ANGELO SIINO, il ministro dei lavori pubblici

 

 Negli anni Ottanta é stato il “ministro dei lavori pubblici” di Cosa Nostra, incaricato di tenere i rapporti con le amministrazioni per le tangenti sugli appalti. Negli anni Novanta è stato fra i principali collaboratori di giustizia dell’antimafia. 

Nato a San Giuseppe Jato (Palermo) 25 marzo 1944. Collaboratore di giustizia mafioso da parte di madre, figlia del boss Giuseppe Celeste (ucciso nel 1921). Consigliere comunale della Dc a San Giuseppe Jato, poi imprenditore (la ditta di famiglia), infine massone, cooptato da Stefano Bontate nella loggia Camea, col grado 33. Ma non affiliato alla mafia («sono stato legato a Cosa Nostra da un lungo sodalizio, ma non sono un uomo d’onore. Pungiuta, giuramento, patto di sangue… non mi hanno mai affascinato»). Amico anche di Giovanni Brusca. Per la mafia teneva i contatti con i politici, specialmente con Salvo Lima. • “Metodo Siino” («un metodo simile al mestiere più antico del mondo, quello delle signore che battono»): in pratica gestisce i lavori pubblici, organizzando i cartelli tra gli imprenditori, che si mettono d’accordo sull’ammontare di ciascuna offerta nelle gare d’appalto in modo da vincere a rotazione (per l’aggiudicazione erano sufficienti ribassi minimi, anche dello 0,50 per cento). Su ogni opera pubblica era imposta una mazzetta del 4,5  CINQUANTAMILA.IT

Audio deposizioni ai processi

ANGELO SIINO Per ragioni familiari i suoi contatti con personaggi di rilievo di COSA NOSTRA risalivano ai tempi della sua gioventù, in quanto lo zio della madre, CELESTI Salvatore, fratello del nonno materno CELESTI Giuseppe, morto nel 1921, era rappresentante della famiglia” mafiosa di San Cipirrello e non avendo figli era stato molto vicino a loro. Lo zio, che era stato condannato allergastolo e liberato nel 1943 dopo lo sbarco degli americani in Sicilia, godeva di grande prestigio presso i vertici di COSA NOSTRA ed il SIINO aveva frequentato con lui gli esponenti di maggior rilievo dellorganizzazione sino alla fine degli anni Settanta, allorché il familiare era deceduto. Benché da giovane ne avesse fatto richiesta allo zio, questi gli aveva sempre sconsigliato laffiliazione a COSA NOSTRA, sia perché le sue agiate condizioni economiche lo avrebbero esposto a delle richieste di denaro alle quali egli non avrebbe potuto sottrarsi per ragioni di solidarietà, sia perché egli non voleva che il nipote andasse incontro alle molte vicissitudini giudiziarie che anche dopo il 1943 avevano contrassegnato la sua vita. Peraltro, nonostante la sua mancata affiliazione, quella parentela gli aveva consentito contatti assai stretti con i consociati di COSA NOSTRA, che lo trattavano come uno dei loro ed anzi aveva potuto fruire di una maggiore autonomia, non essendo tenuto al rispetto dei vincoli gerarchici per accedere agli incontri con i maggiori esponenti di quel sodalizio mafioso. Sino a quando lo zio era rimasto in vita egli non era stato mai direttamente coinvolto in attività mafiose, limitandosi a frequentare vari personaggi di COSA NOSTRA – il SIINO nel proprio linguaggio arguto si è definito un damo di compagnia”- tra cui BONTATE Stefano, del quale aveva guidato più volte le auto, essendo un abile pilota ed un appassionato di veicoli sportivi e da corsa. Tra il 1979 ed il 1984 egli aveva dovuto allontanarsi da Palermo su consiglio” del BONTATE, in quanto era stato accusato di aver importunato la moglie di un ufficiale medico e ciò avrebbe potuto costargli la vita. Aveva così vissuto a Catania, ove aveva frequentato i locali personaggi di spicco di COSA NOSTRA, offrendo ospitalità presso le sue aziende ad alcuni di loro, anche latitanti, fatto questo che lo aveva poi esposto a subire vari controlli da parte delle Forze dellOrdine, inducendolo a far definitivo rientro a Palermo nel 1984. Da allora era entrato nellorbita della famiglia” mafiosa di San Giuseppe Iato, diretta da BRUSCA Bernardo. Il SIINO era stato titolare di alcune imprese che si occupavano di lavori edili, oltre che di aziende agricole, conosceva il settore dei pubblici appalti ai quali aveva avuto accesso sin dagli anni Settanta, allorché era stato in società anche con i fratelli BUSCEMI Salvatore ed Antonino, oltre che con tali ALFANO e CASTAGNA. Dal 1986 lonorevole LIMA – che egli conosceva da giovane, quando questi dirigeva lEnte di Sviluppo Agricolo (E.S.A.) – lo aveva incaricato di gestire per conto dei politici il settore degli appalti pubblici e subito dopo il DI MAGGIO, che sostituiva BRUSCA Bernardo allepoca detenuto, gli aveva conferito analogo incarico per conto di COSA NOSTRA, dapprima limitatamente alla Provincia di Palermo, ma successivamente – avendo offerto buona prova delle sue capacità – il RIINA lo aveva autorizzato a gestire tale settore nelle altre province, accreditandolo presso i rappresentanti di Trapani, Caltanissetta, Agrigento e Catania, e cioè rispettivamente MESSINA DENARO Francesco, MADONIA Giuseppe, DI CARO Giuseppe e SANTAPAOLA Benedetto, che quindi potevano direttamente rivolgersi a lui per gli appalti di pertinenza del loro territorio.Al riguardo il SIINO ha spiegato che il primo appalto di cui si era occupato anche per conto di COSA NOSTRA era stato quello di cui era committente la Provincia Regionale di Palermo per la realizzazione del tratto stradale San Mauro Castelverde – Gangi tra la fine del 1986 ed il 1987. In base allincarico ricevuto dal LIMA si era convenuto che lappalto sarebbe stato aggiudicato allimpresa di FARINELLA Cataldo di Ganci, e cioè a coloro che avevano il controllo mafioso di quel mandamento. Era però stato avvicinato da BUSCEMI Antonino e dallingegnere BINI, i quali dopo essersi congratulati con lui per lincarico ricevuto gli avevano detto che lappalto doveva essere assegnato allimpresa CISA del gruppo FERRUZZI, per conto del quale il BINI svolgeva il ruolo di amministratore. Il SIINO aveva rappresentato gli impegni già presi e ciò aveva provocato le ire del BUSCEMI, che gli aveva detto che lui era il padrone delle Madonie” e che, quindi, egli non poteva permettersi di opporgli un rifiuto. Del fatto aveva parlato anche con il LIMA – che gli aveva fatto intendere di aver ricevuto anche lui pressioni in tal senso e che gli aveva lasciato la responsabilità decisionale – nonché con il DI MAGGIO, che gli aveva consigliato di contattare i FARINELLA. Aveva, quindi, parlato con FARINELLA Giuseppe, capomandamento di San Mauro, che si mostrò conciliante, sicché si addivenne ad un accordo in virtù del quale il 60% dei lavori fu assegnato alla CISA ed il 40% allimpresa di FARINELLA Cataldo. Quellappalto era stato il più rilevante tra quelli sino ad allora assegnati dallEnte Provincia e, quindi, aveva risvegliato un più diretto interesse di COSA NOSTRA, che sino ad allora si era, invece, limitata a pretendere una tangente sugli importi dei lavori assegnati a carico dellimprenditore che si aggiudicava lappalto ed a favore del gruppo mafioso che controllava quel territorio, salvo ad intervenire saltuariamente a favore di qualche gruppo imprenditoriale più vicino, come quelli dei costruttori COSTANZO e GRACI. Da allora il LIMA lo aveva incaricato di fare da intermediario con COSA NOSTRA per la gestione degli appalti. Sostanzialmente il suo incarico era stato quello di intervenire già nella fase di aggiudicazione degli appalti, pilotando lassegnazione dei lavori in favore di determinate imprese secondo una turnazione, che ovviamente teneva conto sia dellinteresse che COSA NOSTRA poteva avere in alcune di tali imprese o a volte anche dellinteresse che poteva avere qualche esponente politico, sia dellimporto dei lavori e della dimensione delle imprese stesse. Quando il sistema di aggiudicazione era quello della licitazione privata egli segnalava le imprese da invitare e comunque interveniva presso i partecipanti per concordare le offerte che sarebbero state presentate ed essere così certo dellesito finale. In generale tale sistema incontrava la disponibilità della maggior parte degli imprenditori, che potevano programmare i loro impegni sulla base dei turni loro assegnati dal SIINO, mentre nei pochi casi in cui non si era riusciti a persuadere qualcuno sullofferta da presentare, si era intervenuto sottraendo alcuni certificati che erano necessari per la partecipazione alla gara o truccando le offerte. Compito del SIINO era anche quello di riscuotere le tangenti dovute dagli imprenditori che si aggiudicavano i lavori, secondo delle quote che erano pari ad una percentuale del 2,5 dellimporto dei lavori in favore dei politici e del 2% in favore di COSA NOSTRA, importi questi che egli di volta in volta provvedeva a consegnare per la parte spettante al sodalizio mafioso al DI MAGGIO prima ed a BRUSCA Giovanni poi, quando questi subentrò nella direzione del mandamento e per la quota dei politici a LIMA, SCIANGULA Salvatore, DI STEFANO e vari altri.Tra il 1988 ed il 1989 il DI MAGGIO, per conto del RIINA, gli aveva imposto di limitare la sua attività di intervento nella fase di aggiudicazione degli appalti ai soli lavori indetti dalla Provincia e di importo non superiore ai cinque miliardi di lire, lasciando quelli di entità superiore e quelli che interessavano la città di Palermo alla gestione dellimprenditore SALAMONE Filippo di Agrigento, sotto la supervisione di BUSCEMI Antonino e del BINI. Per tali ultimi lavori il SIINO avrebbe comunque dovuto continuare ad occuparsi dellesazione delle quote spettanti a COSA NOSTRA. Di fatto il SIINO aveva però continuato ad interessarsi anche degli altri lavori, allorché constatava che non erano seguiti né dal SALAMONE né dal BINI, che non possedevano le sue stesse capacità di controllo generale del sistema né volevano esporsi in modo così diretto ed ampio come aveva fatto lui. E per esempio egli era intervenuto nella gestione degli appalti per la realizzazione della Pretura di Palermo e dello stadio presso il quartiere dello Zen, nonché per altri appalti indetti dallA.M.A.T. in territorio di Passo di Rigano e dallE.A.S.. Il SIINO si è detto consapevole delle ostilità che ciò gli procurava da parte del SALAMONE e del BUSCEMI, con il quale ultimo aveva a volte avuto degli accesi scontri verbali, dato il temperamento collerico che questi possedeva, ma aveva allepoca ritenuto di poter contare sullappoggio di BRUSCA Giovanni, con il quale intratteneva buoni rapporti, rendendosi conto solo più tardi di tale errore di calcolo e del fatto che il BRUSCA non intendeva esporsi per lui ma solo servirsene. Comunque per i lavori nei quali era intervenuto direttamente il SALAMONE, come quelli per le emergenze idriche e per i consorzi, ad eccezione di quelli che interessavano la città di Palermo, questi aveva continuato a consegnargli le quote tangentizie spettanti a COSA NOSTRA, e poiché si trattava di importi notevoli ed i calcoli non erano semplici, si era concordato il versamento da parte del SALAMONE al SIINO di una somma mensile di duecento milioni, salvo conguagli in sede di conteggi finali.Ha ancora aggiunto il SIINO che intorno alla fine del 1988, a partire dai lavori appaltati consorzio Basso Belice – Carboi, era stata introdotta una tangente dello 0,80 % per le spese generali di COSA NOSTRA da versare in una cassa controllata dal RIINA, quota questa che non provvedeva a riscuotere lui ma che veniva, invece, consegnata al BUSCEMI e che si aggiungeva a quella del 2% sempre spettante ai gruppi mafiosi del luogo in cui si svolgevano i lavori ed i cui importi venivano, invece, riscossi come si è detto dal SIINO. LIPARI Giuseppe, persona assai vicina al RIINA ed al PROVENZANO e che pure seguiva tale settore dei pubblici appalti, intrattenendo rapporti con il BUSCEMI, gli aveva spiegato che questultimo ed il BINI dovevano essere privilegiati in questa nuova fase, dovendo essere rimessa a loro la decisione sullindividuazione delle imprese cui assegnare gli appalti rientranti nella gestione del SALAMONE.Ha inoltre riferito il SIINO che nel 1990, mentre si occupava della gestione di un appalto dellE.A.S. che prevedeva linformatizzazione della rete idrica di Piana degli Albanesi, lavori dellimporto di circa quattordici miliardi che egli voleva aggiudicarsi in associazione con limpresa GALAZZI, il LIPARI gli aveva detto che era necessario far partecipare allassegnazione anche limpresa REALE, cosa che egli aveva dovuto accettare perché anche il BRUSCA aveva concordato su tale richiesta. In proposito ha spiegato il SIINO che il vecchio titolare di quellimpresa era REALE Francesco, amico del padre e persona non più al passo con i tempi, sicché la sua impresa aveva conosciuto una grave crisi finanziaria ed era stata salvata dal fallimento per lintervento di BUSCEMI Antonino, che ne aveva acquistato una quota. Il REALE era, infatti, suocero di CATALANO Agostino, imprenditore che aveva presso COSA NOSTRA anche il grosso merito di essere cognato del BUSCEMI e consuocero di CIANCIMINO Vito, a lungo personaggio politico di rilievo a Palermo soprattutto nel corso degli anni Sessanta.Tratto in arresto nel luglio del 1991 nellambito di unindagine su mafia ed appalti” condotta dal R.O.S. di Palermo sotto la direzione della Procura locale – Giovanni FALCONE, allepoca ancora Procuratore aggiunto aveva ricevuto nel febbraio di quellanno, alla vigilia della sua partenza per Roma, ove doveva assumere la carica di Direttore Generale degli Affari Penali presso il Ministero della Giustizia, il rapporto informativo dalle mani del Capitano DE DONNO, rapporto poi consegnato al Procuratore GIAMMANCO – il SIINO riportò in primo grado la condanna a nove anni di reclusione per il reato di partecipazione ad associazione mafiosa finalizzata alla gestione dei pubblici appalti ed altri reati in materia di Pubblica amministrazione, condanna ridotta ad otto anni nel giudizio di appello. Scarcerato nel giugno del 1997, venne nuovamente arrestato il 10 luglio di quellanno in relazione agli illeciti collegati allappalto dei lavori per la Pretura di Palermo, chiamato in causa dai collaboranti LANZALACO Salvatore e CRISAFULLI.Da quel momento il SIINO iniziò a collaborare con lA.G., spiegando la sua scelta sia con lintento di sottrarre se stesso ed i suoi familiari alle angherie cui lorganizzazione mafiosa aveva preso a sottoporlo sia con la volontà di chiarire le accuse che gli venivano mosse. Sotto il primo profilo il SIINO ha riferito che nel breve periodo di circa un mese in cui era stato libero nel corso del 1997 era stato assalito da una serie di richieste di pagamento di ingenti somme di denaro, per lavori pubblici che le sue imprese si erano aggiudicate, da parte di VITALE Vito, persona che doveva la sua recente importanza in COSA NOSTRA a BRUSCA Giovanni, nonché da parte del DI MAGGIO e di alcuni gruppi catanesi. Gli si richiedeva, inoltre, di tornare ad occuparsi dei pubblici appalti, ricacciandosi in un tunnel che a quel punto, data lattenzione degli investigatori nei suoi confronti, sarebbe stato per lui senza alcuna via di uscita.Sotto il secondo profilo il collaborante ha asserito che pendevano sul suo capo accuse che non tenevano conto del suo reale ruolo di gestore del rapporto con politici ed imprenditori per conto di COSA NOSTRA, nonché dei limiti dello stesso, trascurandosi i livelli più alti che erano stati gestiti da altri personaggi.Nel corso della sua collaborazione il SIINO è stato anche in grado di riferire in ordine ai rapporti tra COSA NOSTRA ed esponenti politici in occasione delle competizioni elettorali, dichiarando tra laltro che in occasione delle elezioni politiche del 1987, circa due – tre mesi prima delle medesime, aveva avuto un incontro con lOnorevole MARTELLI, che si presentava candidato in Sicilia, in vista di un sostegno elettorale e che da parte di BRUSCA Emanuele, fratello di Giovanni, gli era stato detto chiaramente che occorreva impegnarsi a favore del Partito Socialista Italiano, che effettivamente riportò nella circoscrizione di Palermo un successo senza precedenti e non più ripetuto successivamente, essendo stata eletta una quartina di candidati rappresentata dallo stesso MARTELLI, REINA, FIORINO ed ALAGNA. Al riguardo si rileva che risulta effettivamente accertato dalla documentazione trasmessa dal Ministero dellInterno – Direzione Centrale per i servizi elettorali che nelle elezioni della Camera dei Deputati del giugno 1987, nellambito della XXIX circoscrizione di Palermo – Trapani – Agrigento, il P.S.I. conseguì quattro seggi e risultarono eletti MARTELLI Claudio con 116.984 voti, REINA Giuseppe con 64.242, FIORINO Filippo con 62.065, ALAGNA Egidio con 57.910. Tale risultato non solo era di gran lunga superiore a quello delle precedenti elezioni, ma non fu neanche ripetuto nelle successive competizioni politiche dellaprile 1992, allorché il P.S.I. conseguì tre seggi ed il primo degli eletti, REINA Giuseppe, riportò 32.594 voti, in numero, quindi, notevolmente inferiore a quello del quarto degli eletti di cinque anni prima e persino al sesto dei votati non eletti nel 1987. Nel presente processo il contributo del SIINO, adeguato alla posizione dallo stesso rivestita e che ha trovato per ampie parti significativi riscontri nelle dichiarazioni di altri collaboranti, è apparso rilevante per la ricostruzione dei rapporti del sodalizio mafioso con settori del mondo politico ed imprenditoriale, tematiche queste la cui analisi deve essere effettuata in relazione alla ricerca dei moventi della strage per cui è processo e della più ampia strategia nella quale tale crimine si è inserito. DAL PROCESSO AGATE MARIANO+26

 

a cura di Claudio Ramaccini  Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – Progetto San Francesco