Giuseppe Lipari

 


Nato a Palermo il 14 aprile 1945, consigliere economico dei corleonesi, poi anche prestanome di Bernardo Provenzano Detto “Pino”, soprannominato secondo alcuni “l’Ingegnere”. Geometra, ex dipendente Anas. Detenuto dal 19 settembre 2007. Arrestato per la prima volta il 27 novembre 1983 per associazione mafiosa, Ebbe la prima condanna per mafia nell’87 al maxiprocesso concluso in Cassazione il 30 gennaio 92). Dopo la prima condanna continuò a fare quello per cui era stato condannato, investire soldi della mafia nel settore sanitario, su disposizione di Bernardo Provenzano, cioè creava società per le forniture alla sanità pubblica (nel 93, su richiesta del questore di Palermo, alcune di queste società intestate a lui vengono messe sotto sequestro in esecuzione di misura di prevenzione).  Nell’89 subentra ad Angelo Siino nel ruolo di ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra, cioè nella spartizione mafiosa dei pubblici appalti.

Torna in manette il “consigliori” e prestanome del padrino in galera dal 2006  Nuova indagine sugli intrecci mafia-appalti che Cosa nostra continua a gestire Palermo, arrestato il geometra  che curava gli affari di Provenzano  Sequestrati beni per 3 milioni di euro. Indagata anche una dirigente della Regione l’avvocato Caldara è stata consigliere giuridico dell’ex-ministro Enrico La Loggia Manette per il boss mafioso Giuseppe Lipari, 72 anni, geometra, consigliori del capomafia Bernardo Provenzano e amministratore dei beni dei corleonesi. In passato, il pregiudicato era stato condannato ad undici anni e due mesi di reclusione per mafia. Indagata anche una dirigente della Regione, l’avvocato Maria Concetta Caldara, ex-consigliere giuridico del ministro per gli Affari Regionali, Enrico La Loggia.

Lipari, dopo aver scontato la pena, era tornato da più di un anno in libertà. Adesso è stato raggiunto da un nuovo ordine di custodia cautelare in carcere emesso dal gip su richiesta del procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone e dei sostituti Marzia Sabella e Michele Prestipino. E’ accusato di associazione mafiosa.

Questa nuova indagine condotta dalla Squadra mobile di Palermo è scaturita subito dopo l’arresto di Provenzano. Gli investigatori hanno scoperto un articolato intreccio di interessi dell’organizzazione mafiosa nel settore dei lavori pubblici e degli appalti. Il giudice ha inoltre ordinato il sequestro di beni, considerati di provenienza illecita, per un valore di tre milioni di euro.

Giuseppe Lipari è considerato l’economo e il consigliori di Bernardo Provenzano. In passato è stato anche uno dei più fedeli favoreggiatori di Totò Riina.

Per i corleonesi, il geometra Lipari è stato un “consulente” che si occupava di pilotare gli appalti pubblici in modo da affidarli a imprese vicine ai boss. Non solo, dalle inchieste emerge che Lipari avrebbe fatto da cerniera fra alcuni politici e Riina prima, e poi Provenzano.

Lipari, ben inserito nei salotti di Palermo, ha svolto pure il ruolo di prestanome per conto di Provenzano e per questo motivo in passato gli sono stati sequestrati beni per un valore di decine di milioni di euro che sarebbero riconducibili al vecchio padrino corleonese. Il consigliori di Provenzano, inoltre, alla fine del 2002 dichiarò di volersi pentire, avviando una stentata collaborazione con la giustizia, che i magistrati però scoprirono subito si trattava di una messa in scena.

I giudici della Corte d’appello che lo hanno condannato l’ultima volta nel giugno 2005, ha escluso per Lipari il comma 2 dell’articolo 416 bis, e cioè l’ accusa di avere ricoperto un ruolo di vertice nell’ambito di Cosa nostra. L’inchiesta della procura, diretta all’epoca da Piero Grasso, portò all’arresto non solo di Giuseppe Lipari ma anche di una buona parte del suo nucleo familiare: i figli, Arturo e Cinzia Lipari, entrambi condannati e il marito di quest’ultima, Giuseppe Lampiasi, anche lui condannato.

Secondo l’accusa, la famiglia Lipari, tramite la rete di fedelissimi “postini”, avrebbe amministrato i beni dei corleonesi.

Nell’ambito dell’inchiesta la procura ha indagato anche una dirigente della Regione. Si tratta dell’avvocato Maria Concetta Caldara, che in passato è stata anche consigliere giuridico del ministro per gli Affari Regionali, Enrico La Loggia. La notizia emerge dagli atti dell’inchiesta. Caldara risulta essere socia di Giuseppe Lipari nell’appezzamento di terreno che il consigliori di Provenzano stava tentando di vendere per incassare così una fetta del tesoro del padrino corleonese. L’indagata nei mesi scorsi era stata già interrogata dagli inquirenti. 19 settembre 2007 La Repubblica

Mafia, preso il “consigliori” di Bernardo Provenzano, 19/09/2007 IL GIORNALE  La polizia ha arrestato il boss Giuseppe Lipari, 72 anni, geometra, del capomafia e amministratore dei beni dei corleonesi, in passato già condannato a 11 anni e due mesi La polizia ha arrestato il boss mafioso Giuseppe Lipari, 72 anni, geometra, consigliori del capomafia Bernardo Provenzano e amministratore dei beni dei corleonesi. In passato, il pregiudicato era stato condannato ad undici anni e due mesi di reclusione per mafia. Lipari, dopo aver scontato la pena, era tornato da più di un anno in libertà. Adesso è stato raggiunto da un nuovo ordine di custodia cautelare in carcere emesso dal gip su richiesta del procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone e dei sostituti Marzia Sabella e Michele Prestipino. E’ accusato di associazione mafiosa. Questa nuova indagine condotta dalla Squadra mobile di Palermo è scaturita subito dopo l’arresto di Provenzano. Gli investigatori hanno disvelato un articolato intreccio di interessi dell’organizzazione mafiosa nel settore dei lavori pubblici e degli appalti.

“Voleva vendere i beni di Provenzano” Lipari, appena uscito dal carcere si era messo in movimento per vendere una delle proprietà riconducibili a Bernardo Provenzano. Secondo l’accusa, il consigliori del padrino, tornato in libertà il 13 aprile 2006, due giorni dopo che era stato arrestato Provenzano, stava cercando di far avere al boss corleonese la somma di denaro che avrebbe ottenuto dalla cessione di un grande appezzamento di terreno nelle campagne di Carini (Palermo), del valore di tre milioni di euro. Il bene (sequestrato stamani dagli agenti della Squadra mobile di Palermo su richiesta della Direzione distrettuale antimafia), attraverso prestanomi era riconducibile proprio a Provenzano. Lipari, infatti, dopo aver concluso la vendita, aveva intenzione di far arrivare i soldi al vecchio padrino. Si sarebbe trattato infatti di un “acconto” liquido derivante dalla vendita di una fetta del tesoro di Provenzano, disseminato in varie parti della Sicilia e del Paese, e che risulta intestato a prestanomi.

I rapporti con Totò Riina Giuseppe Lipari in passato è stato anche uno dei più fedeli favoreggiatori di Totò Riina. Per i corleonesi, il geometra Lipari è stato un “consulente” che si occupava di pilotare gli appalti pubblici in modo da affidarli a imprese vicine ai boss. Non solo, dalle inchieste emerge che Lipari avrebbe fatto da cerniera fra alcuni politici e Riina prima, e poi Provenzano. Lipari, ben inserito nei salotti di Palermo, ha svolto pure il ruolo di prestanome per conto di Provenzano e per questo motivo in passato gli sono stati sequestrati beni per un valore di decine di milioni di euro che sarebbero riconducibili al vecchio padrino corleonese. Il consigliori di Provenzano, inoltre, alla fine del 2002 dichiarò di volersi pentire, avviando una stentata collaborazione con la giustizia, che i magistrati però scoprirono subito si trattava di una messa in scena. I giudici della Corte d’appello che lo hanno condannato l’ultima volta nel giugno 2005, ha escluso per Lipari il comma 2 dell’articolo 416 bis, e cioé l’accusa di avere ricoperto un ruolo di vertice nell’ambito di Cosa nostra. L’inchiesta della procura, diretta all’epoca da Piero Grasso, portò all’arresto non solo di Giuseppe Lipari ma anche di una buona parte del suo nucleo familiare: i figli, Arturo e Cinzia, entrambi condannati e il marito di quest’ultima, Giuseppe Lampiasi, anche lui condannato.

Il “ministro dei Lavori pubblici” di Provenzano  ascoltato dai magistrati della Dda di Palermo  Nuovo super-pentito di mafia  Pino Lipari l’uomo degli appalti di ATTILIO BOLZONI C’è un altro pentimento clamoroso qui in Sicilia, un pentimento che potrebbe far scoprire tutti gli affari e le relazioni politiche dei Corleonesi. Vuole parlare – o almeno così ha annunciato, dodici giorni fa, ai procuratori che lo stavano interrogando nel carcere dove è rinchiuso – anche Pino Lipari, vuole saltare il fosso anche l’uomo che da una quindicina di anni è il ministro dei Lavori pubblici di Cosa Nostra. Dopo l’improvviso e misterioso pentimento del boss Antonino Giuffrè, ecco adesso il sorprendente pentimento dell’ex geometra dell’Anas che sa tutto degli appalti pubblici. Di come vengono pilotati, dei burocrati e dei personaggi politici amici dei boss, delle imprese che prestano il loro nome ai capi cosca. La notizia dell’inizio della collaborazione di Pino Lipari si è diffusa ieri sera a Palermo, cauto il procuratore Grasso che sta valutando “la genuinità” delle prime rivelazioni, perplessi alcuni osservatori delle cose di mafia che si sono limitati a commentare “come di questi tempi succedano troppe cose strane in Sicilia”. In attesa di saperne di più c’è per ora solo la volontà di “parlare” di Pino Lipari (ha già firmato la cosiddetta “dichiarazione di intenti”), uomo chiave del sistema mafioso siciliano, in passato curatore dei beni di Tano Badalamenti, poi di quelli di Totò Riina e infine di quelli del capo dei capi Bernardo Provenzano. E’ proprio lui il “consigliori” numero uno del vecchio boss corleonese latitante ormai da 40 anni, è il suo esperto in materia edilizia, il suo braccio destro per il business come Antonino Giuffrè lo era per la gestione interna dell’organizzazione.In galera dal 24 gennaio scorso, l’ex geometra dell’Anas avrebbe deciso di diventare un pentito dopo il pressing subìto, carcere duro e beni sequestrati, una vita perenne da pedinato e ascoltato da microspie, la figlia Cinzia finita nei guai per colpa della sua attività come la moglie Marianna e il figlio Arturo. E’ stata proprio Cinzia, un paio di mesi, fa a sfogarsi così con i magistrati: “Provenzano ci ha rovinati, maledetto il giorno in cui è entrato nella nostra vita”. Piccole ammissioni (ma solo su ciò che aveva combinato lui) erano venute dallo stesso Pino Lipari nel corso di uno degli ultimi interrogatori. Poi la decisione di “aprirsi” fino in fondo. Vedremo che ne verrà fuori. Da una parte si registrerà un vero terremoto politico giudiziario, dall’altra si prefigura una profonda ristrutturazione di Cosa Nostra pensata dal di dentro. Dopo questi due clamorosi casi di resa, Giuffrè e Lipari, si annuncia sempre più vicina la cattura di Bernardo Provenzano che sta perdendo tutti i suoi collaboratori più stretti. Su quello che accadrà poi, chissà, di sicuro c’è solo che la mafia siciliana sarà irriconoscibile per molto tempo. Frequentatore di campagne dove incontrava il suo amico latitante Bernardo ma anche di salotti palermitani, amante di auto d’epoca (merce, a quanto pare, per ottenere favori in Cassazione), Lipari si prepara a diventare l’ultimo pentito dell’ultima vecchia mafia.(22 novembre 2002 La REPUBBLICA)

La Polizia di Stato arresta due fedelissimi di Provenzano  Nelle prime ore della mattinata odierna in esecuzione dell’Ordinanza di Custodia Cautelare in carcere e decreto di sequestro preventivo n. 9366/02 R.G.N.R. e n. 8562/02 R.G.G.I.P. emessa il 30.09.02 dal GIP presso il Tribunale di Palermo, sono stati arrestati da personale della Squadra Mobile di Palermo IMPASTATO Andrea, di Cinisi ma residente a Montelepre, di anni 54; e LOMBARDO Filippo, sessantotto anni, di Misilmeri, rispettivamente indagati: il primo per il delitto di cui all’ Art. 416 bis c.p. per avere fatto parte, in concorso unitamente ad altre persone – tra le quali Provenzano Bernardo, Spera Benedetto, Giuffrè Antonino, Lo Piccolo Salvatore, Cinà Antonino, Lipari Giuseppe ed altri – dell’associazione mafiosa “Cosa Nostra”, ed in particolare per avere costituito un tramite attraverso cui LIPARI Giuseppe, LIPARI Cinzia e LIPARI Arturo hanno comunicato, per la finalità di amministrazione e di gestione del c.d. patrimonio corleonese, con il latitante Provenzano Bernardo, e di essersi adoperato quale intermediario in attività di natura estorsiva ai fini della c.d. “messa a posto ” di imprese operanti nel territorio di Carini; il secondo per il delitto di cui agli artt. 110 c.p., 12 quinques L. 356/1992 e 7 L. 203/1991 in quanto, in concorso con il condannato mafioso LIPARI Giuseppe, al fine di agevolare l’attività del sodalizio criminale, concorreva ad attribuirsi fittizialmente la formale proprietà dei beni immobili siti in territorio del Comune di Palermo, dei quali sono invece effettivi proprietari Provenzano Bernardo ed altri capimafia corleonesi, al fine di consentire ai predetti di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale. 03/10/2002 Polizia di Stato

Pino Lipari. “Gestiva ancora gli affari di Provenzano”  Giornale di Sicilia del 20.09.2007 Palermo. L’accusa: Libero dopo avere scontato la condanna per mafia, l’ex impiegato dell’Anas voleva vendere a Carini un terreno edificabile di “Binnu”. Sequestrato un appartamento in via Aquileia Torna in carcere il più sospettabile degli amici di Bernardo Provenzano. I poliziotti della squadra mobile hanno arrestato il geometra Pino Lipari, 72 anni, impiegato dell’Anas in pensione e storico riciclatore del superboss di Cosa nostra. Nonostante le indagini ed i sequestri che in questi anni lo hanno colpito a ripetizione, gli inquirenti sono riusciti a scovare altri beni che Lipari secondo l’accusa era riuscito ad occultare. Si tratta di un terreno edificabile in contrada Piraineto a Carini per un valore di due milioni e mezzo di euro e l’appartamento di via Aquileia 5 a Palermo dove lui è residente. Entrambi sono stati bloccati su richiesta dei pm Marzia Sabella e Michele Prestipino, titolari dell’inchiesta, mentre l’ordine di custodia e il sequestro dei beni sono stati firmati dal gip Antonella Consiglio. Lipari è al quarto arresto per associazione mafiosa, il suo nome compare in centinaia di atti giudiziari e la prima condanna per mafia risale al maxi processo. Nel corso degli anni ha avuto altre due sentenze definitive per mafia e nel frattempo sono stati arrestati anche la moglie, Marianna Impastato, la figlia, l’avvocatessa Cinzia Lipari (detenuta), il figlio Arturo, e i due generi Lorenzo Agosta (subito scarcerato) e Giuseppe Lampiasi. Nel suo lungo curriculum figurano anche un pentimento fasullo, organizzato per gestire meglio dal carcere i beni dei boss corleonesi e un’attività indefessa di occultamento e riciclaggio dei capitali sporchi di Cosa nostra. Il cassiere della mafia aveva finito di scontare l’ultima condanna lo scorso anno ed era uscito dal carcere 1113 aprile 2006, due giorni dopo il blitz della polizia a Corleone che pose termine alla pluridecennale latitanza di Bernardo Provenzano. Non appena Lipari ha messo piede fuori dalla cella, gli investigatori della sezione criminalità organizzata della squadra mobile hanno iniziato a tenerlo d’occhio. Come si dice il lupo perde il pelo ma non il vizio e gli agenti avevano il fondato sospetto che il geometra tornasse ai vecchi affari. Così sono iniziate le intercettazioni telefoniche e ambientali e nel giro di pochi mesi è saltata fuori la sorpresa. Secondo la ricostruzione della procura il vecchio riciclatore stava per piazzare un nuovo colpo. La vendita del terreno di Carini sul quale doveva sorgere un residence. Un affare che avrebbe fruttato denaro a palate il cui destinatario secondo l’accusa era ancora una volta il superboss corleonese. Come al solito Lipari formalmente non compare nell’affare, il terreno era in parte riconducibile all’ingegnere Giuseppe Montalbano al nome storico nelle indagini su Cosa nostra, anche lui in passato arrestato per associazione mafiosa, condannato in primo grado a sette anni e proprietario della villa di via Bernini dove Totò Riina ha trascorso la sua latitanza dorata.  Montalbano secondo l’accusa è al centro della rete di affari di Lipari.  Quando quest’ultimo iniziò ad avere i primi guai giudiziari proprio a Montalbano cedette alcuni beni con la formula della “dazione in pagamento”. In teoria Lipari sarebbe stato debitore nei confronti di Montalbano per un totale di 492 milioni di vecchie lire e come saldo del debito avrebbe ceduto il terreno di Carini e la casa di via Aquileia. Questo atto di trasferimento non è stato mai ritenuto credibile dalla procura. Per gli inquirenti era solo un trucco per sviare le indagini. Lo scopo era di intestare al Montalbano, agli inizi degli anni Novanta un perfetto incensurato, parte del patrimonio illecito dei corleonesi. Adesso questi beni sono tornati di attualità. La squadra mobile ha intercettato alcune conversazioni tra Lipari e l’acquirente del terreno di Carini durante le quali si evince chi è il vero padrone del terreno. Nella vicenda è rimasta coinvolta anche una professionista, Maria Concetta Caldara, ex dirigente generale presso il ministero per gli Affari regionali dal 2001 al 2005, e attualmente esperto nominato dalla presidenza della Regione con un incarico a tempo. La professionista assieme alla sorella ha ricevuto dal padre, Vincenzo Caldara, in eredità la parte del terreno di Carini che non è stata sequestrata. La figlia di Caldara stando alla ricostruzione della procura è stata chiamata da Lipari dopo la scarcerazione e a lei cercò di imporre la partecipazione fittizia alla vendita e la successiva cessione del denaro allo stesso Lipari. Le microspie e le intercettazioni telefoniche realizzate dalla Squadra mobile hanno consentito di percepire il disagio della donna, che temeva – firmando un atto assieme a Montalbano e poi consegnando il denaro a Lipari – di essere coinvolta in affari e inchieste di mafia. Interrogata dai pm il 17maggio scorso in qualità di indagata per riciclaggio ha confermato questo suo stato d’animo ed ha respinto il sospetto di avere fatto affari con Lipari. Leopoldo Gargano


GLI ATTI DELL’INCHIESTA. «Lipari era il regista occulto di una grossa speculazione edilizia» «Il boss era pronto a intascare 2 milioni e mezzo» di L.G. Tratto dal Giornale di Sicilia del 20.09.2007

PALERMO. «Lipari è il regista di tutta l’operazione». Lo scrive il gip Antonella Consiglio nell’ordinanza di custodia che ha spedito di nuovo in cella il vecchio amico di Provenzano. L’obiettivo di Lipari era la vendita del terreno di contrada Piraineto al costruttore Giovanni Palazzolo che intendeva realizzarvi una serie di villette: metà del terreno, che in quella particella incriminata misurava circa 10 mila metri quadrati, era intestata alle eredi Caldara e l’altra metà è «non del titolare apparente Montalbano Giuseppe, ma proprio di Lipari Giuseppe». il prezzo totale di vendita era di circa due milioni e mezzo di euro e il geometra che seguiva l’operazione, Vincenzo Conigliaro, scrive il giudice Consiglio, «era incaricato proprio dal Lipari, al quale rendeva puntualmente conto del suo operato». Sulla questione era poi sorta una controversia tra gli eredi di Vincenzo Caldara, l’altro comproprietario del terreno di Carini e Lipari. Le sorelle Caldara non volevano stipulare un unico atto assieme a Montalbano, per timore dei suoi precedenti giudiziari. Ma la loro tesi, concludere la compravendita con atti separati, aveva suscitato diverse discussioni con Lipari, “che, invece – si legge nell’ordinanza – riteneva più redditizia e comunque più rassicurante per l’acquirente la vendita contestuale delle quote». Durante la trattativa, Lipari incassò 40 mila euro di acconto dall’acquirente. Si sentiva lui, cioè, il vero proprietario. Nel suo interrogatorio del maggio scorso, Maria Concetta Caldara riferì che in quella stessa circostanza “Lipari mi disse “ricordati che di questo terreno cinquemila metri sono miei”. Io – ha aggiunto – sul momento non dissi niente e peraltro devo dire che tutti questi colloqui sono stati piuttosto difficili per me, dato che ormai conosco le vicende processuali del Lipari e da 25 anni il nome della mia famiglia viene associato a queste vicende processuali”. Riguardo la compravendita del terreno precisò. “Per me è un problema fonte di gravissime preoccupazioni: la pretesa del Lipari, non solo perchè io non sono in grado di dire se tale pretesa sia fondata o meno, dato che non posso escludere che per qualche motivo mio padre a suo tempo comprò anche nell’interesse di Lipari. Da un altro lato – aveva proseguito la donna – non saprei come giustificare la corresponsione di denaro al Lipari, in mancanza di qualsiasi documento giustifìcativo. É chiaro comunque che io non darò mai del denaro al Lipari, che non risulti in modo formale». Ieri in serata Maria Concetta Caldara in una nota ha precisato che è stata sequestrata solo la quota di pertinenza di Lipari, mentre per quanto riguarda la proprietà dei Caldara non è stata alienata, nè utilizzata in alcun modo». Inoltre il terreno, sostiene, venne acquistato nel 1971 dal padre assieme a Lipari ma allora “non era immaginabile alcuna commissione dello stesso con la mafia”. La Caldara precisa che “la sua iscrizione sul registro degli indagati ha avuto solo un carattere esclusivamente tecnico” ed è certa “di avere chiarito tutti gli aspetti della vicenda”. L.G.