Il mio ricordo personale di Borsellino attraverso la testimonianza di Agnese e di Giovanni uomo della scorta
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha più volte affermato che “La memoria di persone come Falcone e Borsellino continua ad accompagnarci. Il senso del loro impegno viene condiviso da tanti giovani”. E noi non dimentichiamo.
I Magistrati vengono ricordati, quasi sempre, nel giorno della loro morte, oggi invece desideriamo ricordali nel giorno della loro nascita, come metafora dell’immortalità, perché essi per noi non sono mai morti. Paolo Borsellino nasce a Palermo il 19 gennaio 1940, nell’antico quartiere di origine araba della Kalsa.
Raccontare del giudice Borsellino è impresa relativamente facile, raccontare l’uomo è estremamente difficile. Caparbio, allegro, altruista, una persona speciale, perché prima del magistrato si ergeva in lui colui che sapeva trasmettere valori positivi ai giovani e a coloro che gli stavano accanto.
“’U zi Paolo”, racconta Giovanni, un uomo delle scorte, “così lo chiamavamo. Un uomo semplice, uno di noi. A volta, si arrabbiava perché non riusciva a mettere in moto la sua Vespa al primo colpo. Zi’ Paolo, si mittissi ri sciancu, ca ci pensu io!”. Una lacrima solca il viso di Giovanni al ricordo di Paolo Borsellino.
“Al mio intervento la moto partiva, lui saliva dietro e scorrazzavamo per le vie di Palermo, con i capelli a vento. E lui era divertito come un bambino”.
“Falcone aveva un carattere burbero, a volte scontroso, soprattutto con gli uomini delle scorte dai quali pretendeva sempre il massimo” prosegue il racconto di Giovanni veterano delle scorte a Palermo. “Paolo no! Paolo era buono, comprensivo, passava tanto tempo con noi, anche a bere un caffè, eravamo parte integrante della sua vita e accettava sempre i nostri consigli nel campo della sicurezza”.
Tante volte, chi scrive ha preso, per ragioni del suo lavoro, un tè/caffè con la signora Agnese Piraino, moglie di Paolo, nella sua abitazione di Palermo. “Veda, mio marito era consapevole che la mafia lo avrebbe ucciso. Era turbato dopo la morte di Giovanni, sapeva già che il prossimo obiettivo era lui. Eppure, era fortemente preoccupato per gli uomini delle scorte, Agostino, Vincenzo, Walter Eddie, Emanuela e Claudio “che lui considerava come i suoi figli”.
Con queste parole della moglie Agnese, traspare tutto il senso della vita dell’uomo Borsellino amante del prossimo. “Erano persone che facevano parte della nostra famiglia” prosegue Agnese Piraino, “Condividevamo le loro ansie e i loro progetti. Era un rapporto, oltre che di umanità e di amicizia, di rispetto per il loro servizio. Mio marito mi disse ‘quando decideranno di uccidermi i primi a morire saranno loro’, per evitare che ciò accadesse, spesso usciva da solo a comprare il giornale e le sigarette quasi a mandare un messaggio ai suoi carnefici perché lo uccidessero quando lui era solo e non in compagnia dei suoi angeli custodi”.
L’uomo Borsellino non si scompone nemmeno difronte alle critiche ricevute da Leonardo Sciascia in occasione della sua nomina a Procuratore Capo a Marsala, rivoltagli dallo scrittore nel libro “A futura memoria (se la memoria ha un futuro)”, sui professionisti dell’antimafia. Borsellino non cercò mai lo scontro con lo scrittore, ma di prodigò per un incontro a chiarimento della vicenda della sua promozione, tant’è che i rapporti tra Sciascia e Borsellino divennero, nel tempo, amichevoli e cordiali.
Egli amava la sua terra ed era cosciente che il suo riscatto passava dalla giustizia e dall’affermazione del ‘diritto’, per tutto questo si impegnò per diventar magistrato inquirente.
Era consapevole che l’azione di contrasto al fenomeno mafioso sarebbe passato attraverso la presa di coscienza dei giovani. Ad un certo punto della sua vita, comincia a promuovere e a partecipare ai dibattiti nelle scuole, parla ai giovani nelle piazze, alle tavole rotonde per spiegare e per sconfiggere una volta per sempre la cultura mafiosa. Fino alla fine della sua vita cercherà di incontrare i giovani, con l’auspicio di sensibilizzare e educarli ad un nuovo approccio nella lotta alla mafia e alla realtà siciliana.
Possiamo affermare senza essere smentiti che Paolo Borsellino è un eroe, senza fare retorica, non solo per il suo impegno professionale da magistrato, ma da siciliano tra i siciliani, uomo coraggio, cercando il dialogo con i giovani, tra coloro che si opponevano al pizzo, diventando un simbolo di libertà e riscatto morale. Quotidiano dei contribuenti 21 Luglio 2023 di Ettore Minniti
PAOLO BORSELLINO, il commosso ricordo del suo capo scorta EMANUELE FILIBERTO – video
AGNESE BORSELLINO: “PAOLO e i suoi angeli custodi” – video
ANDREA GORLERO agente di scorta Paolo Borsellino : «Io mi ricordo quella volta che tornavamo dal Palazzo di Giustizia e salivamo a casa del dottor Borsellino. Lui era molto pensieroso e ad un certo punto disse: “Mi dispiace che probabilmente ci sarete pure voi”». Andrea Gorlero, non ha dubbi: «Io penso che il sacrificio dei ragazzi delle scorte e dei giudici Falcone e Borsellino sia servito, perché ha cambiato la coscienza popolare».
«Io, caposcorta di Borsellino all’ultimo cambiai turno: salvo per un testa o croce»
A decidere fu il lancio della monetina, testa o croce. «Uscì croce e chiedemmo il cambio ai colleghi del turno pomeridiano, che arrivarono a Villagrazia di Carini e ci sostituirono.
Se invece fosse uscito testa avremmo riaccompagnato noi il giudice Borsellino in via D’Amelio, e il cambio lo avremmo fatto dove c’era l’autobomba. Che sarebbe successo? I colleghi arrivati prima avrebbero notato la macchina sospetta o, com’è più probabile, saremmo morti anche noi?». Il vice-sovrintendente di polizia Nicola. Catanese — 59 anni, in servizio da 36, uno dei capiscorta di Paolo Borsellino — se lo chiede da trent’anni. Da quel 19 luglio del 1992 in cui salutò il magistrato nella sua casa sul mare per apprendere, qualche ora dopo, che era stato ammazzato insieme a chi avrebbe dovuto proteggerlo. Poteva toccare a lui, la sorte decise che fossero altri. Essendo fuori Palermo dal mattino, c’era la possibilità di attivare lo straordinario (guadagnando qualcosa in più su una busta paga non ricca) e spostare il cambio turno al rientro in città; ma si poteva anche chiedere il rimpiazzo all’orario previsto, fuori Comune. Un’alternativa decisa da una coincidenza: il compleanno della futura moglie di Catanese, nata il 20 luglio, che viveva a Messina come lui. «Io tendevo ad accumulare i turni di riposo — ricorda il poliziotto — per avere qualche giorno in più quando tornavo a casa, e quella domenica avevo deciso di non rientrare. Dunque potevamo rimanere con il giudice fino al ritorno a Palermo. Verso fine mattinata, da una cabina telefonica, chiamai Sofia, la mia fidanzata, e le confermai che non sarei andato, ma si dispiacque. Così pensai di farle una sorpresa e di andare, senza dirglielo. Tornai dai colleghi e dissi: io vorrei smontare, voi che dite? Eravamo in sei, il responso fu tre a tre. A quel punto potevo decidere io, ma per non scontentare nessuno scelsi di affidarmi alla monetina: testa restiamo, croce chiediamo il cambio».
Paolo mi diceva “quando decideranno di uccidermi, i primi a morire saranno loro. Per evitare che ciò accadesse spesso e quasi sempre alla stessa ora, mio marito usciva da solo per comprare le sigarette o il giornale, come se volesse mandare un messaggio ai suoi carnefici, perché lo uccidessero quando lui era solo e non quando si trovava con i suoi angeli custodi. «Per me, come per mio marito, erano persone che facevano parte della nostra famiglia e vivevano quasi in simbiosi con noi, condividevamo le loro ansie, i loro progetti. Un rapporto oltre che di umanità, di amicizia e di reciproca comprensione e rispetto». AGNESE BORSELLINO