mio conto, oppure ai reparti territoriali o al R.O.S. dei Carabinieri, o alla Criminalpol, o ai reparti investigativi della Guardia di Finanza (es. GICO), e così via, organismi di Polizia tutti abilitati a svolgere indagini siffatte, invece, il dott. Ingroia si è rivolto al Canale, che dopo l’assassinio del dott. Borsellino, probabilmente per motivi di sicurezza, era stato dislocato presso il Comando Generale di Roma, sottratto così alla vicinanza di lavoro col P.M. di Palermo, e improvvisamente investito del duplice compito di teste accusatore e indagatore.

   La lettera personale – Procura della Repubblica di Palermo – D.D.A. n. 7415/92 N.C. – D.D.A. Palermo – recita tra l’altro: “Si trasmettono i tabulati relativi al traffico telefonico delle utenze cellulari nella disponibilità di Bruno Contrada, con la preghiera di esaminare i medesimi al fine di identificare compiutamente i soggetti che risultano essere stati in contatto con il Contrada, attenzionando eventuali contatti “anomali”, etc..” (v. all. 29 bis).

   Si ribadisce che questo incarico, indubbiamente anomalo e inquietante, è datato 8 novembre 1993, cioè, a meno di un anno dal mio arresto e nel bel mezzo delle dichiarazioni accusatorie e relativi aggiustamenti e modifiche del Canale stesso e del pentito Mutolo.

   Da tutti gli atti processuali non risulta che il Canale abbia mai riferito su queste indagini a lui ad personam delegate.

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   Per quanto riguarda le dichiarazioni di Mutolo, occorre prospettare alcune osservazioni che non sembrano irrilevanti.

   Innanzi tutto, appare molto improbabile, se non inverosimile, che un Magistrato quale era il dott. Borsellino, in sede di interrogatorio di un criminale, quale era il Mutolo, si lasciasse andare con lui a confidenze del genere di quelle narrate dal pentito: Non si vede perché proprio a Mutolo, e soltanto a Mutolo, il dott. Borsellino dovesse esternare il suo rammarico e risentimento per il fatto che, essendo stato chiamato o convocato per un incontro col Ministro dell’Interno (on.le Nicola Mancino), aveva, invece, trovato il Capo della Polizia Prefetto Parisi con il dott. Bruno Contrada.

   Il dott. Borsellino non interrogò da solo il Mutolo: al primo interrogatorio, quello del 1° luglio 1992, partecipò l’altro Procuratore Aggiunto di Palermo, il dott. Vittorio Aliquò; al secondo e al terzo, il 16 e 17 luglio 1992, parteciparono i Sostituti Procuratori dott. G. Lo Forte e dott. G. Natoli.

   Per quale motivo mai il dott. Borsellino dovesse tenere all’oscuro di quanto accadutogli i colleghi che erano con lui, non è dato sapere o immaginare, ma certamente è da escludere che ciò avesse fatto per sfiducia o diffidenza: e ciò vale sia per la telefonata di invito o convocazione, sia per il successivo incontro con il Capo della polizia e il dott. Contrada, invece che col Ministro, che tanto aveva irritato, secondo il Mutolo, il dott. Borsellino.

   La seconda osservazione concerne il momento in cui sono venuto a conoscenza del fatto che Mutolo aveva, per la prima volta, parlato al dott. Borsellino di me e dei miei presunti rapporti con la mafia.

   Sono venuto a conoscenza di ciò il 26 luglio 1982, per avermelo riferito il dott. Antonio De Luca, funzionario di P.S., allora Capo Centro Sisde di Catania. Al dott. De Luca ne aveva parlato il 23 luglio precedente il dott. Angelo Sinesio, anch’egli funzionario del Sisde, il quale, lo stesso giorno l’aveva appreso, per sommi capi, dalla dott.a Alessandra Camassa, magistrato in servizio presso la Procura della Repubblica di Marsala, e alla quale l’aveva, a sua volta, riferito lo stesso dott. Borsellino.

   Questi avvenimenti e circostanze sono stati ricostruiti con precisione ed accertati in modo sicuro sulla base delle testimonianze del dott. Sinesio e del dott. De Luca, nonché delle annotazioni riportate nella mia agenda del 1992, nelle pagine relative ai giorni 22-26-27 luglio (v. all. n. 28).

   Il dott. Sinesio ha dichiarato ai PP.MM. di Palermo il 27.5.1993 e, successivamente, al mio processo innanzi il Tribunale V sez. pen., all’udienza del 13.5.1994, che aveva saputo dalla dott.a Camassa delle propalazioni di Mutolo sul mio conto il 23 luglio 1992, e la sera stessa di quel giorno l’aveva riferito al dott. De Luca che, poi, aveva informato me il 26 successivo (v. verb. 27.5.1993, P.M. di Palermo, e proc. verb. ud. 13.5.1994, pagg. 116-151, all. nn. 30 e 31).

   Vero è che il 23 aprile 1993, interrogato nel carcere di Forte Boccea dal Proc. Rep. di Palermo, dott. G. caselli, avevo dichiarato di aver saputo che Mutolo mi aveva accusato prima del 12 luglio 1992 dal dott. Sinesio. Avevo, infatti, detto: “Il primo che mi accennò qualcosa fu il dott. Sinesio, funzionario dell’A.C., ai primi del mese di luglio 1992, comunque prima del 12 luglio, data in cui mi recai in ferie a Palermo, avendo già appreso la notizia (v. verb. interr. P.M. Palermo 23.4.1993, pag. 1 – all. n. 32).

   Le circostanze riferite non erano esatte per difetto in quel momento di ricordi nitidi sull’argomento. Una volta ricostruiti gli avvenimenti, specialmente sulla base della consultazione dell’agenda del 1992, ho rettificato, nel senso aderente alla realtà, come confermato dallo stesso dott. Sinesio e dal dott. De Luca.

   Le circostanze da me erroneamente riferite ai Magistrati della Procura della Repubblica di Palermo il 23.4.1993, circa il momento in cui avevo saputo delle propalazioni di Mutolo sul mio conto (cioè, prima della strage di Via D’Amelio), nonché della persona che mi aveva informato (il dott. Angelo Sinesio), furono poco dopo portate a conoscenza della stampa, tanto è vero che il dott. Sinesio, letto l’articolo “Contrada senza uscita” pubblicato su Panorama a maggio 1993, ritenne di presentarsi spontaneamente ai Magistrati della Procura di Palermo per chiarire e rettificare le notizie inesatte per l’errore in cui ero incorso (v. all. n. 30). Errore, per difetto di ricordi, da me chiarito al dott. C. Petralia, Sost. Proc. Rep. di Caltanissetta, nell’interrogatorio del 7.4.1994 (v. all. n. 18).

   I giorni 1-2-3-4-5 di ottobre 1996, successivi alla deposizione di Mutolo al processo per la strage Falcone, cioè dopo circa otto mesi, le Agenzie di stampa (ANSA, AGI, ADN Cronos), tutti i maggiori quotidiani locali e nazionali, nonché la radio e la televisione, diffusero e dettero ampio risalto alla notizia che, in seguito alle dichiarazioni di Mutolo, ero nuovamente indagato per la strage di Via D’Amelio.

   Ciò avvenne proprio nel momento (ottobre 96) in cui stava per essere depositata la sentenza della V Sez. Pen. del Tribunale di Palermo che, sei mesi prima, mi aveva condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. La coincidenza e concomitanza temporale appariva essere il frutto di una occulta regia tendente a presentarmi dinanzi all’opinione pubblica quale un ignobile individuo responsabile anche di uno dei più efferati crimini perpetrati in Italia, e dare, quindi, ulteriore forza e valore alle motivazioni poste a sostegno della condanna, che di lì a qualche giorno sarebbero state depositate e rese pubbliche.

   Riporto alcuni titoli di tali giornali del 2 e del 3 ottobre 1996:

2 ottobre 1996

        Corriere della sera: Via D’Amelio, indagato Contrada – Mutolo: riunione con l’ex 007 al Vicinale alla vigilia della strage.

        La Repubblica: Strage Borsellino, indagato Contrada – Il giudice parlò con lo 007 ed era allarmato.

        La Stampa:Replay di accuse per Contrada – Di nuovo indagato per la strage Borsellino.

        Il Messaggero: Strage Borsellino, indagato Contrada.

        Il Tempo: Contrada accusato di strage – Concorso nell’assassinio di Borsellino e cinque uomini di scorta.

        Il Mattino: Nuova tegola su Contrada – Indagato per Via D’Amelio.

        Avvenire: Rispunta Bruno Contrada nel delitto Borsellino.

        Il Manifesto: Quello spione nel palazzo – Bruno Contrada indagato come mandante della strage in Via D’Amelio dove morì Borsellino con la sua scorta.

        L’Unità: Borsellino, indagato Contrada – L’ex 007 è accusato di concorso in strage.

        Il Popolo: Strage Via D’Amelio – Indagato Contrada.

        L’Opinione: Contrada indagato per Via D’Amelio – Ad accusarlo c’è l’ennesimo pentito.

        Il Secolo d’Italia: Concorso nell’assassinio di Borsellino – Contrada indagato a Caltanissetta.

        Liberazione: Quel 1° luglio 1992 – Era nell’agenda di Borsellino.

        Il Giornale: Per Borsellino sospetti su Contrada.

        Il Giorno: Borsellino, indagato Contrada – Accertamenti sull’ex poliziotto dopo le accuse di Mutolo.

        Il Giornale di Sicilia: Contrada di nuovo sotto inchiesta – Concorso nella strage di Via D’Amelio.

        La Sicilia: Contrada implicato nella strage Borsellino.

        Il Mediterraneo: Per Bruno Contrada concorso in strage.

        Il Giornale d’Italia: Contrada indagato per strage – Avrebbe concorso all’uccisione di Borsellino e della scorta.

3 ottobre 1996

Corriere della Sera: Contrada non è indagato.

– La Repubblica: Ma Contrada non è indagato.

La Stampa: Su Contrada indagato balletto di smentite.

Il Tempo: Accuse a Contrada: Tinebra smentisce.

– Il Mattino: Contrada indagato: è giallo. Smentita dei PP.MM. di       Caltanissetta.

Avvenire: Caso Contrada bis, ed è subito giallo.

Il Manifesto: Si infittisce il giallo Contrada.

L’Unità: Contrada sapeva di Mutolo.

– L’Opinione: Contrada: errore o destabilizzazione?

La Nazione: Contrada indagato? DDA smentisce Tinebra.

– Il Popolo: Via D’Amelio, giallo su Contrada.

– Il Giornale: Il Procuratore Tinebra: Contrada non è indagato per il delitto Borsellino.

Il Giornale di Napoli: Contrada estraneo alla strage Borsellino.

– La Sicilia: Contrada indagato o no? Strage Borsellino, è giallo.

Il Giornale di Sicilia: Contrada e l’inchiesta su Via D’Amelio – Giallo tra smentite e nuove ipotesi.

Il Mediterraneo: La Procura: nessuna indagine su Contrada – Smentite da Tinebra.

(v. all. n. 33)

   I giorni successivi i giornali continuarono con vari articoli a pubblicare e dare ampio risalto alle notizie in argomento, unitamente a vari servizi trasmessi via radio e televisione.

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   E’ inutile dire quale enorme danno, sotto ogni aspetto, mi abbia procurato tale devastante, ingiusta campagna di stampa, e ciò nonostante il Procuratore Capo della Repubblica di Caltanissetta avesse pubblicamente dichiarato poi non essere vera la mia nuova iscrizione nel registro degli indagati per la strage Borsellino, come risulta da vari aricoli sopra richiamati, nonché da un certificato rilasciato a mia richiesta dalla Segreteria della Procura della Repubblica di Caltanissetta ( v. all. n. 34).

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   Tale deleteria campagna di stampa, che presentava addirittura all’attenzione dell’opinione pubblica dell’intero Paese, un dirigente generale della Polizia di Stato e alto funzionario del Sisde, che era stato nel passato Capo della Squadra Mobile di Palermo, Capo della Criminalpol della Sicilia, Capo di Gabinetto dell’Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro la mafia, Dirigente dei Centri Sisde della Sicilia e poi del Lazio, quale ignobile autore o mandante o comunque corresponsabile, in combutta con la più feroce criminalità mafiosa, di una strage che aveva stroncato la vita di un Magistrato e di giovani agenti di polizia, deve aver provocato o scatenato la fantasia delirante o mitomania di tale ELMO Francesco, a me sconosciuto e di cui non so nulla, comunque persona soggetta alla tutela del Servizio Centrale Protezione, cioè collaboratore di giustizia, dal 6.5.1996, come da lui affermato.

   Qualora si dovesse ritenere che le sue propalazioni, di cui si dirà di qui a poco, non derivino da delirio o mitomania, si dovrebbe dedurre che esse gli siano state ispirate o suggerite da qualcuno, mosso da inconfessabili intendimenti, ma comunque riconducibili alla regia di un piano di depistaggio di indagini, di destabilizzazione, di attacco alla mia persona.

   Il predetto Elmo Francesco in tre interrogatori resi a diversi Magistrati, appresso indicati, tra gennaio e giugno del 1997, ha dichiarato, per quanto riguarda me:

1 – Interrogatorio del 23.1.1997. – Sost. Proc. Naz. Antimafia dr. C. Petralia, Sostt. Procc. Rep. di Caltanissetta, dott.ri A. Palma e A. Di Matteo:

– di avermi visto in Via Bandiera a Palermo, nelle adiacenze di una sede “coperta” del Sisde, in una circostanza in cui Piazza Emanuele mi consegnava una busta di colore giallo, che poco prima gli era stata consegnata, in sua presenza, dall’avv. Michele Papa di Catania (v. all. n. 35). Inutile dire che non ho mai visto il Piazza e il papa, anche se so chi erano. Quindi, il fatto narrato da Elmo non è vero.

2 – Interrogatorio del 2 giugno 1997. – Proc. Agg. Rep. di Caltanissetta, dott. P. Giordano, Sost. Proc. D.N.A., dott. Carmelo Petralia, Sost. Proc. Rep. D.N.A., dott. P. Grasso, Sostt. Procc. Rep. D.D.A. di Palermo, dott.ri R. Scarpinato e A. Ingroia:

– che io ero stato l’organizzatore dell’attentato all’Addaura a giugno 1989, e che avevo dato incarico di piazzare l’esplosivo ai miei uomini più fidati: Piazza e Agostino. E ciò avrei fatto con uomini più importanti di Roma, come per esempio il Capo della Polizia Prefetto Vincenzo Parisi;

– che tali notizie le aveva apprese da tale Giuseppe Di Maggio, agente dei servizi segreti, mio stretto collaboratore;

– che il movente dell’attentato era da ricercarsi nel fatto che il dott. Falcone e la dott.a Carla Del Ponte stavano conducendo indagini in ordine a una illecita costituzione di capitali in Svizzera, riconducibili ad elementi del Sisde e al riciclaggio di denaro della mafia;

– che aveva saputo, sempre dal Di Maggio, che il dott. Giammanco era diventato il capo della “struttura” a Palermo dopo il mio trasferimento a Roma;

che il 19 luglio 1992 mi aveva visto in Via D’Amelio subito dopo la deflagrazione della bomba che aveva provocato la morte del dott. Borsellino e della sua scorta e che, nel momento in cui mi aveva visto, non era ancora intervenuta la polizia sul posto, essendo la prima Volante giunta un attimo dopo (v. all. n. 36).

3 – Interrogatorio del 2 luglio 1997. Sost. Proc. Naz. Antimafia dott. Carmelo Petralia, applicato alla D.D.A. di Caltanissetta:

– a richiesta del P.M., ha spiegato per quali motivi si era trovato il 19 luglio 1992 in Via D’Amelio, subito dopo l’esplosione, e quindi le circostanze in cui mi aveva visto in quel posto; ha detto, cioè, che doveva incontrarsi nel pomeriggio di quel giorno con un usuraio al quale doveva del denaro; ha narrato come ero vestito e con quale autovettura ero giunto sul luogo della strage o dal quale mi stavo allontanando; ha precisato che io avevo in mano “qualcosa” e che i nostri sguardi si erano incrociati;

– ha aggiunto che si era incontrato con me perlomeno venti o trenta volte ( v. all. n. 37).

   Ogni commento sul racconto di Elmo è inutile.

   Dopo qualche giorno da quest’ultimo interrogatorio, cioè il 5 luglio 1997, alla presenza dei Sostt. Procc. Rep. di Palermo, dott.ri Ingroia, Gozzo e Amelio, del Sost. Proc. Naz. D.N.A. dott. C. Petralia e del Sost. Proc. Rep. di Caltanissetta dott. A. Di Matteo, si svolse un confronto tra Elmo e Narracci Lorenzo.

   Il dott. Lorenzo Narracci, già ufficiale dei Carabinieri, è un funzionario del Sisde che era stato per alcuni anni un mio stretto collaboratore a Roma e poi, nel 1991, era stato trasferito a Palermo quale vice capo Centro Sisde.

   Quando Elmo parlava di quell’uomo dei Servizi con il quale aveva avuto rapporti, e che lui conosceva col nome di Giuseppe Di Maggio, intendeva riferirsi al dott. Narracci, perché, mostrategli immagini fotografiche e filmate di quest’ultimo, aveva riconosciuto in esse le sembianze del sedicente Di Maggio Giuseppe.

   Avendo evidentemente il dott. Narracci dichiarato ai Magistrati di non conoscere e di non aver mai quindi avuto alcun rapporto con l’Elmo, si procedette al confronto. Elmo dichiarò che il dott. Lorenzo Narracci non era l’individuo da lui conosciuto sotto il nome di Giuseppe Di Maggio (v. all. n. 38).

   Elmo aveva riferito del Di Maggio Giuseppe, alias Lorenzo Narracci: era stato lui a dirgli che io avevo organizzato l’attentato all’Addaura, avvalendomi per l0’esecuzione del delitto di due miei uomini fidati, Piazza e Agostino; che si era con lui lamentato del fatto che io gli “avevo fatto fare cose particolari per cui si sentiva quasi lo scrupolo, come una responsabilità morale di quello che era successo”, e ciò riguardo alla strage di Capaci (v. verb. interr. 2.6.1997 – all. n. 36).

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   Il 1° agosto 1997, Elmo venne interrogato dal Procuratore della Repubblica di Trapani dott. G. Garofano e dal Sost. Proc. Rep. di Trapani dott. A. Tarando. L’argomento era il traffico e il riciclaggio di scorie chimiche e radioattive. Nell’occasione Elmo parlò anche di me e del dott. Lorenzo Narracci. Dopo aver premesso che il mese precedente aveva fatto un confronto con il dott. Narracci e non aveva in lui riconosciuto il Giuseppe Di Maggio, ha riferito che quella persona con la quale era stato posto a confronto, cioè il dott. Lorenzo Narracci, l’aveva vista il 19 luglio 1992, in Via D’Amelio, alla guida della mia auto, nelle circostanze da lui riferite nei verbali precedenti. Ha aggiunto che nei mesi di giugno-luglio 1992 aveva visto il dott. Narracci in compagnia di appartenenti alla famiglia mafiosa palermitana di Passo di Rigano (v. all. n. 39).

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   In data 11 settembre 1997, i PP.MM. dott.ri C. Petralia e A. Di Matteo, della Procura della Repubblica di Caltanissetta, hanno interrogato il m.llo Giuseppe Ciuro della D.I.A. e gli hanno chiesto se era vero ciò che aveva riferito Elmo, cioè che si trovava in Via D’Amelio subito dopo l’esplosione (pochi minuti dopo l’esplosione), e di aver visto anche lui in quella circostanza, in quel momento, il dott. Contrada e il dott. Narracci.

Il m.llo Ciuro ha smentito l’Elmo, riferendo ai Magistrati che, quando aveva appreso della strage, verso le ore 17,30 del 19 luglio 1992, si trovava ad Altavilla Milicia, in un villino di amici in località S. Onofrio. Ha aggiunto di avermi visto successivamente, una volta recatosi sul posto della strage, dopo essere tornato da Altavilla a Palermo, e dopo essere passato per casa sua, e dopo essere stato nella sua caserma in Via Cavour: cioè, dopo alcune ore dall’avvenuta deflagrazione. Cosa possibile, essendomi anche io recato in serata in Via D’Amelio, come dettagliatamente riferito al P.M. Petralia in data 12 aprile 1994 (v. verb. interr. Ciuro dell’11.9.1997, e verb. interr. Contrada del 7.4.1994 – allegati nn. 40 e 18).

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   Dopo le dichiarazioni di Elmo Francesco sulla mia presunta presenza in Via d’Amelio al momento della strage, la Procura della Repubblica di Caltanissetta (Sost. Proc. Rep. dott. A. Di Matteo) convocò nuovamente, il 21 novembre 1997, il magg. CC. Umberto Sinico.

   Il Magistrato – dopo avere rappresentato all’ufficiale “che la necessità di approfondire tutti gli accertamenti sul punto si appalesa ulteriormente anche in ragione di nuovi elementi che sembrerebbero ribadire la veridicità di quanto rappresentatogli dal suo amico” (è chiaro che intendeva riferirsi a ciò che aveva detto Elmo), lo invitò a fare il nome della persona dalla quale aveva appreso la notizia della mia presenza in Via D’Amelio.

   Il magg. Sinico ribadì quanto dichiarato cinque anni prima, cioè l’11 e il 20 dicembre 1992, in ordine alla mia presenza sul luogo della strage, e non volle rivelare il nome del suo informatore “per una questione di rispetto della parola che a suo tempo gli ho dato, nel senso di impegnarmi a non rivelare a chicchessia il suo nome, per non esporlo”. Aggiunse che il suo informatore gli fece promettere di non rivelare il suo nome, perché temeva “gli eventuali pregiudizi e pericoli che si sarebbero potuti creare in danno della sua fonte di conoscenza”, cioè la terza persona che aveva riferito la notizia all’informatore del magg. Sinico.

   Su questo suo informatore, però, il magg. Sinico dette al magistrato le seguenti indicazioni:

        soggetto conosciuto durante la sua permanenza per ragioni di servizio a Palermo, con il quale si era creato un rapporto di buona conoscenza e anche di amicizia:

        non si trattava di appartenente alle Forze dell’Ordine, ma di un impiegato presso la Pubblica Amministrazione;

        persona assolutamente pulita e perbene, che anche in altre occasioni gli aveva dato delle notizie suscettibili di interesse investigativo (v. verb. interr. 21.11.1997 – all. n. 41).

Questi dati sull’informatore forniti dal magg. Sinico al P.M. risulteranno poi non veri, come ammesso dallo stesso ufficiale, e come emergerà nel prosieguo della esposizione dei fatti.

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   Anche la “rivelazione” di Francesco Elmo (la mia presenza sul luogo della strage Borsellino al momento della esplosione) arrivò puntualmente alla stampa.

        L’Unità pubblicò il 3 dicembre 1997 un articolo a firma Saverio Lodato, intitolato: “Contrada in Via D’Amelio dopo la strage – Lo 007 fece sparire l’agenda di Borsellino? Un supertestimone accusa, ma è giallo, i verbali sono stati rubati. Nell’articolo si riportano le dichiarazioni di Francesco Elmo sulla mia presenza in Via D’Amelio, prospettando anche l’ipotesi che io avessi ivi sottratto l’agenda del giudice Borsellino.

        L’Unità del giorno successivo 4 dicembre 1997, riprese l’argomento riferendo che il G.I.P. di Caltanissetta dott.ssa Gilda Lo Forti stava esaminando i fascicoli dell’inchiesta sui mandanti esterni delle stragi, nella quale io ero indagato, per decidere sulla richiesta di proroga delle indagini.

        La Stampa di Torino riportò la notizia con un articolo: Sulla strage di Via D’Amelio un collaboratore chiama in causa Contrada. Nell’articolo era scritto: “Ad aggravare il già fosco quadro generale, arriva òla testimonianza di uno strano personaggio, prima collaboratore dei servizi segreti, poi collaboratore di giustizia. Si chiama Francesco Elmo e sostiene di aver visto Bruno Contrada, ex numero 3 del Sisde, in Via D’Amelio il giorno dell’attentato. Il teste mette in relazione la scomparsa di una agenda di Borsellino con la presenza di Contrada sul luogo della strage”.

        Il Giornale di Sicilia del 3.12.1997 riportò la notizia nel testo di un articolo riguardante altri fatti: “E intanto spunta un altro testimone che dice di aver visto lo 007 dei servizi segreti Bruno Contrada allontanarsi in tutta fretta da Via D’Amelio subito dopo l’esplosione dell’autobomba che dilaniò Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta”. Lo stesso giornale, il 4 successivo, ritornò sul fatto con un articolo in cui era scritto: “Intanto il G.I.P. Gilda Lo Forti oggi esamina i quattro faldoni dell’inchiesta sui mandanti esterni alla mafia, nella quale è indagato Bruno Contrada, per decidere sulla richiesta di proroga delle indagini. Nell’inchiesta vi sono i verbali del teste Francesco Elmo, che ha detto di avere visto Contrada in Via D’Amelio subito dopo l’esplosione, e atti dell’indagine su una presunta relazione di servizio sparita, che attesterebbe la presenza dello 007 del Sisde. I verbali di Elmo erano contenuti nella borsa del P.M. nisseno Luca Tescaroli, rubata a Roma e poi ritrovata con alcuni documenti sottratti”.

        L’Indipendente del 3.12.1997: “Contrada stava indagando – Il difensore: ‘gli stessi magistrati avevano chiesto il suo aiuto. Perché ora tacciono? E’ già pronta una denuncia contro il pentito’” (v. all. n. 42).

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     La situazione era diventata ormai non più sopportabile, per lo stillicidio continuo di notizie false e calunniose sul mio conto, provenienti non solo da pentiti, ma purtroppo anche da appartenenti alle Forze dell’Ordine. Notizie di cui venivo a conoscenza dalla stampa e dalla televisione, e che mi presentavano dinanzi all’opinione pubblica come un ignobile individuo coinvolto o addirittura responsabile di stragi efferate, con l’enorme danno che me ne derivava, come è facile immaginare.

   Pertanto, in data 12 gennaio 1998, presentai alla Procura della repubblica di Caltanissetta un esposto-denuncia-querela (v. all. n. 43) con cui rappresentai i comportamenti tenuti da Mutolo Gaspare, Elmo Francesco, Sinico Umberto e Carmelo Canale, di cui ero venuto a conoscenza, oltre che dalla stampa, anche dalla lettura del decreto di archiviazione del G.I.P. di Caltanissetta del 7 marzo 1995 (v. all. n. 20). Con tale atto era stata disposta l’archiviazione del procedimento a mio carico, istauratosi precipuamente per le accuse del magg. Sinico, del ten. Canale e del pentito Mutolo, in ordine alla mia presunta presenza in Via D’Amelio al momento della esplosione dell’auto-bomba e al mio presunto incontro a luglio 1992 con il dott. Borsellino e il Capo della Polizia Prefetto Parisi.

   Nella denunzia ribadii ancora una volta che:

        il 19 luglio 1992, di pomeriggio, nelle ore della strage, ero in alto mare, su una imbarcazione con dieci persone;

        che né il 1° luglio, né il 16, né il 17 luglio, né in qualsiasi altro giorno del mese di luglio del 1992 mi ero incontrato, per appuntamento programmato o casualmente, col dott. Borsellino;

        che nel 1992 mai mi ero incontrato col Capo della Polizia Parisi;

        che mai mi ero incontrato col dott. Borsellino, insieme col Capo della Polizia Parisi;

        che avevo saputo delle propalazioni di Mutolo nei miei confronti dopo la strage di Via D’Amelio, ed esattamente il 26.7.1992.

Indicai elementi, circostanze, dati di fatto, testimoni, documenti a dimostrazione e prova della verità di quanto asserito, così come avevo già fatto il 7.4.1994, quando fui sentito dal P.M. di Caltanissetta, dott. C. Petralia (v., all. n. 18).

   Con la mia denunzia chiesi il perseguimento, previo ogni ulteriore, opportuno e utile accertamento, di tutti coloro che si erano resi responsabili di calunnia, diffamazione, violazione del segreto investigativo, e di ogni altro reato eventualmente commesso.

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   In seguito a tale mia iniziativa giudiziaria, il maggiore CC. Sinico Umberto, in data 29 maggio 1998, fu nuovamente interrogato dal P.M. di Caltanissetta, Sost. Proc. dott. A. Di Matteo, e dal Sost. Proc. Nazionale Antimafia, dott. C. Petralia.

   Nella circostanza, all’ufficiale fu reso noto dai Magistrati che il ten. CC. Canale, assunto a verbale poco prima (non sono in possesso di questo verbale), aveva dichiarato che la persona che aveva riferito della mia presenza in Via D’Amelio, nelle circostanze più volte riportate, era stato il dott. Roberto Di Legami, funzionario della P.S., e che di ciò era a conoscenza perché glielo aveva detto lo stesso Sinico.

   Il magg. Sinico negò che la sua fonte fosse stato il predetto, pur ammettendo di avere con lo stesso un buon rapporto di amicizia, e ritenendo di aver anche a quest’ultimo confidata la notizia della mia presenza sul luogo della strage. Ancora una volta ribadì di ritenere suo preciso dovere morale, nonché facoltà derivante dall’art. 203 c.p.p., di non rivelare il nominativo della persona, nominativo non rivelato a nessuno, e, quindi, neanche al ten. Canale (v. all. n. 44).

   Pertanto, i Magistrati sottoposero a confronto il magg. Sinico e il ten. Canale, i quali, però, sostennero la propria versione dei fatti: il primo negando che la sua fonte fosse stata il dr. Roberto Di Legami, il secondo insistendo nel dire che il magg. Sinico gli aveva detto essere appunto il Di Legami (v. verb. di confronto del 29.5.1998 Sinico-Canale, all. n. 45).

   Il magg. CC. Sinico, nonostante la rilevanza e gravità della notizia (presenza di un alto funzionario dei Servizi sul luogo della strage al momento della deflagrazione), da lui riferita all’Autorità Giudiziaria e ad altri Ufficiali dell’Arma, nonostante più volte sollecitato dai Magistrati della Procura di Caltanissetta, non ha per anni, dal luglio-agosto 1992 a maggio 1998, mai voluto rivelare il nome di chi tale notizia gli aveva dato, tra la fine di luglio e l’inizio di agosto del 1992. Anzi, all’evidente scopo di sviare le indagini sulla sua identificazione, si era determinato a dare false informazioni al P.M., assumendo trattarsi di un suo occasionale informatore, non appartenente alle Forze dell’Ordine, impiegato dipendente da Pubblica Amministrazione, e addirittura di essere stato lui a confidare al Di Legami la notizia della mia presenza sul luogo della strage, come rilevasi dai verbali su richiamati.

   Lo stesso giorno, 29 maggio 1998, fu interrogato a Caltanissetta dai Sostt. Procc. Dott.ri C. Petralia, A.M. Palma e A. Di Matteo, il funzionario di P.S. dott. Roberto Di Legami, allora in servizio alla Squadra Mobile di Palermo.

   Egli ammise di essere amico dell’allora cap. CC. Umberto Sinico e di essersi incontrato con lui, circa dieci giorni dopo la strage Borsellino, in un locale pubblico di Palermo, in compagnia anche del cap. CC. Raffaele Del Sole. Nell’occasione avevano parlato della strage e delle prospettive investigative che si presentavano. Escluse, però, con fermezza, di avere nella circostanza, o comunque in altro momento, riferito all’ufficiale della mia presenza non istituzionale in Via D’Amelio immediatamente dopo l’esplosione, nonché di essere stato mai a conoscenza della soppressione di una relazione di servizio attestante la mia presenza nel luogo della strage (v. proc. verb. Di Legami 29.5.1998 – all. n. 46).

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   Il 14 luglio 1998, il dott. Roberto Di Legami fu nuovamente interrogato a Caltanissetta dai Sostt. Procc. Rep. dott. A. Di Matteo e dott.a A. M. Palma. In questa occasione fu interrogato, però, quale persona sottoposta alle indagini per il reato di cui all’art. 371 bis c.p., perché “sentito nella sua qualità di persona informata dei fatti, nell’ambito di procedimento penale, lo scorso 29.5.1998, richiesto da noi di fornire informazioni ai fini delle indagini sulla strage di Via D’Amelio, rendeva delle dichiarazioni che noi riteniamo false, affermando di non avere ami parlato con il cap. CC. Umberto Sinico, della presenza, chiamiamola così, non istituzionale del dott. Contrada in Via D’Amelio, immediatamente dopo l’esplosione dell’autobomba”.

   Il dott. Roberto Di Legami negò recisamente l’addebito. Affermò che mai aveva appreso da altri della mia presenza in Via D’Amelio, che mai aveva riferito siffatta cosa al magg. Sinico o ad altre persone, che mai aveva parlato col magg. Sinico o con altri di me, che non mi aveva conosciuto né mai visto, e che soltanto nel dicembre 1992, per le mie vicende giudiziarie, aveva sentito parlare di me. Il dott. Di Legami continuò a negare decisamente anche quando i Magistrati inquirenti gli resero noto che tre ufficiali dei Carabinieri, il magg. U. Sinico, il magg. R. Del Sole e il ten. C. Canale, lo avevano indicato come colui che li aveva informati della mia presenza sul luogo della strage e della soppressione della relazione di servizio redatta dagli Agenti che ivi mi avrebbero identificato.

   Infatti, il magg. Sinico, finalmente il 6 giugno 1998, si era deciso a rivelare ai Magistrati il nome di colui che gli aveva riferito la notizia (il dott. Di Legami), ed il magg. Del Sole aveva dichiarato di essere presente quella sera dell’incontro nel locale di Via Belmonte, quando il dott. Di Legami aveva confidato al magg. Sinico, e quindi anche a lui, che era lì con loro, di aver saputo della mia presenza in Via D’Amelio.

   Da parte sua, il ten. Canale aveva già riferito il 29.5.1998, ai PP.MM. di Caltanissetta che aveva saputo dal magg. Sinico che la persona che gli aveva riferito la notizia della mia presenza in Via D’Amelio era appunto il dott. Di Legami.

   Le dichiarazioni rese dal dott. Di Legami sono contenute nel verbale in forma riassuntiva e nell’unito verbale di trascrizione integrale dell’interrogatorio del 14 luglio 1998 (v. all. n. 47).

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   Il cap. CC. Raffaele Del Sole (nell’estate del 1992 aggregato alla Sezione Anticrimine del Comando Prov. dei CC. di Palermo, e, alla data del 31 luglio 1998, Com.te della Sezione Anticrimine del R.O.S. di Reggio Calabria) il 31 luglio 1998, rese dichiarazioni al P.M. di Caltanissetta, dott. Di Matteo, e, dopo aver chiarito di essere collega e amico del magg. Sinico, nonché di conoscere bene il dott. Roberto Di Legami, già sottufficiale dei CC. e, nel 1992, funzionario di P.S., in servizio alla Squadra Mobile di Palermo, ha rivelato il nome di chi, pochi giorni dopo la strage del 19.7.1992, aveva dato la notizia della mia presenza in Via D’Amelio, notata, rilevata e documentalmente accertata: il funzionario di Polizia dott. Roberto Di Legami.

   Evidentemente, questo nome lo aveva in precedenza già fatto ai Magistrati, in quanto, nel corso dell’interrogatorio del Di Legami del 14 luglio 98, i PP.MM. avevano contestato al funzionario di P.S. che anche il magg. Del Sole lo aveva indicato quale fonte della notizia.

   Dichiarò, infatti:

        che, dieci-quindi giorni dopo la strage (quindi, tra la fine di luglio e gli inizi di agosto del 1992), si trovavano insieme in un ristorante di Via Principe Di Belmonte a Palermo, lui, il cap. Sinico e il dott. Roberto Di Legami;

        che, in quella occasione, il Di Legami aveva fatto la confidenza: aveva saputo che il dott. Contrada era in Via D’Amelio “immediatamente dopo la esplosione”. Lo aveva appreso da “qualche suo dipendente” che, a sua volta, l’aveva appreso da “una pattuglia della Polizia intervenuta immediatamente sul posto”;

        che tale notizia poco dopo era stata portata a conoscenza del Sost. Proc. dott. Ingroia, e che, in tale circostanza, probabilmente era lui stesso (Del Sole) presente;

        che era stato presente ad un incontro tra Sinico e Di Legami e che in tale occasione il primo aveva chiesto al secondo se era il caso di rivelare la fonte originaria della notizia, ricevendone risposta negativa, sia perché non c’era l’assenso di quest’ultima, sia, soprattutto, perché riteneva che si trattasse di una notizia priva di fondamento;

        che, all’epoca (cioè, subito dopo la strage), c’era il m.llo Canale che “era molto accanito nei confronti del dott. Contrada, nei discorsi che andava facendo lo riteneva quasi coinvolto nei fatti”!

   Quanto sopra è contenuto nel verbale delle informazioni testimoniali rese dal cap. CC. Del Sole al P.M., in data 31.7.1998 (v. all. n. 48 e 49).

   In data 26 gennaio 1999, la Procura della Repubblica di Caltanissetta (Sostt. Procc. Rep. dott.ri A.M. Palma e A. Di Matteo), data la discordanza delle dichiarazioni rese, da una parte dagli ufficiali CC. Sinico e Del Sole, e, dall’altra, dal funzionario P.S. Di Legami, dispose confronti tra i predetti.

   L’esperimento non ebbe alcun risultato, poiché tutti confermarono le dichiarazioni precedentemente e rispettivamente rese (v. verbali confronto Sinico-Di Legami e Del Sole-Di Legami, 26.1.99 – allegati nn. 50 e 51).

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   Il magg. CC. Sinico, quando fu interrogato dai Magistrati di Caltanissetta, il 20 dicembre 1992, dichiarò: “Ribadisco, inoltre, che il mio amico mi ha riferito che la presenza di Contrada è stata notata dal personale della prima ‘Volante’ intervenuta sul luogo della strage” (v. all. n. 2).

   L’ufficiale, nel precedente interrogatorio dell’11 dicembre 1992, aveva infatti dichiarato: “E’ vero che ho detto al dott. Ingroia di aver saputo che la prima ‘Volante’ della Polizia sopraggiunta in Via D’Amelio pochissimo tempo dopo l’esplosione avrebbe fermato e generalizzato una persona che si trovava sul posto e rispondente al nome di Bruno Contrada. Di questa persona sarebbero stati esaminati proprio i documenti di identità. Confermo di aver detto al dott. Ingroia che di tali accertamenti il personale della ‘Volante’ avrebbe redatto una nota di servizio” (v. all.n. 1).

   L’equipaggio della ‘Volante’ della Polizia, che, trovandosi nei pressi del luogo della strage, era per prima intervenuta, è stato accertato essere composto da:

        l’Ispettore P. S. Alberghino Vincenzo;

        l’Agente sc. P.S. Compagno Rosario;

        l’Agente sc. P.S. Poliacheni Vincenzo.

   I tre, interrogati il 26 gennaio 1999 dal Sost. Proc. Rep. di Caltanissetta dott. A. Di Matteo, hanno concordemente, decisamente e inequivocabilmente dichiarato che:

– erano stati i primi ad intervenire sul posto nella immediatezza della strage, perché si trovavano in servizio a breve distanza;

– non avevano notato la presenza del dott. Contrada sul posto, né avevano visto alcuna persona allontanarsi;

– non avevano, quindi, redatto alcuna relazione di servizio attestante la rilevata presenza sul posto del dott. Contrada e la sua identificazione previa richiesta dei documenti;

– avevano redatto una relazione di servizio circa il loro intervento sul luogo della strage, consegnata, poi, al rientro, all’Ufficio da cui dipendevano;

– non avevano mai detto ad alcuno di aver visto il dott. Contrada in Via D’Amelio o nei pressi, né da alcuno avevano mai saputo una siffatta cosa;

– mai nessuno dei loro superiori aveva loro chiesto notizie dell’eventuale presenza del dott. Contrada sul luogo della strage (v. allegati nn. 52, 53 e 54).

   Analoghe dichiarazioni ha reso al P.M. di Caltanissetta il 26 gennaio 1999 l’altro Ispettore P.S., Almetta Roberto, intervenuto sul posto della strage con il suo equipaggio subito dopo l’arrivo della ‘Volante 21’, composta dal personale sopra nominato (v. all. n. 55).

   Tutti i predetti erano stati già assunti a verbale dai Magistrati di Caltanissetta il 19 dicembre 1992 (evidentemente, sin da allora erano state poste loro le stesse domande, in seguito alla notizia riferita dal magg. Sinico circa la mia presenza e identificazione sul luogo della strage). Allora avevano riferito le stesse cose, poi confermate nei verbali del 26 gennaio 1999.

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   Il 14 dicembre 1999, veniva nuovamente interrogato dal P.M. di Caltanissetta (dott.a A.M. Palma) Elmo Francesco, il quale dichiarò di avere inviato a gennaio e agosto 1999 al Sost. Proc. Rep. di Caltanissetta, dott. A. Di Matteo, e al Procuratore Repubblica di Trapani, due memoriali con i quali, a suo dire, “mi sono sforzato di fornire tutti gli elementi che ritengo possano essere utilmente valorizzati a conferma delle mie dichiarazioni, ed in particolare di quelle riguardanti la presenza da me constatata del dr. Bruno Contrada in Via D’Amelio a distanza di qualche minuto dalla deflagrazione del 19 luglio 1992” (v. all. n. 56).

   Non ho saputo nulla dell’inchiesta condotta dalla Procura della Repubblica di Caltanissetta, in seguito e in esito alla mia denunzia del 18.1.1998, sino al 14 marzo 2000, giorno in cui il Giornale di Sicilia pubblicava un articolo, siglato G.M., intitolato: “Su Contrada ha detto il falso ai PP.MM. – Un poliziotto indagato a Caltanissetta – L’ex numero 3 del Sisde era in Via D’Amelio dopo la strage? Due carabinieri: ‘ce lo disse un suo collega’. Che però nega”.

   Il giorno dopo, 15 marzo 2000, l’argomento è stato ripreso dallo stesso Giornale di Sicilia e dal quotidiano locale Oggi Sicilia (v. all. n. 57).

   Il 26 maggio 2000, mi è stato notificato l’avviso della richiesta di archiviazione del procedimento penale n° 102/98 nei confronti di Mutolo Gaspare e altri, fatta l’11.5.2000 dal P.M. di Caltanissetta, dott.a A. M. Palma (v. all. n. 58).

   Presa visione del provvedimento, ho rilevato che la richiesta di archiviazione per Elmo Francesco, indagato per il reato di calunnia exart. 368 c.p., era così motivata:

“…In merito, poi, alle dichiarazioni rese da Elmo, che oggettivamente considerate, sia per la tardività delle stesse sia per l’inverosimiglianza di alcune circostanze, potrebbero indurre ad ipotizzare il reato di calunnia, si rileva che tale certezza di risultato è messa in dubbio proprio dalla contestuale acquisizione di elementi concernenti l’asserita presenza in Via D’Amelio del dott. Contrada, provenienti da fonti diverse (magg. Sinico, magg. Del Sole)” (v. rich. archiv., pag. 3 – all. n. 59).

   Per quanto riguarda il magg. CC. Umberto Sinico, la richiesta di archiviazione è stata motivata dalla “insussistenza di un dolo di calunnia”, in quanto l’Ufficiale “ha rivelato la fonte dell’acquisita notizia relativa alla presenza sul luogo della strage del dott. Contrada, ed in tal senso la sua dichiarazione è stata riscontrata da quella di identico contenuto resa dal magg. Del Sole” ( v. rich. archiv., pagg. 2-3, all. n. 59).

   In proposito, non si può non rilevare che le dichiarazioni di Elmo non solo sono tardive e inverosimili, ma incontestabilmente false, menzognere, calunniose e addirittura farneticanti. Ciò è stato dimostrato e provato non solo da me (al momento della strage ero lontano, in alto mare, con dieci persone), ma accertato dalle indagini svolte da più Magistrati, dal 1992 ad oggi.

   D’altra parte, non si può sostenere che la menzogna calunniosa di Elmo non sia più tale, perché la medesima menzogna calunniosa è stata prima riferita e propalata dagli ufficiali Sinico e Del Sole, o dal funzionario di P.S. Di Legami, o da altri.

   Chiunque abbia detto che io ero in Via D’Amelio il 19 luglio 1992 al momento o subito dopo la deflagrazione, ha mentito.

   Si pone, inoltre, l’ineludibile interrogativo: perché indagare sulle dichiarazioni di Sinico, Del Sole, Canale, Elmo, Di Legami, Agenti della Volante, e di altri, per accertare che io fossi lì, in Via D’Amelio, mentre scoppiava la bomba o qualche momento prima o dopo, se era già stato accertato in modo incontrovertibile e sicuro che io a quell’ora, da molto tempo prima e molto tempo dopo la deflagrazione, ero lontano, in alto mare, su una barca con dieci persone?

   Lo scopo dell’indagine sarebbe potuto essere solo quello di individuare che per primo avesse mentito o diffusa la menzogna, e non certo quello di stabilire se io ero lì o altrove, se già era stato accertato che ero altrove.

   Per quanto riguarda, infine, il ten. CC. Carmelo Canale e il pentito Gaspare Mutolo, la richiesta di archiviazione è stata motivata dal fatto che “non è possibile espletare attività di riscontro a causa del decesso dei testi chiave, e cioè del dott. Borsellino e del Capo della Polizia di Stato Prefetto Parisi”, e che tutte le indagini svolte non hanno consentito di acquisire alcun elemento utile a riscontrare l’asserito carattere calunnioso e diffamatorio delle dichiarazioni rispettivamente rese dal Mutolo e dal Canale, smentendole sulla loro essenza” (v. rich. archiv. Pag. 2 – all. n. 59).

   Nel provvedimento si fa cenno “ad un separato procedimento penale che, a seguito dell’istruzione espletata, è stato definito con richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di un funzionario della Polizia di Stato” (evidentemente, il dott. Roberto Di Legami – v. rich. archiv. pag. 2, all. n. 59).

   Ho saputo successivamente che, appunto il dott. Di Legami era stato rinviato a giudizio per il reato di false dichiarazioni a P.M. (art. 371 c.p.), perché, “sentito nella sua qualità di persona informata dei fatti nell’ambito di procedimento penale, richiesto dal P.M. di fornire informazioni ai fini delle indagini, rendeva dichiarazioni false, e affermato di non avere mai parlato con il cap. CC. Umberto Sinico della presenza ‘non istituzionale’ del dott. Contrada in Via D’Amelio immediatamente dopo l’esplosione dell’autobomba, e taciuto ciò che sapeva in relazione au fatti sui quali veniva sentito”.

   Di tale processo e dell’esito di esso si tratterà più avanti.

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   In data 5 giugno 2000, ho proposto al G.I.P. di Caltanissetta opposizione avverso la richiesta di archiviazione del P.M. (dott. A.M. Palma) dell’11.5.2000, chiedendo la prosecuzione delle indagini preliminari.

   A sostegno dell’opposizione ho richiamato gli esiti delle indagini svolte dalla stessa Procura di Caltanissetta sino alla data dell’11.5.2000 e, specificamente:

– gli accertamenti svolti in ordine alla presunta mia presenza in Via D’Amelio al momento della strage, che hanno portato al risultato della infondatezza e falsità della notizia propalata dal magg. Sinico o dal dott. Di Legami e da Elmo Francesco, in un momento successivo;

– gli accertamenti svolti in ordine al presunto mio incontro col dott. Borsellino, da solo o con il Capo della Polizia, che hanno portato al risultato della infondatezza e falsità della notizia propalata dal ten. CC. Carmelo Canale e da Mutolo Gaspare;

– gli accertamenti svolti in ordine al momento e alle circostanze in cui sono venuto a conoscenza, per la prima volta, delle accuse che aveva enunciato o preannunciato nei miei confronti il collaborante Mutolo Gaspare al dott. Borsellino (v. all. n. 60).

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   Mentre ero in attesa della decisione del G.I.P. di Caltanissetta sulla richiesta di archiviazione del P.M. della mia denunzia del 18.1.1998, e dell’atto di opposizione a tale archiviazione, la vicenda giudiziaria ha avuto un ulteriore sviluppo.

   Infatti, in data 10 ottobre 2000, il quotidiano La Stampa di Torino ha pubblicato un articolo, a firma Guido Ruotolo, intitolato “Fallito attentato a Falcone, sospetti su Contrada” (v. all. n. 63).

   Nell’articolo sono riportate testualmente alcune gravissime accuse coinvolgenti la mia persona, enunciate dal P.M. Sostituto Procuratore della Repubblica dott. Luca Tescaroli, nel corso della sua requisitoria nel processo celebrato dinanzi la Corte di Assise di Caltanissetta per l’attentato del 21 giugno 1989 nella villa dell’Addaura di Palermo in danno del dott. Giovanni falcone.

   Nel processo in argomento erano imputati: Salvatore Riina, Antonino Madonna, Salvatore Biondino, Francesco Onorato, Giovanbattista Ferrante, Vincenzo e Angelo Galatolo, i primi cinque condannati a varie pene detentive, gli ultimi due assolti.

   Nel procedimento penale io non ero imputato, né sono stato mai indagato o interrogato in ordine all’episodio criminoso quale indiziato, testimone, persona informata dei fatti o a qualsiasi altro titolo.

   Nell’articolo di che trattasi sono riportate, tra virgolette, alcune espressioni pronunziate dal dott. Tescaroli nei miei confronti, cioè: “E’ giocoforza ritenere che le accuse nei confronti del dott. Contrada si collochino, a pieno titolo, nel contesto ideativo dei tre delitti: l’Addaura, la strage di Capaci e quella di Via D’Amelio, e poi, “prende corpo, pertanto, la tesi che il fallito attentato all’Addaura sia stato posto in essere anche per condizionare le dichiarazioni di accusa nei confronti di Bruno Contrada”. E ancora: “Mutolo segnalò a Falcone che era in possesso di conoscenze relative a rapporti intercorrenti tra alcuni funzionari e, quindi, il dott. Contrada, e appartenenti a Cosa Nostra. Dopo la strage di Capaci, Mutolo viene sentito da Paolo Borsellino e, nel suo primo interrogatorio, racconta dell’incontro con Falcone. Mentre stava interrogando Mutolo, Borsellino viene chiamato al Viminale e, una volta al Ministero, trova il Capo della Polizia Parisi e il dott. Contrada”.

   In proposito il giornalista Ruotolo ha scritto nel suo articolo che “il dott. Contrada, nella requisitoria Tescaroli, è chiamato in causa anche per le stragi di Capaci e di Via D’Amelio”.

   In sintesi, dalla lettura del servizio giornalistico de La Stampa, si evinceva senza ombra di dubbio che io venivo indicato, additato e accusato quale responsabile delle tre stragi. Ancora una volta, e questa volta da un Magistrato nel corso di un processo in cui ero del tutto estraneo.

   A questo puntoi, ho ritenuto necessario verificare l’esattezza delle notizie riportate dalla stampa con l’acquisizione e la lettura della requisitoria scritta del P.M. dott. Luca Tescaroli, depositata alla Corte di Assise di Caltanissetta nel corso del dibattimento per l’attentato all’Addaura, così intitolata: “N. 298/93 R.G.N.R. – N. 23/98 R.C. Assise – Luca Guido Tescaroli Proc. Sost. Appl.to – Fallito attentato all’Addaura del 20 giugno 1989. Prolusione. L’individuazione della strategia criminale destabilizzante nella quale il fallito attentato si inserisce. Il movente”.

   Le pagine 136-181 dell’elaborato trattano le vicende e le indagini in ordine al riciclaggio del denaro provento del traffico di stupefacenti, le rogatorie del dott. Falcone in Svizzera nel 1989, la fuga e latitanza dell’industriale bresciano Oliviero Tognoli, la presenza a Palermo nel giugno 1989 dei magistrati svizzeri Carla Del Ponte e Claudio Lhemann, le accuse del collaborante Gaspare Mutolo nei confronti di uomini delle istituzioni (tra cui il magistrato Signorino e il funzionario P.S. Contrada) e altri argomenti connessi.

   In particolare, a pag. 173 della menzionata requisitoria, è scritto: “Orbene, ci si deve chiedere allora se possa esistere un unico filo conduttore che accompagna i tre episodi stragisti dell’Addaura, di Capaci e di Via D’Amelio, vale a dire se nel contesto ideativi sia dato individuare un minimo comune denominatore rappresentato dal proposito di incidere sulle dichiarazioni di accusa nei confronti di Bruno Contrada. E infatti, come si è già detto, le accuse del Tognoli non venivano mai formalizzate e quelle di Mutolo venivano notevolmente ritardate nel tempo. Si tratta di dati che non possono trovare una adeguata giustificazione nella mera accidentalità. E’ gioco forza ritenere, perciò, che le accuse nei confronti del dott. Contrada si collochino, a pieno titolo, nel contesto ideativi dei tre delitti: è dato inferire una comune finalità preventiva nell’eliminazione di questi obiettivi di questi fatti stragisti: neutralizzare o, comunque, condizionare le fonti di accusa nei confronti del dott. Contrada, colpendo gli interlocutori istituzionali deputati o, comunque, nelle condizioni di creare le basi per la rituale acquisizione di quegli elementi di accusa. E’, peraltro, evidente che siffatta ipotesi investigativa accreditata dalle suddette risultanze probatorie, se, per un verso, dovrà essere ulteriormente approfondita nell’ambito di separato procedimento, dall’altro consente di arricchire la causale dell’assassinio del dott. Falcone” ( v. all. n. 65).

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   Contestualmente, venivo a conoscenza che di recente era stato messo in vendita un libro dalla “Rubbettino Editore”, con sede a Soveria Mannelli (Cosenza), dal titolo “Perché fu ucciso Giovanni Falcone”, autore Luca tescaroli, sostituto procuratore della Repubblica di Caltanissetta (v. all. n. 64).

   L’autore è stato P.M. nel processo celebratosi a Caltanissetta per la strage di Capaci (23.5.1992), sia in primo grado, conclusosi con sentenza del 26.09.1997, sia in appello, conclusosi con sentenza del 07.04.2000, nonché nel processo terminato a ottobre 2000 per l’attentato all’Addaura.

   Il volume in argomento riporta la requisitoria pronunciata dal dott. Luca Tescaroli, nel corso delle udienze del 26-28 gennaio e 2 febbraio 2000, quale rappresentante del Procuratore Generale di Caltanissetta, nel processo dinanzi la Corte di Assise di Appello.

   In detto processo erano imputati, in numero di 41, i componenti della cosiddetta “Commissione Regionale”, quasi tutti condannati, e, di essi, 30 all’ergastolo.

   Le pagg. da 50 a 79 del libro del dott. Tescaroli sono dedicate ad un capitolo così intitolato: “L’ulteriore concausa di natura preventiva dell’eliminazione di Giovanni Falcone: impedire la formalizzazione delle accuse di collusione nei confronti del funzionario di polizia Bruno Contrada da parte di Oliviero Tognoli, prima, e di Gaspare Mutolo, poi”.

     Il Tescaroli, dopo aver riportato nel libro alcuni brani delle testimonianze rese nel corso del processo in questione da Carla Del Ponte (18.03.1999), Clemente Gioia (18.03.1999), Giuseppe Ayala (11.10.1999), Francesco Onorato (16.03.1999), Gaspare Mutolo (21.03.1996), Giovanni De Gennaro (15.11.1999), ha delineato in termini chiari ed univoci l’ipotesi della mia responsabilità o corresponsabilità non soltanto nella strage di Capaci, ma anche in quella di Via D’Amelio e nell’attentato dell’Addaura.

   Si legge, infatti, a pag. 78 del volume: “Prende corpo, pertanto, l’ipotesi che sista un unico filo conduttore che accompagna i tre episodi stragisti dell’Addaura, di Capaci e di Via Mariano D’Amelio: di incidere sulle dichiarazioni di accusa nei confronti di Bruno Contrada. Un obiettivo che, di fatto, è stato raggiunto dal momento che le accuse di Tognoli non venivano mai formalizzate, avendo nel corso del mese di maggio 1989, fornito una versione diametralmente diversa sulle modalità della sua fuga, e quelle di Mutolo notevolmente ritardate nel tempo. Si tratta di molteplici coincidenze che non possono trovare un’adeguata giustificazione nella mera accidentalità. E’ gioco forza ritenere, infatti, che le accuse nei confronti del dott. Bruno Contrada si collochino, a pieno titolo nel contesto ideativi dei tre delitti, in quanto è dato inferire una comune finalità preventiva sull’eliminazione degli obiettivi dei fatti stragisti che ci occupano: neutralizzare o, comunque, condizionare le fonti di accusa nei confronti del dott. Contrada, colpendo gli interlocutori istituzionali deputati o, comunque, nelle condizioni di creare le basi per la rituale acquisizione di quegli elementi di accusa”.

   Come si evince dalla lettura dei passi su riportati delle requisitorie di gennaio-febbraio 2000 (processo appello strage di Capaci) e di ottobre 2000 (processo attentato Addaura), di analogo e identico tenore, il libro “Perché fu ucciso Giovanni Falcone” è stato edito e diffuso (maggio-giugno 2000) nel periodo intercorrente tra le requisitorie medesime. In esso è trascritta la parte della requisitoria concernente me, già pronunziata nel processo conclusosi a febbraio 2000, nonché la parte della requisitoria, sempre concernente la mia persona, che sarebbe poi stata detta e scritta a ottobre 2000, nel processo dell’Addaura.

   Il libro, mentre della prima ha diffuso il testo, della seconda ha invece preannunciato il testo stesso, cioè, prima che venisse fatta in sede dibattimentale (ottobre 2000).

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   Da quanto sopra enunciato dal Sost. Proc. rep. dott. Tescaroli nelle requisitorie al processo per la strage di Capaci e per l’attentato all’Addaura, riportate nelle indicate pagine del libro, io mi sarei reso responsabile o corresponsabile, o avrei avuto comunque una parte a livello ideativi, volitivo od organizzativo, in crimini efferati, e precisamente:

  1. nell’attentato all’Addaura del 21.06.1989, tendente all’eliminazione fisica del giudice Falcone e dei magistrati e funzionari svizzeri, nonché di altre persone eventualmente presenti sul luogo della deflagrazione, onde impedire che Oliviero Tognoli formalizzasse l’accusa che avrebbe rivolto al dr. Contrada di averlo favorito per sottrarsi nel 1984 alla cattura;
  2. nella strage di Capaci del 23.05.1992, in cui persero la vita il dott. Falcone, la consorte e tre agenti di polizia, per impedire o ritardare la formalizzazione delle accuse di collusione con la mafia rivoltegli dal collaborante Mutolo Gaspare;
  3. nella strage di Via D’Amelio del 19.07.1992, in cui rimasero uccisi il giudice Borsellino e cinque agenti di polizia, per lo stesso motivo di cui sopra al punto b).

   Il dott. Tescaroli, nell’enunciare siffatte incredibili e gravissime ipotesi accusatorie, nelle requisitorie pronunziate nel corso del processo per la strage di Capaci e per l’attentato dell’Addaura, e riportate poi nel libro “Perché fu ucciso Giovanni Falcone”, non ha considerato e valutato la fondamentale circostanza che io ero del tutto estraneo ai due processi, non essendo né imputato né accusato di alcunché né testimone.

   Ha omesso, altresì, di considerare – e ciò vale per l’attentato all’Addaura e per la strage di Capaci – che il Tognoli Oliviero in data 08.05.1989, cioè oltre un mese prima del rinvenimento dell’ordigno esplosivo dinanzi alla villa del dott. Falcone, avvenuto il 21.06.1989, aveva formalizzato l’accusa a carico di chi, in un modo o nell’altro, l’aveva favorito nel sottrarsi all’arresto. Infatti, in sede di commissione di rogatoria internazionale, aveva dichiarato ai Magistrati Italiani (dott. Falcone, allora G.I., e dott. Ayala, allora P.M.), nonché a quelli svizzeri (Lhemann e Del Ponte) che il suo amico e compagno di scuola, funzionario di polizia a Palermo era il dott. Cosimo Di Paola e non certo il dott. Contrada, del tutto estraneo a lui e alla sua vicenda personale e giudiziaria, con particolare riferimento alla sua sottrazione all’arresto del 1984 (v. all. n. 66).

   E’ da ricordare, inoltre, che la Procura della Repubblica di Caltanissetta (specificamente i Sostt. Procc. Rep. dott.ri Boccassini e Cardella), negli anni 1992-1993 avevano svolto una intensa e approfondita attività investigativa per stabilire eventuali connessioni tra l’attentato all’Addaura e l’inchiesta giudiziaria concernente il riciclaggio di droga in cui aveva avuto un ruolo il Tognoli Oliviero, e per individuare, quindi, conseguenti possibili responsabilità e causali del crimine.

   Tale attività investigativo-giudiziaria, come del resto anche quella precedente svolta nel 1989, nei mesi successivi al fatto criminale, ha escluso qualsiasi, seppur ipotetica, mia responsabilità. Infine, è da sottolineare che di recente, cioè nei giorni 29-30-31 maggio 2000, la Corte di Assise di caltanissetta, nell’ambito del processo n° 298/93 R.G.P.M. e 22/98 R.G.C.Ass. a carico di Riina Salvatore, Biondino salvatore, Madonna Antonino, Galatolo Vincenzo, Galatolo Angelo, Onorato Francesco e Ferrante G. Battista, imputati dell’ attentato dell’Addaura (21.06.1989), ha effettuato una rogatoria internazionale in Svizzera, nel corso della quale sono stati interrogati il giudice svizzero Claudio Lhemann e l’avv. Franco Giannoni, difensore del Tognoli, i quali hanno dichiarato che il Tognoli Oliviero non ha mai fatto il nome del dott. Contrada, ma soltanto quello del dott. Cosimo Di Paola, quale suo amico, compagno di scuola e funzionario di polizia a Palermo. Alla requisitoria ha partecipato il dott. Luca Tescaroli, nella qualità di P.M. del processo in questione (v. allegg. nn. 67 e 68).

  

   Non si comprende, quindi, in base a quale dato di fatto, risultanza investigativa, argomentazione logica e giuridica, il dott. Tescaroli abbia potuto enunciare la ipotesi di una mia responsabilità nei fatti criminosi dell’Addaura e di Capaci, che, senza motivo alcuno, avrei compiuto o contribuito in un modo qualsiasi a compiere.

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   Per quanto riguarda, poi, l’altra causale enunciata dal dott. Tescaroli, secondo cui io sarei responsabile delle stragi Falcone e Borsellino, o avrei avuto, comunque, una parte in esse per evitare, neutralizzare o ritardare la fonte di accusa costituita dal collaborante Mutolo Gaspare, “colpendo gli interlocutori istituzionali deputati o, comunque, nelle condizioni di creare le basi per la rituale acquisizione di quegli elementi di accusa” (v. pag. 78 del libro), è sufficiente leggere il decreto di archiviazione del G.I.P. di Caltanissetta, in data 07.03.1996 (v. all. n. 20), da cui risulta, con tutta evidenza che le notizie in base alle quali ero stato allora iscritto nel registro degli indagati, si sono rivelate del tutto infondate, false e menzognere.

   Tali notizie, portate a conoscenza dell’Autorità Giudiziaria, si riferivano, come innanzi più volte rappresentato, alla presunta rilevata presenza dello scrivente sul luogo della strage in Via D’Amelio qualche istante dopo la deflagrazione (a quell’ora ero su una imbarcazione, a largo della costa di Palermo, in compagnia di dieci persone tra cui due ufficiali dei CC., come ampiamente dimostrato e provato), nonché ad un presunto incontro a Roma tra il sottoscritto, l’allora Capo della Polizia Prefetto Vincenzo Parisi ed il dott. Paolo Borsellino il 17.07.1992, giorno in cui il Magistrato aveva interrogato il pentito Gaspare Mutolo (quel giorno lo scrivente era a Palermo, in ferie, come provato con certezza assoluta).

   In merito, si richiama ancora il decreto di archiviazione del G.I.P. di Caltanissetta del 07.03.1996, emesso su conforme richiesta del P.M., e tutti gli altri atti e documenti di volta in volta richiamati nel corso della esposizione dei fatti in argomento.

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   A questo punto, non si può non rilevare che se il dott. Tescaroli, nell’espletamento del suo ufficio di P.M. al processo d’appello per la strage Falcone e al processo per l’attentato all’Addaura, si è determinato ad enunciare, in termini non equivoci, siffatte gravissime accuse o ipotesi accusatorie sulla base della conoscenza da parte sua della esistenza di nuova attività investigativa su elementi di responsabilità dello scrivente, non v’è dubbio alcuno che in tal caso sarebbe stata posta in essere una palese violazione del segreto istruttorio o investigativo.

   Se, viceversa, tale attività investigativa non esistesse, non vi è, parimenti, dubbio alcuno che è stata realizzata una condotta di gravità rilevante per le circostanze e le modalità di diffusione delle accuse di responsabilità in efferati crimini, avvenuta sia con le requisitorie in processi di risonanza ed eclatanza straordinaria, sia con la pubblicazione di un libro destinato ad ampia distribuzione, e ad opera di Magistrato dello stesso Ufficio Giudiziario che ha già ampiamente accertato l’estraneità del sottoscritto a questi e a qualsiasi altro fatto criminoso del genere.

   Comunque, non risulta che io sia indagato né per l’attentato dell’Addaura né per le stragi di Capaci e Via D’Amelio; per quest’ultima lo sono stato per notizie non vere, false, calunniose, riferite all’A.G., e tali riscontrate dalla Procura e dal G.I.P. di Caltanissetta, come si evince dal decreto di archiviazione del 07.03.1996, sopra richiamato e allegato al n. 20.

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   Ritornando, ora, al procedimento penale a carico del funzionario di Polizia dott. Roberto Di Legami, di cui si è sopra fatto cenno, esso si è concluso con sentenza N. 408/05, emessa il 12.5.2005 e depositata il 7.11.2005, del Tribunale di Caltanissetta – sezione penale in composizione monocratica – dott. Paola Proto Pisani – (v. all. n. 69).

   Il Di Legami è stato assolto dal reato a lui ascritto ai sensi dell’art. 530, 2° comma, c.p.p.. Nella sentenza il Tribunale spiega l’adozione della formula assolutoria perché “ritiene che all’esito della istruttoria espletata – essendo contraddittoria la prova che sia stato Di Legami a fornire a Sinico la confidenza circa la presenza non istituzionale di Contrada in Via D’Amelio subito dopo l’esplosione dell’autobomba – l’imputato debba essere assolto dal reato a lui ascritto ai sensi del 2° comma dell’art. 530 c.p.p. non essendo sufficiente la prova della sussistenza del fatto (v. pag. 19 sentenza, all. n.69).

   Nell’affermare che è ben lontano da me ogni intendimento critico o polemico nei confronti della sentenza, anche per la consapevolezza di non avere legittimazione alcuna a svolgere un’attività del genere, non posso, però, omettere di fare alcune considerazioni, basate su dati di fatto, utili ai fini del presente esposto-denunzia, tendente esclusivamente ad avere giustizia.

1 – La sentenza, una volta assolto il De Legami, non ha permesso di individuare il soggetto che per primo ha diffuso la notizia calunniosa sulla mia presenza sul luogo della strage al momento o subito dopo l’esplosione: calunnia di estrema gravità, dalle imponderabili conseguenze, di eclatanza straordinaria, deleteria e devastante, considerato anche le funzioni che all’epoca rivestivo negli apparati informativi e di sicurezza (SISDe). Notizia che, diffusa negli ambienti giudiziari nisseni e palermitani, ha avuto senza dubbio una rilevante influenza sull’inizio e sviluppo della ben nota mia vicenda giudiziaria che mi ha poco dopo coinvolto.

2 – Nel corso del processo a carico del dott. De Legami, durato più di due anni (dal 7.2.2003 al 12.5.2005), è stata svolta una complessa attività istruttoria per stabilire se effettivamente era stata rilevata e documentata la mia presenza in Via D’Amelio al momento della strage. Ciò, nonostante le approfondite indagini svolte per anni (dal 1992 in poi) dall’Autorità Giudiziaria di Caltanissetta (Procura e G.I.P.) che avevano escluso il fatto.

In proposito, nella sentenza, a pag. 17 si legge: “…non sono emersi elementi rilevanti che si possano aggiungere a quelli già valutati dal G.I.P. circa la presenza o meno dell’ex funzionario del Sisde in Via D’Amelio subito dopo l’esplosione dell’autobomba che resta un fatto non provato.

Osservo e asserisco che la mia presenza in quel luogo e in quel momento non è “un fatto che resta non provato”. La mia non-presenza in quel luogo e in quel momento “è un fatto provato”. E ciò semplicemente perché è stata provata in maniera certa, incontestabile, incontrovertibile, inconfutabile, la mia presenza in altro luogo a notevole distanza (in alto mare), in quel giorno, a quell’ora.

A meno che non si ritenga che abbia o abbia avuto il “dono dell’ubiquità”!

Sembra quasi che, per motivi che non riesco, nonostante ogni sforzo a comprendere o che non si vuole che io comprenda, si persista nel lasciare in atti giudiziari il dubbio (si veda, ad esempio, l’espressione “forte valenza probatoria” utilizzata dal G.I.P.) della mia presenza in Via D’Amelio.

Comunque, anche in questo ultimo processo a carico del dott. De Legami, è stata svolta un’ulteriore attività istruttoria con l’esame in dibattimento di numerosi appartenenti alla Polizia: i funzionari P.S. Montana, Palermo Patera, Soluri, Savona, Montalbano; gli ispettori P.S. Alberghino, Armetta, Angelo; gli agenti P.S. Polichini, Compagno, Mazzone.

La maggior parte di questi credo fossero stati già sentiti in precedenza dai magistrati delle Procure di Caltanissetta e Palermo.

Tutti, concordemente e decisamente, hanno escluso di avere notato, rilevata o accertata la mia presenza in Via D’Amelio in quel giorno, a quell’ora, o di aver mai redatto, esaminata, trattata o perlomeno saputo di una relazione di servizio attestante la mia presenza e poi distrutta.

Nessuno mi ha visto, nessuno sa nulla della relazione di servizio. L’unico soggetto che ha dichiarato all’A.G. di avermi visto lì, il pentito, o presunto tale, Elmo Francesco, manifestamente mentitore, non risulta essere stato escusso nel corso del processo Di Legami, e non ne conosco di certo il motivo.

   A questo punto, mi pongo la domanda che ritengo più che giustificata e legittima, del perché il Giudice del Tribunale, ritenendo necessario o utile accertare la mia presenza o meno in Via D’Amelio nella immediatezza del fatto, non abbia esaminato anche le dieci persone che erano in mia compagnia il giorno 19 luglio 1992, nelle ore precedenti e successive alla strage, su una imbarcazione in alto mare. Avrebbe avuto la prova sicura che cercava per l’accertamento della “maggiore verosimiglianza alla tesi accusatoria”, cioè la mia non presenza in Via D’Amelio in quel tragico momento, appunto, per la mia presenza altrove.

3 – dall’esame delle dichiarazioni provenienti dai vari testimoni del processo in specie, gli ufficiali dei Carabinieri Canale, Sinico e Del Sole, si rilevano in modo manifesto, contraddizioni, discordanze, perplessità, ambiguità, inesattezze, reticenze, errori di fatto, inverosimiglianze, cose non vere.

Tutto ciò è stato messo in evidenza dallo stesso Giudice del Tribunale e, in proposito, è opportuno riportare qualche sua considerazione.

“Questo Tribunale, oltre a quelli già evidenziati sulle dichiarazioni di Canale, nutre anche dubbi sull’attendibilità delle dichiarazioni di Sinico e Del Sole” (v. pag. 15 sentenza, all. n.69).

“Del tutto inattendibile appare la giustificazione fornita al riguardo da Canale nel suo confronto con Sinico…” (v. pag. 15 sentenza, all. n. 69).

“E allora non si comprende perché mai Canale – che aveva collegato tra loro i fatti sopra indicati e che, come ha detto in dibattimento, era ossessionato dalla scomparsa dell’agenda, non abbia riferito ai P.M. di Caltanissetta la notizia appresa da Sinico…” (v. pag. 14 sentenza, all. n. 69).

“La scelta di Sinico di non riferire l’identità della fonte al dott. Ingroia, in cui nutriva assoluta fiducia, per mantenere la parola data a Di Legami e contemporaneamente di tradire l’amico riferendo a Canale (nei cui confronti non nutriva fiducia) che era stato lui a dargli la notizia, appare priva di qualsiasi fondamento razionale, e pertanto inverosimile” (v. pag. 14 sentenza, all. n. 69).

“Le dichiarazioni di Canale appaiono inattendibili anche in relazione alla circostanza che Sinico, oltre alla notizia, gli abbia indicato in Di Legami colui che gliela aveva fornita” (v. pag. 13 sentenza, all. n. 69).

“La dichiarazione di Canale, quindi, con riferimento al momento temporale in cui Sinico gli avrebbe riferito la notizia e la fonte non appare attendibile…” (v. ibidem).

   E così via…

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   Dal contesto della vicenda processuale Di Legami, e principalmente dalla lettura della sentenza, si evince un solo dato certo e nel contempo di estrema gravità: che dopo la strage Borsellino, Ufficiali dei Carabinieri, di cui alcuni del R.O.S. di Palermo (Sinico e Del Sole), avevano diffuso la notizia falsa e di portata devastante per la mia persona, del mio coinvolgimento nell’efferato crimine.

Notizia portata a conoscenza dei Magistrati, del P.M. di Palermo e di Caltanissetta, e poi fatta trapelare su tutti gli organi di informazione.

In detto operato ha avuto una parte prevalente e determinante l’allora m.llo dei CC. Carmelo Canale, poi promosso Tenente per meriti speciali.

Non sono in grado di dire da cosa sia stato determinato siffatto comportamento comunque disdicevole, deprecabile, inescusabile. Eppure, questi soggetti sono stati definiti nel testo della sentenza di che trattasi, di “eccellente esperienza di ufficiali di P.G.”, “di notevole livello culturale e intellettuale”, di indiscussa moralità”, “con perfetta conoscenza dei criteri di valutazione della prova testimoniale” (v. pagg. 6-7, ibidem).

   Certo è che da tale loro modo di agire ho subito ingiustamente un danno enorme e irreparabile sul piano morale e giudiziario e, sinora, ogni mia iniziativa per ottenere giustizia è risultata vana.

   Non posso non ribadire ancora una volta che in specie l’ex Maresciallo Carmelo Canale è stato uno dei principali artefici di questo vero e proprio gioco al massacro, ponendo in essere una condotta improntata quasi a rancore o addirittura odio nei miei confronti. Ciò senza un plausibile motivo, dato che, nei miei lunghi anni di servizio a Palermo, non ricordo di aver mai avuto alcun genere di rapporti con il predetto, né di averlo conosciuto.

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Per il riferimento e la correlazione con gli avvenimenti sopra prospettati, appare utile accennare ad un ulteriore e recente capitolo dell’inchiesta giudiziaria sulla strage di Via D’Amelio.

   Mi riferisco alle numerose e ripetute notizie che, specie nei giorni 6-7-8-9 febbraio 2006, hanno trovato ampio spazio in servizi televisivi e giornalistici: notizie concernenti la borsa di pelle con all’interno un’agenda rossa di proprietà del dott. Borsellino.

   Il 6 febbraio 2006, il TG7 ha trasmesso un servizio sulla strage con la notizia eclatante di un ufficiale dei Carabinieri, il cap. Giovanni Arcangioli, allora in servizio a Palermo, venuto in possesso della borsa.

   Il successivo servizio del TG2 delle ore 20,30 ha ripetuto la notizia e trasmesso anche un’intervista sull’argomento del Procuratore aggiunto della Repubblica di Caltanissetta.

   Il TG1 delle ore 20 del 7 febbraio successivo ha dato ulteriori notizie sui fatti e trasmesso un filmato da cui appariva l’Ufficiale dei Carabinieri Arcangioli, avente tra le mani la borsa del dott. Borsellino.

   Anche la stampa quotidiana ha dato ampio risalto alla vicenda.

   Si riportano qui di seguito alcuni titoli di giornali:

   La repubblica del 6.2.2006: Borsellino, il video dell’agenda sparita – Un carabiniere prese la borsa del Giudice e il caso si riapre – I filmati, girati subito dopo la strage di Via D’Amelio, mostrano un capitano allontanarsi con la valigetta: mai ritrovati gli appunti segreti.

   Il Giornale di Sicilia del 6.2.2006: Caltanissetta, il procuratore aggiunto Di Natale: la mafia non c’entra – L’agenda di Borsellino fu sottratta.

   Gazzetta del Sud del 7.2.2006: Caltanissetta – La sparizione dell’agenda “rossa” di Borsellino – Convocato colonnello dei Carabinieri.

   La Repubblica del 7.2.2006: Borsellino, tutti i misteri dell’agenda – La famiglia: c’erano i segreti della trattativa tra Stato e Cosa Nostra – Caltanissetta: sarà interrogato il carabiniere filmato, dopo la strage, con la borsa del Giudice.

   Il Corriere della Sera dell’8.2.2006: Ayala: diedi a un colonnello la valigetta di Borsellino – Il contenitore di pelle venne rimesso nell’auto, ma sparì l’agenda. Oggi l’ex P.M. sarà interrogato – Il caso riaperto grazie a un video.

   La Repubblica del 9.2.2006: L’inchiesta sul mistero della borsa – Agenda Borsellino – Ayala e Arcangioli confronto a Roma.

   L’Unità del 9.2.2006: Agenda di Borsellino: scontro tra comandante dei Carabinieri e Ayala (v. allegati n. 70).

   Nulla so naturalmente di tali indagini, se non ciò che è stato pubblicato e diffuso dagli organi di informazione.

   In particolare, non sono in grado di esprimere opinioni o giudizi sulla parte avuta nella vicenda “de quo” dal colonnello dei Carabinieri Giovanni Arcangioli e dall’ex p.m. di Palermo dott. Giuseppe Ayala.

   Non posso, però, non pormi l’inquietante, direi sconvolgente interrogativo, su una più che evidente relazione tra questi ultimi elementi emersi dalle indagini sulla strage di Via D’Amelio, in particolare sull’episodio della borsa e dell’agenda del dott. Borsellino, e correlativo comportamento del col Arcangioli e del dott. Ayala, o di altri ancora, e tutta una intensa, lunga e pervicace attività disinformativa e calunniatrice posta in essere dai soggetti da me indicati nel corso della presente esposizione (specie gli ufficiali dei Carabinieri Canale, Sinico e Del Sole, ed il pentito Elmo), tendente a far sorgere perlomeno il sospetto della mia presenza sul luogo della strage – poco prima, durante o poco dopo l’esplosione – data l’impossibilità di darne le prova, e per l’accertata mia presenza altrove, in quel tragico momento.

   Non si può non porsi la domanda se chi, con tanta pervicacia, ha tentato di dar sostanza ad una così infamante calunnia, non volesse farmi ritenere come colui che aveva messo le mani sulla borsa e sull’agenda del Magistrato.

   Infatti, negli anni passati, qualche organo di stampa aveva delineato una simile ipotesi. Valga per tutti l’articolo di Saverio Lodato su l’ Unità del 3 dicembre 1997, intitolato: Contrada in Via D’Amelio dopo la strage – Lo 007 fece sparire l’agenda di Borsellino? (v. all. n. 42).

   In proposito, non possono non ricordarsi le illazioni e allusioni del ten. CC. Carmelo Canale alla mia presenza sul luogo della strage di Via D’Amelio, messa in relazione alla sparizione dell’ “agenda rossa”, che era in possesso del dott. Borsellino.

   Infatti, nella sentenza del Giudice monocratico del Tribunale di Caltanissetta del 12.5.2005 (processo Di Legami), di cui si è parlato nelle pagine precedenti, si legge: “…Il m.llo Furia chiese a Canale notizie circa la scomparsa dell’agenda rossa di Borsellino, e Canale gli disse che l’agenda non era stata rinvenuta, nonostante che la borsa del procuratore fosse stata trovata quasi intatta; quindi, nello stesso contesto, Canale gli raccontò che sul posto era stato notato Contrada ed era stata redatta anche una relazione di servizio che poi era stata soppressa” (v. pag. 8 sentenza, all. n. 69).

   Non è più che chiaro che il Canale volesse mettere in relazione la mia presenza in Via D’Amelio con la scomparsa dell’agenda?

   E ancora: “…Canale rispose:’però, se questo fatto fosse vero (la presenza di Contrada in Via D’Amelio, n.d.r.), perché io, dunque io c’ho sempre in testa l’agenda rossa che scompare, non è una cosa che è normale…” (v. pag. 11 sentenza – all. n. 69).

   Non intendo fare dietrologia o esprimere giudizi che non mi competono, ma anche per questi ultimi avvenimenti riguardanti la strage di Via D’Amelio, mi sono limitato ad esporre i fatti nella loro sequenza logica e cronologica.

   Non è chi non veda, però, che i motivi di inquietudine non sono di certo pochi o irrilevanti.

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   Onde dare una ulteriore prova della persistenza e pervicacia di mantenermi invischiato, in qualsiasi modo, nelle indagini sulle stragi Falcone-Borsellino, occorre ora riferire un altro episodio di rilevante gravità.

   Il 9 luglio 2001 – poco dopo la sentenza di assoluzione emessa a mio favore il 5.5.2001 dalla 2° Sezione della Corte di Appello di Palermo – tale Pulci Calogero, delinquente di Sommatino (CL), pentito, ha enunciato palesi e calunniose menzogne nei miei riguardi, tra cui la principale: a settembre-ottobre del 1991, mi sarei incontrato a Roma con il capomafia nisseno Giuseppe (Piddu) Madonia e con il mafioso palermitano Gioè Antonino, per trattare della eliminazione del dr. Falcone , che avrebbe dovuta essere perpetrata a Roma. Ciò è detto nel verbale n° 778/00 R.G.N.R. – CL e n° 20027/00 R.G.N.R. PA del 9.7.2001 (v. all. n. 71), dal quale si evince che il Pulci ha dichiarato ai Sostt. Procc. Rep. dott. A. Di Matteo della D.D.A. di Palermo e dott. S. Leopardi della D.D.A. di Caltanissetta quanto segue: “…Ritengo opportuno prendere le mosse dall’incontro avvenuto a Roma nel settembre-ottobre 1991 tra Giuseppe Madonia, Antonino Gioè e Bruno Contrada…(pag. 2 verb.). “…Già prima dell’incontro, Madonia mi aveva rappresentato, pur non facendone il nome, che si sarebbe dovuto incontrare con uno “sbirro importante” e che la conversazione avrebbe investito la eliminazione del dr. Falcone” (pag. 3 verb.). “…Che la eliminazione del dr. Falcone era stata sollecitata anche da persone estranee a Cosa Nostra e riconducibili ad apparati istituzionali (i Servizi Segreti, il Sisde… n.d.r. – pag. 3 verb.). “…Che il movente ultimo e più significativo della decisione di eliminare il magistrato deve essere individuato nei contatti, anche informali, che il dott. Falcone continuava ad avere, anche dopo il suo trasferimento al Ministero, con il magistrato svizzero dott.a Carla Del Ponte, e le indagini che quest’ultima stava conducendo sui conti bancari…” (Ma non aveva detto qualcosa sulla dott.a Del Ponte e sulle sue indagini, sin dal 1992, anche il pentito Mutolo? N.d.r. – pag. 3 verb.). “…Il progetto iniziale prevedeva che l’agguato dovesse essere compiuto a Roma; anzi, il programma originario prevedeva altresì che l’agguato doveva essere compiuto da una persona di origini medio orientali, procuratoci sempre dal turco, che oltretutto avrebbe dovuto farsi arrestare…” (pagg. 3 e 4 verb.). “…Contatti anche telefonici che Giuseppe Madonia ha intrattenuto in quel periodo… con una persona dei Servizi che gli ha fornito dati preziosi relativi alle abitudini del dott. Falcone e del dott. Borsellino. Tenga presente che anche Gioè Antonino aveva contatti con persone dei Servizi…” (pag. 5 verb.). “…Madonia ebbe a dirmi che il dott. Contrada faceva parte di quella struttura che io chiamo “club” della quale anch’io, come vi ho già spiegato, avrei dovuto far parte… Madonia mi rispose: è uno sbirro ma è anche un nostro fratello’ ( E’ chiaro che allude alla massoneria, di cui io sono stato infondatamente indicato di far parte. N.d.r.) (pag.7 verb.). “…Il Contrada e il Madonia si incontrarono anche a Palermo… Accompagnai Madonia presso il bar Collica di Via Notarbartolo, dove incontrò il dott. Contrada… (Evidentemente nessuno aveva informato il Pulci che all’epoca dei fatti inventati, il Sisde era ancora in Via Roma e non nello stabile sopra il bar Collica. N.d.r.) (pag. 7 verbale).

   Io non so quali conseguenze giudiziarie abbiano prodotto siffatte dichiarazioni, anzi farneticazioni del Pulci. Può darsi che, in forza di esse, io sia stato iscritto nuovamente nel registro degli indagati delle stragi, oppure che esse non siano state prese sul serio, o ritenute false dai Magistrati che le hanno recepite; ma in questo caso avrebbero prodotto l’effetto, se non altro, di un’azione penale per calunnia a carico del propalatore.

   A me non è stato mai contestato o chiesto nulla, nonostante gli anni trascorsi, sui fatti di cui ha parlato il Pulci, collaboratore di giustizia, o presunto tale.

   Sul Pulci Calogero devo, però, rappresentare qualcosa che darà, credo, la spiegazione plausibile della sua palese e gravissima azione calunniosa nei miei confronti. Non è, infatti, cosa di poco conto che un dirigente generale della Polizia di Stato, in servizio allora al Sisde a Roma, si incontrasse con esponenti di mafia quali Giuseppe Madonia e Antonino Gioè, per discutere e concordare l’omicidio del dott. Falcone, da perpetrarsi nella Capitale.

   Ebbene, è accaduto che tale Giuga Giuseppe di Sommatino, collaboratore di giustizia – circa tre anni prima delle propalazioni di Pulci e all’inizio del mio processo di appello dinanzi la 2° sez. pen. della Corte di Appello di Palermo – mi accusasse di gravi fatti, con dichiarazioni rese:

  1. – con verbale di interrogatorio del 5.11.1998 ai PP.MM. della Procura di Caltanissetta (dott.ri Paolo Giordano, Santi Condorelli e Salvatore Leopardi), (v. all. n. 72);
  2. con verbale di interrogatorio del 24.4.1999 al P.M. della Procura di Palermo (dott. Gaetano Paci) (v. all. n. 73).

   In sostanza, il Giuga aveva detto:

        che io ero amico del pregiudicato mafioso Pulci Calogero di Sommatine;

        che il Pulci si era recato a Roma, agli inizi del 1991, per portarmi un regalo;

        che, nella stessa epoca, era giunta al telefono verde dell’Alto Commissariato per la lotta alla mafia di Roma una telefonata anonima che indicava il rifugio del noto latitante mafioso catanese Nitto Satapaola;

        che io avevo fatto pervenire al Santapaola la notizia della telefonata, dandogli, quindi, la possibilità di sottrarsi alla cattura;

        che avevo fatto venire in possesso del Santapaola la bobina contenente la registrazione della telefonata anonima, onde dargli la possibilità di individuare la persona che aveva indicato il suo rifugio, e di farne, quindi, oggetto di rappresaglia.

I verbali venivano inviati alla Procura Generale della Repubblica di Palermo, ed il Sost. Proc. Gen. Dott. A. Gatto, in data giugno 1999, delegava la D.I.A. di svolgere ogni utile indagine per acquisire i riscontri alle accuse.

   Mentre, tra giugno e ottobre del 1999, la D.I.A. svolgeva le indagini delegate dalla Procura Generale (riferite, poi, con rapporti 16 agosto e 12-22-26 ottobre 1999 – tutte con esito negativo -), è accaduto che il Giuga dichiarasse ai Magistrati della Procura della Repubblica di Caltanissetta (dott. Giovanni Tinebra e Sost. Proc. Rep. dott. Santi Condorelli), con verbali del 18 agosto e del 1° settembre 1999, che tutte le accuse a me rivolte erano state a lui suggerite dal Pulci, con il quale era stato detenuto nel carcere di Enna (v. all. nn 74 e 75).

   Il Giuga ha dichiarato specificamente:

        “Tutti i fatti relativi dal 1991 in poi mi sono stati detti dal Pulci…. Che dovevo dire queste cose per rendermi credibile” (pag. 11 verb. 18.8.1999).

        “…Tutte queste cose… questo me lo ha detto lui (Pulci), così, dice, ti credono una persona che eri in alto nella famiglia, che avevi una certa responsabilità” (pag. 12 verb. 18.8.1999).

Si riportano qui di seguito alcuni passi dei verbali su richiamati:

        “Giuga rende dichiarazioni riferendo che dal 1990 è fuori confidenza e che le sue dichiarazioni in ordine al Giudice Carnevale, al dott. Contradagli sono state suggerite dal Pulci, in occasione della comune detenzione nel carcere di Enna, nel 1998…” (pag. 27 verb. interr. 18.8.1999).

        “Giuga riferisce in particolare che tutti i contenuti delle dichiarazioni che avrebbe dovuto rendere quale collaboratore gli erano stati suggeriti dal Pulci, che li aveva scritti e glieli aveva fatti ricopiare in un memoriale(v pag. 1 verb. 1.9.1999).

La Procura della repubblica di Caltanissetta, in data 11.9.1999, trasmetteva alla Procura di Palermo i verbali del Giuga, precisando: “…Si ritiene attendibile la sua dichiarazione sulla esistenza di un progetto, concepito da Pulci Calogero, di depistare e influenzare i processi in corso, mediante una serie di accuse false e calunniose, concepite dallo stesso Pulci e propalate dal Giuga…” (v. all. n. 76 ).

   Anche questi verbali venivano trasmessi dalla Procura della Repubblica di Palermo alla Procura Generale di Palermo, in data 8 e 26 ottobre 1999 (v. all. n 77.   ).

   Nel corso del mio processo di appello, mentre il P.M. dichiarava di non voler più utilizzare gli elementi di accusa forniti dal Giuga, la mia Difesa, alla udienza del 13.1.2000, chiedeva l’acquisizione agli atti del processo di tutta la documentazione di che trattasi (verbali di Giuga contenenti le accuse e successive ritrattazioni, corrispondenza tra le Procure di Caltanissetta, Palermo e Procura Generale, indagini svolte dalla D.I.A., etc…) e la Corte di appello – 2° sez. pen. -, con ordinanza emessa il 20.1.2000, accoglieva la richiesta (v. all. n.78 ).

   A questo punto ho ritenuto utile e necessario sporgere denunzia nei confronti di Giuga Giuseppe e Pulci Calogero, per il reato di calunnia e/o per quegli altri reati di cui si fossero resi responsabili, anche in concorso con altre persone allo stato non individuate.

   Ciò ho fatto con formale atto presentato alla Procura della Repubblica di Caltanissetta in data 27 marzo 2000, costituendomi parte civile nel processo, con successivo atto del 13 luglio 2001 (v. allegato n. 79 ).

  

   A seguito di tale denuncia, Giuga e Pulci sono stati rinviati a giudizio, innanzi al Tribunale di Catania – 2° sez. pen. – Giudice monocratico dott.a Cinzia Sgrò -, perché imputati del reato di cui agli artt. 81 cpv 110 e 368 c.p. (calunnia continuata e aggravata) “per avere in concorso tra loro, il Pulci agendo come istigatore e determinatore della altrui condotta illecita, e il Giuga rendendo in più occasioni false dichiarazioni alle AA.GG. di Caltanissetta e Palermo, incolpato il funzionario della Polizia di Stato Contrada Bruno, che pure ad essi risultava innocente, di collegamenti con l’organizzazione mafiosa denominata “Cosa Nostra”, accuse dalle quali potevano scaturire a carico del predetto Contrada, oltre alla più grave imputazione di concorso esterno in associazione di tipo mafioso (per la quale, in relazione ad altre fonti di prova, si è proceduto), anche quelle di corruzione (in relazione all’accusa di avere lo stesso ricevuto regali dall’organizzazione) e di rivelazione di segreti d’ufficio (in relazione alle notizie riservate che egli avrebbe rivelato, con particolare riferimento alle ricerche del noto Santapaola Benedetto, latitante all’epoca dei fatti narrati) – In Catania e Roma il 5.11.1998 e il 24.4.1999” (v. all. n 80).

   Il processo di che trattasi, iniziato nel 2001, è tuttora in corso, dopo avere subito una sospensione di circa due anni (febbraio 2004 – maggio 2006), per una pretestuosa questione di illegittimità costituzionale dell’art. 203 comma 1 c.p.p., sollevata dalla difesa degli imputati. Infatti, la Corte Costituzionale, con ordinanza n° 193 del 3.5.2006, ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di illegittimità costituzionale in argomento (v. all. nn.81 e 82 ).

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   Ciò che ho rappresentato nelle pagine di cui innanzi, in ordine al comportamento di Giuga e Pulci, costituisce una significativa, paradigmatica, emblematica e illuminante pagina, oltre che del pentitismo in generale, di quello che, in ispecie, ha trovato invadente, determinante e devastante spazio nella mia vicenda processuale, che, iniziata nel 1992, perdura tuttora dopo 14 anni.

   Se Giuga non avesse ritrattato, rivelando la trama nei miei confronti, le sue accuse avrebbero dato nuova linfa, anche se avvelenata dalla palese menzogna, al quadro accusatorio del mio processo, basato fondamentalmente su analoghe propalazioni di altri pentiti che, purtroppo, non hanno ritrattato.

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   Premesso tutto quanto innanzi rappresentato e documentato, non posso non osservare e sottolineare che per le notizie false, menzognere, infamanti e calunniose, inventate o propalate, ripetute o diffuse dal magg. Sinico Umberto, dal ten. CC. Carmelo Canale, dai collaboratori di giustizia Mutolo Gaspare e Elmo Francesco, e da altri, in uno stillicidio e gioco al massacro senza fine e limiti, io sono stato non solo sottoposto ad indagini, che forse durano tuttora, per reati da ergastolo, espletate da numerosi Magistrati delle Procure di Palermo e di Caltanissetta e della Direzione Nazionale Antimafia, ma additato ed esposto al disprezzo della pubblica opinione da una contestuale e devastante diffusione di siffatte notizie, da parte di tutti i mezzi di informazione: quotidiani, settimanali, radio, televisione e anche opere cinematografiche, come il film “Giovanni Falcone” del regista Giuseppe Ferrara.

   In proposito, appare utile accennare al fatto che il film, tra le cui sequenze era inserito anche l’episodio della mia presenza in Via D’Amelio, e conseguente intimazione agli Agenti della ‘Volante’ di sopprimere la relazione di servizio, fu programmato e ultimato nel 1993, e presentato alla stampa in anteprima nell’ottobre dello stesso anno, cioè alcuni mesi dopo la prima “rivelazione” del magg. CC. Sinico. La proiezione era stata preceduta dalla pubblicazione di numerosi articoli di stampa in cui, riportando il contenuto del film, si metteva in risalto l’odiosa figura dell’”agente dei servizi segreti” (era più che palese il riferimento a me), coinvolto nei più nefandi crimini perpetrati a Palermo, tra cui le stragi Addaura-Capaci-Via D’Amelio.

   In esito ad azione civile di risarcimento dei danni da me intentata il 3 dicembre 1993, contro il regista, gli autori della sceneggiatura e il produttore del film, la 1° Sez. Civ. del Tribunale di Roma, con sentenza n. 12147 dell’8 aprile 1998, ritenuto che dal film avevo subito una grave lesione dell’onore e del decoro, e “considerata la gravità dei fatti diffamatori accertati, nonché la capacità di diffusione insita nella proiezione cinematografica, peraltro preceduta e accompagnata, come di abitudine, da recensioni e commenti giornalistici”, ha condannato i convenuti in solido al pagamento di una congrua somma di denaro a titolo di risarcimento danni (v. sentenza Trib. Roma 8.4.1998 e uniti articoli di stampa – all. nn. 61 e 62).

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   La Corte di Appello di Roma – 1° Sez. Civile -, con sentenza del 3 luglio 2002, depositata il 23 settembre 2002, depositata il 23 settembre 2002, ha confermato sostanzialmente la sentenza del Tribunale, riducendo soltanto il “quantum” della somma da corrispondere allo scrivente a titolo di risarcimento per il danno subito. Di analogo avviso è stata la Cassazione (v. dispositivo sentenza – all. n. 61).

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   Ritengo che in uno “Stato di diritto” non sia possibile che un cittadino sia per anni indicato e additato, accusato e indagato di efferati crimini, quali stragi di magistrati e poliziotti, sulla base di meri sospetti, arbitrarie supposizioni, vaghe illazioni, pure invenzioni, rivelatisi tutti infondati in modo certo e incontrovertibile.

   Non è possibile che restino impuniti comportamenti che mi hanno ingiustamente procurato un enorme e irreversibile danno sotto ogni aspetto. Per qualsivoglia motivo o finalità o finalità siano stati essi posti in essere: per ingenuità o credulità, per superficialità o stoltezza, per insensatezza o insipienza, per suggestione o mitomania, per ambizione o protagonismo, per rancore o perfidia, per istigazione o errore.

   Sarebbe, a mio avviso, di notevole rilievo e utilità chiarire e stabilire perché, e come, per quali motivazioni, per quali fini, ad opera di chi, per istigazione o inspirazione di chi, si sia potuto creare un siffatto contesto, in cui sono stato coinvolto in modo così grave.

   A questo proposito assume valore sintomatico l’affermazione del magg. CC. Del Sole nel corso delle dichiarazioni rese il 31 luglio 1998 ai PP.MM. di Caltanissetta: “…c’era all’epoca (subito dopo la strage di Via D’Amelio, n.d.r.) il maresciallo Canale che era molto accanito nei confronti del dott. Contrada, nei discorsi che andava facendo lo riteneva quasi coinvolto nei fatti. Questo me lo ricordo perché se ne parlò diffusamente, penso che ci siano state anche dichiarazioni in tal senso del maresciallo Canale” (v. pag. 9 trascr. Interr. Verb. 31.7.1998 magg. Del Sole – all. n. 49).

   Analogamente dicasi per l’affermazione del Magistrato dott. De Francisci, riportata dal magg. CC. Sinico nel verbale del 20.12.1992 (all. n. 2).

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   Chiedo, pertanto, che – sulla scorta di quanto rappresentato e documentato, previo ogni opportuno e utile accertamento – siano perseguiti e puniti, a norma di legge, tutti coloro che si sono resi responsabili di azioni e comportamenti integranti estremi di reato, quali calunnia e diffamazione, falsa testimonianza e false dichiarazioni a P.M., violazione del segreto investigativo e sviamento delle indagini, favoreggiamento personale e omissione di atti di ufficio, o altri illeciti penali che verranno eventualmente riscontrati.

   Con riserva di procurare ogni altro elemento di prova che si rendesse utile o necessario, di produrre documenti e indicare testimoni, e di ogni altra azione o iniziativa, anche in sede civile, per la tutela dei miei diritti e interessi.

   Chiedo, infine, di essere avvisato ai sensi dell’art. 408 comma 2 c.p.p., 126 D.L. 271/89.

   Palermo, lì

                                                              

                                                                (dott. Bruno Contrada)