VINCENZO PUCCIO, il killer che venne ucciso in carcere da un altro killer

 

 AUDIO PROCESSO PUCCIO 

IL KILLER DI COSA NOSTRA

Vincenzo Puccio (Palermo, 27 novembre 1945Palermo, 11 maggio 1989) Entrò nella famiglia mafiosa dei Ciaculli nei primi anni settanta e, come molti altri membri di quella particolare famiglia, opera in stretto rapporto con i Corleonesi.

È stato arrestato la sera del 4 maggio 1980 in flagranza di reato per l’omicidio del capitano Emanuele Basile, assieme a Giuseppe Madonia e ad Armando Bonanno, e poi assolto dopo un travagliato iter giudiziario in primo grado (ma è stata poi stabilita in secondo e terzo grado con certezza la loro colpevolezza).

Fu anche probabilmente coinvolto nell’omicidio del giornalista Mario Francese il 26 gennaio 1979, di Cesare Terranova, magistrato ucciso a Palermo il 25 settembre 1979, e in molti altri delitti degli anni ’70.

Puccio è stato ucciso all’alba dell’11 maggio 1989 mentre era detenuto al carcere dell’Ucciardone: il killer Giuseppe Marchese gli fracassò la testa nel sonno con un colpo di una padella in ghisa. Quel giorno stesso aveva chiesto di parlare con il magistrato. Meno di un’ora dopo, nel Cimitero dei Rotoli di Palermo, veniva ucciso a colpi di pistola anche il fratello Pietro Puccio (36 anni). Un terzo fratello, Antonino (53 anni), fu ucciso per strada a Palermo il 5 luglio dello stesso anno.

Ad ordinare l’omicidio fu il boss siciliano Totò Riina perché Vincenzo Puccio si stava organizzando con alcuni picciotti per prendere il potere assoluto di Cosa nostra, allora nelle mani di Riina.


ASSASSINATO IN CELLA ALL’ UCCIARDONE   Il primo mafioso l’ hanno trovato morto nella sua cella dell’ Ucciardone alle 6,34. Il cadavere avvolto in una coperta, il cranio sfondato da una piastra di ghisa. Il secondo è stato sfigurato a colpi di fucile nel cimitero dei Rotoli alle 6,41. La radio della sua auto a tutto volume, i bossoli di un calibro 12 a terra. Due fratelli, una famiglia cancellata in una mattinata che annuncia nuove guerre e nuove mattanze. Escono di scena in 7 minuti i Puccio della piana dei Colli, killer e trafficanti di eroina che hanno fatto la storia più nera nella Palermo anni ‘ 80. Due delitti in contemporanea, segnali che non promettono nulla di buono in un pianeta mafioso ormai sconosciuto e impenetrabile. Anche un terzo fratello sembrava essere stato inghiottito dalla lupara bianca. I carabinieri l’ hanno cercato per tutto il giorno. Ma solo nel tardo pomeriggio è ricomparso, terrorizzato. Quattro boss dello stesso clan E’ l’ alba, il carcere borbonico dell’ Ucciardone è immerso nel silenzio, sulle otto torrette si danno il cambio le guardie armate. In una cella del settimo braccio dormono quattro uomini, quattro mafiosi del primo maxi-processo che tutti insieme collezionano un ergastolo e condanne per quasi un secolo. Sulla branda a destra c’ è Vincenzo Puccio, 44 anni, uno dei killer del capitano dei carabinieri Emanuele Basile. Sopra c’ è un picciotto di Corso dei Mille, Giovanni Di Gaetano. Dall’ altra parte i fratelli Giuseppe e Antonino Marchese, anche loro di Corso dei Mille, 119 delitti sulla coscienza secondo i racconti dei pentiti. I quattro stanno insieme all’ Ucciardone da qualche mese, vanno d’ accordo, fanno parte di due clan dello stesso schieramento. Ma pochi minuti dopo le 6,30 in quella cella succede qualcosa. Qualcuno si alza, controlla se Vincenzo Puccio dorme, poi si avvicina in punta di piedi all’ angolo dove i detenuti hanno messo su un cucinino. Lì c’ è anche una piastra di ghisa che pesa 5 chilogrammi, una pesante lastra per cuocere fette di carne e tostare il pane. Ecco, adesso si svegliano improvvisamente anche gli altri due uomini. Uno prende la coperta e va verso la branda dove è disteso Vincenzo Puccio. La coperta avvolge e lega il killer del capitano Basile, la piastra di ghisa si abbatte sul viso e la testa del mafioso. Quattro, cinque, forse sei volte. Un omicidio nel silenzio. La bocca di Vincenzo Puccio è chiusa, mani e piedi sono stretti da braccia forti, nei corridoi dell’ Ucciardone nessuno sente nulla, nessuno sospetta niente. Nemmeno un grido, nemmeno il rumore di un oggetto che cade. Niente. Le guardie del settimo braccio continuano a sorvegliare le gabbie fino all’ ora del caffè, l’ ora della scoperta del delitto. Dentro il carcere suona la sirena dell’ allarme, il direttore viene svegliato da una telefonata, arrivano in forza i carabinieri. Non sono ancora le otto del mattino quando dal portone elettrico dell’ Ucciardone passa il sostituto procuratore della Repubblica Carmelo Carrara. Il magistrato comincia ad interrogare i tre compagni di cella di Vincenzo Puccio, poi li indizia tutti di reato per omicidio. All’ Ucciardone arriva intanto la notizia di un morto ammazzato al cimitero dei Rotoli sulla strada panoramica che dalla borgata dell’ Arenella porta a Mondello. Nessuno sa ancora chi è l’ uomo ucciso, ma in carcere comincia a circolare con insistenza un’ indiscrezione che più tardi sarà confermata anche fuori: Vincenzo Puccio, qualche giorno fa, aveva chiesto alla direzione il trasferimento in un’ altra cella. Perché? Aveva intuito che qualcuno voleva ammazzarlo? Forse qualche amico gli avevo detto che era meglio cambiare aria e lasciare prudentemente il settimo braccio? All’ Ucciardone entra il medico legale, un carabiniere, pensando al calvario giudiziario del processo Basile commenta secco: Per Vincenzo Puccio questo è stato l’ ultimo verdetto, la corte di Cassazione adesso non potrà fare più nulla. Via radio arrivano le generalità del morto del cimitero: Pietro Puccio, classe 1953, imprenditore, condannato a sei anni al maxi-processo, era in libertà provvisoria…. E’ il fratello del killer del capitano. Lo riconosce un guardiano dei Rotoli: Stava costruendo una cappella, veniva qui quasi ogni mattina. Le Alfette dei poliziotti sfrecciano sui vialetti di ghiaia del cimitero e si fermano in una piazzuola davanti a sei tombe. Lì c’ è una Hyundai marrone, un’ auto di fabbricazione coreana. Dentro c’ è un uomo in jeans e camicia bianca con le mani strette intorno al volante. La radio accesa diffonde musica, la portiera del lato guida è aperta, l’ uomo è stato colpito da due scariche di pallettoni in faccia. C’ è stata un’ unica regìa, dice l’ ufficiale dei carabinieri che per primo trova un libretto di circolazione con il nome della vittima. Un omicidio all’ Ucciardone, un altro al cimitero, due esecuzioni decise probabilmente in un colloquio in carcere con i tre compagni di cella di Vincenzo Puccio. Uccidetelo alle 6,30 di giovedì 11 maggio, noi pensiamo all’ altro…. Pochi e reticenti testimoni Alle 9 del mattino i carabinieri cercano anche Antonino Puccio, anche lui condannato a sei anni nell’ aula bunker e anche lui in libertà provvisoria. E’ un altro fratello del killer ucciso in carcere. Ma i carabinieri non lo trovano. E’ scomparso, è stato fatto fuori, dicono gli investigatori. Ma nel tardo pomeriggio, Antonino Puccio si presenta, terrorizzato, in questura. Era fuggito per paura. In una caserma dall’ altra parte della città i carabinieri ascoltano i pochi e taciturni testimoni dell’ omicidio del cimitero, una mezza dozzina di operai che fin dall’ alba lavoravano ai Rotoli. Forse i killer sono arrivati in motocicletta, ma io ho sentito solo un rumore, gli occhi li avevo sull’ asse che stavo inchiodando, è la testimonianza più completa che i carabinieri sono riusciti a raccogliere. Una moto con due sicari. La moto è stata ritrovata ad un chilometro dal cimitero. Dei sicari una sola traccia: una grande macchia di sangue a terra. I killer sono caduti con la motocicletta, uno è ferito. di ATTILIO BOLZONI 12 maggio 1988 LA REPUBBLICA

 

 

a cura di Claudio Ramaccini  Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – Progetto San Francesco