L’estorsione, in diritto, è un reato commesso da chi, con violenza o minaccia, costringendo uno o più soggetti a fare o a non fare qualche atto, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno.
È un reato commesso generalmente con la cooperazione della vittima, nonché tipica attività spesso utilizzata dalle organizzazioni criminali, soprattutto le organizzazioni di tipo mafioso, a cui si ricorre per acquisire capitali ingenti ma soprattutto per controllare il territorio.
La coercizione sulla vittima è relativa perché in essa residua un minimum di capacità di autodeterminazione, che viene coartata dall’agente al fine di far compiere un atto dispositivo (dare, fare, non fare). È reato di evento in cui la cooperazione della vittima è carpita con la forza, intesa come coazione relativa, facendo leva su possibili conseguenze dell’inadempimento. Tra forza e coazione deve sussistere un rapporto strumentale di mezzo a fine altrimenti si avrà solo induzione.
L’evento è caratterizzato da:
- stato di coazione psichica;
- volontà viziata;
- atto dispositivo patrimoniale;
- danno altrui;
- profitto ingiusto per l ‘agente o altri.
La condotta consiste nella costrizione mediante violenza o minaccia a determinati comportamenti attivi o omissivi. La minaccia estorsiva può avere ad oggetto anche un’omissione con la prospettazione da parte dell’agente di non impedire ciò che ha il dovere giuridico di non consentire.
Sono esempi di estorsione:
- la protezione, che identifica un’attività criminale inquadrabile nell’ambito del racket, generalmente volta ad ottenere da parte di un operatore economico un pagamento periodico in cambio di una presunta offerta di protezione. In Italia spesso viene identificata come “pizzo“.
- il comportamento intimidatorio di un datore di lavoro nei confronti di un lavoratore cui corrisponde un salario non adeguati alle ore di lavoro prestate e/o alle attività svolte.
Nell’ordinamento italiano, il reato è sanzionato dall’art. 629 del codice penale italiano. È ingiusto il profitto che non è tutelato né direttamente né indirettamente dall’ordinamento giuridico. Sono riconducibili all’estorsione anche il sequestro di persona a scopo di estorsione e la concussione ma il codice penale li prevede come reati a sé, con pene più gravi.
Secondo il recente rapporto di S.O.S. Impresa[senza fonte], si possono distinguere 4 tipi principali di estorsione di stampo mafioso:
- pagamento “concordato”: Si paga una tantum all’ingresso e poi si pattuiscono rate mensili di solito rapportate al giro d’affari dell’attività.
- contributo all’organizzazione: Periodicamente si presentano 2 o più persone per chiedere il contributo in occasione di varie ricorrenze.
- contributo in natura: Si offrono prestazioni gratuite alla cosca (come ad esempio cerimonie nuziali e battesimi gratis).
- cavallo di ritorno: Consiste nel furto di auto, attrezzi agricoli o altro che vengono restituiti solo dopo il pagamento di una tangente.
Dispositivo dell’art. 629 Codice penale Chiunque, mediante violenza [581] o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 1.000 a euro 4.000. La pena è della reclusione da sette a venti anni e della multa da da euro 5.000 a euro 15.000, se concorre taluna delle circostanze indicate nell’ultimo capoverso dell’articolo precedente.
Il reato di estorsione
Cos’è l’estorsione, quali sono gli elementi costitutivi e le aggravanti. Guida sintetica al reato di estorsione punito dall’art. 629 c.p.
Ai sensi dell’art. 629 del codice penale, l’estorsione è il reato commesso da chi, con violenza o minaccia, costringe qualcuno a fare o a non fare qualcosa per trarre per sé o altri un ingiusto profitto con altrui danno.
Estorsione: reato comune e plurioffensivo Si tratta di un reato comune, poiché può essere commesso da chiunque, e plurioffensivo poiché, pur essendo classificato tra i delitti contro il patrimonio, lede altresì l’interesse personale all’autodeterminazione e all’integrità fisica del soggetto passivo.
Elemento oggettivo del reato di estorsione Rispetto all’elemento oggettivo, la condotta è integrata dalla costrizione mediante violenza o minaccia nei confronti di taluno per fargli commettere determinati comportamenti attivi o omissivi.
Vis e costrizione si pongono quindi in un rapporto strumentale (violenza/minaccia per costringere) e eziologico (costrizione a causa di violenza/minaccia).
In questo senso, l’estorsione è un reato complesso in senso lato poiché costituito dalla vis e da un quid pluris che non necessariamente integra un’autonoma fattispecie di reato. È appena il caso di precisare che la minaccia estorsiva può avere ad oggetto anche un’omissione qualora venga prospettato il mancato impedimento di un male che il soggetto attivo ha l’obbligo di impedire. Il soggetto passivo della vis, peraltro, può anche non coincidere con il soggetto passivo del reato.
L’evento conseguenza della condotta è quadruplice e consiste:
– nella coazione relativa: violenza o minaccia personale o reale rilevano nella misura in cui siano in grado di condizionare la volontà della vittima avendo riguardo al parametro della normale impressionabilità;
– nel compimento dell’atto di disposizione: un dare, facere o non facere aventi ad oggetto qualsiasi elemento attivo del patrimonio;
– nel danno altrui: il nocumento causato dalla disposizione dovuta alla vis è insito nello stesso atto di disposizione;
– nel profitto ingiusto: in assenza di un’utilità esorbitante o non dovuta, che non si fonda su una pretesa riconosciuta o tutelata dall’ordinamento, si avrebbe il diverso reato di violenza privata.
Essendo reato di evento, l’estorsione sussiste solo quando tutti gli eventi sono realizzati.
Rispetto all’elemento soggettivo, è sufficiente il dolo generico, ovvero la coscienza e volontà di usare violenza o minaccia al fine di costringere il soggetto passivo a porre in essere una condotta che procurerà l’ingiusto profitto per il reo o per altri, con la consapevolezza di agire illegittimamente. Di conseguenza, l’erronea convinzione dell’agente che il profitto sia giusto vale ad escludere il dolo di estorsione.
Aggravanti speciali dell’estorsione L’art. 629 c. 2 c.p. richiama le medesime aggravanti del reato di rapina. In questi casi, la pena reclusiva da 5 a 10 anni e la multa da 1000 a 4000 euro di cui al comma 1 vengono aumentate a reclusione da 6 a 20 anni e multa da 5000 a 15000 euro.
Tali aggravanti sussistono:
– se la violenza o la minaccia sono poste in essere con l’uso di armi, da persona travisata o da più persone riunite;
– se la violenza induce qualcuno in stato di incapacità di volere o di agire;
– se la violenza o la minaccia sono poste in essere da soggetto appartenente ad un’associazione mafiosa;
– se il fatto è commesso nell’abitazione o in luoghi tali da ostacolare la pubblica o privata difesa, o all’interno di un mezzo di trasporto pubblico;
– se il fatto è commesso nei confronti di chi sta fruendo o ha appena fruito dei servizi di banche, uffici postali o sportelli automatici per il prelievo di denaro;
– se il fatto è commesso contro un soggetto ultrasessantacinquenne. STUDIO CATALDI
ESTORSIONE (RACKET E PIZZO)
Ci può essere estorsione senza mafia, ma non può esserci mafia senza racket. E non ogni forma d’estorsione è racket. Il racket del pizzo, nell’essere il principale strumento delle mafie per esercitare il controllo del territorio, ha alcune caratteristiche che, fra l’altro, lo distinguono dalle semplici attività estorsive. In primo luogo, la richiesta di pizzo non può essere occasionale ma ripetuta nel tempo: l’organizzazione mafiosa pretende il pagamento secondo scadenze regolari (o ogni mese o ogni quattro mesi in coincidenza di Natale, Pasqua, Ferragosto). Il cedimento dell’imprenditore rappresenta una importante fonte di guadagno e, soprattutto, il modo più efficace per consolidare la subordinazione degli imprenditori. In secondo luogo, l’attività estorsiva non può essere limitata solo a qualche impresa: se in un quartiere ci sono cento esercizi commerciali, la richiesta di pizzo non può essere fatta solo a cinque di loro; deve essere il più possibile a tappeto. In terzo luogo, l’importo del pizzo deve essere definito secondo regole che, in un certo senso, possano anche essere “condivise” dagli imprenditori-vittime. Se il principio fondamentale è quello della proporzionalità, un commerciante d’abbigliamento non pagherà mai quanto un imprenditore edile. Queste tre caratteristiche, quando appaiono insieme e nello stesso territorio, costituiscono il racket del pizzo. Non è certamente un caso che, nella storia della mafia, il racket sia l’attività criminale più antica e quella più immutata; è una costante che accompagna la mafia dentro tutte le sue trasformazioni e nella ricerca di nuove frontiere criminali, una costante dentro una straordinaria mobilità. Si immagini il fatturato di una famiglia mafiosa dal lato delle entrate: la somma complessiva dei proventi delle attività criminali (non consideriamo in questa sede i proventi delle attività lecite) è di 100; le entrate del racket rappresentano 5; il rischio per ottenere quel 5 è inversamente proporzionale al risultato (si corrono molti più rischi d’essere arrestati per un’estorsione che per il traffico di una partita di droga: il racket richiede un’esposizione personale del mafioso più elevata e vi è sempre il rischio d’essere denunciato o individuato). Quindi, sulla base del rapporto rischio/guadagno questa attività criminale non dovrebbe essere conveniente; eppure la mafia non può fare a meno di queste entrate perché non può fare a meno del racket. Il racket è il momento in cui si realizza l’identità della mafia e del mafioso. Il racket è l’essenza della mafia. Il racket contiene per intero, al proprio interno e nel suo esercizio, tutte le componenti della fenomenologia mafiosa. E’ un delitto che può essere consumato soltanto se chi lo esercita riesce a impaurire in modo significativo e continuo. Nessuno può presentarsi in un negozio per chiedere il pizzo se non ha fama di uomo in grado di scatenare la propria forza violenta e di contenere quella degli altri. Questa capacità intimidatoria deve e può svilupparsi solo in un territorio dove la sicurezza personale e dei propri beni è incerta o così viene percepita. L’intimidazione ha successo se c’è un atteggiamento omertoso della vittima perché l’estorsore pretende che il proprio rischio sia ridotto all’indispensabile. La vittima deve essere più propensa a subire anziché denunciare. Il pentito più famoso, Tommaso Buscetta, ci ha offerto una sintesi: “Quando mi presento a lei, lei deve sentire il mio peso e deve sentirlo velatamente. Io non verrò mai a minacciarla, verrò sempre sorridente e lei sa che dietro quel sorriso c’è una minaccia che incombe sulla sua testa. Io non verrò a dirle: le farò questo. Se lei mi capirà bene; se no, lei ne soffrirà le conseguenze”. C’è un elemento di pericolosità per il commerciante che paga il pizzo che non si conosce al momento del primo cedimento. Il problema non è solo quello di cedere una parte del proprio reddito al mafioso; costui attraverso il pizzo entra in azienda, la valuta, ne conosce la capacità di produrre reddito; l’estorsore può a un certo punto, e questo vale soprattutto per certi settori strategici, avanzare altre pretese, magari chiedere di entrare in società con una quota di denaro “sporco”. E’ difficile capire quando non bisogna più cedere una volta che si è dentro “il giro”. Può anche andare peggio: il commerciante che paga il pizzo può essere coinvolto indirettamente negli affari della famiglia mafiosa, ad esempio con la copertura ad un latitante o nascondendo merce pericolosa; e a questo punto si rischia d’essere coinvolti col pericolo della propria vita in una di quelle periodiche guerre tra famiglie. antiraket
Voci correlate