di F. Q.| 25 Ottobre 2023
La fine dell’audizione di Fabio Trizzino e di Lucia Borsellino in commissione Antimafia provoca un’altra scia di polemiche. A provocarla, ancora una volta, sono i parlamentari di Forza Italia che hanno utilizzato stralci delle dichiarazioni dell’avvocato dei figli di Paolo Borsellino per attaccare Roberto Scarpinato, ex procuratore generale di Palermo e oggi senatore del Movimento 5 stelle.
“È sempre più evidente che il dossier mafia-appalti abbia accelerato la strage di Via d’Amelio non soltanto per le cose dette dall’avvocato Trizzino, ma anche per le sentenze riportate dallo stesso all’attenzione della Commissione. L’archiviazione, seppur parziale, dell’inchiesta mafia-appalti richiede un serio approfondimento e l’acquisizione di atti soprattutto considerando che il giudice Paolo Borsellino non ne è stato messo a conoscenza né l’ha condivisa”, sostiene per esempio il deputato Mauro D’Attis, riferendosi all’indagine del Ros dei carabinieri che storicamente, secondo il centrodestra, è il movente dietro alla strage di via d’Amelio. Opinione condivisa anche dall’avvocato Trizzino, che ha più volte battuto su questo fronte lungo tutta la sua audizione, concentrandosi sulla parziale archiviazione dell’indagine chiesta dalla procura di Palermo il 13 luglio del 1992, sei giorni prima della strage. “I promotori di quella archiviazione furono gli allora magistrati Scarpinato e Lo Forte che fecero la richiesta, Giammanco che appose il visto e La Commare che accolse la richiesta. Anche questo è stato dichiarato dall’avvocato Trizzino, sta negli atti e la Commissione parlamentare di inchiesta ha il dovere di approfondire ogni connessione utile al raggiungimento della verità”, insiste D’Attis. Che in pratica rilancia le stesse accuse formulate in passato da Maurizio Gasparri: “Bisognerà valutare dei profili di incompatibilità con l’appartenenza alla commissione Antimafia di alcuni senatori il cui operato passato dovrà essere valutato”, anticipava nei giorni scorsi il vicepresidente del Senato, riferendosi sempre a Scarpinato.
“Dai soliti esponenti di Forza Italia arrivano gli ennesimi tentativi di schizzi di fango su Roberto Scarpinato. Se non vogliono portare rispetto verso un senatore del M5S, hanno il dovere di farlo verso un servitore dello Stato che per decenni ha speso la sua vita per combattere la mafia, con un rigore fuori dal comune. Lo stesso Scarpinato che dopo la strage di via D‘Amelio si espose personalmente contro il procuratore capo di Palermo Giammanco, l’avversario di Falcone e Borsellino, minacciando pubblicamente le dimissioni se Giammanco non fosse stato trasferito da Palermo”, replicano i parlamentarari del M5s in commissione Antimafia, Stefania Ascari, Federico Cafiero De Raho, Francesco Castiello, Michele Gubitosa e Luigi Nave. “E’ chiaro che da Forza Italia qualcuno vuole regolare i conti con i magistrati che negli anni hanno condotto importanti inchieste che hanno coinvolto esponenti politici di primo piano. Adesso è il momento di far parlare le carte, gli atti giudiziari che dimostrano come le insinuazioni nei confronti di Scarpinato siano prive di ogni fondamento”, proseguono i 5 stelle.
In un lungo comunicato i parlamentari del M5s in Antimafia elencano gli elementi che smentiscono la teoria dell’archiviazione di Mafia e appalti come l’insabbiamento di un’indagine, considerata unico movente dell’eliminazione di Borsellino. “Come risulta dalla relazione della Procura di Palermo agli atti della Commissione Parlamentare Antimafia e sottoscritta dall’allora procuratore Caselli e tra gli altri, dall’attuale procuratore di Palermo De Lucia – spiegano – l’inchiesta mafia-appalti fu iniziata nel 1989, anni prima dell’insediamento di Paolo Borsellino alla Procura di Palermo, e determinò l’esecuzione di ordinanze di custodia cautelare, sequestri e confische di patrimoni, richieste di autorizzazione a procedere, richieste di rinvio a giudizio nei confronti di più di un centinaio di esponenti di vertice della mafia, di imprenditori di livello nazionale, di dirigenti di enti regionali, di uomini politici, di assessori regionali e di ministri e parlamentari nazionali. Le ordinanze di custodia cautelare furono richieste via via che venivano acquisite prove idonee a superare il vaglio del riesame del Tribunale della Libertà e il controllo di legittimità della Cassazione, susseguendosi nel tempo il 9 luglio 1991, il 17 febbraio 1992, il 25 maggio 1993 e il 20 ottobre 1993, tutte sottoscritte da Scarpinato unitamente ad altri magistrati. Negli anni seguenti furono eseguite nuove richieste di ordinanze di custodia cautelare, nuovi provvedimenti di sequestro e confische di beni, nuove richieste di rinvio a giudizio. A Gasparri e D’Attis ricordiamo una volta per tutte che l’inchiesta mafia-appalti non fu mai archiviata”.
Cosa avvenne allora il 13 luglio 1992? Cosa riguardava dunque quella richiesta di archiviazione? “Fu formulata anche perché, come è documentato, la Procura di Palermo non era stata messa a conoscenza che Giuseppe Li Pera,arrestato nell’ambito della inchiesta mafia-appalti il 9 luglio 1991 e rinviato a giudizio il 9 marzo 1992, aveva reso dichiarazioni alla Procura di Catania sugli stessi fatti per i quali stava procedendo la Procura di Palermo”, proseguono i 5 stelle, citando atti della relazione depositata in commissione nel 1999. “Non appena furono acquisite quelle dichiarazioni e nuove prove sopravvenute, Scarpinato, unitamente ad altri magistrati, riaprì le indagini nei confronti di alcuni degli indagati la cui posizione era stata archiviata, richiedendo il 17 maggio 1993 nei loro confronti e di altri venti nuovi indagati un’ordinanza di custodia cautelare eseguita il successivo 25 maggio. Tra questi vi era Antonino Buscemi, che deteneva quote societarie di imprese del Gruppo Ferruzzi e nei cui confronti, ancora prima dell’arresto, era stata già richiesta il 14 ottobre 1992 personalmente da Scarpinato la misura di prevenzione patrimoniale del sequestro e della confisca di tutto il patrimonio e l’inibizione a partecipare a gare di appalto. Questi sono i fatti, documentati”. Per i 5 stelle, dunque, “gli esponenti di Forza Italia costruiscono tesi conclusive prima che la commissione Antimafia abbia svolto il suo lavoro, dimostrando così di agire solo animati da pregiudizi privi di fondamento e da intenti ritorsivi“.