Commissione Antimafia ARS Editoriale Domani
L’inchiesta mafia-appalti rappresenta senz’ombra di dubbio uno degli aspetti più critici e controversi di quello che, citando Leonardo Sciascia, potremmo definire l’affaire Borsellino.
In questa sede, com’è naturale, non intendiamo entrare nel merito delle diverse – e non sempre concordanti – pronunce emesse nel corso degli anni da parte di diverse Autorità Giudiziarie sul valore da attribuire al rapporto del Ros dei Carabinieri del 16 febbraio 1991: ovvero, se costituisca un possibile fattore di accelerazione del proposito stragista nei confronti di Paolo Borsellino o, invece, un’indagine del tutto neutrale in tale prospettiva (pur mantenendo aspetti di straordinaria rilevanza nell’ambito di altri giudizi).
Fra le priorità di questa inchiesta vi è quella di comprendere, semmai, se vi siano punti di contatto tra questa vicenda (nel suo complesso) e il depistaggio subito dalle indagini su via D’Amelio.
Il rapporto dei Carabinieri è argomento di controversia già in vita di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Per una migliore intelligenza espositiva, ne ripercorriamo in sintesi la genesi.
Tutto nasce da una delega conferita nel 1989 dalla Procura di Palermo ai Ros avente quale principale obiettivo quello di accertare “la sussistenza, l’entità e le modalità di condizionamenti mafiosi nel settore degli appalti pubblici nel territorio della provincia di Palermo”. Il risultato di tale attività è, appunto, il rapporto dei Ros del febbraio ’91.
Falcone è ormai in procinto di trasferirsi a Roma. Il fascicolo finisce sulla scrivania del procuratore Giammanco che, a maggio, ne affida l’esame ai sostituti Sciacchitano, Morvillo, Carrara, De Francisci e Natoli. Il 25 giugno 1991 viene presentata una richiesta di custodia cautelare nei confronti di Angelo Siino, Giuseppe Li Pera, Cataldo Farinella, Alfredo Falletta e Serafino Morici, accolta dal GIP il 9 luglio. Più o meno nello stesso periodo, il 26 luglio 1991, viene contestualmente delegata ai Ros un’ulteriore attività investigativa riguardante la società regionale Sirap Spa.
Nel periodo antecedente alla richiesta di misure cautelari di giugno, però, accade qualcosa di strano. La stampa comincia ad avanzare pesanti critiche sull’operato della procura di Palermo, parlando di fratture con i vertici dell’Arma e, addirittura, di presunti “insabbiamenti” delle indagini riguardanti nomi eccellenti della politica. Eppure, come spiegheranno i magistrati palermitani, quei nomi nel dossier non ci sono.
A tal riguardo, si dà lettura della relazione presentata al CSM il 7 dicembre 1992, a firma del procuratore aggiunto dottor Vittorio Aliquò e dei sostituti dottor Guido Lo Forte e dottor Roberto Scarpinato (Relazione sui procedimenti instaurati a Palermo su mafia e appalti), richiamata, poi, in quella depositata dal procuratore Caselli nel febbraio ’99 dinanzi la Commissione nazionale antimafia (pp. 32-34):
«Una prima notizia del tutto fantasiosa era quella secondo cui, ancora in data 14 giugno e cioè proprio mentre stava per essere depositata la richiesta di misure cautelari (25.6.1992) la Procura “avrebbe rifiutato” di ricevere il “rapporto” già ultimato dai Carabinieri… Nei successivi articoli, sia antecedenti che posteriori all’esecuzione degli arresti, da un lato vi era la inspiegabile riproduzione di intercettazioni coperte dal segreto istruttori, anche prima del deposito degli atti al “Tribunale della Libertà”, e dall’altro l’affermazione che nel “rapporto” sarebbero state individuate, in relazione all’attività dell’organizzazione mafiosa, responsabilità di numerose ed importanti personalità politiche, anche con incarichi di governo senza alcun seguito da parte della Procura. Tale affermazione, secondo gli organi di stampa, costituiva il motivo principale di pesanti critiche contro l’operato della Procura, asseritamente provenienti da ufficiali dei Carabinieri.
Estremamente significativi in tal senso sono gli articoli pubblicati sui quotidiani “Secolo XIX” e “La Sicilia” rispettivamente del 13.6.1991 e del 16, 17 e 19 giugno 1991, contenenti – insieme alla trascrizione letterale di parti del rapporto – pesantissime critiche di “insabbiamento” nei confronti della Procura della Repubblica, nonostante questa non avesse ancora formulato le sue richieste al Gip. (…) Le anticipazioni di stampa relative a personalità politiche nazionali coinvolte negli illeciti asseritamente evidenziati dall’informativa apparivano inizialmente, come si è detto, del tutto incomprensibili.
Dall’informativa del 16.2.1991 risultava invero che, nel corso di alcune telefonate tra imprenditori, venivano episodicamente fatti i nomi di alcuni politici all’interno di contesti discorsivi fra terze persone che non evidenziavano di per sé fatti illeciti.
L’informativa si chiudeva con un doppio elenco di persone coinvolte nell’indagine. Il primo elenco era così intestato: «Schede di personaggi di maggior interesse in ordine ad ipotesi di reato di associazione per delinquere di tipo mafioso». Nessun nome di politico si rinveniva in questo elenco. Il secondo elenco era così intestato: «schede di personaggi di maggiore interesse in ordine ad ipotesi di reato di associazione per delinquere».
In questo elenco, come politici, figuravano solo Domenico Lo Vasco e Giuseppe Di Trapani, all’epoca Assessori Comunali di Palermo. Del resto non si trattava di vere e proprie schede, ma di un semplice elenco in cui accanto ad ogni nome vi era l’indicazione dell’intercettazione telefonica nella quale si faceva riferimento allo stesso.
La sostanziale mancanza di elementi significativi sul piano penale per il Lo Vasco ed il Di Trapani, e a maggior ragione per gli altri uomini politici citati nell’informativa e non nelle schede, veniva del resto esplicitata in una nota in data 27.7.1991 del Comandante del Ros (…) Come si sarebbe compreso dopo, le polemiche di stampa apparivano inspiegabili soltanto ai magistrati della Procura della Repubblica. Invero i nomi dei personaggi politici di rilievo nazionale, tali da suscitare un così rilevante interesse da parte della stampa, erano diversi da quelli sopra menzionati: e, mentre erano evidentemente noti ai giornalisti già dall’estate del 1991, sarebbero stati portati a conoscenza della Procura di Palermo in parte solo nel novembre 1991 e in parte addirittura nel mese di settembre 1992».
Rottura tra Procura e Ros
Così il giornalista Felice Cavallaro racconta quella fase delicatissima in suo articolo del 21 luglio 1991.
Crolla a Palermo il rapporto di fiducia fra Procura della Repubblica e carabinieri. C’è una frizione sotterranea che forse non sfocerà in una «guerra» ma che avvelena un’altra estate siciliana trasformando quello della lotta alla mafia in un terreno paludoso, impraticabile. Siamo all’epilogo di incomprensioni che vengono da lontano. Il punto di rottura e l’ultimo rapporto dei carabinieri sul mercato degli appalti in Sicilia.
Novecento pagine presentate in Procura il 16 febbraio di quest’anno, rimaste senza seguito fino alla scorsa settimana quando ormai fra inquirenti, giornalisti ed uomini politici circolavano robuste indiscrezioni su intercettazioni e reati anche con riferimento a diversi uomini politici poi risultati estranei al provvedimento con cui la magistratura ha ristretto l’operazione all’arresto di cinque imprenditori ed intermediari mafiosi.
«Sembra che ciascuno lavori per obiettivi diversi» rimugina un ufficiale… I messaggi cifrati sono gli Scud e i Patriot di una guerra non dichiarata. Il procuratore Pietro Giammanco preferisce non incontrare i cronisti. I carabinieri scalpitano, convinti di aver messo le mani su un gruppo che rappresenta direttamente il vertice di Cosa Nostra intrattenendo rapporti con dirigenti ed amministratori di grandi aziende nazionali collegate soprattutto a DC e PSI…
Le indagini vanno avanti. A gennaio del 1992 c’è una nuova richiesta di ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Rosario Cascio e Vito Buscemi, accolta il mese dopo dal Gip.
Infine, a marzo, viene chiesto il rinvio a giudizio per sei imputati: Angelo Siino, Alfredo Farinella, Alfredo Falletta, Giuseppe Li Pera, Rosario Cascio e Vito Buscemi. Per tutti gli altri indagati – tra i quali Claudio De Eccher, Giuseppe Lipari. Antonio Buscemi e Paolo Catti De Gasperi – si chiede invece l’archiviazione. È il 13 luglio 1992.
Sei giorni dopo, la strage di via D’Amelio.
Quella riunione poco prima di morire
Nel corso dei quattro giorni che il Csm dedicherà, qualche settimana dopo, al caso Palermo, si parla anche del dossier “mafia-appalti”. Soprattutto si insiste su una riunione svoltasi il 14 luglio 1992, presente Paolo Borsellino, che aveva all’ordine del giorno proprio gli sviluppi di quell’inchiesta, muovendo proprio dalle accuse rilanciate dai media e dalla querelle a distanza con i carabinieri.
Colpisce la lettura totalmente divergente che su quella riunione e sugli umori di Borsellino, offrono davanti al Csm i magistrati della procura di Palermo:
LO FORTE, già magistrato. Per quanto riguarda eventuali contrasti tra Falcone e Giammanco, (sul rapporto dei Ros, ndr.) a me non risultano…
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PIGNATONE, già magistrato. La relazione l’ha fatta Lo Forte, dopo che avevano depositato l’archiviazione… In questa riunione, Borsellino non fece nessun rilievo.
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GOZZO, sostituto procuratore nazionale antimafia. Ho visto proprio questo contrasto più che latente, visibile, perché proprio Borsellino chiese e ottenne che fosse rinviata la discussione su questo processo e fece degli appunti molto precisi: come mai non fossero inserite all’interno del processo determinate carte… che erano state inviate alla Procura di Marsala… e nella fattispecie al dottore Ingroia… E poi diceva che c’erano nuovi sviluppi… in particolare un pentito… che ultimamente aveva parlato… e sono rimasto sorpreso perché dall’altra parte si rispose: «ma vedremo»…
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PATRONAGGIO, Procuratore della Repubblica di Agrigento. Prima della riunione di martedì 14 luglio 1992… io non avevo cognizione diretta delle divergenze e delle spaccature… mi stupisce ancora di più quando il collega Borsellino chiede addirittura delle spiegazioni, vuole chiarezza su determinati processi… si informa (…) chiede spiegazioni su un procedimento riguardante Siino Angelo ed altri, e capisco che qualche cosa non va (…) In buona sostanza la relazione sul processo Siino fu fatta unicamente, esclusivamente per dire che non vi erano nomi di politici rilevanti all’interno del processo o che se vi erano nomi di politici di un certo peso entravano per un mero accidente…
Ricordi difformi. Da una parte c’è chi descrive un Paolo Borsellino quasi defilato nel momento in cui viene toccato l’argomento mafia-appalti. Altri, invece, rammentano un approccio incalzante con puntuali richieste di chiarimento. Lo ricordiamo, è il 14 luglio 1992. A Borsellino rimangono solo cinque giorni di vita.
Che quel rapporto su mafia e appalti gli stia a cuore lo conferma il ricordo, in Commissione, dell’ex pm Antonio Di Pietro. È il 25 maggio 1992, il giorno dei funerali di Giovanni Falcone.
DI PIETRO, già magistrato. Borsellino è stato ucciso non solo e non tanto per quel che aveva fatto, che era già tanto, ma per quello che doveva fare. E quello che doveva fare me lo disse davanti alla bara di Falcone: «dobbiamo fare presto, dobbiamo fare subito perché non abbiamo tempo». Siccome quelle parole facevano seguito ad una serie di incontri che avevo avuto al Ministero proprio con Borsellino, anche alla presenza di Falcone, io le collegai direttamente a quell’indagine che stavo facendo e che lui, avendo letto il rapporto dei Ros, aveva ben chiara.