VIDEO
VIDEO
Giuseppe Diana, chiamato anche Peppe Diana o Peppino Diana (Casal di Principe, 4 luglio 1958 – Casal di Principe, 19 marzo 1994), presbitero, insegnante, attivista e scout italiano, assassinato dalla camorra per il suo impegno antimafia[2]. Il suo impegno civile e religioso contro la camorra ha lasciato un profondo segno nella società campana. Giuseppe Diana nasce a Casal di Principe, nei pressi di Aversa, in Provincia di Caserta, da una famiglia di proprietari terrieri.
Nel 1968 entra nel seminario ad Aversa: vi frequenta la scuola media e il liceo classico. Successivamente continua gli studi teologici nel seminario di Posillipo, sede della Pontificia facoltà teologica dell’Italia Meridionale. Qui si laurea in Teologia biblica e poi si laurea in Filosofia presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II.
Nel 1978 entra nell’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani (AGESCI) dove fa il caporeparto. Nel marzo 1982 è ordinato sacerdote.
La carriera ecclesiastica Diventa assistente ecclesiastico del Gruppo Scout di Aversa e successivamente anche assistente del settore Foulards Bianchi.
Dal 19 settembre 1989 è parroco della parrocchia di San Nicola di Bari in Casal di Principe, suo paese nativo, per diventare poi anche segretario del vescovo della diocesi di Aversa, monsignor Giovanni Gazza.
Insegna inoltre materie letterarie presso il liceo legalmente riconosciuto del seminario Francesco Caracciolo, nonché religione cattolica presso l’istituto tecnico industriale statale Alessandro Volta e l’Istituto Professionale Alberghiero di Aversa.
L’impegno civile Don Peppino Diana cerca di aiutare le persone nei momenti resi difficili dalla camorra, negli anni del dominio assoluto della camorra casalese, legata principalmente al boss Francesco Schiavone, detto Sandokan.
Gli uomini del clan controllano non solo i traffici illeciti, ma si sono anche infiltrati negli enti locali e gestiscono fette rilevanti di economia legale, tanto da diventare “camorra imprenditrice”.
L’agguato e la morte. Alle 7.20 del 19 marzo 1994, giorno del suo onomastico, Giuseppe Diana venne assassinato nella sacrestia della chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe, mentre si accinge a celebrare la santa messa.
Un camorrista lo affronta con una pistola. I cinque proiettili vanno tutti a segno: due alla testa, uno al volto, uno alla mano e uno al collo. Don Peppe Diana muore all’istante.
L’omicidio, di puro stampo camorristico, fa scalpore in tutta Italia e in tutta Europa per la sua brutalità. Un messaggio di cordoglio è pronunciato da papa Giovanni Paolo II durante l’Angelus del 20 marzo 1994:[4] «Sento il bisogno di esprimere ancora una volta il vivo dolore in me suscitato dalla notizia dell’uccisione di don Giuseppe Diana, parroco della diocesi di Aversa, colpito da spietati assassini mentre si preparava a celebrare la santa messa.
Nel deplorare questo nuovo efferato crimine, vi invito a unirvi a me nella preghiera di suffragio per l’anima del generoso sacerdote, impegnato nel servizio pastorale alla sua gente.
Voglia il Signore far sì che il sacrificio di questo suo ministro, evangelico chicco di grano caduto nella terra, produca frutti di piena conversione, di operosa concordia, di solidarietà e di pace
Il processo Sin dall’inizio del processo si è tentato di depistare le indagini e di infangare la figura di Don Peppe Diana, accusandolo di essere frequentatore di prostitute, pedofilo e custode delle armi destinate a uccidere il procuratore Cordova.[5] In particolare il Corriere di Caserta, pubblicò in prima pagina il titolo “Don Diana era un camorrista” e dopo pochi giorni “Don Diana a letto con due donne”, descrivendolo quindi non come vittima della camorra bensì come appartenente ai clan.[6]
Nunzio De Falco, difeso da Gaetano Pecorella, allora presidente della commissione Giustizia della Camera, è stato condannato in primo grado all’ergastolo il 30 gennaio 2003 come mandante dell’omicidio. Inizialmente De Falco tentò di far cadere le colpe sul rivale Schiavone, ma il tentativo fallì perché Giuseppe Quadrano, autore materiale dell’omicidio, consegnatosi alla polizia, iniziò a collaborare con la giustizia e per questo ricevette una condanna a 14 anni.[7]
Il 4 marzo 2004 la Corte di Cassazione ha condannato all’ergastolo Mario Santoro e Francesco Piacenti come coautori dell’omicidio.[8]
Lo scritto più noto di don Peppe Diana è la lettera Per amore del mio popolo, un documento diffuso a Natale del 1991 in tutte le chiese di Casal di Principe e della zona aversana insieme ai parroci della foranìa di Casal di Principe, un manifesto dell’impegno contro il sistema criminale:
«Siamo preoccupati Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra. Come battezzati in Cristo, come pastori della Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere “segno di contraddizione”.
Coscienti che come chiesa “dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che è la povertà, come distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà”.
La Camorra La Camorra oggi è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana.
I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l’imprenditore più temerario; traffici illeciti per l’acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato.
Precise responsabilità politiche È oramai chiaro che il disfacimento delle istituzioni civili ha consentito l’infiltrazione del potere camorristico a tutti i livelli.
La Camorra riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle amministrazioni periferiche è caratterizzato da corruzione, lungaggini e favoritismi.
La Camorra rappresenta uno Stato deviante parallelo rispetto a quello ufficiale, privo però di burocrazia e d’intermediari che sono la piaga dello Stato legale.
L’inefficienza delle politiche occupazionali, della sanità, ecc; non possono che creare sfiducia negli abitanti dei nostri paesi; un preoccupato senso di rischio che si va facendo più forte ogni giorno che passa, l’inadeguata tutela dei legittimi interessi e diritti dei liberi cittadini; le carenze anche della nostra azione pastorale ci devono convincere che l’Azione di tutta la Chiesa deve farsi più tagliente e meno neutrale per permettere alle parrocchie di riscoprire quegli spazi per una “ministerialità” di liberazione, di promozione umana e di servizio. Forse le nostre comunità avranno bisogno di nuovi modelli di comportamento: certamente di realtà, di testimonianze, di esempi, per essere credibili.
Impegno dei cristiani Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venire meno. Dio ci chiama ad essere profeti.
Il Profeta fa da sentinella: vede l’ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto originario di Dio (Ezechiele 3,16-18);
Il Profeta ricorda il passato e se ne serve per cogliere nel presente il nuovo (Isaia 43);
Il Profeta invita a vivere e lui stesso vive, la Solidarietà nella sofferenza (Genesi 8,18-23);
Il Profeta indica come prioritaria la via della giustizia (Geremia 22,3 -Isaia 5)
Coscienti che “il nostro aiuto è nel nome del Signore” come credenti in Gesù Cristo il quale “al finir della notte si ritirava sul monte a pregare” riaffermiamo il valore anticipatorio della Preghiera che è la fonte della nostra Speranza.
Ucciso 25 anni fa. «Chi è don Peppe Diana?», chiese il killer. Ecco la risposta
Sono le 7,25 del 19 marzo 1994. “Chi è don Peppe?”. “Sono io”. Cinque colpi di pistola. Risuonano nella sacrestia della chiesa di San Nicola a Casal di Principe.
Così muore don Peppe Diana. Appena 36 anni. Parroco, capo scout Agesci, impegnatissimo coi giovani, vicino concretamente alle persone più fragili, ai disabili, agli immigrati. Sacerdote fin nel più profondo, parlava chiaro, diretto. Non aveva paura di esporsi e di pronunciare il nome “camorra” e di accusare.
E i killer della camorra lo uccisero il giorno del suo onomastico, mentre coi paramenti sacri stava uscendo dalla sacrestia per celebrare la messa. Gli amici lo aspettavano per festeggiarlo, ma non li raggiunse mai.
Don Giuseppe Diana, per tutti Peppe o Peppino, era nato a Casal di Principe il 4 luglio 1958, da mamma Jolanda e papà Gennaro, entrambi coltivatori diretti. Famiglia semplice e dignitosa. Nel 1968 entra in seminario ad Aversa. Successivamente continua gli studi teologici nel seminario di Posillipo, sede della Pontificia facoltà teologica dell’Italia Meridionale. Qui si laurea in teologia biblica e poi si laurea in Filosofia presso l’Università Federico II di Napoli. Nel 1978 entra nell’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani (AGESCI) dove fa il caporeparto.
Nel marzo 1982 è ordinato sacerdote. Diventa assistente ecclesiastico del Gruppo Scout di Aversa e successivamente anche assistente del settore Foulards Bianchi. Dal 19 settembre 1989 è parroco della parrocchia di San Nicola di Bari in Casal di Principe, suo paese nativo, per diventare poi anche segretario del vescovo della diocesi di Aversa, monsignor Giovanni Gazza. Nel 1983, dopo un gravissimo omicidio di camorra con tre ragazzi uccisi e poi bruciati, è tra gli organizzatori di una manifestazione a Casal di Principe nella quale viene distribuito un volantino dal titolo “Basta con la paura”.
Nel 1988, all’indomani dell’assalto alla caserma dei carabinieri a San Cipriano d’Aversa, partecipa alla costituzione di un coordinamento anticamorra dell’agro aversano che produce un documento dal titolo “Liberiamo il futuro“, sottoscritto da parroci, partiti politici e associazioni. Dopo la morte dell’ennesimo innocente, un giovane testimone di Geova ucciso per sbaglio, don Peppe fa della lotta alla camorra un impegno costante e continuo.
Va per scuole e associazioni a Caserta e a Napoli e nel 1991 elabora con gli altri parroci della Forania di Casal di Principe il documento “Per amore del mio popolo“, ispirato a quello dei Vescovi campani del 1982, che viene distribuito nella notte di Natale. Solo quattro pagine, un “avviso sacro”, ma denso e forte. “La camorra, oggi, è una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella nostra società campana”. Per questo, aggiunge don Peppe con gli altri parroci, “contro questo tentativo, noi, Pastori delle Chiese della Campania, unitamente alle nostre Comunità cristiane, dobbiamo levare alta la voce della denuncia, e riproporre con forza e con nuove iniziative pastorali il progetto dell’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella verità“.
In primo luogo, afferma il documento, “vogliamo sottolineare la contrapposizione stridente che esiste tra i falsi messaggi della camorra e il messaggio di Gesù Cristo“. Parole che anticipano le chiare parole di Giovanni Paolo II e Papa Francesco. Come quando affermano che “questa sacrilega deformazione culturale e sacramentale, Il fenomeno della camorra ci interroga in maniera perentoria sul nostro modo di essere Chiesa; oggi, in Campania, ci sfida ad essere una vera contrapposizione, una autentica proposta di civiltà, ad essere non solo credenti, ma credibili”. Una frase che ricorda l’analoga riflessione del giudice Livatino, ucciso dalla mafia siciliana.
Un documento che si scontra col potere camorrista. Ma non è l’unica causa della reazione violenta del clan. Don Peppe ha ben chiaro, non a caso come aveva capito don Pino Puglisi, vittima di “cosa nostra”, che il fronte più importante da presidiare è quello dei giovani, per allontanarli dalle illusioni criminali. E così fece in parrocchia e con gli scout. Come fu tra i primi a capire le problematiche dell’immigrazione, aprendo la parrocchia agli sfruttati e alle vittime della prostituzione.
Un impegno bloccato dal piombo camorrista. Tutto accadde nel silenzio. Non stette in silenzio Augusto Di Meo amico di don Peppe. Era andato in parrocchia per fargli gli auguri per l’onomastico e dargli l’appuntamento per offrirgli la colazione. Mentre usciva vide bene il killer Giuseppe Quadrano e non ebbe alcuna esitazione. Andò dai carabinieri raccontò tutto, contribuendo in maniera determinante all’individuazione e alla condanna di mandanti e esecutori.
Digiuno e preghiera nelle diocesi campane. Nella Terra dei fuochi per amore del popolo
«Chi è don Peppe?», chiese l’uomo che, entrato improvvisamente nella chiesa di San Nicola a Casal di Principe, alla risposta: «Sono io don Peppe», gli sparò contro quattro colpi di pistola. Erano le 7.30 del 19 marzo 1994. Moriva così, assassinato dalla camorra, don Giuseppe Diana, il parroco di quella chiesa, nel giorno del suo onomastico. Saranno poco più in là, nella primavera del prossimo anno, i 25 anni del sacrificio, ma la terra del martirio non può attendere il calendario delle ricorrenze.
Qui il sangue, non solo da una pistola puntata contro, è continuato a scorrere dalle molte vene di una terra intossicata e avvelenata dai rifiuti, devastata da interessi e sopraffazioni, umiliata e sporcata da una non meno colpevole incuria. Un fronte di attacco tanto vasto quanto agguerrito e feroce, da far pensare che una tale offensiva – con i roghi tossici come terribile segno di un requiem blasfemo – rappresenti solo il bersaglio più largo di quello che è prima di tutto un attacco all’uomo.
Una terra infestata da tanti mali, alla fine non dà pane, se non amaro, per gli stenti di una vita sempre grama, o avvelenato dalla farina guasta delle troppe contaminazioni. Fanno paura i dati, sempre in rialzo, per tumori, malattie e morti, vittime spesso i bambini. Nessuno tra chi ha avvertito la trama di questo inganno è rimasto a guardare; ma nessuno come la Chiesa si è spinta oltre, lastricando di testimonianze e denunce ogni passo del proprio cammino, facendosi voce anche dei più tiepidi, stimolando, come più non poteva, organismi pubblici ancora distratti e non sempre consapevoli del dramma in corso.
Nella terra dei fuochi la Chiesa non solo si è sporcata ma è arrivata a bruciarsi le mani, a condividere fino in fondo – non semplicemente a stare vicino – le sorti di un popolo reso ancora più forte dal petto in fuori, accanto all’altare, di don Diana. Anche sulla scia della sua testimonianza, l’intera comunità ecclesiale si è fatta incessante pulpito della straordinaria predicazione di papa Francesco sulla cura del creato.
È stata e continua a essere un costante segno di speranza. Ma anche per una mobilitazione senza tregua – non solo registrata ma appoggiata in ogni passo da ‘Avvenire’ – può arrivare tuttavia il momento di un salto di tono: quello che preghiera e digiuno insieme possono assicurare, mettendo in campo la forza di un richiamo biblico evocato sempre più spesso dai papi della modernità – si pensi a Giovanni Paolo II e Francesco – di fronte a pericoli di conflitti e di guerre. Stavolta a chiamare alla preghiera e al digiuno – nella giornata di oggi, giovedì 29 novembre – sono i quattro pastori delle diocesi – Aversa, Caserta, Acerra e Nola – sfregiate da quell’insulto, Terra dei fuochi, oltre due milioni di abitanti sparsi in novanta comuni tra il circondario a nord di Napoli e i centri che da Caserta quasi si saldano all’area partenopea.
Una distesa di antica e prospera bellezza, disseminata dai resti – ciminiere spente, capannoni abbandonati, viadotti per traffici di rifiuti più che per le auto – di un’industrializzazione fallita, cavallo di Troia, di una successiva rapina a piene mani di tutto il territorio. Quattro diocesi, una sola voce. Digiuno e preghiera sono ora le parole antiche e nuove di una Chiesa non solo unita, ma proiettata profeticamente in avanti anche nella scelta degli strumenti da mettere in campo.
«Non alzeremo il volume di roboanti strumenti di amplificazione», hanno scritto i vescovi in preparazione alla Giornata, pur ricordando che nessun grido, dei tanti lanciati per denuncia e testimonianza, si è mai spento. Ma l’urgenza è quella di «far sentire a tutta la nostra società, la voce potente dei figli di Dio che chiedono rispetto per la terra e vogliono offrire amore e fraternità a tutta l’umanità». Preghiera e digiuno quindi come risposta estrema per i momenti forti: è tale infatti quello che vive la chiesa campana nel suo insieme e, nel ricordo di don Diana, si fa vivo il legame con la Chiesa del Mezzogiorno. Sempre più, come per la Lettera collettiva dei vescovi del Sud nell’Ottantadue e questa per i 25 anni dell’uccisione del sacerdote di Casal di Principe, «Per amore del mio popolo non tacerò» è diventata la voce antica di un tempo nuovo di coraggio e testimonianza.
25.3.2021 La cassazione: l’assassino di don Peppe Diana deve scontare l’ergastolo
Rigettata la commutazione della condanna in trent’anni di reclusione per Nunzio De Falco
Nunzio De Falco dovrà scontare l’ergastolo per l’omicidio del prete anticamorra don Peppe Diana. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno rigettato il suo ricorso stabilendo il principio per il quale la condizione di commutazione dell’ergastolo ha effetto solo su quello inflitto nella procedura per la quale è concessa l’estradizione condizionata e non anche sull’ulteriore ergastolo inflitto in altra procedura, nel cui ambito è concessa estradizione non condizionata.
Dopo che la Procura delle Repubblica del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva adottato un provvedimento con il quale disponeva l’esecuzione dei due ergastoli riportati quale autore degli omicidi di Mario Iovine e di don Giuseppe Diana, Nunzio De Falco aveva chiesto alla Corte di Assise di commutare in pena temporanea l’ergastolo per l’omicidio Iovine, in quanto estradato in Italia a condizione che non fosse inflitta pena perpetua, l’ergastolo, e di estendere tale condizione anche all’ergastolo riportato per l’omicidio Diana, per il quale c’era stata estradizione non condizionata.
Con ordinanza del 4 novembre 2019 la Corte di Assise di Santa Maria Vetere aveva commutato l’ergastolo per l’omicidio Iovine in trenta anni di reclusione e rigettato la richiesta di commutazione in pena temporanea dell’ergastolo riportato per l’omicidio di don Peppe Diana. La Prima sezione penale della Corte di Cassazione, investita del ricorso del De Falco contro tale decisione, aveva rilevato un contrasto di giurisprudenza in merito alla possibilità che la commutazione dell’ergastolo, disposta per la condizione apposta con l’estradizione, impedisca l’esecuzione di altro ergastolo, oggetto del medesimo procedimento di cumulo delle pene ma per il quale vi sia stata autonoma e non condizionata estradizione. Oggi le Sezioni Unite hanno rigettato il ricorso. LA STAMPA
NON UNA CONCLUSIONE: MA UN INIZIO Appello
Le nostre Chiese hanno, oggi, urgente bisogno di indicazioni articolate per impostare coraggiosi piani pastorali, aderenti alla nuova realtà; in particolare dovranno farsi promotrici di serie analisi sul piano culturale, politico ed economico coinvolgendo in ciò gli intellettuali finora troppo assenti da queste piaghe. Ai preti nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie ed in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa. Alla Chiesa che non rinunci al suo ruolo “profetico” affinché gli strumenti della denuncia e dell’annuncio si concretizzino nella capacità di produrre nuova coscienza nel segno della giustizia, della solidarietà, dei valori etici e civili (Lam. 3,17-26). Tra qualche anno, non vorremmo batterci il petto colpevoli e dire con Geremia “Siamo rimasti lontani dalla pace… abbiamo dimenticato il benessere… La continua esperienza del nostro incerto vagare, in alto ed in basso,… dal nostro penoso disorientamento circa quello che bisogna decidere e fare… sono come assenzio e veleno”.» (Forania di Casal di Principe (Parrocchie: San Nicola di Bari, S.S. Salvatore, Spirito Santo – Casal di Principe; Santa Croce e M.S.S. Annunziata – San Cipriano d’Aversa; Santa Croce – Casapesenna; M. S.S. Assunta – Villa Literno; M.S.S. Assunta – Villa di Briano; SANTUARIO DI M.SS. DI BRIANO)
Il comitato dedicato Il 25 aprile 2006, a Casal di Principe, nasce ufficialmente il Comitato don Peppe Diana con lo scopo di non dimenticare il martirio di un sacerdote morto per amore del suo popolo. Inizialmente, il comitato fu costituito nel 2003 grazie a sette organizzazioni attive nel sociale, le quali decisero che l’impegno e il messaggio di don Peppe non dovesse essere dimenticato. Queste organizzazioni erano: l’AGESCI Campania, le associazioni Scuola di Pace don Peppe Diana, Jerry Essan Masslo, Progetto Continenti, Omnia ONLUS, Legambiente circolo Ager e la cooperativa sociale Solesud Onlus. Il confronto avviato in quel nucleo iniziale di organizzazioni, arricchito dal contributo degli amici di don Peppe, ha fatto maturare la necessità di costituire un’associazione di promozione sociale, che si metta al servizio di quanti vogliono fare memoria del sacrificio di don Peppe, e come lui continuare a costruire comunità alternative alla camorra.
Televisione Nel gennaio 2013, la fiction Il clan dei camorristi, il personaggio di don Palma, è ispirato a don Giuseppe Diana.
Il 18 e 19 marzo 2014, ad esattamente vent’anni dalla scomparsa di don Peppe Diana, Rai 1 alle ore 21 ha trasmesso in prima visione una Fiction TV in due puntate dal titolo Per amore del mio popolo con l’attore napoletano Alessandro Preziosi nel ruolo di don Peppe Diana. Al sacerdote è stato anche dedicato un documentario da Rai Storia, dal titolo Non tacerò, la storia di don Peppe Diana. Anche nella fiction Rai Sotto copertura viene fatto riferimento al personaggio di Giuseppe Diana per parlare della sua lotta contro la criminalità organizzata.
Medaglia d’oro al valor civile « Parroco di un paese campano, in prima linea contro il racket e lo sfruttamento degli extracomunitari, pur consapevole di esporsi a rischi mortali, non esitava a schierarsi nella lotta alla camorra, cadendo vittima di un proditorio agguato mentre si accingeva ad officiare la messa. Nobile esempio dei più alti ideali di giustizia e di solidarietà umana[9].» — Casal di Principe, 19 ottobre 1994
Televisione Nel gennaio 2013, la fiction Il clan dei camorristi, il personaggio di don Palma, è ispirato a don Giuseppe Diana.
Il 18 e 19 marzo 2014, ad esattamente vent’anni dalla scomparsa di don Peppe Diana, Rai 1 alle ore 21 ha trasmesso in prima visione una Fiction TV in due puntate dal titolo Per amore del mio popolo con l’attore napoletano Alessandro Preziosi nel ruolo di don Peppe Diana. Al sacerdote è stato anche dedicato un documentario da Rai Storia, dal titolo Non tacerò, la storia di don Peppe Diana. Anche nella fiction Rai Sotto copertura viene fatto riferimento al personaggio di Giuseppe Diana per parlare della sua lotta contro la criminalità organizzata.
Medaglia d’oro al valor civile « Parroco di un paese campano, in prima linea contro il racket e lo sfruttamento degli extracomunitari, pur consapevole di esporsi a rischi mortali, non esitava a schierarsi nella lotta alla camorra, cadendo vittima di un proditorio agguato mentre si accingeva ad officiare la messa. Nobile esempio dei più alti ideali di giustizia e di solidarietà umana[9].» — Casal di Principe, 19 ottobre 1994
NOTE
- ^ Biagio Simonetta, Ricordare don Peppe Diana ucciso nel giorno del suo onomastico, cadoinpiedi.it, 19 marzo 2012. URL consultato il 19 marzo 2014.
- ^ Roberto Saviano, Perché Pecorella infanga don Peppe Diana?, la Repubblica, 1º agosto 2009. URL consultato il 2 agosto 2009.
- ^ Roberto Saviano, Gomorra, Collana Strade blu, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2006, ISBN 978-88-04-56915-2.
- ^ Apostolo nel cuore della camorra, donboscoland.it. URL consultato il 19 marzo 2014 (archiviato dall’url originale il 20 marzo 2014).
- ^ Nogaro: senza don Peppe Diana non ci sarebbe padre Patriciello, Corriere del Mezzogiorno, 12 marzo 2014. URL consultato il 19 marzo 2014.
- ^ Roberto Saviano, Don Peppino, eroe in tonaca ucciso dal Sistema dei clan, La Repubblica, 18 marzo 2009. URL consultato il 19 marzo 2014.
- ^ Scheda De Falco Nunzio, cinquantamila.corriere.it, 5 ottobre 2008. URL consultato il 19 marzo 2014.
- ^ La fiction Rai: Alessandro Preziosi sarà don Peppe Diana, Corriere del Mezzogiorno, 18 marzo 2014. URL consultato il 19 marzo 2014.
- ^ Medaglia d’oro al valor civile, Presidenza della Repubblica. URL consultato il 2 agosto 2009.
Bibliografia
- Don Giuseppe Sagliano – Luigi Intelligenza, Solo un prete, Gnasso, Caserta 2018.
- Don Giuseppe Diana, Per amore del mio popolo non tacerò, 1991.
- Roberto Saviano, Gomorra – viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra, Mondadori, Milano 2006.
- Rosario Giuè, Il costo della memoria. Don Peppe Diana. Il prete ucciso dalla camorra, Edizioni Paoline, Milano 2007.
- Raffaele Sardo, La Bestia – Camorra, Storia di delitti, vittime e complici, Melampo Editore, 2008.
- Raffaele Lupoli, Francesco Matteuzzi, Don Peppe Diana. Per amore del mio popolo, Collana Libeccio, Round Robin editrice e Associazione daSud, 2009.
- Gianni Solino. Ragazzi della terra di nessuno, Edizioni La Meridiana, 2008.
- Antonio Trillicoso, Io Casalese-Un ragazzo di Casal di Principe racconta la terra dei clan, Diana Edizioni, 2010.
- Leandro Limoccia, Marisa Diana (a cura di), Petali di vita. Don Peppe Diana: un cammino per la giustizia, Rubbettino, Soveria Mannelli 2010.
- I ragazzi della Signora Costituzione – Antonio Vincenti, Don Peppino Diana, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2014.
- Francesco Picone – Marisa Diana – Sergio Tanzarella, Amo il mio popolo e non tacerò, Di Girolamo, Trapani 2014.
Don Giuseppe Diana e la scelta di diventare prete
…decisero che il messaggio, l’impegno e il sacrificio di don Giuseppe Diananon dovessero essere dimenticati…
Don Giuseppe Diana nasce a Casal di Principe il 4 luglio del 1958. Il papà, Gennaro e la mamma Iolanda di Tella, vivono lavorando la terra. Giuseppe è il primo di tre figli. Gli altri due sono Emilio e Marisa. Giuseppe entra nel seminario vescovile di Aversa nell’ottobre del 1968, appena compiuto i dieci anni di età, dove consegue la licenza media e quella classica liceale. La famiglia faceva enormi sacrifici per farlo studiare. Il padre doveva pagare una retta. Ma ai genitori interessava innanzitutto toglierlo dalla strada. Casal di Principe era un paese difficile. Tornava a casa solo a Pasqua e a Natale.
Conseguì la licenza liceale con ottimi voti. Tanto che vinse anche una borsa di studio. Il Vescovo dell’epoca, Antonio Cece, diceva che Giuseppe non era un prete come gli altri e che doveva fare carriera, doveva andare a Roma.
Dopo la licenza Liceale il giovane Giuseppe Diana entra nell’Almo Collegio Capranica di Roma per diventare sacerdote. Comincia a frequentare i corsi di Filosofia e Teologia nella Pontificia Facoltà Gregoriana. In un primo momento ci andò contento. Poi cominciò a ricredersi. Al ragazzo, che era giovane allegro, gioviale, ma anche un po’ esuberante, quel clima austero del collegio e il distacco dal suo mondo, gli stavano un po’ stretti. Così cominciò a tempestare di telefonate la mamma perché non ci voleva più stare in quell’istituto. Alla fine tornò a casa.
S’iscrisse alla facoltà di Ingegneria dell’università Federico II di Napoli. Ma anche questo non gli bastava. Era sempre triste, pensieroso. Questa sua crisi durò all’incirca tre mesi, durante i quali diede anche un esame ad ingegneria. Più passava il tempo e più si incupiva. Finché un giorno prese sua madre da parte e le confidò: “Mamma voglio tornare in seminario. Non ce la faccio più a stare fuori”. Andò da solo a parlare col vescovo di Aversa, Monsignor Antonio Cece, che gli consigliò di attendere ancora qualche mese prima di rientrare in seminario. Ma lui rispose che la scelta l’aveva già fatta. Quello stesso pomeriggio se ne andò a Napoli, al seminario di Posillipo. Da allora non ebbe più incertezze sulle sue scelte.
Venne ordinato sacerdote il 14 marzo del 1982. Don Diana, da giovane prete, aveva un rapporto speciale con i ragazzi. Anche perché nel frattempo era diventato uno scout. Era il responsabile diocesano dell’Agesci, gli scout cattolici, ed era anche cappellano dell’Unitalsi. Accompagnava i malati nei viaggi a Lourdes, perché era anche assistente nazionale del settore Foulard Blanc. E poi aveva una passione sfrenata per il calcio. Quasi ogni domenica era presente sugli spalti dello stadio San Paolo di Napoli per seguire squadra del cuore insieme a un folto gruppo di giovani della sua comunità.
Il 19 settembre del 1989 viene nominato parroco della parrocchia di San Nicola a Casal di Principe.
Don Giuseppe Diana fu ucciso dalla camorra a Casal di Principe il 19 marzo del 1994, poco dopo le 7,20 del mattino, nel giorno del suo onomastico. Fu ucciso nella sua chiesa, la parrocchia di San Nicola di Bari. Gli spararono contro quattro colpi di pistola mentre si preparava per celebrare la messa. Aveva 36 anni.
Quella mattina del 19 marzo 1994
E’ il 19 marzo 1994. Sono da poco passate le 7,20. Don Giuseppe Diana, 36 anni, parroco della chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe, arriva prima del solito nella sua parrocchia. E’ anche il giorno del suo onomastico. Dopo la messa delle 7.30 ha dato appuntamento in un bar a diversi amici per un dolce e un caffè. Sulla porta il sagrestano lo saluta. In chiesa ci sono già alcune donne e le suore. C’è anche Augusto di Meo ad aspettarlo, il suo amico fotografo. Vuole essere tra i primi a fargli gli auguri per il suo onomastico. Ma ad aspettare don Peppe c’è anche un’altra persona. E’ sul piazzale della chiesa, in auto. E’ un uomo con meno di 40 anni. con un giubbotto nero e capelli lunghi. Appena vede il prete entrare, scende. Si guarda intorno, mette la pistola nella cintura e si avvia a passo deciso verso la sagrestia.
Don Peppe, intanto, mentre comincia ad indossare i paramenti sacri, sta ancora concordando con il suo amico fotografo il da farsi per vedersi dopo la messa. Ed ecco che entra l’uomo col giubbotto. “Chi è don Peppe?”, chiede lo sconosciuto. Don Diana si gira e risponde: “Sono io”. L’uomo tira fuori la pistola dalla cintola e spara quattro colpi, al volto e al petto. Per don Peppe, che cade in una pozza di sangue, non c’è niente da fare. Muore a 36 anni il prete che aveva osato sfidare apertamente la camorra dei casalesi. Il killer si dilegua. Ad aspettarlo ci sono dei complici con l’auto del motore acceso. Augusto, il fotografo amico di don Diana invece, corre dai carabinieri a denunciare l’accaduto. Sarà lui a riconoscere in Giuseppe Quadrano il killer di don Diana.
Per l’uccisione di don Giuseppe Diana, il 4 marzo 2004, la Corte di Cassazione ha condannato all’ergastolo Mario Santoro e Francesco Piacenti quali coautori dell’omicidio, mentre ha riconosciuto come autore materiale dell’omicidio il boss Giuseppe Quadrano condannandolo a 14 anni, perché collaboratore di Giustizia. Decisiva la testimonianza di Augusto Di Meo.
Quanto ai mandanti, la giustizia ha accertato che la morte di don Diana venne ordinata dalla Spagna, dal boss Nunzio De Falco detto “’o Lupo”, con l’intento di colpire il clan Schiavone- Bidognetti.
Ma prima della sentenza definitiva, ci sono stati vari tentativi di infangare la memoria di don Giuseppe Diana. Tentativi che iniziarono sin dalle prime ore dopo la sua morte, quando venne fatta circolare la voce che era stato ucciso per vicende di donne.
A queste voci seguirono vere e proprie campagne denigratorie con articoli apparsi sul “Corriere di Caserta” che avevano l’obiettivo di delegittimare non solo la figura di don Diana, ma soprattutto il suo forte messaggio lanciato dagli altari delle chiese della Foranìa di Casal di Principe, a Natale del 1991, con il documento “Per amore del mio popolo”. Un messaggio dirompente contro la cultura camorristica e criminale, nato nel cuore di quella che lo stesso don Diana definiva la “dittatura armata” della camorra.
Da 19 marzo di ventiquattro anni fa, molte cose sono cambiate. La sua morte è stata come un seme caduto nella buona terra, perché ha dato molti frutti. I colpi inferti dalle forze dell’ordine e dalla magistratura ai clan, sono stati pesanti. Le condanne all’ergastolo per i capi della camorra casalese hanno messo in ginocchio l’organizzazione criminale. Nel frattempo diversi beni sono stati confiscati ai boss e assegnati ad associazioni e cooperative sociali. Ora i criminali sono per lo più in carcere, mentre nel Cimitero di Casal di Principe la tomba di don Giuseppe Diana, è meta di migliaia di visitatori. E’la rivincita dei familiari e degli amici di don Diana che sin dal giorno dopo la sua uccisione ne hanno difeso la memoria tra mille insidie, difficoltà e pericoli. Il giorno dei funerali di don Diana, Don Antonio Riboldi, vescovo di Acerra, ebbe a dire parole profetiche: “Il 19 marzo è morto un prete ma è nato un popolo”.
L’associazione di promozione sociale “Comitato don Peppe Diana” è nata ufficialmente il 25 aprile 2006, come frutto di un percorso di diversi anni, che ha coinvolto persone e organizzazioni unite dal desiderio di non dimenticare il martirio di un sacerdote morto per amore del suo popolo. Il comitato don Peppe Diana fu costituito nel 2003 da sette organizzazioni attive nel sociale, le quali decisero che il messaggio, l’impegno e il sacrificio di don Giuseppe Diana non dovessero essere dimenticati..
Casa don Diana
Centro polivalente di attività non formali e informali. Sede della FUCINA, del Museo della Resistenza alla camorra e del Centro di Prevenzione Malattie Oncologiche. Proposte didattiche per scuole.
Biblioteca/Mediateca
Ubicata in Casa don Diana, è il grande archivio che mette insieme un grande mosaico di vissuti, culture e, storie di resistenza.
Il viaggio sulle terre di don Peppe Diana
Un viaggio che tocca le corde del cuore, che ti fa sorridere, sperare, desiderare e commuovere e ripercorre il patrimonio storico culturale lungo ponti di usanze, cucina e buone pratiche.
Festival dell’impegno civile
La rassegna di arte, cultura, eventi che promuove il riutilizzo sociale dei beni confiscati.
La memoria delle vittime innocenti
Il ricordo delle vittime innocenti e al fianco dei familiari per il riconoscimento di valori quali verità e giustizia.