- Sentenza primo grado processo omicidio Impastato
- La sentenza di condanna per l’omicidio di Peppino Impastato
- Dispezzo mio zio il boss
- Quello che ho fatto in vita mia lo rifarei
- Arrestato il figlio di Badalamenti
- Gaetano Badalamenti e l’omicidio Impastato
- Per far tacere don Tano
- Tano Badalamenti e l’omicidio Impastato – Film
Gaetano Badalamenti, soprannominato don Tano (Cinisi, 14 settembre 1923 – Ayer, 29 aprile 2004), il più grande narcotrafficante della storia della mafia siciliana, capo della cosca mafiosa di Cinisi in provincia di Palermo e ha diretto la “Commissione” dal 1974 al 1978. Nel 1987 fu condannato negli Stati Uniti a 45 anni di reclusione in una prigione federale per essere stato uno dei leader della cosiddetta “Pizza connection“, un traffico di droga del valore di 1,65 miliardi di dollari che, dal 1975 al 1984, aveva utilizzato pizzerie come punto di distribuzione[1][2]. Badalamenti è stato inoltre condannato all’ergastolo per aver ordinato l’omicidio di Giuseppe Impastato, attivista di Democrazia Proletaria che attraverso il suo programma radiofonico, Radio Aut, aveva denunciato le attività illecite del boss[3][4]. Gaetano Badalamenti nacque in una famiglia povera, ultimo di cinque figli e quattro figlie. Frequentò per breve tempo la scuola prima di iniziare a lavorare come allevatore di bovini all’età di soli dieci anni. Arruolato nel regio esercito italiano nel 1941, disertò prima che gli alleati effettuassero lo sbarco in Sicilia, nel luglio 1943.
Nel 1941, prima della chiamata alle armi, Badalamenti venne denunciato per abigeato; successivamente nel 1946 venne colpito da mandato di cattura per associazione a delinquere e concorso in sequestro di persona, ma l’anno successivo, in seguito alle accuse di omicidio pluriaggravato e tentato omicidio con lesioni, fuggì negli Stati Uniti d’America, dove suo fratello maggiore Emanuele aveva avviato un supermercato e un distributore di benzina nella contea di Monroe, nel Michigan. Nel 1950 Badalamenti venne arrestato dalla polizia statunitense come immigrato irregolare ed estradato in Italia, dove venne assolto per insufficienza di prove dalle precedenti imputazioni e divenne il vicecapo della cosca di Cinisi, guidata dal boss Cesare Manzella[5]. Nel 1953 però venne arrestato dalla Guardia di finanza di Palermo per contrabbando di sigarette estere e resistenza, a mano armata, a pubblico ufficiale; fu in questo periodo che Badalamenti si legò ai boss Angelo La Barbera, Rosario Mancino e Salvatore “Cicchiteddu” Greco, insieme a Tommaso Buscetta, Antonino Sorci e Pietro Davì, con cui si occupò del contrabbando di sigarette e stupefacenti, venendo però coinvolto in numerosi furti di bestiame nella zona di Cinisi[6].
Nel 1957 Badalamenti divenne socio di Luciano Liggio, con il quale creò un servizio di autotrasporti per la costruzione dell’Aeroporto di Punta Raisi di Palermo, caduto nella sfera di influenza della cosca di Cinisi[7].
Nel 1963 Badalamenti divenne il capo della cosca di Cinisi in seguito all’assassinio di Cesare Manzella[8] nel quadro della cosiddetta “prima guerra di mafia“. Nello stesso periodo però Badalamenti si diede alla latitanza per non dover comparire dinanzi alle forze dell’ordine, che lo volevano interrogare sull’omicidio di Manzella e altri fatti di sangue. Denunciato più volte per associazione a delinquere, nel dicembre 1968 Badalamenti venne assolto per insufficienza di prove nel processo svoltosi a Catanzaro contro i protagonisti della prima guerra di mafia[6]. Per queste ragioni tornò a Cinisi dopo sei anni di latitanza ma venne inviato al soggiorno obbligato presso Macherio, in provincia di Milano, continuando però a mantenere contatti con altri mafiosi siciliani residenti a Milano, con cui organizzò un traffico di stupefacenti, in collegamento con lo zio Emanuele Badalamenti, residente a Detroit e legato alla locale Famiglia mafiosa[6]. Nel 1970 Badalamenti parteciperà a un incontro a Milano insieme ad altri boss per discutere sull’implicazione dei mafiosi siciliani nel Golpe Borghese[9][10] e, durante l’incontro, costituì un “triumvirato” provvisorio insieme a Stefano Bontate e Luciano Liggio per ricostruire la “Commissione“, sciolta in seguito alla prima guerra di mafia[11]. Nel 1971 Badalamenti venne arrestato per associazione a delinquere e traffico di stupefacenti insieme a Stefano Bontate e rinchiuso per un breve periodo nel carcere dell’Ucciardone, tornando poi a Cinisi[6][9].Giovanni Impastato, fratello di Giuseppe Impastato[12], dichiarò:«Sembrava che Badalamenti fosse ben voluto dai carabinieri, in presenza dei quali era calmo, sicuro, e con i quali parlava volentieri. Sembrava quasi facesse loro un favore non facendo accadere nulla, rendendo sicura e calma la cittadina di Cinisi. […] Spesso si potevano vedere camminare insieme a Badalamenti e ai suoi guardaspalle. Non si può avere fiducia nelle istituzioni quando si vedono braccio a braccio con i mafiosi»(Dichiarazione resa prima dell’istituzione della commissione parlamentare antimafia.[13]
PIZZA CONNECTION E L’ARRESTO Nei primi anni settanta Badalamenti diventò il principale trafficante di stupefacenti: infatti il collaboratore di giustizia Antonino Calderone dichiarò che in quel periodo «il punto di collegamento negli Stati Uniti di Gaetano Badalamenti per il traffico di stupefacenti era Domenico Coppola, uomo d’onore di Partinico […]. Ho appreso da Totò Riina che aveva avuto un lungo colloquio con Domenico Coppola e che quest’ultimo gli aveva riferito tutto sul traffico di stupefacenti in cui era coinvolto Badalamenti. Riina testualmente mi disse che, mentre essi morivano di fame, Badalamenti si arricchiva con la droga»[9][15].Nel 1974 la “Commissione” fu ricostruita e Badalamenti venne incaricato di dirigerla[14]. Nel 1975 però Totò Riina, reggente della cosca di Corleone in sostituzione di Luciano Liggio, fece sequestrare e uccidere Luigi Corleo, suocero di Nino Salvo, ricco e famoso esattore affiliato alla cosca di Salemi; il sequestro venne attuato per dare un duro colpo al prestigio di Badalamenti e del suo socio Stefano Bontate, i quali erano legati a Salvo e non riusciranno a ottenere né la liberazione dell’ostaggio, né la restituzione del corpo, anche se Riina negò con forza ogni coinvolgimento nel sequestro[9][14]. Nel gennaio 1978, Badalamenti, insieme ai boss Giuseppe Di Cristina e Giuseppe Calderone, incontrò Salvatore “Cicchiteddu” Greco, giunto dal Venezuela dove risiedeva, per discutere sull’eliminazione di Francesco Madonia, capo della cosca di Vallelunga Pratameno, in provincia di Caltanissetta, il quale era sospettato di aver ordinato un fallito agguato ai danni di Di Cristina su istigazione di Totò Riina, a cui era strettamente legato; Greco però consigliò di rimandare ogni decisione a data successiva ma, ripartito per Caracas, vi morì prematuramente per cause naturali, il 7 marzo 1978. In seguito alla morte di Greco, Madonia venne ucciso il 16 marzo da Giuseppe Di Cristina e da Salvatore Pillera, inviato da Giuseppe Calderone. Riina invece accusò Badalamenti di aver ordinato l’omicidio di Madonia senza autorizzazione e lo mise in minoranza, facendolo espellere dalla “Commissione” e facendolo sostituire con Michele Greco, un suo socio[16]; Badalamenti venne anche sospeso come capo della famiglia mafiosa di Cinisi, che venne affidata a suo cugino Antonio Badalamenti.
Badalamenti fuggì in Brasile per timore di essere eliminato, soggiornando a San Paolo[17], da dove continuò a inviare negli Stati Uniti eroina da Palermo e cocaina dal Sudamerica[18][19], in stretto collegamento con Salvatore Catalano, esponente della Famiglia Bonanno di Brooklyn che utilizzava pizzerie e ristoranti italiani come punti di spaccio degli stupefacenti[20][21]. Nel corso di un’indagine sul traffico di droga, gli agenti dell’FBI riuscirono a intercettare le conversazioni di Badalamenti in Brasile, il quale parlava in codice con un suo associato negli Stati Uniti, riferendosi a spedizioni di cocaina ed eroina[22]. Durante la seconda guerra di mafia 11 familiari di Badalamenti furono uccisi dai corleonesi
Nel 1984, sempre attraverso intercettazioni telefoniche, l’FBI scoprì che Badalamenti aveva programmato un incontro a Madrid con il nipote Pietro “Pete” Alfano, proprietario di una pizzeria a Oregon, in Illinois, e considerato il “punto di contatto principale negli Stati Uniti” per il traffico di eroina[23]. L’8 aprile 1984 a Madrid gli agenti dell’FBI e quelli delle polizie italiana e spagnola arrestarono Badalamenti e il figlio Vito insieme a Pietro Alfano[24]; il 15 novembre gli arrestati furono estradati negli Stati Uniti[25].
Nel 1985 Badalamenti e altri diciotto imputati finirono sotto processo a New York[26], in quello che divenne noto come il caso “Pizza Connection“[27]. Il processo durò quasi due anni ed è stato il più lungo nella storia giudiziaria degli Stati Uniti[26], concludendosi il 22 giugno 1987[25] con un verdetto di colpevolezza per Badalamenti e Salvatore Catalano, che vennero condannati a 45 anni di carcere ciascuno[28].
Negli anni novanta, Badalamenti rifiutò di tornare in Italia per il confronto con Tommaso Buscetta, ma comunque lo attaccò pubblicamente negando la veridicità delle dichiarazioni del pentito[29][30]. Il 14 novembre 1994, nel carcere di Memphis, il maresciallo Antonino Lombardo – comandante dei Carabinieri di Terrasini dal 1980, e passato al Ros di Palermo nel 1994 dopo aver dato un importante contributo all’arresto di Riina – incontrò Badalamenti per cercare di ottenere la sua collaborazione, quindi di riportarlo in Italia per testimoniare al processo Pecorelli. Badalamenti gli raccontò che l’avvento dei corleonesi di Riina al potere sarebbe stato pilotato dalla CIA e che il boss sarebbe stato un involontario burattino nelle mani dei servizi segreti americani. Don Tanò stabilì, come condizione al suo rientro in Italia per testimoniare, che venisse a “prenderlo” proprio il maresciallo. Pur facendo notare la pericolosità dell’operazione, Lombardo infine accettò di organizzarla e fissò la propria partenza per il 26 febbraio 1995. Tuttavia Lombardo morirà suicida il 4 marzo e non saranno mai ritrovati i suoi appunti sull’arresto di Riina.[31]
Il caso Pecorelli e i contatti politici La corte di Cassazione nell’ottobre 2004 ha decretato che l’ex presidente del consiglio Giulio Andreotti ebbe contatti “amichevoli e talvolta anche diretti” con Badalamenti e Stefano Bontate, favoriti da Salvo Lima attraverso i cugini Salvo. Secondo una ipotesi di alcuni magistrati e investigatori, Andreotti potrebbe aver commissionato l’uccisione del giornalista Mino Pecorelli, direttore del giornale Osservatorio Politico (OP). Pecorelli che sembra utilizzasse il giornale per ricattare personalità importanti, accettò di fermare la pubblicazione del giornale ma l’uccisione avvenne ugualmente il 20 marzo 1979. Sempre secondo l’ipotesi accusatoria, Andreotti aveva paura che Pecorelli pubblicasse informazioni che avrebbero potuto infangare la sua onorabilità. Queste informazioni avrebbero riguardato finanziamenti illegali al partito della Democrazia Cristiana e segreti riguardo al rapimento e l’uccisione dell’ex presidente del consiglio Aldo Moro per opera delle Brigate Rosse. Il pentito mafioso Tommaso Buscetta dichiarò che stando a quanto gli aveva raccontato Gaetano Badalamenti, a commissionare l’omicidio Pecorelli fossero stati i cugini Salvo probabilmente per conto di Giulio Andreotti. «La tesi accusatoria nel processo prospettava che il delitto sarebbe stato deciso dal senatore Andreotti il quale, attraverso l’on. Vitalone, avrebbe chiesto ai cugini Salvo l’eliminazione di Pecorelli. I Salvo avrebbero attivato Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti, i quali, attraverso la mediazione di Giuseppe Calò, avrebbero incaricato Danilo Abbruciati e Franco Giuseppucci di organizzare il delitto che sarebbe stato eseguito da Massimo Carminati e da Michelangelo La Barbera.»(Documento del Senato della Repubblica[32]) Nel 1999 la corte di Perugia dopo attenta valutazione delle carte processuali prosciolse Giulio Andreotti[33], il suo stretto collaboratore Claudio Vitalone, Gaetano Badalamenti, Giuseppe Calò, il presunto killer Massimo Carminati (uno dei fondatori del gruppo di estrema destra NAR – Nuclei Armati Rivoluzionari) e Michelangelo La Barbera[34]. Il 17 novembre 2002 la Corte d’appello ribaltò le sentenze di Badalamenti e Andreotti. Furono entrambi condannati a 24 anni di carcere come mandanti dell’omicidio Pecorelli[35][36]. Infine nel 2003, Giulio Andreotti è stato assolto dall’accusa di associazione mafiosa (per alcune accuse è stata pronunciata l’assoluzione, per altre la prescrizione del reato)[37] e successivamente fu assolto assieme a Badalamenti anche dall’accusa di essere il mandante dell’omicidio del giornalista[38].
Condanna in Italia e ultimi anni negli Usa Nel 2002 la giustizia italiana ha condannato Badalamenti all’ergastolo come mandante dell’omicidio di Giuseppe Impastato, avvenuto il 9 maggio 1978; Impastato venne ucciso in modo da simulare un suicidio o un errato attentato, dopo che questi aveva pubblicamente attaccato Badalamenti e i suoi uomini. Nella sua famosa trasmissione radiofonica “Onda pazza” a Radio Aut derise sia politici sia mafiosi e denunciava quotidianamente i crimini e gli affari dei mafiosi di “Mafiopoli” (Cinisi) e le attività di “Tano Seduto”, soprannome sarcastico e dispregiativo dato a Gaetano Badalamenti[39]. Prima di giungere alla condanna, il caso di Giuseppe Impastato fu archiviato due volte, nel 1984 e nel 1992[40].
Morte in carcere Gaetano Badalamenti, affetto da un tumore che aveva provocato gravi conseguenze renali e una epatite, morì per arresto cardiaco il 29 aprile 2004 all’età di 80 anni nel centro medico federale del penitenziario di Devens nel Massachusetts[41][42]. Tre anni dopo la morte, si è chiuso il procedimento iniziato nel 1982 per la confisca dei beni del boss, passati totalmente allo Stato[43].
Figli
- Leonardo Badalamenti: è stato arrestato insieme a 16 persone il 22 maggio 2009 a San Paolo del Brasile nel corso dell’Operazione centopassi dei carabinieri del ROS per associazione mafiosa, corruzione e truffa. Sono stati sequestrati beni per un valore di 5 milioni di euro. Nelle loro attività criminali, sono arrivati a gestire titoli di credito e hanno tentato truffe ai danni di alcune banche[44] quali Lehman Brothers, e HSBC[45]. Nel giugno del 2009, Leonardo Badalamenti è stato scarcerato dal Tribunale del Riesame di Palermo[46]. La Cassazione ha però annullato la scarcerazione nel febbraio del 2010, ordinando il nuovo arresto del figlio del boss, datosi però alla fuga e resosi latitante da tale data[47]; è stato ri-arrestato il 5 agosto 2020 a Trapani.
- Vito Badalamenti: condannato a 6 anni di carcere per associazione mafiosa, è stato inserito nell’Elenco dei latitanti più pericolosi d’Italia, ma fu rimosso dalla lista il 2 aprile 2012 per revoca del mandato d’arresto.
Note
- ^Family Affairs, Time Magazine, October 14, 1985
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- ^ Giovanni Bianconi, La retromarcia del boss L’avvocato: non verra’ in Italia Ma 2 settimane fa aveva detto si’, su la STAMPA.it, 10 marzo 1995, p. 17. URL consultato il 17 maggio 2020 (archiviato dall’url originale il 9 luglio 2012).
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- ^ Mafia, nuovo colpo ai Badalamenti sgominato il clan del figlio di don Tano, in Repubblica.it. URL consultato il 22 maggio 2009 (archiviato il 25 maggio 2009).
- ^ Scarcerato il figlio del boss Gaetano Badalamenti, su RaiNews24, 13 giugno 2009. URL consultato il 17 maggio 2020 (archiviato dall’url originale l’8 aprile 2014).
- ^ Mafia, Leonardo Badalamenti è in fuga Archiviato il 4 marzo 2016 in Internet Archive. Il giornale di Cinisi
- I cento passi di Marco Tullio Giordana
- Il capo dei capi di Enzo Monteleone e Alexis Sweet (serie TV)
- Felicia Impastato di Gianfranco Albano (film TV)
- Boris Giuliano – Un poliziotto a Palermo di Ricky Tognazzi (miniserie TV)
- Il processo Impastato, su centroimpastato.it.
- Caso Impastato sentenza della commissione parlamentare antimafia, 6 dicembre 2000
- Centro Siciliano di Documentazione “Giuseppe Impastato”, su centroimpastato.it.
IL BOSS BADALAMENTI ESTRADATO IN USA L’ FBI SPERA NELLE SUE CONFESSION NEW YORK – Gaetano Badalamenti, l’ esponente più importante dell’ organizzazionedi trafficanti di droga nota come “pizza connection”, è stato estradato giovedì sera dalla Spagna, dove era stato catturato lo scorso 9 aprile, negli Stati Uniti. La conferma si è avuta dal procuratore distrettuale di New York, Rudolph Giuliani. Nel pomeriggio di ieri il boss mafioso è comparso davanti alla corte federale di New York che gli ha notificato i mandati di cattura a suo carico. L’ accusa nei confronti del capo della “pizza connection” è quella di aver importato eroina negli Stati Uniti per il valore di un miliardo e 600 milioni di dollari nel giro di cinque anni. Assieme a Badalamenti è stato estradato anche il nipote e braccio destro, Pietro Alfano. Il trasferimento in Usa dei due capimafia è avvenuto nella massima segretezza e con imponenti misure di sicurezza. I pochi testimoni che hanno assistito all’ arrivo del boss hanno raccontato che Badalamenti, circondato da agenti armati di mitra israeliani “Uzi” (quelli usati, ad esempio, dalla scorta del presidente Reagan) è sceso da un velivolo delle linee aree spagnole proveniente da Madrid. E’ stato subito caricato su un furgone blindato che, a sirene spiegate e scortato da numerose auto della polizia, dell’ Fbi, e della Dea, la speciale sezione antinarcotici, si è diretto al penitenziario del “Metropolitan Correctional Center” che sorge proprio a fianco dell’ edificio federale sede del tribunale. Espletate le formalità di rito (Badalamenti ha avuto il numero di matricola 10537/054), il boss è stato rinchiuso in una cella di massima sicurezza dove alcuni agenti lo tengono costantemente sotto controllo. I pasti vengono preparati appositamente per lui e non sono consentiti incontri con altri detenuti, nè tantomeno col personale del carcere che non è specificatamente autorizzato. Poco prima delle 14 (in Italia erano le 8 di sera) Badalamenti è uscito dalla sua cella e, sempre scortato, è stato condotto davanti alla Corte federale. Il giudice ha deciso di trattenerlo in carcere comunque, mentre ha fissato in 10 milioni di dollari la cauzione per Alfano. Non si conoscono le intenzioni del boss mafioso. Corrono voci che Badalamenti, indicato come appartenente alla “mafia perdente”, quella decimata in Italia dal clan dei Greco, sia intenzionato a collaborare con la giustizia così come ha fatto Tommaso Buscetta, anche lui appartenente alle cosche sconfitte. Inoltre il giudice palermitano Falcone, che oggi partirà per il Brasile per proseguire le indagini sulle attività di Buscetta, sembra sia intenzionato a fare tappa a New York per ascoltare il boss estradato dalla Spagna. Badalamenti e “don Masino” vengono indicati dalle autorità americane come i capofila di un’ organizzazione per il traffico di stupefacenti che, in pochi anni aveva realizzato un “fatturato” pari a tremila miliardi di lire. Buscetta fu catturato in Brasile ed estradato in Italia. “Don Tano”, invece, fu preso dalla polizia spagnola a Madrid. Subito, l’ Italia e gli Stati Uniti presentarono la domanda di estradizione. Contemporaneamente, a New York ed in altre città americane, scattò un maxi-blitz che portò all’ arresto di decine di trafficanti che utilizzavano le pizzerie dei quartieri italo-americani, gestite in gran parte dalla mafia siciliana, per il traffico di eroina. Badalamenti aveva precipitosamente abbandonato la Sicilia nel maggio del 1981 quando contro il suo clan si erano scatenati i killer delle cosche “vincenti”. I “sicari” lo inseguirono per mezza Europa e negli Stati Uniti, facendo strage dei suoi luogotenenti e amici. Poi, di don Tano si persero le tracce. Fino all’ arresto avvenuto in un lussuoso condominio madrileno. Il boss era assieme al figlio. Badalamenti, secondo quanto si apprese dopo la sua cattura, stava per tornare in Sicilia per sterminare i suoi nemici. Il boss comparve davanti ai giudici spagnoli. Dopo una serie di sedute, il tribunale nazionale di Madrid aderì alla richiesta americana di estradare negli Stati Uniti il boss. Sembra che si sia trattato di uno “scambio” fra le autorità italiane e quelle Usa, Buscetta in Italia, “don” Tano a New York. A questa decisione, inoltre, pare non sia estranea anche la posizione di Badalamenti, il quale pare ritenga più “confortevole” la giustizia d’ oltreoceano che quella italiana. Inoltre il boss ritiene che a New York rischierebbe meno “vendette” da parte dei suoi nemici. 17 novembre 1984 LA REPUBBLICA
Era detenuto, per traffico di droga, negli Stati Uniti Era stato condannato all’ergastolo per l’omicidio Impastato
Mafia, è morto il boss Gaetano Badalamenti Condannato e poi assolto con Andreotti per il caso Pecorelli. Non volle mai rivelare i rapporti fra Cosa Nostra e politicaE’ morto con i suoi segreti. Si è spento ieri a 81 anni, il boss mafioso Gaetano “Tano” Badalamenti. Era da tempo gravemente malato e ha trascorso gli ultimi giorni di vita in un centro medico del Federal Bureau of Prisons in Massachusetts, dove era stato trasferito alcune settimane fa dalla prigione di Fairton per l’aggravarsi delle sue condizioni di salute. Dal 1984 era detenuto negli Usa, dove scontava una condanna a 45 anni, riducibili a 30. I familiari hanno deicso che il boss sarà sepolto negli Stati Uniti.
Badalamenti, lontano dall’Italia da circa vent’anni, era stato imputato in due grandi processi. Il primo quello di Perugia, insieme a Giulio Andreotti, per l’omicidio del giornalista di Op Mino Pecorelli, per il quale era stato condannato e poi assolto in Cassazione. Il secondo, il processo di Palermo per l’omicidio di Peppino Impastato, il giovane di Democrazia Proletaria, ‘suicidato’ il 9 maggio del 1978, lo stesso giorno in cui le Br fecero trovare a Roma il corpo di Aldo Moro: per l’uccisione del giovane Badalamenti venne condannato all’ergastolo. Badalamenti non volle mai parlare dei rapporti tra mafia e politica.
Nel carcere di Fairton nel New Jersey il patriarca di Cinisi stava scontando una condanna per traffico di droga. L’inchiesta si chiamava ‘Pizza Connection.
Al giudice americano che gli chiese se appartenesse a Cosa Nostra, Badalamenti rispose lapidario: “Se lo fossi, non ve lo direi, per rispettare il giuramento fatto”. Emigrato negli Stati Uniti nel 1947, si legò alle famiglie mafiose degli Usa. Espluso nel 1950, tornò in Sicilia dove mise in atto immediatamente l’esperienza maturata oltreoceano, dando vita alla prima “commissione” della mafia siciliana. Nel 1971 “don Tano” era capo indiscusso della mafia siciliana. Nel 1978 venne esautorato e nel 1981, con la guerra di mafia oramai imminente, “don Tano Seduto” fu costretto a fuggire, riparando in Brasile e quindi in Spagna. Nel 1989 il giudice Giovanni Falcone fu sul punto di volare negli States per incontrarlo, in vista di una possibile ed imminente intenzione del boss di cominciare a collaborare. Falcone non partì più dopo che una fuga di notizie bruciò sul nascere qualunque possibilità. Ironico il primo commento di Giulio Andreotti: “E’ morto Tano Badalamenti? Che vuole che le dica: in questa vita non l’ho mai incontrato, magari lo incontrerò nell’altra…”. (30 aprile 2004 La Repubblica)
A CURA DI CLAUDIO RAMACCINI DIRETTORE CENTRO STUDI SOCIALI CONTRO LE MAFIE – PROGETTO SAN FRANCESCO