Su Giacomo Vitale (detto Giacomino), il “picciotto” che fece le telefonate minatorie a Giorgio Ambrosoli, non si sa molto. Massone e cognato del boss mafioso Stefano Bontate, era impiegato presso l’Ente minerario siciliano (EMS) e considerato uomo di Salvatore Bellassai, a sua volta fidato di Licio Gelli per la gestione della massoneria in Sicilia.
Michele Barresi, ginecologo e capo massone, definì Giacomo Vitale “fratello massone affiliato alla CAMEA”1 (Centro Attività Massoniche Esoteriche Accettate; filiazione siciliana della massoneria di Piazza del Gesù).
Pare che Vitale sia stato iniziato alla massoneria nel 19742. Dirà Aldo Vitale (nessuna parentela) di aver espulso Giacomo Vitale dalla CAMEA “dopo essere stato informato che lo stesso era imputato in un processo penale”3.
Oggi, Giacomo Vitale è uno dei tanti personaggi che hanno preso parte alla storia più oscura della Repubblica, e rimane alle cronache sia per aver aiutato il banchiere Michele Sindona a mettere in atto il suo finto sequestro, sia per le telefonate minatorie effettuate al liquidatore della Banca d’Italia,Giorgio Ambrosoli, ucciso nel 1979 a Milano.
Il collaboratore di giustizia Angelo Siino affermò di aver visto Giacomo Vitale per l’ultima volta nel 1987 o nel 1988, e che “so che è scomparso, sicuramente è stato ucciso”. Questa notizia Siino la aveva appresa da “ambiente mafioso”, dove “si vociferava” che “un simile cane feroce non poteva essere lasciato vivo”. Siino avrebbe ascoltato queste affermazioni direttamente da Giovanni Brusca.
Un altro collaboratore di giustizia, Tullio Cannella, affermò invece di essere stato detenuto con Vitale nel 1987 all’Ucciardone, e di averlo visto per l’ultima volta nel 1988 o 1989. Anche Cannella afferma di aver saputo della scomparsa di Giacomo Vitale da ambienti mafiosi.
Quello che è certo è che Vitale a giugno 1985 è latitante da quattro anni4, mentre a novembre dello stesso anno viene arrestato5 a Villagrazia, nel palermitano, mentre alloggiava in una villetta di proprietà della famiglia Bontate6.
A dicembre del 1987, un articolo de La Stampa riporta che Giacomo Vitale è a Molare, in Piemonte, e che lì sarebbe dovuto restare fino al 1990 per volere del tribunale di Palermo7.
Tuttavia Vitale è nuovamente libero nel 1989, e si reca a un appuntamento a Brancaccio “per – come riporta un articolo di La Repubblica del 2017 – chiedere conto del patrimonio scomparso” del cognato Stefano Bontate, ucciso nel 1981. Vitale non tornerà mai più da quell’appuntamento.
In data 11 luglio 1989 la moglie di Vitale, Rosa Bontate (sorella del boss Stefano), denuncia presso i carabinieri la scomparsa del marito. Le indagini portano a presumere che Giacomo Vitale sia stato vittima della lupara bianca e nel 2002 verrà dichiarata la sua presunta morte.
1 Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia massonica P2, Vol. VI, Tomo XIV, p. 15 [PDF], reperibile al link:https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/DF/283892.pdf
4 L’Unità, 2 giugno 1985, Delitto Ambrosoli, martedì Sindona ricompare in aula, reperibile al link:https://archivio.unita.news/assets/main/1985/06/02/page_005.pdf
5 La Repubblica, 31 agosto 1989, Scompare il cognato del boss Bontade, un’altra vittima della lupara bianca, reperibile al link:https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/08/31/scompare-il-cognato-del-boss-bontade-un.html?ref=search
6 La Repubblica, 15 novembre 1985, Falso sequestro Sindona, in manette un uomo-chiave, reperibile al link:https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1985/11/15/falso-sequestro-sindona-in-manette-un-uomo.html?ref=search
7 La Stampa, 9 dicembre 1987, p. 31, Molare, “soggiornante” digiuna da una settimana.
4.11.2022 LETRATTATIVE.IT
MORTE PRESUNTA PER IL BOSS DEL CASO SINDONA
Con una richiesta di dichiarazione di ”morte presunta” è giunta al suo epilogo la vicenda di Giacomo Vitale, uno dei boss siciliani coinvolti nel finto sequestro di Michele Sindona.
Vitale, dipendente dell’Ente minerario siciliano, era un esponente della massoneria e un affiliato alla cosca di Villagrazia guidata dal cognato Stefano Bontade, prima vittima eccellente della guerra di mafia degli anni Ottanta. Nell’estate del 1979, Vitale e un altro presunto esponente di Cosa nostra, Francesco Foderà, si recarono in Grecia per accompagnare Sindona nel trasferimento a Palermo, dove fu ospitato e protetto dagli uomini del clan Spatola-Inzerillo-Gambino.
Il ruolo della mafia nell’organizzazione della messinscena, alla quale era collegato anche un progetto golpista di ispirazione separatista, venne svelato subito dopo la ricomparsa di Sindona a New York. Vitale rimase a lungo latitante prima di scomparire definitivamente: secondo i “pentiti” sarebbe stato eliminato con il metodo della ”lupara bianca”. Una conferma indiretta è venuta ora dall’iniziativa della moglie di Vitale, Rosa Bontade sorella di Stefano, che ha chiesto al tribunale di dichiarare la morte presunta del marito.
Fonte: ANSA, 3 dicembre 1999