Mafia sul LAGO di GARDA, commissariate otto società di un imprenditore del Nord

 

Otto società del Lago di Garda sono state commissariate per mafia dal tribunale di Brescia. Fanno tutte capo a un imprenditore del Nord che, secondo le indagini della Direzione investigativa antimafia (Dia), avrebbe stretto da diversi anni rapporti di complicità con i clan della ‘ndrangheta radicati tra Crotone e Cutro, che avrebbe continuato a favorire anche negli ultimi mesi.
I giudici della sezione misure di prevenzione hanno quindi revocato gli attuali dirigenti e nominato tre amministratori giudiziari, chiamati a gestire per almeno un anno le società sotto accusa, per troncare i legami d’affari con i presunti boss mafiosi e riportarle alla legalità. Le aziende colpite dal provvedimento giudiziario hanno ricavi complessivi per oltre 15 milioni di euro all’anno e controllano in particolare un grande villaggio turistico con piscine, bar e ristoranti fra Sirmione e Desenzano, una scuderia di cavalli in provincia di Mantova, diverse imprese di costruzioni, società immobiliari e cave di estrazione di materiale per l’edilizia.
Le indagini della Dia di Brescia fotografano un’ipotesi particolarmente grave di infiltrazione mafiosa. Molte precedenti inchieste antimafia degli ultimi anni (Infinito, Emilia, Isola Scaligera e altre) avevano colpito società controllate da familiari o prestanome di personaggi calabresi inquisiti per mafia. In questo caso, invece, l’indagine-base riguarda un noto imprenditore del Nord Italia, nato e cresciuto a Peschiera del Garda, residente in una bella villa sulle colline mantovane che si affacciano sul lago. Non si tratta, dunque, di un episodio di infiltrazione dall’esterno, ma di una presenza mafiosa che si sarebbe sviluppata all’interno della ricca economia gardesana.
Questa indagine patrimoniale della Dia era nata dalla retata antimafia ordinata nel giugno 2023 dai giudici di Catanzaro (operazione Glicine – Acheronte), che avevano mandato agli arresti domiciliari, tra gli altri, l’imprenditore gardesano Mauro Prospero, 65 anni, dominus di una serie di aziende di famiglia fondate dal padre Ermes, deceduto nel 2009 dopo essere stato per decenni il re delle cave, del cemento e dell’edilizia turistica tra le province di Verona, Mantova e Brescia. In quell’ordinanza, i magistrati calabresi accusavano Mauro Prospero di aver favorito due boss della ‘ndrangheta trapiantati in Veneto, in particolare, mettendo a disposizione le proprie aziende per alcune operazioni di false fatturazioni e frodi finanziarie.
Negli interrogatori, l’imprenditore ha respinto tutte le accuse: ha confermato solo di aver avuto regolari rapporti di lavoro con i due uomini d’affari calabresi, ma senza sospettare che fossero collegati alla ‘ndrangheta e senza mai procurare o maneggiare fondi neri. In attesa delle sentenze definitive, il signor Prospero va considerato innocente.
Ora le nuove indagini della Dia di Brescia aprono un nuovo fronte, allargando le accuse ad altre società di famiglia, intestate ad alcuni parenti di Prospero (che non sono indagati), ma che secondo l’accusa sarebbero di fatto controllate sempre da lui. Attraverso queste aziende (ora commissariate), inoltre, i presunti rapporti con la mafia calabrese sarebbero continuati «fino all’attualità», anche dopo i primi arresti dei boss, quantomeno sino a pochi mesi fa.
Il decreto del tribunale di Brescia conferma, tra l’altro, che nella primavera del 2023 un affiliato crotonese della ‘ndrangheta ha indicato come propria residenza, dove restare per tre mesi agli arresti domiciliari, un immobile che in realtà era un bungalow nel villaggio turistico di Prospero. Negli stessi mesi, la società gardesana ha pagato fatture versando almeno 56 mila euro a una ditta intestata a una donna che è risultata essere la convivente del calabrese arrestato.
In cambio di questi e altri favori, l’imprenditore del Lago di Garda sarebbe stato autorizzato a utilizzare un affiliato calabrese per recuperare un credito di 300 mila euro da un’impresa veronese.
Per evitare il commissariamento, la difesa ha chiarito che Prospero è ancora in attesa della sentenza di primo grado e comunque è ormai estraneo alla gestione di tutte le società: si è dimesso il giorno stesso degli arresti domiciliari.
Da allora le aziende sono affidate a un avvocato, con funzione di garanzia. I giudici delle misure di prevenzione, accogliendo la tesi della Procura antimafia di Brescia, hanno però obiettato che si tratta del suo legale di fiducia, che amministrava alcune di quelle società già prima dell’arresto di Prospero, seguendo proprio le sue indicazioni. La decisione del tribunale è motivata anche dalla scoperta di una serie di pagamenti per operazioni catalogate come sospette, ora documentati dalle indagini patrimoniali della Dia: versamenti per circa un milione di euro a favore di imprese controllate da pregiudicati veneti e calabresi.

 

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