Carrara, l’inchiesta degli anni ‘90 sulle infiltrazioni della mafia alle cave diventa un film

Il regista Aurelio Grimaldi nel suo “Il depistaggio” rilegge l’attentato a Borsellino

 

CARRARA. L’inchiesta avviata tra 1990 e 1992 dalla Procura di Massa-Carrara sulle infiltrazioni in quegli anni della mafia corleonese alle cave di Carrara, entra anche in un film. Aurelio Grimaldi, noto romanziere, regista e sceneggiatore, ha infatti iniziato a girare “Il depistaggio”, pellicola sulla strage di via d’Amelio, avvenuta a Palermo il 19 luglio 1992, in cui perirono il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta.

Tra gli attori, oltre al grande Tony Sperandeo, già protagonista di molti film e fiction televisive sulla mafia siciliana, anche e Aristotele Cuffaro, nei panni di Carmelo Lo Bue, un falso pentito palermitano, corrotto da un poliziotto per accusare falsamente Vincenzo Scarantino di aver piazzato l’autobomba che ha provocato la strage.

Il film

“Il depistaggio”, però, racconterà anche ciò che accadde a Carrara dal 1987 al 1992. Si tratta dei cinque anni in cui la più grande azienda mondiale di marmo finì sotto l’influenza dei fratelli Antonino e Salvatore Buscemi, legati a Totò Riina, dopo che Raul Gardini comprò con la Calcestruzzi Spa (impresa capofila del gruppo Ferruzzi) la Sam-Imeg, due società che controllavano il 65% delle cave e della lavorazione del marmo di Carrara.
Nel nuovo film di Grimaldi, infatti, ci saranno anche due attori che interpreteranno l’allora sostituto procuratore di Massa Augusto Lama e il maresciallo della Guardia di finanza Piero Franco Angeloni, che indagarono sule infiltrazioni mafiose in territorio apuano, aprendo un procedimento contro Antonino Buscemi, che aveva preso il controllo delle cave e aveva mandato a gestirle suo cognato, il geometra Girolamo Cimino, in veste di amministratore delegato della Sam-Imeg.

Far West

Su questi fatti è tornata di recente anche la trasmissione “Far West”, condotta da Salvo Sottile su Rai 3, in cui è intervenuto l’avvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino, figlia del magistrato ucciso dalla mafia, sostenendo che «se la Procura di Palermo avesse prestato la giusta attenzione all’inchiesta avviata da quella di Massa sulle infiltrazioni mafiose a Carrara, si sarebbe potuto far luce sulla presenza di Cosa nostra in certi appalti pubblici e, forse, salvare le vite dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino».
Trizzino ha poi ribadito questa sua convinzione anche alla commissione parlamentare antimafia, presieduta dalla deputata di Fratelli d’Italia Chiara Colosimo, che ha udito anche Lama, oggi in pensione.
La commissione antimafia ha poi sentito anche un altro ex magistrato, Gioacchino Natoli, già presidente della Corte d’Appello di Palermo e pm del pool antimafia all’epoca dell’inchiesta avviata dalla Procura di Massa sulla Sam-Imeg, il quale, per spiegare i motivi che lo portarono ad archiviare una prima inchiesta parallela avviata a Palermo sui Buscemi, ha sostenuto che «quelle di Lama, per quanto brillanti, allora erano solo ipotesi investigative, non ancora confermate da collaboratori di giustizia attendibili, come sarebbe avvenuto in seguito».

La replica

Una ricostruzione dei fatti a cui Lama ha voluto replicare in un appunto inviato alla commissione antimafia. «Io – scrive Lama – ho sempre ritenuto e continuo a ritenere che una maggiore attenzione agli esiti della nostra indagine apuana e, soprattutto, al famoso rapporto del Ros dell’Arma dei Carabinieri del 1991-1992 sulla questione “Mafia-Appalti” ed un conseguente approfondimento investigativo avrebbero consentito di avviare l’indagine anzidetta con qualche anno di anticipo».
Successivamente, infatti, le indagini in Sicilia furono riaperte ed Antonino Buscemi venne arrestato e condannato definitivamente nel 1996. Lama, spiega anche come avrebbe voluto proseguire l’indagine, da cui dovette astenersi il 15 febbraio 1992, dopo un’ispezione disposta dall’allora ministro della giustizia Claudio Martelli, socialista ed un procedimento disciplinare avviato su richiesta del giudice Francesco Castellano, all’epoca procuratore generale della Corte d’appello di Genova, sulla base di un esposto che censurava le sue esternazioni sui possibili coinvolgimenti del gruppo Ferruzzi con la mafia. «Avendo la possibilità di collaborare con un ufficio importante e centrale nella valutazione del fenomeno mafioso come la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, – afferma l’ex magistrato – dove oltretutto si stava costituendo, o era già costituita, una Direzione distrettuale antimafia (Dda), avrei senz’altro reso operativo il richiesto collegamento investigativo con la Procura anzidetta, prendendo contatti con il dottor Natoli, o comunque con il collega che avesse avuto in assegnazione il procedimento ivi aperto, avrei cercato di elaborare con il medesimo delle strategie investigative ulteriori: per esempio promuovere un approfondimento investigativo sulla società “Calcestruzzi Ravenna Spa” per cercare di scoprire se avesse perfezionato, con la “Generali Impianti Spa”, o con altre società sospette di formazione sociale e di capitale da “Cosa nostra”, ulteriori operazioni come quelle sulle società “Imeg” e “Sam”, ovvero analizzare meglio la penetrazione economica della società “Calcestruzzi Ravenna Spa” nell’economia siciliana, se fosse entrata in rapporti d’affari con altre società sospette di formazione sociale e di capitale da “Cosa Nostra”, se e in quali rapporti d’appalto fosse eventualmente entrata; ancora, avrei suggerito di indagare se altre società della galassia della “Ferruzzi Finanziaria” avessero compiuto altre operazioni del tipo di quella fatta dalla Società “Calcestruzzi Ravenna Spa” come quelle sulle Società “Imeg” e “Sam”; ancora avrei proposto al mio interlocutore della Procura di Palermo di sentire di nuovo i collaboratori di giustizia già emersi sullo specifico argomento economico-finanziario. Da ultimo, -conclude l’ex pm di Massa- avrei provato ad interrogare, ovviamente previa iscrizione degli stessi quali indagati, i protagonisti della vicenda “Imeg” e “Sam”: il signor Antonino Buscemi, il geometra Francesco Bonura, i vertici delle società “Imeg” e “Sam”, nonché della società “Calcestruzzi Ravenna Spa”, come per esempio l’ingegner Panzavolta». IL TIRRENO

 

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