Il procuratore della Repubblica di Palermo, Maurizio de Lucia, ha affermato di recente che «il principale problema di Cosa nostra è quello di tornare a essere ricca. L’organizzazione va dunque verso una serie di rapporti, seppure da socio minoritario, ma da socio, con la ‘Ndrangheta». Una mutazione di Cosa nostra proiettata nella ricerca delle modalità più adatte per tornare a essere ricca. La mafia ancora non è domata, e perciò bisogna continuare a contrastarla se non vogliamo che si riprenda, anche perché, ed è questa la vera novità del discorso, Cosa nostra è diventata “socio minoritario” della ‘Ndrangheta.
Quest’affermazione mi ha fatto ricordare quanto successe quando Giovanni Falcone nell’agosto del 1989 chiese a Gianni De Gennaro, all’epoca dirigente del nucleo centrale anticrimine, un rapporto informativo sui rapporti tra Cosa nostra e la ‘Ndrangheta. De Gennaro rispose alla richiesta di Falcone con un documento di estremo interesse. Scriveva che i rapporti andavano ben al di là di una mera alleanza tra organizzazioni diverse, e che i capi più prestigiosi erano affiliati a Cosa nostra.
Qualcuno disse che ciò confermava la subalternità ai mafiosi siciliani, e Buscetta addirittura sostenne che nella ‘Ndrangheta non c’erano “veri uomini d’onore”. Sbagliava Buscetta; e sbagliava di grosso, perché la ‘Ndrangheta era una mafia ottocentesca, radicata, ed era una mafia a tutti gli effetti tanto è vero che i capi potevano affiliarsi a Cosa nostra perché erano affiliati alla ‘Ndrangheta. Doppia affiliazione dava forza e prestigio a entrambi i contraenti.
Da ieri a oggi la situazione dei rapporti tra mafiosi siciliani e calabresi è mutata a tutto vantaggio degli ‘ndranghetisti.
Torniamo a quanto avvenne quando Falcone chiese lumi a De Gennaro. Nel giro di un triennio ci fu il finimondo. Le stragi di Capaci e di via d’Amelio del 1992 cambiarono per sempre il panorama mafioso e il rapporto tra mafia e Stato. Ancora oggi ci chiediamo perché Riina decise quella doppia strage nel giro di poche settimane.
E ci si domanda se quello che è accaduto è frutto solo dei viddani, come Buscetta chiamava i corleonesi, oppure se dietro a loro ci siano stati altri soggetti che avevano interesse a uccidere in quel modo barbaro Falcone e Borsellino, e avevano rassicurato i mafiosi che non ci sarebbe stata una reazione adeguata dello Stato. Si capisce poco delle ragioni di quanto avvenne se le due stragi si valutano separatamente e si cercano i motivi in singoli atti o indagini non fatte in modo adeguato.
Inoltre, la presenza in Sicilia di Paolo Bellini di sicuro tra Capaci e via d’Amelio, e forse anche prima di Capaci, getta una luce fosca su tutta la vicenda. Bellini è uomo dell’eversione nera condannato in appello per la strage fascista di Bologna, forse uomo dei servizi, di sicuro in collaborazione con Cosa nostra e la ‘Ndrangheta.
Bisogna ricordarsi cos’era l’Italia del 1992: Mani pulite travolgeva i maggiori responsabili della cosiddetta Prima Repubblica; la Lega Nord che raggiunse un successo travolgente in Lombardia e in gran parte del Nord; Cosa nostra che poteva uccidere impunemente Salvo Lima, l’uomo di Andreotti che stava lavorando per esser eletto presidente della Repubblica, e poteva permettersi di assassinare Falcone nel bel mezzo dell’elezione del presidente della Repubblica. Questo era lo scenario.
Si arrivò a tanto per la scelta stragista dei corleonesi, mentre gli ‘ndranghetisti, che pure furono sollecitati a farlo, non aderirono al progetto, tranne una frangia, come è emerso dall’indagine ‘Ndrangheta stragista. Questa scelta ha messo al riparo la ‘Ndrangheta e ha travolto gli uomini di Cosa nostra. È in quegli anni che cominciarono a ribaltarsi i rapporti di forza. Cosa nostra era nel mirino dello Stato, la ‘Ndrangheta lo era molto di meno.
Ci si accorse della potenza dei mafiosi calabresi con la strage di Duisburg, che fece scoprire le sue ramificazioni nel cuore dell’Europa, in Germania. Ma eravamo già nel 2007: la ‘Ndrangheta nel frattempo aveva intensificato il rapporto con la massoneria e aveva preso in mano il traffico degli stupefacenti.
Certo, Cosa nostra come socio minoritario è realtà forte, inimmaginabile fino a poco tempo fa, che può turbare qualcuno. Stupisce che ciò sia accaduto? Forse può stupire qualcuno, ma, per dirla con un grande siciliano, Luigi Pirandello: così è se vi pare.
* Storico, docente di storia delle mafie al Collegio Santa Caterina di Pavia, membro del comitato scientifico di Avviso Pubblico