1999 – MAFIA e APPALTI La relazione depositata da Giancarlo Caselli in Commissione Antimafia sulle indagini

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Su richiesta del Procuratore di Palermo Giancarlo Caselli, il 5 giugno 1998, i PM Croce, Lo Forte, Scarpinato, Insacco, Ingroia, De Lucia e Sturzo redigono la “Relazione sulle modalità di svolgimento delle indagini mafìa-appalti negli anni 1989 e seguenti” depositata da Caselli il 3 febbraio 1999 in occasione dell’audizione presso la commissione Parlamentare Antimafia.

Al Sig. Procuratore della Repubblica

OGGETTO: Relazione sulle modalità di svolgimento delle indagini mafìa-appalti negli anni 1989 e seguenti.

A richiesta della S.V. – anche ai fini di un necessario confronto di dati in sede di iniziative di coordinamento da parte della Procura Nazionale Antimafia – trasmettiamo la seguente relazione.

Depositata presso il Consiglio Superiore della Magistratura il 7 dicembre 1992:

“Nell’anno 1989 venivano sviluppate dall’Autorità Giudiziaria di Palermo e dai Carabinieri del R.O.S. – Reparto Criminalità Organizzata – indagini volte a verificare la sussistenza, l’entità e le modalità di condizionamenti mafiosi nel settore degli appalti pubblici nel territorio della provincia di Palermo.

Le investigazioni venivano iniziate nell’ambito del procedimento penale n. 2811/89 A contro GIACCONE Giuseppe ed altri, pendente dinanzi al Giudice Istruttore.

Alcuni atti del procedimento n. 2811/89 A venivano in seguito stralciati e trasmessi dal Giudice Istruttore alla Procura della Repubblica di Palermo che instaurava un nuovo procedimento, iscritto al n. 2789/90 N.R. nei confronti di SIINO Angelo ed altri.

Le indagini concernenti tale nuovo procedimento venivano inizialmente coordinate dal Procuratore Aggiunto dr. FALCONE e dai Sostituti Procuratori dr. LO FORTE e dr. PIGNATONE, ai quali il Cap. Giuseppe DE DONNO forniva notizie sugli accertamenti in atto, sempre per le vie brevi e senza nessuna ulteriore informativa scritta al di là della semplice richiesta di proroga di intercettazioni telefoniche già attivate in precedenza.

Nel corso del 1990 venivano prorogate più volte le intercettazioni telefoniche già autorizzate e ne erano disposte numerose altre di volta in volta richieste dai Carabinieri; veniva anche sollecitata la consegna dell’informativa.

Nella primavera del 1990, in occasione di un convegno organizzato dall’Alto Commissario per la lotta alla mafia al Castello Utveggio di Palermo, il Procuratore Aggiunto, dott. Giovanni FALCONE, anticipava che indagini in corso inducevano a ritenere l’esistenza di una unica centrale mafiosa che condizionava a valle e a monte la gestione degli appalti pubblici.

Il 20 febbraio 1991 veniva consegnata l’informativa n. 000001/2 I datata 16 febbraio 1991 avente per oggetto: “Annotazione relativa alle attività di polizia giudiziaria esperite in merito ad una associazione per delinquere di tipo mafioso, strutturalmente inserita nell’organizzazione denominata “Cosa Nostra”, tendente ad acquisire la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessione, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici nel territorio della regione Sicilia”.

L’informativa veniva personalmente consegnata al Procuratore Aggiunto dr. FALCONE il quale nello stesso giorno (20.2.1991) la consegnava a sua volta al Procuratore Capo dr. Pietro GIAMMANCO, non avendo la possibilità di esaminarla in quanto già in procinto di lasciare la Procura di Palermo per assumere l’incarico di Direttore Generale presso il Ministero di Grazia e Giustizia.

Il Procuratore Capo disponeva la custodia dell’informativa in cassaforte perché in quel momento i Sostituti LO FORTE e PIGNATONE, originari assegnatari del procedimento, nonché altri componenti del pool antimafia erano completamente assorbiti dalla stesura finale della requisitoria del processo relativo agli omicidi di Piersanti MATTARELLA, Presidente della Regione Siciliana, Pio LA TORRE, segretario regionale del P.C.I., Michele REINA, segretario provinciale della D.C. (c.d. omicidi politici), requisitoria composta da 1689 pagine che comportava l’approfondito studio di una mole notevolissima di atti e che sarebbe stata depositata il 12 marzo 1991.

Tale impegno lavorativo veniva ritenuto assolutamente prioritario, in quanto, a norma delle disposizioni transitorie del nuovo C.P.P., il termine ultimo delle indagini istruttorie era scaduto il 31 dicembre 1990 e, conseguentemente, il Giudice Istruttore nei primi di gennaio del 1991 aveva trasmesso gli atti alla Procura della Repubblica perché presentasse le sue richieste definitive nel termine di 60 giorni.

Vi era, quindi, l’assoluta necessità che i Sostituti LO FORTE e PIGNATONE, unitamente agli altri colleghi designati, si dedicassero in quel periodo, in maniera esclusiva, alla stesura della requisitoria, anche perchè occorreva lasciare al Giudice Istruttore dott. Gioacchino NATOLI, (che avrebbe dovuto prendere possesso del suo nuovo incarico di Sostituto Procuratore della Repubblica non oltre il 9 giugno 1991), il tempo sufficiente per gli adempimenti di cui all’art. 372 C.P.P. abrogato (deposito degli atti e termini ai difensori), e per la stesura del provvedimento conclusivo dell’istruttoria.

La sentenza-ordinanza sarebbe stata infatti depositata dal Giudice Istruttore proprio il 9 giugno 1991…

Di fatto Io studio dell’informativa, sia da parte dei Sostituti LO FORTE e PIGNATONE sia da parte del Procuratore capo dr. GIAMMANCO, iniziava alla fine del mese di marzo.

Nel mese di maggio il Procuratore della Repubblica decideva di incaricare dell’esame degli atti anche tutti gli altri Sostituti allora componenti il “pool antimafia” (i Sostituti SCIACCHITANO, MORVILLO, CARRARA, DE FRANCISCO, SCARPINATO e NATOLI, il quale era stato trasferito in Procura).

A tutti i sostituti delegati nonché al Procuratore Aggiunto dr. SPALLITTA veniva a tal fine consegnata una fotocopia dell’informativa.

L’ipotesi investigativa formulata dai Carabinieri del R.O.S. segnava un salto di qualità nelle conoscenze sino ad allora acquisite sui rapporti tra Cosa Nostra ed il mondo imprenditoriale.

Ed infatti emergeva che l’associazione mafiosa non si limitava più a svolgere un ruolo di sfruttamento meramente parassitario delle attività economiche-imprenditoriali, ,concretantesi nell’imposizione di tangenti, di subappalti, di assunzione di manodopera, ma mirava a realizzare un controllo integrale e un pesante condizionamento interno del mondo imprenditoriale e del settore dei lavori pubblici in Sicilia, mediante complesse ed articolate metodologie che nel loro insieme costituivano l’espressione più sofisticata e moderna di una strategia di assoggettamento degli operatori economici al prepotere delle organizzazioni facenti capo a Cosa Nostra.

In estrema sintesi i momenti essenziali di tale sistema di controllo – che peraltro, in alcuni casi, si esplicava anche nella fase precedente la pubblicazione dei bandi di gara e nella fase successiva all’espletamento delle gare – potevano così riassumersi:

  • alle gare indette dalla Pubblica Amministrazione partecipavano imprese “pulite” che venivano costrette a soggiacere alle regole dell’organizzazione mafiosa, ovvero imprese solo apparentemente tali, che per le modalità con le quali erano sorte o per altre ragioni operavano sotto Io stretto controllo della consorteria mafiosa;
  • dopo l’ammissione alle gare di appalto, le imprese partecipanti venivano “contattate” e immancabilmente indotte – con una tecnica frammista di larvate o manifeste intimidazioni e promesse di futuri vantaggi – a non presentare offerte, ovvero a presentarle con ribassi stabiliti in modo tale da determinare l’aggiudicazione dell’appalto all’impresa di volta in volta prescelta dall’organizzazione;
  • le imprese escluse dalle gare venivano “dissuase” dal presentare ricorsi in sede amministrativa, suscettibili di alterare l’esito predeterminato e quindi di compromettere l’efficacia della “regia” dell’organizzazione.

Nella prospettazione accusatoria l’associazione mafiosa appariva talmente consolidata da essere in grado di realizzare la manipolazione preventiva delle gare dettando ai soggetti coinvolti nell’ “iter” le opportune istruzioni, senza necessità di particolari pressioni.

L’autentico volto “mafioso” dell’organizzazione emergeva tuttavia in modo inequivocabile nei momenti di “crisi”, cioè nei casi in cui occorreva ricondurre al rispetto delle “regole” imprenditori che non si erano subito adeguati perchè non consapevoli degli specifici interessi dell’organizzazione in determinate gare.

In tali momenti di crisi la soluzione di potenziali conflitti, il superamento di ostacoli imprevisti, venivano attuati mediante il ricorso ai metodi tipici della violenza mafiosa, con interventi mirati e dosati in una escalation che progrediva dall’intimidazione larvata e frammista alla promessa di futuri vantaggi all’intimidazione manifesta, giungendo sino all’omicidio; omicidio che assolveva alla duplice funzione di eliminare un ostacolo e di accrescere la forza di intimidazione dell’organizzazione nei confronti di tutti gli operatori economici.

L’attività investigativa svolta dai Carabinieri forniva tuttavia solo le coordinate essenziali di tale ricostruzione accusatoria, giacché l’informativa predetta era costituita in realtà quasi esclusivamente dalla trascrizione di numerose intercettazioni telefoniche, intercalate da brevi osservazioni di commento volte a decodificare il significato spesso ambiguo del linguaggio cifrato ed allusivo delle conversazioni telefoniche intercettate, nel corso delle quali si faceva riferimento alla manipolazione di gare di appalto.

Alcune di tali conversazioni telefoniche consentivano tuttavia, per il loro inequivocabile contenuto, di ricostruire in dettaglio episodi emblematici dei metodi di intimidazione mafiosi attuati da alcuni degli esponenti dell’organizzazione criminale, focalizzando il ruolo preminente svolto dai medesimi.

Il personaggio centrale delle vicende criminali oggetto dell’indagine era individuato dai Carabinieri nella persona di Angelo SIINO, così definito nell’informativa (pag. 428):

“… personaggio di spicco nelle file dell’organizzazione criminale mafiosa. Egli senz’altro dispone di un ampio potere decisionale nello specifico settore per cui si può identificare come il fiduciario della gestione delle attività economico-imprenditoriali di Cosa Nostra in Sicilia e buona parte del territorio nazionale”.

Il SIINO, già implicato nelle indagini concernenti l’omicidio del Ten. Col. CC Giuseppe RUSSO, avvenuto a Ficuzza il 20.2.1977, nonché nelle indagini relative agli   omicidi   del   Capitano   CC.   Mario   D’ALEO, dell’appuntato   Giuseppe BOMMARITO    e   del   Carabiniere  D’ALEO, risultava collegato con i BRUSCA, esponenti di vertice di Cosa Nostra. Nel corso di vari servizi di osservazione veniva rilevato che il SIINO si incontrava con esponenti mafiosi di spicco ed era in contatto con numerosi imprenditori.

In particolare in data 31.5.1989 il SIINO ed altri esponenti mafiosi tra cui ABBATE Giuseppe, reggente della famiglia mafiosa di Corso dei Mille, condannato nel maxi-uno e assassinato in data 15.9.1989, venivano visti recarsi presso lo stabile sito al civico 53 della via De Gasperi di Palermo, dove erano domiciliati GARIFFO Carmelo (indiziato mafioso, nipote del noto PROVENZANO Bernardo, componente della Commissione di Cosa Nostra), PROVENZANO Salvatore (fratello di Bernardo) e dove avevano sede gli uffici della società I.MA – IMMOBILIARE AURORA S.p.A. e della RESIDENCE CAPO S. VITO s.r.I. controllate di fatto da soggetti legati ad interessi mafiosi dell’entourage di PROVENZANO Bernardo.

Tale era la carica di intimidazione di cui era portatore il SIINO che nelle conversazioni telefoniche il suo nome spesso non veniva neppure apertamente pronunciato e Io stesso veniva indicato come:

  • quello che comincia con la S;
  • l’uomo che conta;
  • quello che comanda;
  • persona ad alto livello vicina proprio al nucleo

 Altro personaggio indicato dai Carabinieri come “elemento pienamente inserito nell’organizzazione mafiosa” (v. pag. 183 dell’informativa), era LI PERA Giuseppe, capo area della RIZZANI DE ECCHER S.p.A. in Sicilia, in stretto contatto con il SIINO.

Proprio il SIINO ed il LI PERA apparivano i principali protagonisti degli episodi nei quali si era manifestato in modo inequivocabile il metodo di intimidazione mafioso attuato dall’organizzazione.

Di decisiva importanza, a questo proposito, appariva la vicenda relativa alla rinunzia da parte della TOR DI VALLE S.p.A a proporre ricorso avanti al Giudice amministrativo avverso il provvedimento con cui detta società era stata esclusa dalla fase dell’esame delle offerte per la licitazione privata indetta dalla SIRAP S.p.A., in ordine all’appalto dei lavori di completamento infrastrutturale dell’area mista della Madonnuzza in Petralia Soprana (importo di circa 26 miliardi), aggiudicato poi alle imprese di SIINO Angelo e di FARINELLA Cataldo.

E’ opportuno premettere, al riguardo, che l’organizzazione del SIINO si proponeva di manipolare una numerosa serie di gare di appalto che la SIRAP in parte aveva, ed in parte avrebbe indetto, con fondi della Regione Siciliana, per la costruzione di venti aree attrezzate per importi di circa 50 miliardi ciascuna.

L’ “affare” complessivo, quindi, era di 1000 miliardi, e qualsiasi comportamento imprenditoriale non aderente alle “regole del gioco” avrebbe messo in pericolo la distribuzione degli appalti predeterminata dall’organizzazione.

Si spiega, così, la ragione dell’intervento sulla TOR DI VALLE, che essendo stata esclusa dalla gara, a suo avviso illegittimamente, intendeva proporre ricorso.

Come risulta dalle intercettazioni telefoniche riferite a pagg. 85-125 dell’informativa dei Carabinieri, le pressioni sulla TOR Dl VALLE venivano inizialmente esercitate, nei confronti deII’ing. Giorgio ZITO, responsabile della società per la Sicilia, da Giuseppe LI PERA, capo-area della RIZZANI DE ECCHER nell’Isola, ed emissario del gruppo facente capo ad Angelo SIINO.

II LI PERA spiega allo ZITO:

  • che già “si sa in giro che il suo manager (e cioè il dr. CATTI, amministratore della TOR Dl VALLE, n.d.r.) vorrebbe fare un po’ di casino”;
  • che il ricorso, destinato ad essere certamente accolto perché fondato su ragioni inoppugnabili, metterebbe in pericolo l’intero sistema di gare di appalto indette o ancora da indire da parte della SIRAP, definiti come “lavori che noi (cioè il LI PERA e i suoi referenti, SIINO, FARINELLA , n.d.r.) abbiamo organizzato”,
  • che in tal modo si creerebbe “un vespaio tale che in pratica qui (in Sicilia) è difficile lavorare”;
  • che “vi è una situazione tesa che ha bisogno di un mediatore” (e cioè Io stesso LI PERA);
  • che la TOR DI VALLE deve rinunziare al ricorso “perché altrimenti avrà grossi guai e, viceversa, facendo così avrà diversi vantaggi”’,
  • che quello siciliano è “un mondo un po’ particolare” in cui bisogna ”abituarsi alle regole del gioco”,
  • che la “TOR Dl VALLE (rinunziando al ricorso) ha la possibilità di entrare dalla porta principale e non entrare dalla finestra rompendo i vetri“.

 

Dopo questo primo approccio, LI PERA accompagnava SIINO e Vito BUSCEMI (altro imputato attualmente a giudizio in stato di custodia cautelare, e parente di Salvatore BUSCEMI, attuale componente della “Commissione” di Cosa Nostra) presso l’ing. ZITO, il quale ben intendeva la personalità mafiosa dei suoi interlocutori e ne restava palesemente intimidito.

Come risultava da successive acquisizioni probatorie, nel corso di questo colloquio, il SIINO, sebbene in forma “assuadente”, lanciava allo ZITO due inequivocabili messaggi intimidatori, sottolineando che:

  • i siciliani sono persone ospitali, che accettano di buon grado coloro che vengono a lavorare qui, ma bisogna rispettare le regole del gioco;
  • in caso contrario, “si può scivolare su una buccia di banana”, come era avvenuto all’imprenditore Giuseppe TAIBBI (ucciso a Baucina nel 1989).

Il terribile significato di quest’ultimo “messaggio” non poteva non essere chiaro all’ing. ZITO, proprio perché il TAIBBI era titolare di un’impresa associata alla stessa TOR DI VALLE nell’esecuzione di un appalto nel Comune di Baucina.

Il rappresentante della TOR DI VALLE in Sicilia veniva talmente intimidito che, in una successiva conversazione con il responsabile della società, Paolo CATTI, evitava persino di fare i nomi dei suoi interlocutori (“quello che comincia con la S, quello che conta di più’) e sottolineava preoccupato che il SIINO “è molto assuadente, ma nello stesso tempo trapelano chiaramente anche se non in maniera evidente le possibilità negative di interrompere le trattative con lui. ”.

Nel corso della telefonata Io ZITO riassumeva al CATTI alcune delle frasi che il SIINO gli aveva rivolto alla presenza del LI PERA:

  • “… qui si può lavorare bene, però devi adeguarti alle regole del gioco, questo è il senso del messaggio sembra .. adesso c’è la possibilità di entrare dalla porta principale, non entrare dalla finestra rompendo i vetri…”;
  •  “e mi ha detto, poi, a lei personalmente, quando ha bisogno di qualsiasi cosa, per qualsiasi cosa, pensa che possiamo intervenire, si consigli con il mio amico (LI PERA: n.d.r.) che era lì presente pure lui e siamo disposti ad aiutarla a risolvere tutti i problemi…”,
  • “… e dice che sono mille miliardi che ha da giocarsi”.

 

Il titolare della TOR DI VALLE decideva di adeguarsi.

L’ing. ZITO, palesemente sollevato, si affrettava quindi a comunicare a LI PERA la “buona notizia” che la TOR DI VALLE rinunziava al ricorso, cioè – per essere più chiari – accettava l’imposizione del SIINO.

E LI PERA rassicurava Io ZITO dicendogli che egli era convinto della sua “ragionevolezza” ma che “la pazzia di un titolare non si può mai escludere” e che peraltro questo (e cioè quello di un amichevole convincimento) non “e il sistema che… diciamo… noi usiamo di solito”.

 

 Nell’informativa del 16.2.1991, i Carabinieri osservavano che l’incontro tra ZITO, SIINO e gli altri costituiva l’esemplificazione pratica del dettato dell’art. 416 bis del Codice penale. Raramente – rilevavano – si era ottenuta una prova così diretta, immediata ed efficace di come gli uomini di Cosa Nostra si muovessero nell’ambito dell’attività economico- imprenditoriale.

Del resto, già nell’ambito di altro procedimento penale (i cui atti sarebbero stati in seguito acquisiti dalla Procura al procedimento contro SIINO) l’ex sindaco di Baucina Giuseppe GIACCONE aveva – nei suoi interrogatori resi al Giudice Istruttore – chiarito le “regole” a cui devono assoggettarsi le imprese non siciliane “discese” nell’isola.

A tal riguardo, per comprendere Io “specifico” contesto siciliano, appaiono opportune due notazioni:

  • alle regole locali devono adattarsi tutte le imprese, anche quelle dotate di grandi capacità finanziarie e di importanti relazioni politiche;
  • alle “combines” per la manipolazione degli appalti sottostanno “accordi” che – mentre in altri contesti territoriali sono il frutto di intese politiche ed imprenditoriali – in Sicilia invece sono “garantiti” con la

Non a caso Giuseppe TAIBBI (l’imprenditore ucciso menzionato nella pesantissima allusione rivolta da SIINO a ZITO) soleva ripetere a Giuseppe GIACCONE che “se non fosse stato in grado di far rispettare determinati accordi gli avrebbero fatto saltare la testa”.

 

La complessiva ricostruzione accusatoria tratteggiata dai Carabinieri sul ruolo egemonico assunto da Cosa Nostra nel settore degli appalti, tramite alcuni suoi esponenti, appariva dunque certamente valida e, tuttavia, essendo fondata quasi esclusivamente su una lettura complessiva ed integrata delle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche, molte delle quali di contenuto ambiguo, si palesava la necessità di acquisire ulteriori elementi di prova che rafforzassero e convalidassero l’impianto accusatorio.

A tal fine i componenti del “pool antimafia” integravano i risultati dell’attività investigativa svolta dai Carabinieri con l’acquisizione al procedimento n. 2789/90 N.R. di altri rilevanti elementi di prova emersi nel corso di altri autonomi processi gestiti dal “pool antimafia” della Procura di Palermo.

In particolare venivano acquisiti atti da:

  • il procedimento 1155/90 N.C. originato dalle dichiarazioni rese dai vari sindaci dei Comuni delle Madonie alla Commissione Regionale Antimafia in ordine al fenomeno del “racket delle progettazioni” nel settore degli appalti;
  • il procedimento n. 2811/89 A P.M. contro PANELLO Giuseppe, con particolare riguardo ad alcuni interrogatori resi sui metodi di manipolazione degli appalti pubblici da GIACCONE Giuseppe, ex sindaco di Baucina, imputato del reato di cui all’art. 416 bis P.;
  • il procedimento n. 1981/89 A M. contro MODESTO Giuseppe ed altri, imputati del reato di cui all’art. 416 bis C.P., con particolare riguardo alle dichiarazioni rese dal teste PINO Aurelio Napoleone (imprenditore costretto a condurre una vita clandestina all’estero per sottrarsi alle rappresaglie di personaggi mafiosi da lui denunciati) in ordine ai metodi di manipolazione di appalti pubblici da parte di esponenti mafiosi tra i quali proprio SIINO Angelo.

La valutazione del compendio probatorio così via via acquisito, nonché di complessi problemi giuridici, quale per esempio quello concernente i limiti di utilizzabilità ex art. 270 C.P.P. delle intercettazioni telefoniche (in gran parte disposte in procedimenti diversi ed autorizzate solo in relazione al reato di cui all’art. 416 bis C.P.), costituiva oggetto di più riunioni (almeno cinque) del “pool antimafia”.

Grazie all’acquisizione dei predetti nuovi elementi di prova raccolti dalla Procura in altri procedimenti e alla lettura coordinata degli stessi con le intercettazioni, si perveniva infine alla individuazione di sufficienti indizi di reato di associazione mafiosa nei confronti di SIINO Angelo, LI PERA Giuseppe, FARINELLA Cataldo, FALLETTA Alfredo e MORICI Serafino per i quali, in data 25.6.1991, veniva presentata richiesta di emissione di ordinanza di custodia cautelare.

Il G.I.P. provvedeva in conformità con ordinanza del 9.7.1991, che sottolineava il valore determinante della lettura coordinata degli elementi acquisiti dalla Procura ai fini della dimostrazione del reato.

Contemporaneamente in data 26.7.1991 venivano disposte dalla Procura approfondite e ampie indagini sulla SIRAP SpA, avente sede a Palermo, atteso che dalle intercettazioni telefoniche e dalle successive acquisizioni (interrogatori degli indagati e di testi) risultava che il centro di interessi dell’organizzazione mafiosa era costituito dalle gare di appalto bandite, per un importo complessivo di mille miliardi, dalla predetta S.p.A., società a capitale pubblico incaricata dalla Regione Siciliana di curare l’espletamento di gare finalizzate alla realizzazione di venti insediamenti industriali- artigianali in vari comuni della Sicilia.

In particolare con delega del 26.7.1991, consegnata al Cap. De DONNO, i Carabinieri del R.O.S. venivano, tra l’altro, incaricati del compimento dei seguenti atti:

  • escutere gli amministratori della SIRAP, anche con riferimento a quanto emerso dagli interrogatori degli indagati;
  • accertare la natura dei finanziamenti ottenuti dalla SIRAP, le scelte relative alla loro utilizzazione ed i criteri di individuazione logistica delle aree “da attrezzare”;
  • escutere tutti i pubblici amministratori degli Enti Locali ove erano state o si sarebbero dovute realizzare tutte le opere menzionate nell’informativa, con specifico riferimento alle modalità di finanziamento delle stesse ed ai loro eventuali rapporti con gli indagati;
  • escutere decine di persone informate sui fatti, persone che venivano indicate;
  • completare l’acquisizione di tutti i documenti relativi a gare di appalto menzionate nell’informativa;
  • dare esecuzione a decreti di perquisizione negli uffici della SIRAP, in altri uffici pubblici e in abitazioni private, sequestrando documenti vari
  • svolgere tutte le indagini conseguenziali riferendo con ulteriore informativa

In sostanza, dunque, la strategia della Procura si articolava contemporaneamente su un triplice fronte:

In primo luogo neutralizzare, mediante l’emissione di ordinanze di custodia cautelare, gli esponenti più pericolosi dell’organizzazione mafiosa nei confronti dei quali erano stati acquisiti elementi di colpevolezza tali da superare il vaglio del Tribunale della libertà e della Cassazione, con l’ulteriore effetto indotto di ottenere una autorevole conferma dell’intero impianto accusatorio.

In secondo luogo acquisire ulteriori elementi in ordine ad altri soggetti indagati, già individuati nell’informativa dei Carabinieri, a carico dei quali sussistevano elementi di prova insufficienti, riservandosi di richiedere in progressione temporale ulteriori ordinanze di custodia cautelare, via via che gli elementi di prova acquisivano maggiore consistenza.

In terzo luogo, individuare i referenti politici-amministrativi dell’organizzazione mafiosa (indagini sulla SIRAP e su altre amministrazioni, essendo ben presente alla Procura (tanto che se ne dava esplicitamente atto nella stessa motivazione della richiesta di ordinanza di custodia cautelare) che il sistema di controllo mafioso si integrava in alcuni casi con fenomeni di corruzione politico- amministrativa.

AI riguardo già nel contesto della motivazione della richiesta per l’applicazione delle misure cautelari depositata il 25.6.1991, si osservava:

“Nelle indicate   metodologie,  che ricorrono…nel sistema  di controllo mafioso, possono talvolta (ma non necessariamente) integrarsi fenomeni di corruzione.
Tali fenomeni (di cui però le fonti di prova hanno finora riferito in termini generici senza fornire elementi relativi a casi e soggetti specifici), si manifestano mediante la erogazione di “tangenti”, il cui importo complessivo può raggiungere anche il 20% del valore dell’appalto, e che sono destinate ad essere distribuite fra gli amministratori corrotti degli enti in var/o modo coinvolti nell’ “iter” del finanziamento e dell’appalto”.

 Dunque, si torna a ripetere ed a sottolineare, il fenomeno dell’intreccio tra mafia e corruzione politico-amministrativo era e restava un capitolo aperto al centro di indagini delegate dalla Procura di Palermo ai Carabinieri del R.O.S..

Nel frattempo tutti i componenti del pool antimafia procedevano agli interrogatori degli imputati arrestati, di numerosi altri indagati, all’assunzione di informazioni da testi, all’acquisizione di nuovi documenti e ad altre attività di indagini.

Tutti gli imputati arrestati rispondevano agli interrogatori ad eccezione dì LI PERA Giuseppe.

Questi, interrogato in data 15.7.1991 dal G.I.P. presso il Tribunale di Palermo si avvaleva della facoltà di non rispondere.

Interrogato dal P.M. (dott. Roberto SCARPINATO) in data 16.7.1991 si rifiutava nuovamente di rispondere alle domande.

In data 17.2.1992, cioè solo dopo che si era proceduto al deposito di tutte’ le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche, il LI PERA faceva pervenire, tramite il suo difensore, una memoria difensiva da lui sottoscritta, composta di 54 pagine, nella quale contestava tutte le accuse, non formulava alcuna accusa nei confronti del titolare della sua impresa, Claudio DE ECCHER, non forniva alcuna indicazione sul fenomeno della corruzione politico-amministrativa, assumendo, in sostanza, che i contatti tra le varie imprese, le vicendevoli richieste di non partecipare ad alcune gare, etc. rientravano in una diffusa prassi di “scambi di cortesie commerciali tra imprese”.

In data 5.3.1992, il LI PERA veniva nuovamente interrogato all’interno della Casa Circondariale di Palermo dai Sostituti Procuratori dott.ri LO FORTE e SCARPINATO.

Nel corso dell’interrogatorio, protrattosi per varie ore e al quale assisteva per esigenze investigative anche il capitano DE DONNO, nonostante l’opposizione del difensore, il LI PERA ancora una volta respingeva tutti gli addebiti e non formulava alcuna accusa a carico degli altri imputati o di altri indagati, né tantomeno a carico dei titolari della RIZZANI DE ECCHER S.p.A, e ciò sebbene gli venissero contestati dai pubblici ministeri fatti e circostanze a lui non favorevoli riferiti da Claudio DE ECCHER, titolare dell’impresa, in precedenti interrogatori.

Alla fine dell’interrogatorio il capitano DE DONNO, appartatosi con i Pubblici Ministeri, esprimeva loro la convinzione che il LI PERA potesse essere condizionato negativamente dal suo difensore di fiducia, e manifestava l’opportunità di un suo successivo contatto riservato con il detenuto. In tale occasione i Pubblici Ministeri esternavano al capitano DE DONNO la loro piena disponibilità a favorire un contatto del genere purché si trovasse uno strumento giuridicamente corretto.

Invero a quell’epoca non esisteva ancora la norma, poi introdotta da un successivo decreto legge, che autorizzava i cosiddetti colloqui investigativi tra esponenti delle forze di polizia ed imputati.

In data 8 gennaio 1992 a seguito dell’acquisizione di ulteriori elementi di prova veniva formulata una nuova richiesta di ordinanza di custodia cautelare a carico di altri due esponenti dell’associazione mafiosa, CASCIO Rosario e BUSCEMI Vito.

Anche tale richiesta veniva integralmente accolta dal G.I.P. (17.2.1992) con ordinanza confermata dal Tribunale della Libertà e dalla Cassazione.

Intanto le indagini proseguivano sia sul versante dell’acquisizione di ulteriori potenziali elementi di prova a carico di altri indagati, sia sul versante della corruzione politico-amministrativa.

In particolare, veniva per la terza volta a lungo interrogato Claudio DE ECCHER, titolare della RIZZANI DE ECCHER S.p.A., il quale formulava dettagliate deduzioni difensive corredate da ampia documentazione. Il DE ECCHER assumeva che il LI PERA da tempo si era arrogato spazi di autonomia decisionale mai riconosciutigli dall’azienda, coltivando insieme ad altri imprenditori siciliani, interessi confliggenti con quelli della RIZZANI DE ECCHER S.p.A. tanto che, dopo una serie di contestazioni formali documentate da un fitto scambio di corrispondenza risalente a periodo precedente all’inizio delle indagini e al deposito della prima informativa dei Carabinieri, era stata adottata la decisione di licenziare il LI PERA.

Come si è già accennato in precedenza, il LI PERA, interrogato il 5 marzo 1992, non rendeva alcuna dichiarazione accusatoria nei confronti dei titolari della RIZZANI DE ECCHER S.p.A.

In data 9 marzo 1992 veniva chiesto il rinvio a giudizio di SIINO Angelo, FARINELLA Cataldo, FALLETTA Alfredo, LI PERA Giuseppe, BUSCEMI Vito e CASCIO Rosario, per il reato di cui all’art. 416 bis C.P., tutti in stato di custodia cautelare in carcere ad eccezione del FARINELLA rimasto sempre latitante.

Quindi, dopo un approfondito studio della posizione degli altri indagati, nel mese di giugno 1992 si provvedeva alla stesura di una richiesta di archiviazione che veniva sottoposta all’esame del Procuratore Capo, dott. GIAMMANCO, e che dopo essere stata da lui vistata veniva formalmente depositata il 13 luglio 1992.

La richiesta di archiviazione, composta da 88 pagine, affrontava in modo approfondito non soltanto le posizioni di tutti i singoli indagati ma anche i vari temi di indagine emersi nel corso del procedimento ad eccezione di quello concernente il versante della corruzione politico-amministativa, che aveva già costituito oggetto di stralcio dando luogo ad un autonomo procedimento (n. 3541/92 N.R.) concernente la SIRAP S.p.A., in ordine al quale era ancora in corso di evasione una dettagliata delega ai Carabinieri del R.O.S. conferita in data 26 luglio 1991.

Successivamente, nel mese di luglio 1992 il noto collaboratore di giustizia MESSINA Leonardo, appartenente a Cosa Nostra, rendeva dichiarazioni che confermavano integralmente l’impianto accusatorio elaborato dal pool antimafia della Procura di Palermo in due anni di indagini.

Il MESSINA, infatti, anche riferendo episodi specifici, evidenziava che in Sicilia il settore degli appalti è sottoposto al controllo verticistico di Cosa Nostra che si avvaleva, a tal fine, proprio di Angelo SIINO definito l’ambasciatore di Salvatore RllNA nel mondo degli appalti.

Il collaboratore descriveva i metodi di intimidazione attuati dall’associazione mafiosa riferendo anche di omicidi di imprenditori che non avevano voluto sottostare alle imposizioni di Cosa Nostra…”.

Capitolo 2

Anomalie verificatesi nel corso delle indagini

(la c.d. vicenda LI PERA; le polemiche di stampa sul presunto insabbiamento delle indagini; le omissioni rilevate nella informativa del ROS del 16 febbraio 1991; le fughe di notizie)

 

Le indagini condotte dai magistrati della Procura di Palermo negli anni 1991-1992 furono però condizionate da talune anomalie; ed in particolare si svolsero senza disporre delle integrali ed effettive risultanze investigative che pure il ROS aveva già acquisito fin dalla prima metà dell’anno 1990.

La prima anomalia, costituita dalla c.d. vicenda LI PERA, emerse già nel 1992, e fu così evidenziata nella citata Relazione al CSM de1 7 dicembre 1992 (pagg. 28-41):

“In data 28 ottobre 1992 il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania trasmetteva alla Procura di Palermo, per competenza, un voluminoso fascicolo costituito da copia di parte degli atti del procedimento n. 4228/92 R.G.N.R. di quell’Ufficio.

Nella missiva di trasmissione veniva evidenziata la inequivocabile competenza della Procura di Palermo sulla base delle seguenti, testuali osservazioni:

“le indagini compiute dai Carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale – Reparto Criminalità Organizzata, “pur evidenziando l’esistenza di una articolata struttura associativa finalizzata al controllo, nell’ambito della Regione Siciliana, degli appalti di opere pubbliche, non rientrano nella competenza territoriale di questo Ufficio secondo le regole fissate dagli artt. 8 e segg. c.p.p.”

“Invero l’abbondante materiale probatorio acquisito arricchito dalle informazioni rese nel corso delle indagini preliminari da LI PERA Giuseppe, fa ritenere per certo che detta struttura associativa ha operato prevalentemente ed essenzialmente nell’ambito del territorio (circondariale e/o distrettuale) della Procura della Repubblica di Palermo, dove peraltro è ancora pendente il procedimento n. 3541/89 r.g.n.r., stralcio del procedimento a carico di SIINO Angelo ed altri.”

“Non v’è dubbio, infatti, che detta struttura associativa mirava alla gestione, secondo criteri distributivi tra le imprese gravitanti nell’ambito della stessa, degli appalti gestiti dalla S.I.R.A.P. S.p.A., ente di natura pubblica, concessionaria della Regione Siciliana per la realizzazione di insediamenti artigianali e industriali dei Comuni della Sicilia.”

“Circa la natura di detta struttura associativa, se semplice o di stampo mafioso, ogni valutazione va rimessa all’Autorità Giudiziaria coi gli atti vanno trasmessi per competenza, che risulta aver già proceduto nei confronti di SIINO Angelo ed altri per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso finalizzato proprio al controllo degli appalti (processo che attualmente si sta celebrando dinanzi al Tribunale di Palermo).”

“Orbene, allo stato degli atti, non v’è dubbio che sussistono elementi sintomatici che possano far ritenere che anche l’associazione di che trattasi rientri nel modello di stampo mafioso previsto dall’art. 416 bis c.p.; militano in tal senso sia la partecipazione ad essa di personaggi certamente collegati ad ambienti mafiosi o, addirittura essi stessi indiziati di appartenenza ad associazioni mafiose (come SIINO Angelo e FARINELLA Cataldo), sia il comprovato ricorso all’intimidazione, attraverso violenze e minacce, cui gli affiliati, direttamente o indirettamente, risultano avere fatto ricorso per l’attuazione delle finalità del gruppo (controllo degli appalti nell’ambito della Regione Siciliana, con particolare riferimento agli appalti gestiti dalla S.I.R.A.P. S.p.A.).”

“Emerge comunque evidente dagli atti che sia la costituzione di detta organizzazione criminosa che la commissione dei delitti che costituivano l’attuazione delle sue finalità (espletamento della gare di appalto mediante commissione di abusi, art. 323 c.p.), rientrano nella cognizione (circondariale o distrettuale) dell’Autorità Giudiziaria di Palermo, atteso che nell’ambito del relativo territorio si è articolata quella fitta rete di relazioni tra coloro che, ciascuno nell’esercizio delle proprie attribuzioni, controllavano, nell’attuazione esclusiva di interessi privati, ogni fase dell’iter criminoso, dalla progettazione dell’opera all’aggiudicazione degli appalti.”

 

Dall’esame del fascicolo risultava che il primo atto significativo era costituito da un verbale di assunzione di informazioni redatto dal Dr. Felice LIMA, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania, assistito da personale del Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri, nei confronti di LI PERA Giuseppe. Il LI PERA, imputato del reato di cui all’art. 416 bis C.P. in concorso con altri nel procedimento

  1. 1365/92 n.c. (stralciato dal n. 2789/90 n.c.) della Procura di Palermo, si trovava ristretto presso la Casa Circondariale di Teramo in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Palermo su richiesta della Procura di Palermo.

Detto verbale inizia con la notazione che il P.M. “informa LI PERA dell’obbligo che ha di riferire tutto ciò che sa in ordine ai fatti sui quali viene sentito” e ha inizialmente per oggetto il contenuto di “un biglietto apparentemente scritto di suo pugno rinvenuto e sequestrato in occasione di una perquisizione eseguita dai CC. negli uffici della Rizzani-De Eccher s.p.a.”.

Nel corso del verbale il LI PERA dichiarava: “A questo punto, chiarita sia pure sommariamente – la vicenda dell’appunto di mio pugno del quale la S.V. mi ha chiesto, voglio dirle una serie di cose sulle quali ho meditato a lungo in questi mesi di reclusione ed ho capito.”

Come lei probabilmente già sa, io sono imputato in un procedimentopenale che pende innanzi al Tribunale di Palermo: la mia posizione è di detenuto in attesa del giudizio di primo grado, del quale è già stata fissata la data della prima udienza.”

“Ho riflettuto a lungo, come le ho testé detto, su tale mia posizione e sono giunto alla conclusione di stare subendo di fatto una sostanziale e grave ingiustizia. E ciò non tanto – o, meglio, non solo – perché mi ritengo innocente con riferimento alle accuse che mi si muovono nel processo di Palermo, ma soprattutto perché nel corso di quel processo è stata accertata soltanto una parte della verità e per di più una piccola parte.”

“Io credo che in quel processo io appaio ingiustamente come uno dei protagonisti di vicende nelle quali io ho avuto, invece, un ruolo che in qualche misura ritengo marginale o, comunque, molto inferiore a quello che appare da quegli atti.”

“La verità delle cose è che io ho lavorato per la RIZZANI DE ECCHER e che, in relazione a tale mio lavoro, mi sono inserito all’interno della ditta e all’interno di quel mondo molto complesso, che è il sistema di aggiudicazione dei grandi appalti pubblici.”

“In questo ambiente vigono logiche complesse e per certi versi, perverse, delle quali tutti coloro che si occupano di queste cose sono consapevoli e partecipi.”

“Né è possibile svolgere il lavoro che ho svolto io, all’interno di imprese come la RIZZANI e nell’ambiente degli appalti pubblici, rifiutandosi di rispettare le regole che sono da tutti riconosciute e rispettate all’interno di quel sistema.”

“Io ritengo, quindi di aver fatto solo ciò che chiunque occupasse un posto come il mio non poteva non fare.”

“Ritengo, poi, sommariamente (rectius: sommamente) ingiusto che, mentre io sono qui in carcere, con imputazioni molto gravi e con la prospettiva di un processo che mi aspetta, rimangano impuniti i più importanti protagonisti delle vicende solo marginalmente emerse nel processo a mio carico. Considero sommamente ingiusto che io venga utilizzato come capro espiatorio di tutti coloro che erano i veri artefici degli imbrogli dei quali io sono stato chiamato – e in parte anche ingiustamente – a rispondere.”

“Già tempo fa avevo pensato di fare questo e avevo detto all’avv. Michele VIZZINI e all’avv. Domenico SALVO, che mi difendono nel processo di Palermo, di chiedere ai magistrati della Procura della Repubblica del Tribunale di Palermo di venire a sentirmi.”

“I miei avvocati mi dissero che i magistrati palermitani non erano interessati a sentirmi…”

Io, quindi, non ebbi occasione di parlare con alcun magistrato e tornai ariflettere sul problema”.

 

Da quel momento il LI PERA veniva nuovamente sentito, sempre nel suo stato di custodia carceraria e sempre nella qualità di persona informata sui fatti, in data 14 e 15 giugno dal Dr. LIMA e poi, su sua delega, dal Cap. CC. Giuseppe DE DONNO, in data 20 luglio, ed ancora dal Dr. LIMA in data 27 agosto 1992. Solo in data 14 ottobre 1992 – cioè pochi giorni prima dell’inizio del dibattimento a suo carico a Palermo (19.10.1992) – il LI PERA veniva sentito, nel carcere dell’Asinara, in presenza di un difensore di ufficio e il P.M. Io informava della sua qualità di indagato, senza precisare per quale reato.

In tale verbale, l’ultimo reso al P.M. di Catania, il LI PERA confermava le dichiarazioni precedentemente rese quale persona informata sui fatti mediante la semplice indicazione delle date dei verbali.

Le dichiarazioni rese dal LI PERA al dott. LIMA e al capitano Giuseppe DE DONNO concernevano proprio i fatti e le circostanze costituenti oggetto sia del processo n. 1365/92 n.c. del quale era stata fissata già la data di inizio del dibattimento dinanzi alla V Sezione Penale del Tribunale di Palermo (19 ottobre 1992), sia del procedimento n. 2789/90 in ordine al quale la Procura di Palermo proseguiva a quella data le indagini a carico

di ventuno indagati, tra cui DE ECCHER Claudio, ZITO Giorgio, CATTI

De Gasperi Paolo, PADDEU Giuseppe e FAVRO Domenico, sia infine del procedimento n. 3541/92 n.c. concernente l’attività della SIRAP s.p.a..

Dall’esame degli atti risultava altresì che il Dr. LIMA aveva conferito ai Carabinieri del R.O.S. una delega di indagine (non trasmessa) e che gli stessi Carabinieri ne avevano riferito l’esito con un’informativa di 843 pagine, oltre gli allegati, datata 1 ottobre 1992. Proprio a seguito di tale informativa la Procura della Repubblica di Catania aveva disposto l’iscrizione nel registro delle Notizie di Reato – nei confronti di 22 persone

– del procedimento penale poi trasmesso a quest’Ufficio. Dall’esame degli atti si rilevava altresì quanto segue:

1) l’appunto di pugno del LI PERA che dava lo spunto al verbale del 13 giugno era stato sequestrato presso gli uffici della Rizzani De Eccher in esecuzione di decreto di perquisizione e sequestro emesso dalla Procura

di Palermo nell’ambito del procedimento penale n. 2789/90 N.R. a carico dello stesso LI PERA e di altri, come del resto comunicato al dr. LIMA dal

R.O.S. con la nota del 3.5.1992 che aveva dato inizio all’indagine;

  • come dichiarato dallo stesso LI PERA al LIMA egli si trovava detenuto a Teramo “perché imputato in un procedimento penale pendente innanzi al Tribunale di Palermo”,
  • come risulta nello stesso verbale, il LI PERA aveva manifestato chiaramente la volontà di riferire fatti e circostanze relativi proprio all’imputazione a suo carico pendente a Palermo e di fatto così avvenne, come si può rilevare dalla semplice lettura dei verbali stessi e com’è stato riconosciuto dalla Procura di Catania, che li ha qui trasmessi per competenza; sicché la premessa dello stesso verbale, secondo cui il LIMA invitava il LI PERA a trattare argomenti diversi da quelli concernenti la competenza palermitana, risultava svuotata di ogni reale contenuto;
  • l’ufficiale del R.O.S., Cap. Giuseppe DE DONNO, che aveva assistito a tutte le assunzioni di informazioni, che ne aveva direttamente espletato almeno una e che era stato delegato per le indagini firmando l’informativa dell’1.10.1992, era Io stesso che aveva – fin dal 1989 – svolto le indagini che avevano dato luogo al processo pendente a Palermo, che aveva curato l’esecuzione delle ordinanze di custodia cautelare e dei decreti di perquisizione e che aveva redatto un’ulteriore corposa informativa consegnata alla Procura di Palermo il 5.9.1992, avente ad oggetto gli stessi fatti, e cioè l’attività della I.R.A.P. s.p.a. su cui riferiva il LI PERA, e nella quale non vi era traccia delle dichiarazioni che costui stava rendendo;
  • la totale identità dei fatti oggetto dell’indagine espletata dal LIMA e su sua delega dal R.O.S. con quelli oggetto dei procedimenti pendenti presso l’autorità giudiziaria palermitana, identità che risultava anche documentalmente dalla semplice scorsa degli allegati all’informativa dell’1.10.1992, costituiti in massima parte da fotocopia di atti compiuti dalla Procura della Repubblica di Palermo;
  • nessuna notizia, né formalmente né informalmente, la Procura di Palermo aveva mai avuto dal Dr. LIMA fino alla trasmissione degli atti del 28.10.1992. Pertanto la Procura di Palermo non aveva potuto utilizzare il contenuto delle dichiarazioni del LI PERA e delle indagini da esse scaturite nell’ambito del processo contro Io stesso LI PERA ed altre cinque persone imputate in stato di custodia cautelare in carcere, del reato di cui all’art. 416 bis C.P., processo la cui fase dibattimentale ha avuto inizio il 19.10.1992. Ancora peggio, questa Procura non aveva potuto utilizzare detti elementi nell’ambito delle indagini preliminari riguardanti DE ECCHER Claudio e numerose altre persone – in gran parte proprio quelle poi iscritte come indagate a Catania; elementi che – ove comunicati alla Procura di Palermo – avrebbero impedito l’archiviazione del procedimento, chiesta in data 13.7.1992 per insufficienza degli elementi acquisiti a sostenere l’accusa in dibattimento;
  • che lo stesso LI PERA aveva dichiarato, contrariamente al vero, di non essere stato interrogato dai magistrati incaricati dell’indagine: mentre, al contrario, egli per due volte si era rifiutato di rispondere, poi aveva fatto pervenire una lunga memoria difensiva e infine, in data 6 marzo 1992, aveva reso un lungo e dettagliato interrogatorio, dopo il quale non aveva più chiesto di essere sentito, né tramite i suoi avvocati né con comunicazione alla direzione del carcere

Peraltro il Dr. LIMA non solo non risulta aver effettuato in proposito alcuna verifica, ma non ha mai preso contatti con questo Ufficio né qui assunto alcuna informazione sulle indagini già espletate e tuttora in corso sugli stessi identici fatti di cui si occupava.

  • il LI PERA, tra il 13 giugno e il 14 ottobre 1992, era stato sentito ripetutamente come persona informata sui fatti, quando per gli stessi fatti egli era imputato in stato di custodia cautelare in carcere a disposizione della sola Autorità Giudiziaria di Palermo, tenuta del tutto all’oscuro dell’attività d’indagine che stava svolgendo; e ciò in palese violazione degli 350, 363, 364 e 370 C.P.P.
  • l’informativa del R.O.S. dell’1.10.1992, diretta al P.M. di Catania dott. LIMA, ometteva completamente di fare cenno del lungo e dettagliato interrogatorio reso da LI PERA Giuseppe ai Pubblici Ministeri di Palermo dott. LO FORTE e SCARPINATO il 5.3.1992 (interrogatori cui pure era stato presente il Cap. del R.O.S. Giuseppe DE DONNO). Tale omissione aveva ovviamente impedito alla stessa Autorità Giudiziaria di Catania la conoscenza di molteplici elementi di fatto indispensabili sia per la comprensione delle complesse vicende oggetto della indagine, sia per la valutazione della attendibilità intrinseca del LI PERA.

Quanto sopra esposto appare in grave contrasto con le norme che regolano la competenza degli uffici del P.M. e comunque il coordinamento e il collegamento delle indagini. Ciò che è accaduto, inoltre, ha costituito e costituirà fonte di pregiudizio per lo svolgimento delle indagini – che in atto si svolgono nell’ambito del procedimento n. 3541/92 n.c (stralcio dall’originario procedimento n. 2789/90) su un fenomeno di eccezionale gravità, quale l’interferenza dell’associazione mafiosa Cosa Nostra nel settore degli appalti, nonché per l’ordinato svolgimento del sopra citato processo con imputati detenuti, fra i quali il noto SIINO Angelo, definito da MESSINA Leonardo (uomo d’onore appartenente a Cosa Nostra e attendibilissimo collaboratore di Giustizia) “l’ambasciatore di Totò Riina per il mondo degli affari”.

A quest’ultimo riguardo va ancor sottolineato come si sia venuto a determinare, a dibattimento già iniziato, con conseguenze allo stato imprevedibili, un improvviso e sostanziale stravolgimento di tutta la strategia accusatoria accuratamente predisposta da questa A.G. nel corso di due anni di indagini.

Si consideri, ad esempio, la trasformazione “a sorpresa” di testi fondamentali per l’accusa in persone indagate, con grave detrimento del loro coefficiente di credibilità e senza che sia stata data la possibilità a questa Procura di reimpostare preventivamente la strategia accusatoria con una razionale ed indispensabile riorganizzazione di tutti gli elementi probatori acquisiti…”.

La seconda anomalia fu costituita da polemiche di stampa – apparse inizialmente inspiegabili – su presunti “insabbiamenti” delle indagini concernenti uomini politici.

Anche per questo aspetto della vicenda è necessario richiamare qui testualmente quanto già venne osservato nella citata relazione al CSM del 7 dicembre 1992 (pagg. 42-47):

“Parallelamente alla vicenda processuale, se ne sviluppava sulla stampa a partire dal 14.6.1991 (e cioè prima ancora delle richieste della Procura di Palermo al G.I.P.), un’altra per molti aspetti sorprendente ed incomprensibile.

Infatti gli articoli di stampa riportavano, attribuendole ad ufficiali dell’Arma dei Carabinieri, pesanti critiche all’operato della Procura della Repubblica basate su fatti assolutamente inesistenti.

Una prima notizia del tutto fantasiosa era quella secondo cui, ancora in data 14 giugno e cioè proprio mentre stava per essere depositata la richiesta di misure cautelari (25.6.1992) la Procura avrebbe rifiutato” di ricevere il “rapporto” già ultimato dai Carabinieri.

Nei successivi articoli, sia antecedenti che posteriori all’esecuzione degli arresti, da un lato vi era la inspiegabile riproduzione di intercettazionicoperte dal segreto istruttorio, anche prima del deposito degli atti al “Tribunale della Libertà”, e dall’altro l’affermazione che nel “rapporto” sarebbero state individuate, in relazione all’attività dell’organizzazione mafiosa, responsabilità di numerose ed importanti personalità politiche,anche con incarichi di governo senza alcun seguito da parte della Procura.

Tale affermazione, secondo gli organi di stampa, costituiva il motivo principale di pesanti critiche contro l’operato della Procura, asseritamente provenienti da ufficiali dei Carabinieri.

Estremamente significativi in tal senso sono gli articoli pubblicati sui quotidiani “Il Secolo XIX” e “La Sicilia” rispettivamente del 13.6.1991 e del 16, 17 e 19 giugno 1991, contenenti – insieme alla trascrizione letterale di parti del rapporto – pesantissime critiche di “insabbiamento” nei confronti della Procura della Repubblica, nonostante questa non avesse ancora formulato le sue richieste al G.I.P..

Dal contesto logico degli articoli si poteva desumere che la fuga di notizie, concretantesi addirittura nella consegna a vari giornalisti di parti dell’informativa, non poteva certamente provenire dai magistrati della Procura della Repubblica, che venivano anzi pesantemente attaccati.

Le anticipazioni di stampa relative a personalità politiche nazionali coinvolte negli illeciti asseritamente evidenziati dall’informativa apparivano inizialmente, come si è detto, del tutto incomprensibili.

Dall’informativa del 16.2.1991 risultava invero che, nel corso di alcune telefonate tra imprenditori, venivano episodicamente fatti i nomi di alcuni politici all’interno di contesti discorsivi fra terze persone che non evidenziavano di per sé fatti illeciti.

L’informativa si chiudeva con un doppio elenco di persone coinvolte nell’indagine.

Il primo elenco era così intestato: “Schede di personaggi di maggior interesse in ordine ad ipotesi di reato di associazione per delinquere di tipo mafioso“.

Nessun nome di politico si rinveniva in questo elenco.

Il secondo elenco era così intestato: “schede di personaggi di maggiore interesse in ordine ad ipotesi di reato di associazione per delinquere”. In questo elenco, come politici, figuravano solo Domenico LO VASCO e Giuseppe DI TRAPANI, all’epoca Assessori Comunali di Palermo.

Del resto non si trattava di vere e proprie schede, ma di un semplice elenco in cui accanto ad ogni nome vi era l’indicazione dell’intercettazione telefonica nella quale si faceva riferimento allo stesso*.

La sostanziale mancanza di elementi significativi sul piano penale per il LO VASCO ed il DI TRAPANI, e a maggior ragione per gli altri uomini politici citati nell’informativa e non nelle schede, veniva del resto esplicitata in una nota in data 27.7.1991 del Comandante del R.O.S., il quale anzi affermava che quelle indicate nelle “schede” erano spesso “persone non tutte direttamente coinvolte in rilievi penali”, ed aggiungeva quanto segue: “per ipotesi è da ritenersi pacificamente la possibilità direi astratta, di suscitare un generico interesse ai fini dell’accertamento ulteriori ed eventuale da parte dell’Ufficio del P.M.”.

 Peraltro, tutti i politici sopraindicati venivano interrogati e invitati a fornire spiegazioni e chiarimenti sia in ordine ai fatti cui si faceva riferimento nelle conversazioni intercettate fra terzi, sia in ordine ad eventuali loro rapporti con le persone indagate, alcune delle quali venivano a loro volta interrogate sulle medesime circostanze.

Le loro posizioni venivano poi esaurientemente analizzate nell’ambito della richiesta di archiviazione del 13.7.1992, integralmente accolta dal G.I.P.

Come si sarebbe compreso dopo, le polemiche di stampa apparivano inspiegabili soltanto ai magistrati della Procura della Repubblica.

Invero i nomi dei personaggi politici di rilievo nazionale, tali da suscitare un così rilevante interesse da parte della stampa, erano diversi da quelli sopra menzionati; e, mentre erano evidentemente noti ai giornalisti già dall’estate del 1991, sarebbero stati portati a conoscenza della Procura di Palermo in parte solo nel novembre 1991 e in parte addirittura nel mese di settembre 1992.

Più precisamente, il nome del ministro Gianni DE MICHELIS, citato dal Corriere della Sera in data 20.7.1991, nel contesto di un articolo contenente pesantissime critiche asseritamente rivolte alla Procura della Repubblica dai Carabinieri del R.O.S., è venuto per la prima volta a conoscenza dei magistrati della Procura solo nel novembre del 1991 con

la trasmissione di una informativa del R.O.S. in data 12.11.1991 e dei relativi allegati4

Altri nomi di uomini politici di rilevanza nazionale (l’on. Salvo LIMA ed altri) venivano per la prima volta a conoscenza della Procura della Repubblica di Palermo addirittura soltanto il 5.9.1992, allorquando con una informativa a firma del Cap. DE DONNO venivano per la prima volta riferiti l’esistenza ed il contenuto di intercettazioni telefoniche eseguite e in gran parte già trascritte nel 1990 e nel 1991, recanti la citazione di personalità politiche nazionali.

Nel frattempo però, e già nell’estate del 1991, la stampa aveva reiteratamente riferito che la Procura di Palermo aveva “insabbiato” le indagini del R.O.S. sulle responsabilità degli uomini politici.

Infine, anche nell’ottobre – novembre 1992, sia prima che dopo la trasmissione degli atti dalla Procura di Catania a quella di Palermo, vi è stata una nutrita serie di articoli di stampa comprendenti la riproduzione di atti coperti dal segreto istruttorio e tendente a rappresentare all’opinione pubblica una presunta volontà di “insabbiamento” delle indagini da parte sia della Procura di Catania sia di quella di Palermo.

Come è agevole desumere dalla ricostruzione dei fatti compiuta dinanzi, tale campagna di stampa è basata su notizie false, e appare il risultato di una strategia di interessata disinformazione, volta a delegittimare i magistrati inquirenti della Procura di Palermo, in atto impegnati in indagini di estrema delicatezza e rischiosità…”.

La terza, e più grave, anomalia (peraltro intimamente connessa con la seconda) fu costituita dal fatto che alla Procura di Palermo non furono per lungo tempo comunicate le integrali ed effettive risultanze investigative che pure il ROS aveva già acquisito fìn dalla prima metà dell’anno 1990; e ciò proprio con riferimento alle ipotesi di coinvolgimento nelle indagini mafia- appalti di esponenti di rilievo del mondo politico nazionale.

Come si è visto, tale anomalia fu rilevata essa pure nell’ambito della citata Relazione al CSM del 7 dicembre 1992; ed in particolare fu già allora evidenziato (pagg. 27-28):

In data 5 settembre 1992 veniva consegnata alla Procura di Palermo, dai Carabinieri del R.O.S. l’informativa relativa alle indagini sulla S.l.R.A.P. S.p.A., in evasione della delega conferita il 26 luglio 1991…

…si rilevava che nell’ambito di tale informativa venivano comunicati per la prima volta alla Procura di Palermo l’esistenza ed il contenuto di numerose intercettazioni telefoniche eseguite nel 1990 e nel corso della quale si faceva riferimento ad alcuni importanti esponenti politici nazionali e regionali.

Tra queste può essere in questa sede citata una conversazione telefonica del 6.4.1990 ore 18.45 tra l’on. Salvo LIMA ed un esponente della SIRAP. In tale conversazione l’on. LIMA dichiarava di essere in buoni rapporti con uno degli esponenti dell’organizzazione mafiosa5 già denunciati dallo stesso R.O.S. con l’informativa del 16.2.1991, rinviato a giudizio da questa Procura nel processo a carico di SIINO Angelo e di altri.

Destava notevoli perplessità che tale intercettazione non fosse stata comunicata alla Procura neppure dopo l’omicidio dell’on. LIMA (12.3.1992) per una sua eventuale utilizzazione nelle relative indagini…”.

Sul punto, a quanto già emerso e rappresentato nel 1992, si sono aggiunti, in tempi più recenti, molteplici elementi dai quali è dato ragionevolmente desumere che sembrano essere esistite due versioni dell’informativa mafia-appalti, e precisamente:

  • una versione ufficiosa, oggetto di indiscrezioni giornalistiche e di illecite fughe di notizie, contenente specifici riferimenti ad esponenti politici di importanza nazionale (negli anni 1990-1991), ed in particolare agli Salvo LIMA, Rosario NICOLOSI e Calogero MANCINO;
  • una versione ufficiale, quella consegnata il 20 febbraio 1991 nelle mani del Giovanni FALCONE, allora Procuratore Aggiunto a Palermo; versione priva del benché minimo riferimento ai suddetti esponenti politici.

Più precisamente, le fonti di prova acquisite in recenti indagini inducono a ritenere:

  • che effettivamente nel periodo 1989-1991 si verificarono molteplici fughe di notizie, a favore di indagati ed in particolare di Angelo SIINO, dapprima sull’andamento delle indagini e poi specificamente sul contenuto della informativa del ROS;
  • che le fonti del SIINO furono varie; in particolare il llo GUAZZELLI, l’on. Salvo LIMA ed il M.llo LOMBARDO;
  • che in particolare sia l’on. LIMA sia il llo LOMBARDO entrarono in possesso di informazioni sul contenuto della informativa del ROS; informazioni che – per entrambi – facevano espresso riferimento al coinvolgimento nelle indagini degli onn. Salvo LIMA, Calogero MANNINO, Rosario NICOLOSI (e di altri ancora);
  • che queste informazioni, risultanti da intercettazioni telefoniche, prima dell’arresto del SIINO erano in possesso soltanto di alcuni investigatori del ROS, e non della Procura di Palermo, che le avrebbe ricevute molto tempo dopo.

Le fonti di prova di cui si è detto risultano:

  • dalle dichiarazioni di Angelo SIINO sul contenuto delle intercettazioni e della informativa che egli ebbe modo di conoscere, prima del suo arresto, grazie alle fughe di notizie (interrogatori 12 luglio 19977 ; 21 luglio 1997 ; 19 agosto 1997);
  • da precedenti dichiarazioni di Giovanni BRUSCA (interrogatori 20 febbraio 1997 ; 17 maggio 1997);
  • da colloqui confidenziali intercorsi tra SIINO, il MORI ed il Cap. DE DONNO nel 1995 (int. SIINO del 10 ottobre 199710; deposizioni del Col. MORI e del Cap. DE DONNO del 13 ottobre 199711);
  • da colloqui confidenziali intercorsi tra SIINO ed il MELI il 12 aprile 1997 (risultanti da una registrazione consegnata dal MELI alla Procura di Caltanissettal2 );
  • ma soprattutto, ed inconfutabilmente, dal raffronto obiettivo tra il contenuto dell’informativa mafìa-appalti del 16 febbraio 199113, ed il contenuto di altre due informative consegnate dal ROS 19 mesi dopo: la c.d. informativa Sirap del 5 settembre 1992, consegnata alla Procura di Palermo, e la c.d. informativa Caronte del 1º ottobre 1991, consegnata al dott. Felice LIMA della Procura di Catania.

Per concludere su questa, più grave, anomalia, si può oggi ritenere, allo stato degli atti, che il “rapporto” illecitamente pervenuto all’on. Salvo LIMA e visto dallo stesso SIINO non era quello consegnato il 20 febbraio 1991 al dott. FALCONE; ma era bensì una diversa documentazione, che in quel periodo era in possesso esclusivamente degli investigatori del ROS.

E si possono altresì porre i seguenti interrogativi:

  • Chi poteva avere insieme la possibilità e l’autorità di epurare l’informativa, espungendo le fonti di prova riguardanti i politici DE MICHELIS, LIMA, NICOLOSI, MANCINO, LOMBARDO, prima che venisse consegnata, così epurata, alla Procura di Palermo?
  • Perché qualcuno ha deciso di operare queste omissioni? E più in particolare, le omissioni effettuate nell’interesse di MANNINO e NICOLOSI sono state allora frutto di preliminari intese con gli stessi NICOLOSI e MANCINO, “che avevano contattato i Carabinieri dicendo di puntare su SIINO”? 

 

 

Capitolo 3º

Il potenziale sviamento delle indagini nel 1992, dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio.

Una quarta, ed altrettanto grave, anomalia ha riguardato in quel contesto il potenziale sviamento delle indagini mafia-appalti allora condotte dalla Procura di Palermo, per accreditare la falsa tesi di un sistema di manipolazione degli appalti operante anche in Sicilia senza alcuna significativa presenza di Cosa Nostra.

Tale pericolo fu già rilevato nella citata Relazione al CSM del 7 dicembre 1992, allorché si osservò (pagg. 40-41):

“Ma, quel che è più grave, la ricostruzione della complessa vicenda SIRAP operata dal P.M. di Catania dott. LIMA, sulla base delle dichiarazioni a lui rese da LI PERA Giuseppe, appare, nella sua parzialità, fuorviante rispetto alle acquisizioni probatorie della Procura di Palermo, e sicuramente si presterà a strumentalizzazioni da parte degli imputati tratti a giudizio a Palermo per il reato di cui all’art. 416 bis c.p..

Le citate dichiarazioni, invero, delineano un sistema di controllo degli appalti esercitato da un “triangolo”, costituito esclusivamente da uomini politici, imprenditori e funzionari pubblici.

La ricostruzione del LI PERA confligge quindi, come si è spiegato, con le risultanze processuali già acquisite da questa Procura della Repubblica e dai Carabinieri del R.O.S., secondo le quali – in Sicilia, e precipuamente nella provincia di Palermo – il sistema degli appalti è sottoposto al controllo di Cosa Nostra, che si avvale a tal fine dei metodi di intimidazione propri di tale associazione (compresi omicidi di imprenditori che non intendono assoggettarsi alle regole imposte dalla organizzazione mafiosa).

Ad esempio, secondo le dichiarazioni rese dal LI PERA al P.M. di Catania, il SIINO non sarebbe che un piccolo imprenditore con un “certo peso” alI’interno di un “comitato di affari”, costituito esclusivamente da imprenditori, uomini politici e pubblici dipendenti.

E’ chiaro come tale impostazione, se cristallizzata, giovi agli imputati del processo di Palermo; poiché comporterebbe:

  • la sostanziale fuoruscita processuale dal mondo degli appalti dell’organizzazione mafiosa “Cosa Nostra”, che in esso si limiterebbe a svolgere un ruolo marginale;
  • la derubricazione dell’accusa da associazione mafiosa (art. 416 bis) ad associazione per delinquere comune (art. 416 bis c.p.), finalizzata alle turbative d’asta, con la potenziale scarcerazione di tutti gli imputati (Ed è significativo il fatto che proprio questa tesi è da tempo sostenuta, sia pure subordinatamente alla tesi dell’innocenza piena, dalle difese del SIINO e di quasi tutti i coimputati).

E’ da rimarcare, infine, il fatto che soltanto dopo la trasmissione degli atti alla Procura di Palermo, negli interrogatori resi ai Pubblici Ministeri di quest’Ufficio, il LI PERA ha iniziato a fare le prime, timide ammissioni suII’interferenza di Cosa Nostra nel mondo degli appalti, mostrando così i segni di un primo, parziale rapporto di attendibile collaborazione”.

Fatto sta che l’indagine del Cap. DE DONNO si sviluppò oggettivamente secondo la linea del LI PERA, accreditando la tesi di un sistema di manipolazione degli appalti gestito da un triangolo costituito da politici, burocrati e imprenditori, senza alcuna significativa presenza della mafia; e ciò in palese contraddizione con la tesi investigativa (peraltro esatta) che era stata sostenuta dallo stesso R.O.S. nella informativa originaria presentata alla Procura di Palermo.

Capitolo

Le indagini della Procura di Palermo nel 1993.

 

Fortunatamente (e malgrado le numerose anomalie ed interferenze surricordate) su linee ben diverse procedevano invece le indagini della Procura di Palermo, che – a seguito di una ulteriore intensa attività istruttoria

– già in data 17 maggio 1993 presentava al GIP la richiesta di custodia cautelare n. 6280/92 N.C. – D.D.A.17, contro RIINA Salvatore ed altri 24 indagati (appartenenti a Cosa Nostra e/o al circuito della corruzione politico- amministrativa)l8, per i reati di associazione mafiosa (artt. 416, commi 1, 2, 3 e 5 C.P.), di illecita concorrenza con minaccia o violenza (artt. 81 cpv., 110, 112 n.1, e 513 bis C.P.) e di corruzione (artt. 81, 110, 319 e 321 C.P.).

A tale risultato si giungeva perché – a partire dalla metà del 1992 – veniva a determinarsi una svolta nelle indagini.

Per un verso, esponenti di rilievo di Cosa Nostra iniziavano infatti a collaborare con l’A.G., rivelando quanto a loro conoscenza sull’organizzazione mafiosa alla quale erano stati affiliati, sulla sua struttura e le sue dinamiche interne, sulle molteplici attività delittuose poste in essere dai vari affiliati.

In tale contesto, riferivano anche la progressiva evoluzione dei rapporti tra Cosa Nostra ed il mondo imprenditoriale, evoluzione in esito alla quale l’organizzazione mafiosa tendeva sempre più ad assumere un ruolo di predominanza e a realizzare un controllo integrale e verticistico del settore degli appalti pubblici in Sicilia.

Per altro verso, anche a seguito della collaborazione di esponenti del mondo imprenditoriale e dell’acquisizione dell’esito delle indagini svolte sulla S.I.R.A.P. S.p.a., era possibile pervenire ad una più completa ricostruzione del sistema di illecita gestione delle gare di appalto in Sicilia, individuando con maggiore precisione di contorni i ruoli svolti all’interno di tale sistema da Cosa Nostra e dai comitati di affari – costituiti da imprenditori, esponenti politici, pubblici funzionari – nonché i rapporti diversificati esistenti tra tali comitati e l’organizzazione mafiosa.

Le ulteriori acquisizioni probatorie sostanzialmente consentivano di accertare che, nella seconda metà degli anni ’80, l’organizzazione mafiosa aveva cominciato ad inserirsi in un preesistente sistema di illecita lottizzazione spartitoria degli appalti pubblici, dapprima dominato esclusivamente da gruppi imprenditoriali, esponenti politici e pubblici funzionari.

Tale inserimento, nel prosieguo del tempo, iniziava progressivamente a dilatarsi, tendendo ad acquisire in alcuni settori un ruolo di controllo integrale e verticistico, restringendo in altri lo spazio prima riservato esclusivamente ai comitati di affari, e stabilendo in altri ancora un rapporto di coesistenza con i predetti comitati d’affari.

 

E’ ancora utile citare qui, testualmente, quanto al riguardo questa Procura osservava nella già citata richiesta del 17 maggio 1993 sulle linee essenziali di tale processo evolutivo:

“EVOLUZIONE DEI RAPPORTI TRA COSA NOSTRA E MONDO IMPRENDITORIALE

 

LA GUERRA DI MAFIA, LA RISTRUTTURAZIONE VERTICISTICADELL’ORGANIZZAZIONE MAFIOSA E LA TRANSIZIONE DALLOSFRUTTAMENTO PARASSITARIO ALL’INSERIMENTO NEL SISTEMA DI CONTROLLO DEGLI APPALTI

 

 

 

“I rapporti tra Cosa Nostra e il mondo imprenditoriale iniziano a mutare negli anni ’80, in coincidenza con il processo di radicale trasformazione e di ristrutturazione verificatosi nell’organizzazione in quel periodo.

Prima dell’esplosione della guerra di mafia nell’anno 1981, Cosa Nostra aveva un assetto interno di tipo “democratico-pluralistico”, in cui veniva riconosciuta una larga autonomia ai capi-famiglia e ai capi-mandamento. L’organo di vertice, la Commissione, si occupava solo delle questioni che coinvolgevano gli interessi generali dell’organizzazione.

All’interno di tale sistema vigeva in modo rigoroso il principio della territorialità, in forza della quale ogni famiglia esercitava un controllo pressoché assoluto su tutte le attività lecite ed illecite che si svolgevano nel territorio di sua pertinenza.

Il rapporto con il mondo imprenditoriale e dell’economia rifletteva dunque il frazionamento interno dell’organizzazione, e si esauriva nel cerchio chiuso delle competenze territoriali delle varie famiglie, ciascuna delle quali imponeva nel proprio spazio di sovranità varie forme di taglieggiamento agli imprenditori (pagamento di tangenti, imposizione di subappalti e di forniture, guardianie), tutte improntate a logiche arcaiche di sfruttamento parassitario.

L’inserimento nel circuito economico-imprenditoriale di alcune imprese, facenti capo a singoli uomini d’onore, rappresentava in questo contesto complessivo un fenomeno marginale, inidoneo a mutare gli equilibri generali di fondo con il mondo imprenditoriale.

Dopo la guerra di mafia e la sistematica eliminazione di tutti gli esponenti della c.d. ala “tradizionalista”, il gruppo vincente dei corleonesi ha stabilmente occupato la struttura di vertice dell’organizzazione mafiosa operando una concentrazione progressiva delle leve del potere in tale struttura.

In questo processo di verticizzazione e di concentrazione del potere è mutato non solo l’assetto complessivo di Cosa Nostra, trasformatasi in una sorta di Stato autocratico e quasi dittatoriale, ma anche la filosofia delle relazioni stesse dell’organizzazione con il mondo politico- istituzionale ed il mondo imprenditoriale.

Da una filosofia di convivenza parassitaria e di infiltrazione occulta nel tessuto politico-istituzionale-economico, si passa ad una filosofia volta ad affermare un ruolo di supremazia di Cosa Nostra.

Tale mutamento delle relazioni esterne si è manifestato nei confronti del mondo politico-istituzionale in modo inequivocabile ed appariscente mediante una lunga serie di eclatanti delitti di uomini delle istituzioni e di esponenti politici, raggiungendo da ultimo il suo culmine nella strategia dello stragismo.

Parallelamente e in modo analogo, il modulo dei rapporti con il mondo imprenditoriale inizia a subire un processo di differenziazione evolutiva speculare al nuovo assetto di Cosa Nostra.

Le varie famiglie mafiose, dotate di poteri, risorse e spazi di manovra limitati, restano ancorate alle collaudate tecniche di sfruttamento parassitario delle imprese che operano nei territori di loro pertinenza.

Il gruppo dei corleonesi, saldamente insediato al vertice dell’organizzazione, attrae invece progressivamente nell’orbita della propria esclusiva competenza la gestione dei rapporti con le imprese che operano nel campo degli appalti pubblici.

In tale specifico settore il gruppo dirigente, che dispone in modo verticistico e totalitario dell’intera struttura organizzativa di Cosa Nostra articolata nel territorio dell’isola, decide di intervenire invadendo un terreno prima dominato esclusivamente da imprese di dimensione nazionale e dai loro referenti politici: il sistema di illecita spartizione lottizzatoria degli appalti pubblici.

Tale tipo di intervento, prima esplicato solo per alcune gare, viene progressivamente sistematizzato e pianificato su tutto il territorio, consentendo all’organizzazione mafiosa di erodere sempre di più gli spazi di gestione dei comitati di affari politico-imprenditoriali.

Viene così a determinarsi una sorta di potenziale duopolio, in cui l’illecito “mercato” degli appalti pubblici viene sottoposto al controllo integrale e verticistico di due soggetti forti: Cosa Nostra e i comitati di affari, gli uni e gli altri aventi spesso i medesimi referenti politici e amministrativi, percettori delle tangenti.

Tra questi due soggetti forti vengono a stabilirsi rapporti mutevoli e diversificati, a volte di coesistenza, a volte di contingente alleanza, a volte di subordinazione dei comitati a Cosa Nostra.

Il ruolo di progressivo protagonismo, assunto in Sicilia da Cosa Nostra nel sistema di “tangentopoli”, costituisce un caso unico nel panorama nazionale, e rende ragione dei motivi per cui, a differenza che in altre regioni d’ltalia, gli imprenditori attinti a vario titolo dalla presente inchiesta hanno generalmente assunto un atteggiamento di ostinata omertà, chiudendosi a qualsiasi collaborazione con l’Autorità Giudiziaria.

I pochi disponibili a fornire utili informazioni all’A.G. hanno limitato il proprio contributo conoscitivo al versante della corruzione politico- amministrativa, tentando di accreditare una visione generale del fenomeno dell’illecita gestione delle gare di pubblico appalto in Sicilia in tutto analoga a quella di altre regioni d’Italia: una nomenclatura partitocratica onnivora, saldamente insediata in tutti gli snodi nevralgici delle stazioni appaltanti, che condizionava l’erogazione dei finanziamenti per le opere pubbliche al pagamento di tangenti, operando poi in modo da pilotare l’aggiudicazione delle gare a favore delle imprese pagatrici.

Tale ricostruzione rispecchia certamente una parte della realtà, ma diviene gravemente mistificatoria nella misura in cui, tentando di accreditarsi come totalizzante, pone in ombra il pregnante ruolo di coprotagonismo svolto da Cosa Nostra.

E, al riguardo, è certamente gravido di significati il fatto che Cosa Nostra abbia tentato ripetutamente di interferire sulle indagini oggetto del presente procedimento, svolgendo – mediante uomini d’onore di rango quali ADELFIO Francesco, PIPITONE Federico, BENENATI Simone e BATTAGLIA Fedele – pressioni intimidatorie su un soggetto, LI PERA Giuseppe, capo area per la Sicilia della RIZZANI DE ECCHER S.p.a., che, avendo operato a lungo nel settore dei pubblici appalti ed essendo entrato in contatto con grandi imprese, pubblici funzionari, politici ed esponenti di Cosa Nostra, era ritenuto essere depositario di un patrimonio conoscitivo suscettibile di illuminare anche gli aspetti del fenomeno che coinvolgevano il ruolo dell’organizzazione mafiosa.

E’ altresì significativo il fatto che il LI PERA, in una prima fase della sua collaborazione con l’A.G. (Procura di Catania), si è limitato a riferire le sue conoscenze sul versante della corruzione politico-amministrativa e che, solo in un secondo momento, quando è stato sottoposto a programma di protezione, ha iniziato a riferire a questa Procura notizie anche sulla realtà mafiosa…

Nel processo di graduale transizione dalla fase in cui Cosa Nostra si limitava solo ad uno sfruttamento parassitario del mondo imprenditoriale, alla fase in cui l’organizzazione mafiosa comincia ad assumere un ruolo di coprotagonismo nel controllo del settore dei lavori pubblici in Sicilia, una funzione essenziale viene svolta da alcuni personaggi chiave.

Va infatti considerato che, mentre l’imposizione di una tangente o di un subappalto si esaurisce in un rapporto duale e può essere realizzata con semplici e brutali atti di forza, senza necessità di alcuna competenza tecnica, l’inserimento stabile nel complesso sistema di governo spartitorio degli appalti pubblici comporta una approfondita conoscenza dei sofisticati meccanismi di pilotaggio delle gare di appalto, il possesso di una solida rete di relazioni con il mondo imprenditoriale, con esponenti politici, pubblici funzionari e grandi capacità di mediazione.

L’infiltrazione di Cosa Nostra nel sistema viene quindi attuata mediante alcuni personaggi organicamente collegati all’associazione mafiosa, i quali, per essere dotati dei necessari requisiti – know how tecnico, dislocazione strategica in punti chiave del sistema, patrimonio di relazioni personali -, sono in grado di svolgere l’infungibile e delicata funzione di interfaccia fra Cosa Nostra e mondo imprenditoriale.

Le indagini esperite hanno consentito di individuare alcuni di questi soggetti chiave nelle persone di Angelo SIINO, Giuseppe MODESTO, Giuseppe ZITO, Giuseppe LIPARI, Francesco MARTELLO.

Emblematica è al riguardo, per la centralità del suo ruolo, la vicenda di Angelo SIINO, un personaggio che, unitamente a Giuseppe MODESTO, attraversa da protagonista il passaggio di fase sopra descritto e che racchiude nello spaccato della sua storia personale le coordinate essenziali dell’intera vicenda complessiva.

Il SIINO era, unitamente ai suoi familiari, titolare di alcune imprese che operavano nel settore dei lavori pubblici e conosceva, dunque, dall’interno, i complessi meccanismi sottesi al pilotaggio delle gare di appalto.

Egli era inoltre iscritto alla massoneria (Loggia Oriente di Palermo Orion) ed aveva stabilito solidi legami con esponenti politici e pubblici amministratori.

Le modeste dimensioni delle sue imprese non gli consentivano comunque di acquisire un ruolo stabile e significativo nel “mercato” degli appalti pubblici, entrando nel “grande giro” e affrontando in modo vincente la competizione con gruppi imprenditoriali di respiro nazionale.

Il SIINO si rende tuttavia conto di poter disporre di una forza strategica di straordinaria rilevanza, idonea a capovolgere i rapporti di forza.

Da tempo egli era infatti molto vicino alla famiglia mafiosa dei BRUSCA di San Giuseppe Jato (BRUSCA Giovanni era socio occulto della LITOMIX S.p.a. di cui il SIINO è socio) e a DI MAGGIO Baldassare, il quale reggeva di fatto il mandamento di San Giuseppe Jato nel periodo in cui Bernardo BRUSCA era detenuto e Giovanni BRUSCA si trovava a Linosa in quanto sottoposto al regime della dimora obbligata.

Tramite il DI MAGGIO, SIINO dunque entra in contatto con Salvatore RIINA, proponendo al vertice di Cosa Nostra di assumere una funzione di regolamentazione delle gare di appalto e ponendo a disposizione dell’organizzazione mafiosa l’esperienza da lui acquisita nel settore ed il suo corredo di relazioni.

Il SIINO prospetta i vantaggi economici che ne possono derivare a Cosa Nostra.

In un regime di libera concorrenza, le imprese che partecipano alle gare di appalto sono costrette ad offrire ribassi consistenti (fino al 20 %) per ottenere l’aggiudicazione dei lavori.

L’entità dei ribassi incideva sui margini di profitto delle imprese e, conseguentemente, riduce notevolmente la possibilità di fronteggiare la richiesta di tangenti da parte di Cosa Nostra.

Se l’organizzazione mafiosa fosse riuscita a coordinare la partecipazione alle gare e le offerte delle imprese partecipanti, si sarebbe realizzata una regolamentazione del mercato che avrebbe comportato notevoli vantaggi economici.

Ed infatti, mediante un sistema di rotazione programmata, tutte le imprese avrebbero avuto la garanzia di ottenere a turno l’aggiudicazione di appalti pubblici, offrendo il minimo ribasso.

Il notevole incremento dei margini di profitto avrebbe consentito alle imprese di lucrare un maggiore guadagno e di erogare maggiori tangenti a Cosa Nostra e ai politici.

Il sistema della turnazione avrebbe evitato scontenti e l’innescarsi di pericolosi conflitti. Cosa Nostra, inoltre, avrebbe avuto la possibilità di favorire le imprese più vicine all’organizzazione.

All’interno di tale sistema, egli si sarebbe assunto il compito di stabilire gli accordi con le imprese prequalificate nelle varie gare di appalto (di cui, tramite i suoi referenti, era in grado di conoscere in anticipo l’elenco) e con i referenti politici e amministrativi.

Il metodo proposto dal SIINO viene fatto proprio dal vertice di Cosa Nostra e sperimentato dapprima in ambito ristretto: gli appalti banditi dalla Provincia di Palermo.

A tal fine il SIINO, su ordine di RIINA Salvatore, viene “accreditato” da DI MAGGIO Baldassare come l’emissario di Cosa Nostra nel mondo degli appalti presso tutti i terminali dell’organizzazione diffusi nel territorio dell’isola – capi-mandamento, capi-famiglia, imprenditori-uomini d’onore, imprenditori vicini all’organizzazione mafiosa –

Avvalendosi dell’enorme carica di intimidazione promanante da Cosa Nostra e della sua sofisticata struttura organizzativa diffusa su tutto il territorio, il SIINO comincia gradualmente a crescere di statura e a conquistare a Cosa Nostra (spazi) di intervento sempre più ampi.

Nel tempo al SIINO si affiancano altri personaggi, come l’imprenditore MODESTO Giuseppe, vicinissimo ai corleonesi, i quali seguono un percorso analogo.

Comincia così la lunga e sotterranea “escalation” di Cosa Nostra nel mondo degli appalti pubblici.

Attraverso tali vettori di penetrazione e con una sapiente strategia di alleanze intessute con i soggetti forti dell’economia isolana e nazionale, il “metodo SIINO” – e quindi l’intervento di Cosa Nostra – prima si diffonde a pelle di leopardo espandendosi dagli appalti banditi dalla Provincia di Palermo a quelli banditi da altri enti pubblici e poi, da metodo, tende a trasformarsi, nella seconda metà degli anni ’80, in un sistema globale di controllo verticale degli appalti pubblici sull’intero territorio dell’isola che, come si spiegherà più appresso, coesiste in Sicilia con il previgente sistema di illecita spartizione degli appalti pubblici, governato dai comitati di affari politico-imprenditoriali.

Nel suo stadio finale il sistema assume la seguente strutturazione.

Il vertice di Cosa Nostra seleziona a monte gli appalti pubblici sui quali intervenire, informando preventivamente la famiglia nel cui territorio dovranno eseguirsi i lavori appaltati affinché non si creino indebite interferenze locali.

SIINO Angelo, MODESTO Giuseppe e CALA’ Calogero (altro esponente di Cosa Nostra già tratto in arresto su ordine dell’A.G. di Caltanissetta per il reato di cui all’art. 416 bis C.P.) seguono gli appalti così selezionati dalla fase del finanziamento a quella della esecuzione delle opere.

Nella prima fase, cioè quella del finanziamento, il SIINO e gli altri intrattengono personalmente rapporti con quegli esponenti del mondo politico e delle Pubbliche Amministrazioni interessate che svolgono un ruolo ai fini dell’approvazione e dell’erogazione del finanziamento.

Nella seconda fase, quella dello svolgimento della gara, viene predeterminata l’aggiudicazione dell’appalto all’impresa previamente prescelta dall’organizzazione mediante tecniche di manipolazione le cui modalità variano a seconda del tipo di gara.

Nella maggior parte delle gare che si svolgono con il sistema della licitazione privata, la manipolazione avviene mediante la preventiva determinazione dei ribassi che ciascuna impresa deve indicare nella sua offerta.

In alcune gare vengono predisposti dei bandi che, mediante accorte “griglie” di sbarramento, circoscrivono il numero delle imprese abilitate a partecipare.

Lo stesso imprenditore a cui Cosa Nostra ha garantito l’aggiudicazione dell’appalto contatta gli altri imprenditori interessati alla gara e concorda con loro il comportamento da seguire, sia per quanto riguarda la partecipazione o meno, sia per quanto riguarda l’indicazione del ribasso da parte di ciascuna impresa partecipante.

Gli imprenditori preselezionati in genere riescono a “chiudere”, a raggiungere cioè d’intesa con gli altri imprenditori senza alcuna necessità di interventi diretti di Cosa Nostra, in quanto questi ultimi ben sanno che esiste un sistema di turnazione e che, comunque, l’impresa che chiede alle altre il “pass”, cioè l’astensione dal partecipare alla gara o la partecipazione presentando offerte di appoggio, ha avuto a monte la garanzia dell’aggiudicazione dell’appalto impegnandosi a pagare la relativa tangente.

La tangente viene pagata dalle imprese al SIINO e agli altri referenti territoriali di Cosa Nostra, i quali poi provvedono direttamente a distribuire le relative quote di spettanza dei politici, dei pubblici amministratori, della famiglia del luogo in cui devono essere eseguiti i lavori e della Commissione, quest’ultima introitata da RIINA Salvatore e destinata alle spese generali dell’organizzazione (spese per i processi, per l’acquisto di armi, etc.).

Le nuove regole imposte da Cosa Nostra vengono comunicate dal SIINO ad alcuni dei più importanti imprenditori dell’isola nel corso di varie riunioni appositamente convocate in quasi tutte le province.

Si tratta di imprenditori che, pur non appartenendo a Cosa Nostra, sono ritenuti “affidabili” dall’organizzazione mafiosa e che, per il loro peso nel panorama imprenditoriale, possono attivamente collaborare al buon funzionamento del sistema intervenendo con la loro influenza ove necessario.

Il funzionamento “fisiologico” del sistema sopra descritto rende scarsamente visibile la regia occulta di Cosa Nostra.

I metodi di manipolazione delle gare, di pagamento delle tangenti, sono infatti in tutto analoghi a quelli posti in essere autonomamente in altre gare di appalto dai comitati di affari imprenditoriali-politici.

Il compito di “chiudere” gli accordi viene svolto direttamente dall’impresa designata dagli emissari di Cosa Nostra, senza che costoro siano costretti ad esporsi direttamente nei confronti delle altre imprese partecipanti alle gare, le quali, quindi, possono anche restare all’oscuro del fatto che l’impresa predestinata ad aggiudicarsi l’appalto sia stata selezionata da Cosa Nostra, e ritenere che quella impresa abbia “trattato” l’aggiudicazione dell’appalto direttamente con i politici erogatori del finanziamento.

L’autentico volto mafioso dell’organizzazione emerge in modo inequivocabile nei momenti di crisi, cioè nei casi in cui occorre ricondurre al rispetto delle “regole” imprenditori che non si adeguano subito perché non consapevoli degli specifici interessi di Cosa Nostra in determinate gare.

In tali casi interviene direttamente il referente territoriale di Cosa Nostra e, in particolare, quando si tratta di imprese nazionali, intervengono sempre personalmente Angelo SIINO e MODESTO Giuseppe. Normalmente l’ostacolo viene superato.

Emblematico al riguardo è l’episodio… della rinuncia della TOR Dl VALLE S.p.a. a presentare ricorso avverso l’esclusione dalla gara indetta dalla S.I.R.A.P. per l’appalto dei lavori di completamento infrastrutturale dell’area mista della Madonnuzza in Petralia Soprana (importo di circa 26 miliardi), aggiudicato alle imprese di SIINO Angelo e di FARINELLA Cataldo (altro imprenditore mafioso).

Se ciononostante l’imprenditore continua ad opporre resistenza, si ottiene la sua esclusione dalla gara con metodi fraudolenti, come la sottrazione di documenti dalla busta contenente la sua offerta.

In casi estremi si fa ricorso all’assassinio, che assolve al duplice scopo di rimuovere un ostacolo e di accrescere la forza di intimidazione dell’organizzazione nei confronti di tutti gli operatori economici (in attuazione del principio secondo cui colpendone uno se ne “educano” cento).

Se, infine, per un imprevisto, per un errore, un’impresa “out sider” riesce ad aggiudicarsi un appalto già predestinato ad altri, l’impresa può essere costretta da Cosa Nostra a versare l’intero margine del suo guadagno all’impresa predestinata, oppure a corrispondere l’equivalente della tangente da questa anticipata, o, ancora, a cedere parte del guadagno mediante subappalti a imprese mafiose e acquisti di forniture dalle stesse. Il sistema di controllo integrale sopra descritto comprende a valle anche la fase dell’esecuzione dei lavori, nella quale vengono tutelati gli interessi degli esponenti di Cosa Nostra nel territorio in cui i lavori sono eseguiti,

mediante subappalti ad imprese mafiose e l’acquisto di forniture dalle stesse.

La complessa ricostruzione probatoria del sistema sopra tratteggiato si è resa possibile solo a seguito dell’integrazione delle risultanze probatorie acquisite in precedenza nel procedimento nr. 2789/90 N.C. a carico di SIINO Angelo ed altri (precipuamente intercettazioni telefoniche e riscontri documentali) con il sopravvenuto contributo conoscitivo offerto da vari collaboratori di giustizia già appartenenti a Cosa Nostra, alcuni dei quali (MESSINA Leonardo e DI MAGGIO Baldassare) avevano acquisito una peculiare specializzazione nel settore dei pubblici appalti.

La peculiare difficoltà delle indagini è derivata dal fatto che, come si è già accennato, altri soggetti collaboranti, non appartenenti a Cosa Nostra, avevano prospettato che in Sicilia vigeva, come nel resto del paese, un sistema di controllo e di lottizzazione spartitoria degli appalti pubblici imperniato esclusivamente sulla triade imprese-politici-pubblici funzionari, sistema nell’ambito del quale la criminalità mafiosa si limitava a svolgere un ruolo di sfruttamento parassitario nella fase dell’esecuzione dei lavori. Quello che si è descritto costituiva un sistema in evoluzione dinamica, dotato di grandi potenzialità espansive e che, tuttavia, pur muovendosi nella direzione di un disegno strategico di graduale conquista di quote sempre più consistenti del mercato degli appalti, non aveva ancora assunto una dimensione totalizzante, sino a ricomprendere tutte le gare di pubblico appalto nell’isola.

Gli stessi collaboratori di giustizia già appartenenti a Cosa Nostra hanno chiarito che il sistema operava solo per quelle gare d’appalto individuate dal vertice di Cosa Nostra come di interesse dell’organizzazione.

L’ulteriore sviluppo delle indagini, ed il contributo conoscitivo offerto da altri collaboratori di giustizia non appartenenti a Cosa Nostra, hanno altresì consentito di accertare che il suddetto sistema si è innestato, ivi ricavando i suoi spazi di gestione, in un preesistente, più ampio e generalizzato sistema di lottizzazione spartitoria degli appalti pubblici fondato sul pagamento di tangenti da parte delle imprese ai politici erogatori di finanziamenti pubblici e a funzionari delle stazioni appaltanti. Ed è proprio la generalizzazione dei comportamenti illeciti che permeano l’intero settore dei pubblici appalti ad avere agevolato l’ingresso e I’ “escalation” in tale settore di Cosa Nostra, la quale, in sostanza, ha mutuato gli stessi schemi operativi già collaudati dagli operatori economici e dagli esponenti del circuito politico-amministrativo, stabilendo con essi un “modus convivendi”, e potendo fare affidamento su un clima di totale omertà che deriva non solo dalla forza di intimidazione promanante dall’organizzazione mafiosa, ma anche dal comune interesse ad occultare la fitta rete delle complicità su cui si fondano l’uno e l’altro sistema e i rilevantissimi interessi economici in essi coinvolti…

Le indagini complessive hanno inoltre consentito di accertare che i rapporti tra i due sistemi si articolavano sul seguente triplice modulo:

A)                     Appalti gestiti da Cosa Nostra.

In questa ipotesi, gli imprenditori si limitavano a seguire le direttive impartite dagli emissari dell’organizzazione mafiosa senza stabilire rapporti con i politici e i pubblici amministratori percettori delle tangenti. Gli importi globali delle tangenti, comprendenti le quote di pertinenza dei politici e di Cosa Nostra, venivano versate direttamente ai referenti di Cosa Nostra i quali provvedevano poi alla ripartizione interna delle varie quote.

B)                     Appalti gestiti da imprenditori.

In questa ipotesi gli imprenditori, dopo avere ottenuto dai loro referenti politici e amministrativi l’erogazione del finanziamento dell’opera pubblica da appaltare, operavano autonomamente in modo da pilotare l’aggiudicazione dell’appalto a loro favore mediante accordi collusivi con i politici, con i pubblici amministratori (redazione di bandi di gara con particolari griglie di sbarramento, comunicazione di informazioni riservate, favoritismi in sede di valutazione tecnico-discrezionale di progetti di miglioramento tecnico, etc.), e con le altre imprese, alle quali veniva chiesto di non partecipare alla gara o di presentare offerte concordate di appoggio.

Le tangenti venivano pagate al momento dell’erogazione del finanziamento e/o al momento dell’aggiudicazione della gara.

In questi casi il rapporto con Cosa Nostra veniva instaurato solo nella fase di esecuzione dei lavori, nella forma del pagamento di tangenti, della concessione di subappalti ad esponenti delle famiglie mafiose del luogo di esecuzione dei lavori.

C)                     Appalti gestiti da imprenditori con richiesta di intervento a Cosa Nostra

Si tratta di una variante dell’ipotesi sub b), che si verifica nel caso in cui l’impresa che ha gestito direttamente con i politici l’aggiudicazione dell’appalto a suo favore, si trovi in difficoltà in quanto non riesce a coordinare e controllare il comportamento di altre imprese concorrenti che si rifiutano di concedere il “pass”.

In questa ipotesi, viene richiesto l’intervento dei referenti territoriali di Cosa Nostra i quali rimuovono l’ostacolo utilizzando metodologie mafiose.

Uno spaccato del perverso intreccio tra interessi mafiosi e politico- affaristici è emerso dalle indagini sulla S.l.R.A.P. S.p.a., nel corso delle quali è stato possibile accertare come l’organizzazione mafiosa avesse acquisito ampi spazi di gestione e di condizionamento delle gare di appalto curate dalla predetta concessionaria pubblica, collocando i suoi uomini in alcuni snodi strategici…”.

Capitolo

Le indagini della Procura di Palermo negli anni 1994-1995.

 

L’attività di indagine della Procura di Palermo su mafìa-appalti proseguiva intensamente nel 1994, allorché si predisponeva e attuava un articolato programma di lavoro, demandato ai magistrati della c.d. Sezione appalti, allora coordinati dal Procuratore Aggiunto LO FORTE*’.

Dal procedimento-base n. 6280/92 n.c. si sviluppavano in forma coordinata i seguenti principali fermi di indagine:

 

 

Indagini per il reato di cui all ‘art. 416 bis c.p.

 Tale tranche del procedimento n. 6280/92 n.c. veniva stralciata in modo da ottenere il rinvio a giudizio degli indagati del reato di cui all’art. 416 c.p. entro il 25 maggio 1994, data di scadenza della custodia cautelare cui erano sottoposti molti degli indagati.

Le indagini venivano quindi completate nell’ambito del procedimento

  1. 2752/94 n.c.; e quindi – con decreto del G.I.P. n. 2655/94 GIP del 18 maggio 1994 – venivano rinviati a giudizio, per i reati loro contestati, RIINA Salvatore, BRUSCA Bernardo, BRUSCA Giovanni, BRUSCA Emanuele, MODESTO Giuseppe, LA BARBERA Michelangelo, LIPARI Giuseppe, BUSCEMI Antonino, MARTELLO Francesco, ZITO Giuseppe e GIUFFRÈ Antonino.

E’ utile ricordare che – a sostegno dell’impianto accusatorio – erano state acquisite fonti di prova costituite essenzialmente da:

  • indagini di g. svolte anche in altri procedimenti;
  • dichiarazioni di collaboratori di giustizia già appartenenti a Cosa Nostra (Francesco MARINO MANNOIA, Gaspare MUTOLO, Leonardo MESSINA, Giuseppe MARCHESE, Giovanni DRAGO, Baldassare DI MAGGIO, Mario Santo DI MATTEO, Gioacchino LA BARBERA, Salvatore CANCEMI);
  • dichiarazioni di testimoni (PINO Aurelio Napoleone) e di imputati di reato connesso appartenenti al circuito imprenditoriale-politico- amministrativo (Giuseppe LI PERA, Giuseppe GIACCONE, Vincenzo LODIGIANI, Giuseppe COSTANZO, Filippo SALAMONE, Claudio DE ECCHER, Gianfranco DEFFENDI).

Detto impianto accusatorio veniva poi pressoché integralmente accolto con sentenza del Tribunale di Palermo n. 459/94 R.G. Trib. del 16 luglio 1996.

2.

Vicenda Sirap

 

Tale rilevante vicenda (punto di raccordo fra gli interessi politico- affaristici e quelli mafiosi) veniva trattata, nell’ambito del procedimento n. 5708/94 n.c.24, unitamente all’associazione per delinquere semplice volta al controllo degli appalti pubblici in Sicilia, composta da esponenti politici (Rosario NICOLOSI e Salvatore Turi LOMBARDO) e da imprenditori (Filippo SALAMONE, Claudio DE ECCHER, Vincenzo LODIGIANI, Giuseppe COSTANZO, etc.), nonché unitamente al collegato procedimento per bancarotta fraudolenta della stessa SIRAP S.p.a.

Nell’ambito del medesimo procedimento, veniva sviluppato anche il

3.

Tema relativo alle diverse riscontrate ipotesi di corruzione e violazione dellalegge sul finanziamento dei partiti

 

Si trattava del tema scaturente dalle dichiarazioni di Filippo SALAMONE, Giuseppe COSTANZO, Claudio DE ECCHER e degli altri imprenditori a vario titolo coinvolti e confessi, che avevano chiamato in correità diversi esponenti politici (Rosario NICOLOSI, Calogero MANNINO, Severino CITARISTI, Nicola  CAPRIA,  Sergio MATTARELLA, Michelangelo  RUSSO, Angelo LA RUSSA, Antonio BUTTITTA, Salvatore SCIANGULA, etc.).

Tali indagini davano poi luogo, da un lato, alla richiesta di rinvio a giudizio n. 5708/94 n.c. del 7 ottobre 199425 nei confronti di DE ECCHER Claudio + 45 per i reati:

  • di associazione per delinquere (art. 416 p.), finalizzata alla commissione di più reati di abuso d’ufficio aggravato, di turbata libertà degli incanti, di corruzione aggravata e di concussione, riguardanti la gestione di appalti pubblici e privati;
  • di turbata libertà degli incanti continuata e aggravata (artt. 81, 110, 112 n. 1, 353 c.p.), con riferimento alle gare ed alle licitazioni private indette dalla SIRAP p.a. e da altre amministrazioni pubbliche locali e regionali;
  • di associazione per delinquere (art. 416 p.), finalizzata in particolare alla illecita gestione degli appalti di opere pubbliche finanziati con fondi nazionali e comunitari gestiti dalla Regione Sicilia;
  • di corruzione continuata e aggravata (artt. 81, 110, 319, 319 bis, 321 p.), sempre in relazione alla illecita gestione di appalti pubblici;
  • di violazione aggravata e continuata delle norme sul finanziamento dei partiti (artt. 61 2, 81, 110 c.p., 7 Legge 2 maggio 1974 n. 195, 4 Legge 18 novembre 1981 n. 659 e succ. mod.);
  • di falso in bilancio aggravato e continuato (artt. 61 n. 2, 81, 110 c.p., 2621 cod. civ.);
  • di abuso d’ufficio continuato e aggravato (artt. 81, 110, 323 comma 2º p.);
  • di concussione (art. 317 p.);
  • di bancarotta fraudolenta (artt. 217, 224 D. 16 marzo 1942 n. 267).

Tale richiesta veniva accolta dal GIP con decreto di rinvio a giudizio

  1. 6160/94 R. GIP del 10 aprile 1995, emesso nei confronti degli imputati DE ECCHER Marco, CIARAVINO Antonino, MOSCOLONI Maurizio, ZITO Giuseppe, BARBARO Gaspare, MARTELLO Francesco, NICOLOSI Rosario, ORLANDO Salvatore, MANCINO Calogero, CITARISTI Severino, BUTTITTA Antonio, CAPRIA Nicola, MATTARELLA Sergio, LA RUSSA Angelo, RUSSO Michelangelo, DI VINCENZO Pietro, CANEPA Franco, ARCIDIACONO Renato, SCIANGULA Salvatore, D’ACQUISTO Mario, GRANATA Luigi, ERRORE Angelo, TRINCANATO Gaetano, BARBALACE Vincenzo, LEOTTA Antonino, ANZALONE Gaetano, ANZALONE Luigi, SIRACUSA Antonio, PARASILITI Giovanni, BRUNO Paolo, MALTAURO Enrico.

Per talune ipotesi di reato, ritenute di competenza del Tribunale dei Ministri, nell’ambito del procedimento n. 1584/95 n.c. veniva richiesto ed ottenuto – con decreto del Collegio per i reati ministeriali del Tribunale di Palermo n. 1/93 R.G. del 19 luglio 1996 – il rinvio a giudizio di LATTANZIO Vito, MANNINO Calogero, CAPRIA Nicola, NICOLOSI Rosario, SCIANGULA Salvatore, SALAMONE Filippo, VITA Antonio, MADDALONI Mario, SEBASTI Lionello, per i reati di corruzione continuata e aggravata (artt. 110, 81 cpv., 319, 319 bis c.p.), e di violazione continuata delle norme sul finanziamento dei partiti (artt. 110, 81 cpv c.p., 7 Legge 2 maggio 1974 n. 195 e 4 Legge 18 novembre 1981 n. 685).

5.

Vicenda ANAS

 Le indagini venivano sviluppate nell’ambito del procedimento n. 881/94 n.c.27, e si concludevano – con esito favorevole a11’accusa – con alcune sentenze di patteggiamento.

 

6.

Duomo di Monreale

 Le indagini venivano sviluppate nell’ambito del procedimento n. 3014/95 n.c., e davano luogo alla richiesta di rinvio a giudizio del 14 luglio 1995 nei confronti di CASSISA Salvatore, LIMA Daniela, LIMA Fulvio, CONSALVO Elio, BENENATI Ignazio, DRAGO Antonino, per i reati di tentata concussione (artt. 110, 117, 56, 317 c.p.), di concussione

consumata (artt. 110, 117, 317 c.p.), abuso d’ufficio continuato (artt. 81, 323 commi 1º e 2º c.p.), corruzione continuata e aggravata (artt. 81, 110, 117, 319, 321 c.p.), di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640 bis c.p.), di falso ideologico aggravato in atto pubblico (artt. 61 n. 2, 483, 479 c.p.).

Tale richiesta veniva accolta parzialmente dal GIP, con decreto del 10 aprile 1996, nei confronti degli imputati per quasi tutti i reati contestati; ma poi integralmente – a seguito di appello della Procura – dalla Corte di Appello di Palermo con decreto n. 548/96 R.G. del 16 ottobre 1996.

7.

Vicenda CALCESTRUZZI

 

La vicenda – dopo alcune archiviazioni (conseguenti anche a richieste della Procura non accolte dal GIP), e dopo alcuni provvedimenti di riapertura delle indagini – costituisce attualmente oggetto del procedimento penale n. 1120 /97 N.C. DDA, sul quale v. infra.

 Nel biennio in considerazione, le indagini mafia-appalti della Procura di Palermo riuscivano a compiere un ulteriore significativo progresso, utilizzando al meglio la collaborazione di Ettore CRISAFULLI e di Lorenzo ROSSANO, entrambi imprenditori operanti nel settore degli appalti pubblici, che con le loro dichiarazioni permettevano di acclarare in maniera esaustiva e completa l’esistenza e l’operatività del cosiddetto “metodo SIINO”, nel quale risultavano coinvolti un gran numero di imprenditori e di politici, e tutta una schiera di pubblici funzionari ed amministratori.

Il CRISAFULLI iniziava a collaborare con la Guardia di Finanza nel settembre del 1994, e le sue dichiarazioni consentivano all’organo di polizia giudiziaria di riscontrare, dall’interno e documentalmente, quanto avevano riferito in modo più generico altri collaboratori di giustizia.

In ordine all’inserimento del CRISAFULLI nel c.d. sistema SIINO, quest’Ufficio ne ricostruiva le fasi salienti nella motivazione della richiesta di custodia cautelare n. 3856/95 n.c.-DDA del 26 luglio 199529, formulata nei confronti di 48 soggetti, coinvolti a vario titolo nella illecita spartizione degli appalti, e nel controllo esercitato su questi ultimi dall’organizzazione mafiosa, richiamando testualmente quanto riportato dalla G.d.F. nel corpo dell’informativa n. 537 del 6 dicembre 1994:

“… il CRISAFULLI ha dichiarato che agli inizi degli anni 80 era titolare della I.C.I.

In occasione di un lavoro appaltato presso il Consorzio Alto e Medio Belice, pur avendo vinto la gara non riusciva a firmare il relativo contratto in quanto costretto a temporeggiare da parte di persone del luogo che mal vedevano l’aggiudicazione della gara da parte deII’I.C. I..

Dopo un incidente avvenuto in cantiere, con l’incendio di una pala meccanica, il CRISAFULLI era stato avvicinato dal MADONIA Francesco e ad altre due persone, tutte facenti parte della Calcestruzzi Roccamena.

In tale occasione il MADONIA aveva fatto presente che con la sua presenza la I.C.I. avrebbe potuto lavorare tranquillamente, chiedendo però, come compenso per la sua opera di intermediazione, il 90% delle somme stanziate per la costruzione dell’opera pubblica.

Analogo discorso era successo per un altro appalto e precisamente quello con l’Amap di Palermo del 1983, relativo al risanamento e potenziamento della rete di distribuzione idrica nel villaggio S. Rosalia.

Dopo quest’ultimo lavoro il MADONIA aveva proposto al CRISAFULLI di farlo entrare in società, poiché solo con la sua presenza all’interno dell’amministrazione, la stessa avrebbe potuto continuare a lavorare tranquillamente senza alcun incidente di percorso.

Compito di MADONIA Francesco sarebbe stato quello di gestire finanziariamente la società e di tenere i rapporti con la “ZONA”31, ovvero con le cosche mafiose, al fine di poter fare aggiudicare all’l.C.I. appalti di opere pubbliche.

In effetti l’I.C.I., sempre secondo quanto dichiarato dal CRISAFULLI, ha iniziato a lavorare in modo abbastanza spedito, senza incorrere in incidenti spiacevoli, aggiudicandosi i lavori che le interessavano, pagando i referenti della “zona”, nella misura del 3% sul prezzo base d’asta delle opere appaltate…”.

Questa concreta esperienza personale, narrata con dovizia di particolari dal CRISAFULLI, riconduceva a quello che era il controllo esercitato da Cosa Nostra prima dell’avvento del SIINO, oggetto di trattazione nei precedenti capitoli:

“… Successivamente, nell’anno 1989, il MADONIA riferì a CRISAFULLI di aver avuto il “permesso” per poter contattare Angelo SIINO, già conosciuto attraverso Serafino MORICI.

Infatti una sera dell’autunno 1989 il MADONIA, unitamente allo stesso CRISAFULLI, si recò presso l’abitazione del SIINO, in via Marchese Ugo, ricevendo da quest’ultimo il consenso per ammettere l’l.C.I. alla sua corte, con conseguente passaggio da altre “famiglie” alla “famiglia” del SIINO.

A partire da quel periodo, coincidente con la gara vinta per l’appalto di un lavoro nel comune di Castronovo di Sicilia, l’l.C.I. si è aggiudicata i lavori pubblici con il placet di Angelo SIINO, al quale, quasi     sicuramente, andava a finire il famoso 3% da pagare per la zona” a titolo di tangente. Altri lavori passati attraverso il controllo del SIINO erano quelli delle fognature del Civico di Palermo, del rifacimento dell’impianto elettrico del Carcere dell’Ucciardone, del Consolidamento Ranteria.

Tuttavia per potersi aggiudicare lavori pubblici, l’I.C.I. ha dovuto “foraggiare” anche la Pubblica Amministrazione, in quanto non si è mai mossa una foglia se non si pagava.

Il CRISAFULLI ha così riferito che sin dal primo momento di formazione della volontà della P.A. di effettuare un lavoro, la ditta che si doveva aggiudicare l’appalto doveva pagare tangenti in varia misura.

Si è andati così dal pagamento del 5% del prezzo base di asta per finanziare i progetti (tramite un libero professionista ovviamente compiacente, vedi ad esempio l’lng. Francesco AGGIATO o l’lng. LANZALACO Salvatore di cui si dirà oltre), ad una percentuale oscillante dal 4 al 6-7% per aggiudicarsi la gara, da pagare a rappresentanti della P.A., politici o tecnici, anche al fine di ammorbidire eventuali decisioni che l’organo di controllo (Commissione Provinciale di Controllo, ora CO.RE.CO) doveva prendere (TUBIOLO Natale, GERACI Angelo).

Quindi tutto un sistema di tangenti che servivano per oleare la macchina burocratica.”

La collaborazione del CRISAFULLI permetteva quindi di colmare talune lacune probatorie che si erano evidenziate nell’istruzione dei primi due processi denominati “mafia e appalti”, ed in particolare permetteva di identificare una serie di soggetti appartenenti:

  • alla Pubblica Amministrazione (sindaci, consiglieri comunali, provinciali e regionali, componenti delle Commissioni di Controllo, etc.),
  • al mondo dei professionisti e dei progettisti, concorrenti necessari per realizzare appieno e con successo il “sistema” ideato dal SIINO.

Le indagini nate dalla collaborazione del CRISAFULLI costituivano il naturale proseguimento dei primi due processi “mafia ed appalti”.

 

Invero, come si è già ricordato32, in una prima fase33 la limitatezza del materiale probatorio acquisito (costituito pressoché esclusivamente da trascrizioni di intercettazioni telefoniche e da riscontri di natura documentale), l’accertata caratura mafiosa dei personaggi principali dell’inchiesta34, l’atteggiamento di generalizzata omertà assunto da tutti gli indagati e dai testi, tipico e sicuro sintomo di una condizione di assoggettamento alla forza di intimidazione promanante dall’organizzazione mafiosa, avevano indotto a concentrare le indagini sul ruolo svolto da Cosa Nostra nel sistema di illecito condizionamento delle gare di pubblico appalto e a dimensionare tale ruolo in termini di assolutezza egemonica.

In una seconda fase – a seguito dell’inizio della collaborazione con l’A.G. di vari uomini d’onore appartenenti a Cosa Nostra, di esponenti del mondo imprenditoriale e dell’acquisizione dell’esito delle indagini svolte sulla S.I.R.A.P. S.p.A. – era stato possibile pervenire ad una più completa ricostruzione del sistema di illecita gestione delle gare di appalto in Sicilia, individuando con maggiore precisione di contorni i ruoli svolti all’interno di tale sistema da Cosa Nostra e dai comitati di affari – costituiti da imprenditori, esponenti politici, pubblici funzionari – nonché i rapporti diversificati esistenti tra tali comitati e l’organizzazione mafiosa.

Le ulteriori acquisizioni probatorie (ottenute attraverso la collaborazione degli imprenditori CRISAFULLI e ROSSANO e le indagini svolte dalla G.d.F.) rappresentavano quindi sostanzialmente una terza fase dello stesso procedimento, e consentivano di accertare definitivamente che, a partire dalla seconda metà degli anni ’80, l’organizzazione mafiosa ha cominciato ad inserirsi in un preesistente sistema di illecita lottizzazione spartitoria degli appalti pubblici dapprima dominato esclusivamente da gruppi imprenditoriali, esponenti politici e pubblici funzionari.

Tale inserimento, nel prosieguo del tempo, ha iniziato progressivamente a dilatarsi, tendendo ad acquisire in alcuni settori un ruolo di controllo integrale e verticistico, restringendo in altri lo spazio prima riservato esclusivamente ai comitati di affari, e stabilendo in altri ancora un rapporto di coesistenza con i predetti comitati.

  

 

La posizione degli imprenditori, dei progettisti e dei funzionari della p.a. all’interno dell’associazione mafiosa

  

Le indagini svolte nel biennio in considerazione determinavano poi, come si è detto, un ulteriore significativo progresso, in quanto consentivano di verificare concretamente il pieno coinvolgimento, dal punto di vista giuridico, nel1’associazione di tipo mafioso di vari soggetti che, negli anni precedenti, avevano ricoperto ruoli particolarmente delicati, quali gli imprenditori stessi, i progettisti delle opere pubbliche che dovevano essere realizzate e i funzionari rappresentanti dello Stato.

Val la pena, in proposito, di citare qui testualmente quanto si osservava nella già citata richiesta di custodia cautelare del 26 luglio 1995:

“…    seguendo le impostazioni prevalenti in giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, si può certamente dire che ogni volta che sia accertata storicamente una adesione alla organizzazione mafiosa in condotte con contributo continuativo e sistematico alle attività ed ai fini dell’associazione, tale adesione deve considerarsi permanente, anche al di là dei confini temporali delle condotte accertate, salva la prova di ulteriori fatti positivi che denotino un recesso del partecipe.

Tale presunzione giuridica appare logicamente applicabile non soltanto al partecipe che ha formalmente assunto la qualifica di uomo d’onore, mediante giuramento, ma anche al partecipe che, pur non essendo formalmente combinato, ponga in essere, con consapevole volontà, condotte tali da realizzare un contributo non contingente ed episodico alle attività ed ai fini dell’associazione mafiosa.

Anche in questo caso il partecipe entra con l’organizzazione in un rapporto stabile di tal natura che non potrà più sottrarsi alle richieste ed alle esigenze dell’associazione, salvo il rischio per la propria vita…”.

Quest’ultima figura giuridica consentiva di definire esattamente il ruolo di tutta una serie di progettisti, imprenditori e rappresentanti della P.A. in stretti rapporti con il SIINO che, in base agli accertamenti disposti, risultavano tutti implicati nella manipolazione delle gare di appalto, e per tale ragione venivano tratti in arresto con l’imputazione di concorso esterno nel reato di associazione per delinquere di tipo mafioso.

Tutti costoro erano chiaramente consapevoli dei metodi di condizionamento delle gare per appalti pubblici, ed attivamente partecipi del vasto programma di pianificazione delle aggiudicazioni’7, per la realizzazione del quale si avvalevano (almeno per come risulta dall’approfondito esame di quattro ben distinte gare d’appalto) delle connivenze di esponenti delle amministrazioni interessate quali stazioni appaltanti.

Sempre gli stessi soggetti erano pienamente consapevoli del loro inserimento nell’organizzazione mafiosa della quale era portavoce il SIINO; poiché si recavano dallo stesso per ricevere ordini, per portargli la provvista necessaria al pagamento delle tangenti destinate ai pubblici amministratori ed alla zona38, per ottenere dalla stessa il consenso per poter organizzare nel proprio territorio la turbativa delle gare pubbliche, per ottenere gli interventi mafiosi necessari per dissuadere le imprese estranee al c.d. metodo SIINO, o che comunque intendevano ribellarsi a questi equilibri.

L’adesione al sistema creato dal SIINO, il farne parte integrante mediante la realizzazione di condotte attive finalizzate ad ottenerne i necessari vantaggi finiva per essere eziologicamente legato al rafforzamento delle regole di Cosa Nostra e dunque – cosa questa particolarmente grave – anche all’assoggettamento di importanti segmenti della P.A. ai voleri di Cosa Nostra.

Grazie alla collaborazione degli imprenditori CRISAFULLI e ROSSANO, le indagini della Procura di Palermo sul fenomeno “mafia ed appalti” superavano finalmente i precedenti ostacoli determinati da un generalizzato atteggiamento di sostanziale omertà, scalfito soltanto da mezze ammissioni, per avviarsi in una direzione del tutto nuova, che sarà poi il fulcro delle attività investigative degli anni successivi al 1995.

Capitolo

Le indagini della Procura di Palermo negli anni 1996-1998

 

A seguito dell’operazione “Ulhrik” la Procura di Palermo avviava nuove indagini finalizzate alla individuazione di altri soggetti coinvolti nel1’i1lecito controllo degli appalti pubblici in Sicilia.

Tali nuove indagini, dal febbraio del 1996 si arricchivano del contributo di un nuovo collaboratore di giustizia, un ingegnere libero professionista, Salvatore LANZALACO, che fino al momento del suo arresto (avvenuto proprio nell’ambito dell’operazione Ulhrik) aveva svolto il ruolo di progettista per conto dell’organizzazione mafiosa ed aveva avuto la possibilità di progettare, date anche le sue indubbie capacità professionali, le più importanti opere pianificate dal competente Assessorato regionale in Sicilia dal 1989 al 1995.

Le prime dichiarazioni del LANZALACO ad essere prontamente riscontrate e di conseguenza utilizzate, erano quelle relative ad un appalto di circa 80 miliardi, avente per oggetto (ironia della sorte!) la costruzione dei nuovi uffici giudiziari della Pretura di Palermo.

Tale appalto, aggiudicato ad una associazione di imprese composta da una importante società di Roma e da una azienda facente capo ad un imprenditore molto quotato nel trapanese, costituiva quindi oggetto di

approfondite indagini, condotte dalla Procura di Palermo con la costante collaborazione del G.I.C.O. della G.d.F. per tutto il 1996; indagini che determinavano la richiesta di custodia cautelare n. 2464/96 n.c.-DDA del 22 maggio 1997 nei confronti di 20 soggetti39.

E’ ancora una volta opportuno – per segnalare l’evoluzione delle indagini – richiamare qui testualmente taluni passi della relativa motivazione:

… la presente richiesta rientra nel quadro delle indagini su mafia e appalti.

Nell’ambito delle indagini volte ad accertare delle irregolarità nell’acquisizione dell’appalto per la costruzione della Pretura di Palermo, è stato individuato il coinvolgimento diretto di Cosa Nostra ed in particolare del suo massimo vertice RIINA Salvatore.

L’acquisizione dell’appalto in esame è avvenuto secondo le regole del metodo SIINO, cioè un accordo tra l’impresa prescelta e Cosa Nostra ove la prima deve anticipare alla seconda somme di danaro per conseguire l’aggiudicazione della gara e per il pagamento della famiglia locale di Cosa Nostra, nonché per l’assegnazione dei subappalti e delle forniture dei materiali.

In questo quadro generale è stato accertato:

  • l’intervento diretto del SllNO Angelo e del BRUSCA Giovanni nella gestione della gara;
  • il pagamento di somme di danaro dalla impresa appaltante al CANCEMI Salvatore (a capo della famiglia di Porta Nuova) dalle mani del RIINA Salvatore, previa acquisizione delle somme da parte del BRUSCA Giovanni;
  • la concessione di subappalti ai cugini del CANCEMI Salvatore;
  • la conclusione di contratti di forniture con imprese vicine ai GANCI (BORDONARO) ed al SIINO (Fratelli FAUCI).

Sono stati anche accertati rapporti organici tra l’imprenditore SCIACCA Gioacchino e BRUSCA Giovanni, così come con il SIINO Angelo.

E’ stato, altresì, accertato che Io SCIACCA s’è aggiudicato appalti a Palermo per circa 100 miliardi in poco meno di due anni.

Tale aggiudicazione è avvenuta con delle irregolarità come quelle della Pretura (di cui alla presente richiesta), deIl’OMlSSIS (in corso di istruzione) della OMISSIS (in corso di istruzione), tutte aggiudicazioni controllate da Cosa Nostra, secondo il metodo SllNO.

L’impresa SCIACCA è una impresa di origine territoriale trapanese che sino al 1989 ha avuto un fatturato assai modesto, strutture tecniche irrilevanti, iscrizioni all’Albo Nazionale Costruttori per importi poco consistenti; eppure nel 1989 si aggiudica l’appalto per il Velodromo di Palermo in associazione con la SINCIES CHIEMENTIN S.p.A. di Roma.

Senza le iscrizioni A.N.C., il fatturato, le capacità tecniche e finanziarie di quest’ultima sarebbe stato impossibile allo SCIACCA persino partecipare alla gara per il velodromo.

Dopo   questa  gara  l’ATl  SINCIES  CHIEMENTIN – SCIACCA,  così costituita, si aggiudica le gare di appalto per la costruzione:

  1. del Deposito AMAT di via Roccazzo;
  2. della Pretura di Palermo;
  3. OMISSIS;
  4. OMISSIS;

per un controvalore pari a 100 miliardi.

C’è il fondato sospetto che tutte le suddette gare siano state aggiudicate secondo il metodo SllNO, quindi con il contributo di Cosa Nostra.

Si può certamente concludere che senza il SIINO e Cosa Nostra la SINCIES CHIEMENTIN certamente non avrebbe potuto aggiudicarsi gli appalti in oggetto.

E’ anche vero però che senza le caratteristiche tecnico-economiche della SINCIES CHIEMENTIN e la disponibilità dei suoi amministratori mai Cosa Nostra avrebbe potuto aggiudicarsi queste gare.

E’ proprio questo il punto centrale: l’accordo illecito tra la società imprenditoriale e la società criminale, per cui la prima viene ad essere assorbita nella seconda.

Non è la prima volta che questo ufficio individua questo accordo nell’ambito delle indagini su mafia ed appalti’, così per la SII di Roma per l’appalto per l’impianto fognante del Civico di Palermo, per la RIZZANI DE ECCHER e per le altre imprese non siciliane coinvolte in “mafia ed appalti 1”.

Certamente non si può e non si deve generalizzare, ma è cosa certa che nel quadro del metodo SIINO vada anche inserito l’acquisto delle iscrizioni delle grandi società imprenditoriali non siciliane per poter partecipare alle gare spendendo il loro nome.

Questo è certamente il nodo del problema che si può anche estendere fino ad un accordo di maggiori dimensioni che finisca per creare una situazione economica sia societaria che patrimoniale talmente complessa per cui l’impresa contattata finisce per entrare stabilmente nell’orbita delle imprese di Cosa Nostra.

Questo è il caso della SINCIES CHIEMENTIN SPA…“.

Le indagini – anche a seguito della collaborazione di Angelo SIINO – davano luogo infine ad un ulteriore importante risultato con la presentazione

al GIP della richiesta di custodia cautelare n. 1120/97 n.c.- DDA del 4.9.97, formulata nei confronti di BUSCEMI Antonino, BINI Giovanni, SALAMONE Filippo, MICCICHE’ Giovanni, VITA Antonio, PANZAVOLTA Lorenzo, CANEPA Franco, VISENTIN Giuliano, BONDI’ Giuseppe, CRIVELLO Sebastiano:

  • per il reato di associazione mafiosa (art. 416 bis, 1º e 2º comma p.);
  • per il delitto di cui agli 12 quinquies, parte prima, D.L. 8 giugno 1992 n. 306 e 7 D.L. 13 maggio 1991 n. 152 ;
  • per il delitto di cui agli 110, 416 bis commi 1, 3, 4, 5, 6 c.p. ;
  • per il delitto di cui agli 110, 112 n. 1, 513 bis C.P. e 7 D.L. n. 152/91 ;
  • per il delitto di cui agli 81 cpv, 110, 112 n. 1, 353, parte prima e cpv. c.p
  • per il delitto di cui agli 81 cpv, 110, 112 nn. l e 2, 353, parte prima e cpv. C.P
  • per il delitto di cui agli artt. 110 e 416 bis commi 1, 3, 4, 5, 6 c.p.

Nelle premesse  della richiesta così si pongono in luce le linee evolutive delle indagini della Procura:

“La presente vicenda procedimentale costituisce naturale prosecuzione e sviluppo di quanto emerso, già in altri procedimenti, nell’ambito delle indagini relative all’illecita aggiudicazione di appalti pubblici ed allo strutturato sistema di controllo degli stessi da parte dell’associazione per delinquere di tipo mafioso denominata Cosa Nostra.

Si intende, fra l’altro, far qui riferimento:

  • al procedimento 1365/92 NR e 555/92 RGG Trib. nei confronti di SllNO Angelo + 5, definito con sentenza del Tribunale di Palermo – Sezione quinta Penale – del 2.3.1994, parzialmente riformata dalla Corte di Appello di Palermo con sentenza in data 29.2.1996, con la quale è stata ridotta la pena in primo grado inflitta a SllNO Angelo ad anni otto di reclusione e quella inflitta a LI PERA Giuseppe ad anno uno, mesi sei di reclusione, per i reati dei quali sono stati rispettivamente ritenuti responsabili, di cui agli artt. 416 bis commi primo e secondo e 416 bis comma Il c.p. (cfr. sentenze in atti);
  • al procedimento nr. 2752194 Nr-459/94 RG Trib. nei confronti di RIINA Salvatore + 8, cd. dalla e Appalti bis, anch’esso definito in primo grado con sentenza del Tribunale di Palermo Sezione V in data 7.1996, con la quale, fra gli altri, sono stati condannati per il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso, e per i connessi reati di turbata libertà degli incanti e di illecita concorrenza con minaccia o violenza, il RIINA Salvatore, BRUSCA Bernardo, BRUSCA Giovanni (nonché, per il solo delitto di cui all’art. 416 bis c.p., anche BRUSCA Emanuele, LA BARBERA Michelangelo, LIPARI Giuseppe e GIUFFRÈ Antonino (cfr. sentenza in atti);
  • al procedimento nr. 3856/95 N.C.-DDA (cd. operazione denominata “Ulbrik’) nei confronti di numerosi indagati fra i quali, segnatamente, SIINO Angelo, LANZALACO Salvatore, CRISAFULLI Ettore, MADONIA Francesco, GERACI Angelo, TUBIOLO Natale, i cui nominativi vengono citati in quanto richiamati nell’indagine che qui ci occupa (cfr. ordinanza di custodia cautelare in atti nei confronti di GIALLOMBARDO Giovanni ed altri emessa dal GIP di Palermo in data 30 novembre 1995);
  • al procedimento nr. 2464 /96 R.G.N.R.- DDA nei confronti di RIINA Salvatore, SllNO Angelo ed altri avente ad oggetto la pilotata aggiudicazione, ad opera di Cosa Nostra, dell’appalto relativo alla costruzione della nuova Pretura di Palermo (cfr. ordinanza applicativa di custodia cautelare, in atti, emessa dal GIP di Palermo in data 7 luglio 1997).

I provvedimenti restrittivi dianzi citati sono stati vagliati dal Tribunale del Riesame, che, per Io più, ha confermato le ordinanze impugnate, così consentendo – oltre a quanto già accertato nelle sentenze summenzionate

– una ulteriore verifica dell’esattezza dell’impostazione accusatoria dalla quale prende le mosse anche l’odierno procedimento.

Dalla summenzionata documentazione (il cui contenuto deve ritenersi, per quanto non speficatamente menzionato, interamente richiamato e trascritto nella presente richiesta) possono facilmente trarsi pregnanti elementi circa la esistenza di un settore di interesse dell’associazione per delinquere di tipo mafioso denominata Cosa Nostra, quello appunto dei pubblici appalti.

Da essa emerge in modo netto il “modus procedendi” per acquisire il controllo di detto settore dell’economia adoperato dal sodalizio criminoso in argomento, che si è servito dell’opera insostituibile dell’imprenditore SIINO Angelo, il quale, avvalendosi delle sue conoscenze, sia nel campo politico che in quello imprenditoriale, aveva messo a punto un ingegnoso ed articolato sistema di “turnazione” nell’aggiudicazione di appalti di opere pubbliche, reso efficiente grazie all’adesione degli imprenditori interessati all’aggiudicazione degli appalti, i quali nelle gare che non dovevano essere a loro “assegnate”, permettevano, con le offerte in appoggio o col noto sistema del “pass”, la perfetta operatività del sistema stesso.

Di tale sistema SllNO era l’organizzatore ed agiva come “/onga manus” di Cosa Nostra, non esitando a ricorrere ai metodi di intimidazione tipici del sodalizio mafioso nelle ipotesi di imprudenti atteggiamenti assunti da imprenditori che a detto sistema non intendevano aderire, i quali, nei congrui casi, come è stato anche da ultimo accertato nella citata sentenza del 16.7.1996 nei confronti di RIINA Salvatore + 8, venivano costretti a consentirne comunque l’operatività (si ricorda qui l’esempio del ricorso avanzato dalla Tor di Valle), o venivano addirittura, nei casi di “insubordinazione” irriducibile, uccisi (TAIBBI, RANIERI).

Garante ed arbitro degli accordi illeciti sottostanti all’aggiudicazione della gara,          SIINO Angelo,  aveva come referenti RIINA Salvatore ed, in successione temporale, Dl MAGGIO Baldassare (in coincidenza con l’interinale assunzione da parte di costui delle funzioni di reggente del mandamento di S. Giuseppe Jato) e, poi, BRUSCA Giovanni che si occupava, come sarà meglio chiarito, della “messa a posto” con la “zona”. E’ noto, infatti, che anche per gli appalti gestiti da Cosa Nostra ed “aggiudicati” secondo il metodo anzidetto, l’imprenditore “assegnatario”, doveva pagare, non soltanto la tangente al SIINO e per lui al RIINA (che confluiva, almeno in parte, nelle casse “sociali” di Cosa Nostra per il finanziamento delle attività associative e, segnatamente, come si è verificato, delle parcelle ai difensori dei partecipi ed al sostentamento di quest’ultimi durante la carcerazione) ma anche quella per la “zona”.

L’imprenditore cioè era tenuto a corrispondere un certa somma – variabile anche in relazione all’importanza dell’opera da realizzare – al rappresentante del mandamento nel cui territorio doveva essere eseguita l’opera pubblica ed, in alcuni casi, a consentire all’assegnazione di subappalti e di forniture ad imprese collegate a quest’ultimo.

Ciò si verificava (ed è stato senza ombra di dubbio chiarito anche nel citato processo a carico di RIINA Salvatore + 8, c.d. Mafia e Appalti) anche se l’imprenditore favorito dalla turnazione fosse, per ipotesi, un imprenditore mafioso. Ed invero costituisce un metodo comportamentale di Cosa Nostra, più volte riscontrato in sede processuale, che anche i partecipi all’associazione dovessero sottostare a detto obbligo.

Si tratta, del resto, di regola antica e generalizzata in tutti i settori di attività economica di Cosa Nostra: basta pensare, al riguardo, ai compensi dovuti ai rappresentanti del mandamento o della famiglia anche da chi, “intraneus” all’organizzazione voglia costruire un edificio in territorio di influenza di mandamento diverso da quello di sua appartenenza.

Per meglio comprendere la complessa vicenda che costituisce oggetto del presente procedimento, appare necessario accennare sinteticamente all’evoluzione dei rapporti fra l’organizzazione mafiosa ed il mondo dell’imprenditoria sulla base di quanto emerso nell’ambito di numerosi procedimenti, riservando alla parte conclusiva della introduzione l’anticipazione degli elementi di novità che nel corpo della presente richiesta verranno più diffusamente evidenziati”.

Dopo avere ripercorso l’iter della escalation di Cosa Nostra nel settore dell’illecito controllo degli appalti, in termini sostanzialmente identici a quelli già esposti nella richiesta di quest’Ufficio del 17 maggio 1993, nella motivazione di quest’ultima richiesta si dà atto delle conferme ottenute attraverso i contributi forniti da nuovi collaboratori, appartenenti al mondo dell’imprenditoria:

“Quanto sopra costituisce, come già anticipato, il risultato complessivo di lunghe e laboriose indagini espletate grazie, anche, alla collaborazione di collaboratori di giustizia fra cui, in primo luogo, CRISAFULLI Lorenzo e LANZALACO Salvatore, che avendo avuto un ruolo assai rilevante in seno all’illecito sistema di spartizione degli appalti sopradescritto sono stati in grado di riferire compiutamente quanto a loro conoscenza sul funzionamento dello stesso avendo avuto modo di acquisire tali cognizioni grazie ai rapporti direttamente o indirettamente intrattenuti con SllNO Angelo e BRUSCA Giovanni che di tale sistema sono stati fra i principali protagonisti ed organizzatori.

Orbene il SllNO Angelo di cui si è ampiamente riferito come il soggetto ideatore del sistema criminale sopra descritto ha, dalla fine del mese di

luglio uscente scorso, deciso di interrompere definitivamente il vincolo che per lungo tempo Io ha legato all’associazione mafiosa iniziando a collaborare con la Giustizia.

Trattasi – va preliminarmente osservato – di una collaborazione di grande spessore e di eccezionale rilevanza proveniente da un personaggio che è stato per lungo tempo uno dei principali anelli di congiunzione fra Cosa Nostra ed il mondo dell’imprenditoria e della politica ed a conoscenza, pertanto, di fatti sui quali le indagini giudiziarie sinora compiute solo in minima parte hanno fatto chiarezza.

A differenza di altri collaboratori, nei cui confronti si procede anche per gravi fatti di sangue e per i quali era pertanto possibile prevedere una lunga carcerazione, il SIINO aveva paradossalmente validi motivi per mantenere l’ostinato atteggiamento di assoluta reticenza che ha contraddistinto i suoi rapporti con l’autorità giudiziaria nel corso dei procedimenti che Io hanno visto finora coinvolto non potendosi ritenere prevedibile nei suoi confronti, anche in virtù della custodia cautelare già sofferta, un ulteriore lungo periodo di carcerazione.

A cagione delle sue precarie condizioni fisiche egli aveva, peraltro, già ottenuto la sostituzione della custodia in carcere con la meno afflittiva misura degli arresti domiciliari e ben difficilmente, pertanto, sarebbe stato per molto tempo ancora sottoposto al regime carcerario anche a seguito dell’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere del 7 luglio 1997…

Alla stregua delle summenzionate risultanze non vi è chi non veda come il SllNO (il cui inserimento nell’organizzazione al momento del suo ultimo arresto era – come si è visto – ancora attuale) aveva, ancora una volta, tutto l’interesse a protrarre il suo ostinato atteggiamento di chiusura così mantenendo impregiudicato il suo “prestigio” in seno all’associazione mafiosa e acquisendo ulteriori meriti suscettibili di ampia ricompensa da parte di coloro che avevano da temere qualcosa dalla sua collaborazione.

La scelta di collaborare del SIINO appare pertanto avere già prima facie, sotto il profilo dell’attendibilità intrinseca, i crismi della spontaneità e della genuinità ed è con ogni evidenza ispirata dalla volontà di tagliare definitivamente i ponti con un passato criminale dal quale evidentemente egli aveva evidentemente già da qualche tempo maturato il distacco”.

E’ altresì utile citare quanto, in altra parte della richiesta citata, si scrive sul c.d. comitato di affari, e sul ruolo svolto in esso dall’imprenditore Filippo SALAMONE:

“Ciò posto, va rilevato che la summenzionata collaborazione giunge in un momento in cui questo Ufficio aveva già acquisito nell’ambito di separati procedimenti (ora riuniti) una consistente mole di elementi probatori, a carico dì SALAMONE Filippo e di soggetti appartenenti a quello che, per comodità espositiva, si ritiene potere indicare come “Gruppo Calcestruzzi” facente capo al noto BUSCEMI Antonino e di cui sono stati e continuano ad essere elementi di rilievo BINI Giovanni e PANZAVOLTA Lorenzo.

Con riguardo alla posizione del noto imprenditore agrigentino, organizzatore del cd. comitato di affari costituito da imprenditori e politici che ha gestito incontrastatamente – sino all’ingresso nel sistema di Cosa Nostra – per lungo tempo la illecita spartizione degli appalti sull’intero territorio regionale, va sin d’ora rilevato come, alla stregua delle nuove e decisive acquisizioni probatorie, appaia oggi del tutto provato che ad un certo punto della sua carriera imprenditoriale Io stesso ebbe ad allacciare, al fine di mantenere il controllo complessivo dei grandi appalti o comunque la co-gestione di essi, rapporti assai stretti con i Corleonesi ponendosi sotto l’ala protettrice di quest’ultimi e costituendo, per volontà di Salvatore RIINA, unitamente a BUSCEMI Antonino e BINI Giovanni una sorta di comitato di affari sovraordinato da cui veniva decisa, di comune

accordo fra la fazione dei politici ed imprenditori da un lato e quella dei mafiosi dall’altro, la spartizione dei grandi appalti di cui una quota rilevante doveva essere destinata alle imprese direttamente sponsorizzate da Cosa Nostra e fra esse, in primo luogo, proprio quelle appartenenti al gruppo “Calcestruzzi”, residuando, pertanto, alla competenza del SllNO l’organizzazione degli appalti di medio-piccole dimensioni…

Quanto al BUSCEMI, al BINI ed al PANZAVOLTA va, poi, osservato che la presente vicenda procedimentale ha ad oggetto, anche, la sistematica disponibilità manifestata, nell’arco di oltre un quindicennio, da quello che sino alla fine del 1993-inizi 1994 è stato il cd. Gruppo FERRUZZI di Ravenna (nelle cui attività è subentrato il cd. gruppo CALCEMENTO la cui proprietà ed i cui organi direttivi – va preliminarmente precisato – non sono minimamente coinvolti nei fatti per cui oggi si procede) ad intrattenere rapporti economici intensi e per importi assai significativi con esponenti di primo piano di “Cosa Nostra” e con persone ad esse collegate in modo tale da consentire a quest’ultimi il reinvestimento di ingenti capitali e la gestione, diretta o indiretta, di importanti “affari” (investimenti immobiliari, appalti di opere pubbliche, realizzazione di grandi complessi edilizi, forniture di calcestruzzi) dietro il comodo paravento del nome prestigioso di una holding di valenza nazionale ed internazionale e, quindi, al riparo da eventuali ripercussioni negative derivanti dalla legislazione penale e da quella in materia di misure di prevenzione.

Allo stato delle indagini non è dato conoscere, con assoluta precisione (ancorché, come si vedrà, il SIINO anche su questo punto abbia fornito una chiave di lettura di particolare rilievo) se vi sia stata una molla scatenante che abbia indotto i maggiori rappresentanti di uno dei gruppi imprenditoriali più importanti del nostro paese a mettere totalmente e del tutto consapevolmente a disposizione di pericolosissimi esponenti di

Cosa Nostra la loro struttura, il credito acquisito presso il sistema bancario ed il Loro prestigio, oppure se considerazioni di ordine economico e di puro profitto abbiano finito per prevalere su tutto.

Va, infatti, in via preliminare osservato che, nella vicenda in esame, quel che, comunque, è emerso in termini di assoluta certezza è che, ad un certo punto, si sono venute ad incontrare due esigenze: quella del gruppo ravennate, alla cui testa vi erano l’oramai scomparso Raul GARDINI e Lorenzo PANZAVOLTA, di beneficiare in Sicilia delle ampie possibilità di guadagno derivanti dal mercato del calcestruzzo e dal settore dei pubblici appalti avvalendosi della protezione di uno dei gruppi mafiosi più forti operanti in Sicilia (quello riconducibile ai BUSCEMI di Boccadifalco) e quella dei componenti di tale gruppo di avvalersi del nome e del prestigio della Holding ravennate con la sicurezza di poter contare su un canale sicuro per il reimpiego degli illeciti proventi della propria attività delittuosa in tutto il territorio nazionale ed anche all’estero.

Va, inoltre, sin d’ora rilevato che la pur indubbia potenza economica e rappresentatività in seno a Cosa Nostra dei BUSCEMI (Salvatore ed Antonino) non sarebbe stata da sola sufficiente a determinare – attese le complessive dinamiche di tale pericolosissima organizzazione criminale e la struttura verticistica che la contraddistingue – un così stabile e duraturo nel tempo sodalizio fra il gruppo di Ravenna e i più significativi esponenti del mandamento di Boccadifalco e, soprattutto, la incontrastata leadership che il “gruppo Calcestruzzi” (con tale nome si indicherà, come già anticipato, il centro di interessi costituito dai BUSCEMI e dal management FERRUZZI rappresentato dall’oramai scomparso Raul GARDINI e dagli odierni indagati PANZAVOLTA, BINI, VISENTIN e CANEPA) ha, per diverso tempo, mantenuto nel settore della produzione e forniture dei calcestruzzi ed in quello degli appalti delle opere pubbliche, se tale connubio non fosse stato sponsorizzato e favorito dai

vertici di Cosa Nostra e, in principal modo, dal capo incontrastato di essa, Salvatore RIINA…”.

 

Per poter meglio comprendere l’importanza della collaborazione di un personaggio centrale quale Angelo SIINO, è opportuno ancora riportare quanto testualmente si osserva nella citata richiesta di custodia cautelare, in ordine anche a quella che era forse la posizione più delicata tra gli indagati (dieci), e cioè quella di Filippo SALAMONE:

“… Alla stregua delle risultanze probatorie sopra evidenziate, le considerazioni allora svolte dal GIP che pure non aveva mancato di cogliere nella condotta del SALAMONE, sulla base degli elementi all’epoca sottoposti al suo vaglio, un fattivo e consapevole contributo prestato dall’imprenditore agrigentino alla progressiva attività di penetrazione da parte di Cosa Nostra, apparivano a quell’epoca sostanzialmente condivisibili.

Il conseguente provvedimento di archiviazione in ordine all’ipotesi di reato di cui all’art. 416 bis CP era stato quindi la naturale conseguenza della assoluta carenza, nel prosieguo delle indagini, di ulteriori acquisizioni probatorie idonee ad irrobustire la tesi accusatoria secondo la quale il SALAMONE aveva svolto un ruolo di collegamento fra mafia e mondo della politica e dell’imprenditoria.

E’ bene tuttavia sottolineare che ciò si era verificato a causa dell’atteggiamento di totale chiusura ad ogni forma di collaborazione adottato da tutti i soggetti coinvolti, a qualsiasi titolo, nella vicenda, frutto evidente di quel clima di “maggiore disciplina” degli imprenditori esistente in Sicilia, rispetto al resto del paese, con il quale taluno, in quel

contesto, ha inteso eufemisticamente descrivere, senza mai affermarne esplicitamente l’esistenza, la presenza mafiosa.

Né a tale complessivo clima di reticenza si era, ovviamente, sottratto il SALAMONE il quale, lungi dall’ammettere qualsivoglia forma di rapporto, ancorché il più labile, con esponenti di Cosa Nostra aveva, addirittura, contestato il ruolo di organizzatore (con competenza sull’intero territorio regionale) del sistema della illecita spartizione degli appalti che, comunque, era a lui attribuibile sulla base di inconfutabili elementi probatori, facendo solo una serie di parziali ammissioni in ordine a fatti da lui definiti di contribuzione a partiti e singoli uomini politici e limitandosi ad affermare di avere ritenuto per evitare problemi preventivamente concedere subappalti (cfr. verbale di spontanee dichiarazioni del 21 aprile 1993 e verbali di interrogatorio del 26 maggio 1993, del 7 giugno 1993,

dell’8 giugno 1993, del 21 giugno 1993, del 13 luglio 1993, del 20 luglio

1993, del 22 luglio 1993, del 23 luglio 1993, del 27 luglio 1993 e del

6.10.1993, in atti).

Oggi questo quadro appare profondamente mutato sulla base di nuove e più significative acquisizioni probatorie.

Ci si intende riferire, in particolare, alle dichiarazioni rese da SllNO Angelo e BRUSCA Giovanni e da altri collaboranti che consentono di rivisitare il ruolo ricoperto dagli odierni indagati nel sistema della lottizzazione e spartizione degli appalti pubblici.

Dette dichiarazioni appaiono illuminanti per comprendere la genesi e le modalità attuative di quello che, in premessa, è stato definito il passaggio da una fase di monopolio (in cui la illecita gestione degli appalti pubblici era, esclusivamente, nelle mani di “comitati di affari” costituiti da politici ed imprenditori), ad una fase di duopolio (in cui esponenti di Cosa Nostra e dei comitati di affari si trovano, in pratica, a cogestire il sistema manipolativo dei pubblici appalti).

Peraltro, tali dichiarazioni, provenendo da chi era particolarmente addentro al sistema – in seno al quale a detta di numerosissimi collaboratori di giustizia rivestivano un ruolo di vertice – appaiono ancor più autorevoli…”.

In questa sede ci si limiterà a segnalare di seguito alcuni passi tratti dai numerosi interrogatori resi dal SIINO, per evidenziare come la collaborazione di questo personaggio-chiave abbia sostanzialmente riscontrato la esattezza dei risultati via via raggiunti dalle indagini su mafia e appalti condotte dalla Procura di Palermo nell’arco degli ultimi 10 anni.

Le dichiarazioni di Angelo SIINO

 

 

Richiesto di riferire sul ruolo da lui svolto, fra mafia e politica, nel controllo degli appalti, il SIINO – dopo avere osservato che fino al 1986 egli si era limitato a svolgere tale compito ne11’esclusivo interesse del1’oramai deceduto eurodeputato Salvo LIMA49– nel corso de1l’interrogatorio dell’11 luglio 1997 dichiarava:

“… Confermo di avere svolto questo ruolo. Ho avuto come caro amico il Baldassarre DI MAGGIO e Giovanni BRUSCA. Per un caso ho acquisito il ruolo di mediatore tra la politica e la mafia nel controllo del sistema degli appalti pubblici. Fu il DI

 

MAGGIO che mi rimproverò per il ruolo che stavo assumendo nel controllare gli appalti e mi disse che da quel momento per qualsiasi appalto dovevo parlare con lui…

. posso dire che ho controllato 30 miliardi di tangenti in quattro anni, di cui la metà destinata ai politici e metà destinata a Cosa Nostra…
… Circa MODESTO Giuseppe anche lui si occupava dell’illecito controllo degli appalti ed era legato alla famiglia mafiosa di San Giuseppe Jato… “
.

 

Richiesto di precisare quale fosse il sistema precedente all’ingresso di Cosa Nostra nel settore degli appalti pubblici il SIINO, sempre nel corso dello stesso interrogatorio, dichiarava testualmente:

“…. In effetti alla fine degli anni ’80 esisteva un gruppo di interessi facente capo a NICOLOSI Rino, MANNINO Calogero, SCIANGULA Salvatore, SALAMONE Filippo e VITA Antonino che aveva il 90% del controllo dei grandi appalti in Sicilia…”

 

Nel corso di successivi interrogatori il SIINO forniva più precise indicazioni in ordine alla escalation del gruppo imprenditoriale riconducibile al SALAMONE, al VITA ed al MICCICHE’ ed ai loro referenti politici e mafiosi così dichiarando nel corso de1l’interrogatorio del 31 luglio 1997:

“Conosco da moltissimi anni Antonio VITA e Giovanni MICCICHE ‘, imprenditori agrigentini. Sin da epoca anteriore al

1976, appresi della operatività di un gruppo facente capo a SALAMONE-MICCICHE’-VITA in occasione della realizzazione degli alberghi SITAS.

La questione mi fu prospettata dal Col. RUSSO che mi presentò il ROSSETTO ed il MIONE, amministratori della soc. Abano Terme, che avrebbero dovuto gestire la realizzazione delle opere; costoro mi dissero che non potevo avere i lavori SITAS, perché allora si delineava questo gruppo emergente degli agrigentini, cui sarebbero stati assegnati i lavori in questione. L’assegnazione di tali lavori gli sarebbe derivata dalla vicinanza con alcuni ambienti politici dell’agrigentino, in primo luogo dell’on. MANNINO, dell’on. CIGLIA e dell’on. SINESIO…


…Nel 1983, contestualmente alla crescita politica di SCIANGULA Salvatore, le imprese legate al SALAMONE ebbero un vero e proprio boom…
… Comunque tale situazione, già vantaggiosa per il SALAMONE, lo divenne ancora di più allorché nell’allora Democrazia Cristiana, partito di maggioranza relativa, la leadership fu assunta dal MANNINO e dal NICOLOSI. Il che non esclude che già all’epoca lo stesso gruppo imprenditoriale non disdegnava di avere contatti anche con altri politici, tra i quali OMISSIS… “.

 

 Va comunque notato che per l’imprenditore Filippo SALAMONE la sola copertura politica, com’è del resto ovvio, non era sufficiente nei rapporti con le varie ZONE mafiose, essendo evidentemente indispensabile anche quella mafiosa; e se per la provincia di Agrigento questi poteva contare sulla protezione di Carmelo COLLETTI50, per i lavori su Palermo bisognava evidentemente reperire qualche altro referente.

 

Così il SIINO riferisce un episodio di cui è stato, peraltro, diretto protagonista:

“In occasione della costruzione del reparto detenuti del Civico, LIMA mi disse che il Rino NICOLOSI, inteso il negus, con questo affare aveva fatto molti soldi.

Inoltre parlai con il MICCICHE’ di tangenti che lo stesso avrebbe dovuto versare e che poi io avrei girato riservatamente al LIMA, ma il MICCICHE ‘ capì che mi riferivo a fatti di mafia e mi riferì a sua volta che tutto era a posto dato che ne aveva già parlato con Giovanni TERESI inteso ‘u pacchiuni ‘.

Analogamente mi riferì per la realizzazione di un altro edificio in via Greto, dicendomi esplicitamente che erano stati versati i soldi per la “zona” al TERESI… “.

 

 Non vi è dubbio, pertanto, che fin d’allora la ricerca del referente mafioso era considerata dal SALAMONE e dai suoi soci assolutamente indispensabile per continuare a gestire, senza problema alcuno, la illecita spartizione degli appalti.

In questo modo il SIINO riferisce in merito ad un tipico caso di controllo mafioso relativo ad un’opera pubblica:

“Avevano anche un appalto in associazione d’impresa con Agostino CATALANO per la realizzazione di alcune opere di fognatura nella zona di Brancaccio.

Chiesi i soldi al MICCICHE ‘ e li ottenni restando sul vago sui motivi della richiesta, infatti il MICCICHE’ mi disse che già aveva pagato.

Di ciò parlai anche con Balduccio DI MAGGIO quando lo andai a trovare per parlare di soldi che avevo ricevuto per il padiglione detenuti del Civico, lasciandogli 10 milioni per i suoi amici.

Una seconda volta invece fu il DI MAGGIO a chiamarmi per dare spiegazioni dei soldi richiesti al MICCICHE ‘ per i lavori delle fognature di Brancaccio e via Messina Marine, cosa che feci perché avevo paura che ci fossero malintesi in relazione a questi soldi spiegando che quanto richiedevo serviva per problemi politici e dandogli 10 o 20 milioni da dare ai suoi “amici”. Già lavoravo per il LIMA.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Conobbi il SALAMONE Filippo in occasione della chiusura dei lavori della strada di San Mauro Castelverde, gli chiesi un passi e gli indicai il ribasso da inserire nella busta. Il SALAMONE mi disse che non sarei stato in grado di “chiudere ” la gara, perché solo lui lo poteva fare. Allora lui mi trattò con molta sufficienza. Lui non sapeva che io avevo l’appoggio della CISA… “.

 

Nel 1986 il SALAMONE era già da qualche tempo divenuto il principale referente dei politici ed il soggetto in grado di favorire o meno l’ingresso in Sicilia, nel sistema degli appalti, delle imprese del nord.

Non deve apparire strano pertanto che il SALAMONE, pur conoscendo i collegamenti del SIINO con ambienti di mafia, abbia risposto quasi con commiserazione a quest’ultimo in occasione della richiesta di ”passi” per la San Mauro Castelverde – Gangi.

La vicenda relativa all’appalto in questione segna il momento in cui Cosa Nostra entra in grande stile nel giro dei grandi appalti, quelli per l’appunto che il SALAMONE riteneva di essere l’unico soggetto in grado di “chiudere ”.

Per comprendere l’evoluzione dei vari gruppi imprenditoriali controllati da Cosa Nostra nel corso degli anni, è opportuno ancora richiamare testualmente quanto esposto nella citata richiesta di custodia cautelare:

“… Dalle dichiarazioni del SllNO comincia, intanto, ad emergere il quadro complessivo del sistema degli appalti in Sicilia ed il ruolo dei suoi amici SALAMONE, MICCICHE’ e VITA.

Prima dell’ingresso di Cosa Nostra nel sistema degli appalti vi è sino ai primi anni della seconda metà degli anni ’80 – come già evidenziato in precedenza – un blocco costituito, essenzialmente, dai comitati d’affari talora costituiti esclusivamente da politici ed imprenditori, di cui quello più rilevante (quello che gestisce i grandi appalti) (è quello) cui appartengono le imprese capitanate dai cd. Cavalieri del Lavoro di Catania, dal SALAMONE e soci e dalle imprese non siciliane.

Di quest’ultimo comitato d’affari, si può finalmente asserire che il SALAMONE svolgeva la funzione di coordinatore, che aveva sì bisogno dell’appoggio di Cosa Nostra ma solo in momento successivo alla aggiudicazione delle gare e cioè quello della cd. ”messa a posto”.

Accanto a questi “comitati di affari” se ne venivano a creare, per gli appalti di medie o piccole dimensioni, altri più direttamente legati a Cosa Nostra ma, al tempo stesso, con solidi agganci anche nel mondo della politica ed è a questo tipo di “comitati di a/7ari” che apparteneva certamente il SllNO che, grazie al suo referente politico Salvo LIMA, riusciva ad avere canali preferenziali per tutti gli appalti riguardanti la provincia di Palermo ma che, al tempo stesso, era saldamente legato alla famiglia mafiosa di San Giuseppe Jato del Dl MAGGIO e del BRUSCA.

Vi era poi anche un altro gruppo, di cui meglio si parlerà nel prosieguo, di cui facevano parte esponenti di grande rilievo di Cosa Nostra, i BUSCEMI della famiglia mafiosa di Boccadifalco, che però avevano la possibilità di disporre addirittura della copertura di uno dei gruppi imprenditoriali di maggiore dimensione del nostro paese, quello riconducibile alla famiglia FERRUZZI.

E’ questo, senza dubbio alcuno, come si vedrà, il gruppo con il quale dovranno progressivamente fare i conti, sin dalla seconda metà degli anni ’80, tutti gli altri gruppi o comitati di affari.

Tutti o pressoché tutti hanno però come referente finale mafioso il capo incontrastato di Cosa Nostra, Salvatore RllNA.

Tutti i gruppi e/o comitati d’affari, del resto, hanno periodicamente necessità l’uno dell’altro.

Ed invero, la regola del libero mercato che dovrebbe presiedere allo svolgimento delle gare costituisce nel periodo in questione nel nostro paese una assoluta chimera e costituisce pertanto regola inderogabile, allorché si voglia predeterminare l’esito di una gara, ottenere dalle altre imprese partecipanti il necessario “passi”.

In altri casi gli accordi fra imprese riconducibili a centri di interessi mafiosi ed imprese estranee ad ambienti di Cosa Nostra si manifesta anche con la costituzione di associazioni temporanee di imprese.

In tale opera di mediazione fra contrapposti interessi è il SIINO ad esporsi di più nel tentativo di ricomporre i conflitti ma è anche quello che attira su di sé la maggiore attenzione; anche perché la sua riconducibilità a centri di interesse mafioso è più nota agli organi investigativi che talora sono anche destinatari di notizie confidenziali e di anonimi che provengono dall’interno del sistema da parte di chi teme, in seno allo stesso, di perdere posizioni di prestigio.

II periodo in discussione (quello della seconda metà degli anni ‘80) è peraltro quello in cui cominciano ad arrivare in Sicilia i grandi finanziamenti provenienti dallo Stato e dalla comunità europea e si delinea un quadro di interventi pubblici net settore delle opere pubbliche di rilevanti dimensioni che scatena inevitabilmente gli appetiti di politici, imprenditori e mafiosi.

Questi ultimi vogliono direttamente partecipare alla spartizione della grande torta non contentandosi più delle briciole e cioè dei subappalti o di piccoli appalti finanziati da enti minori…

Ed anche fra i politici ve ne sono alcuni che si pongono Io stesso problema non accettando più la leadership di altri; anche a questo tipo di mediazioni si presta il SllNO recependo i desiderata del suo sponsor politico, Salvo LIMA…”.

A seguito delle indagini riassunte nella citata richiesta, si potevano delineare le clausole che regolavano il contratto con il quale i referenti politico-imprenditoriali patteggiavano con i referenti dell’organizzazione mafiosa la spartizione degli appalti pubblici:

  • il SALAMONE (individuato quale rappresentante della classe politico- imprenditoriale) manteneva il ruolo di organizzatore della manipolazione dei grandi appalti, intendendo per tali anche quelli superiori all’importo di 5 miliardi di lire;

in cambio di tale riconoscimento fattogli da Cosa Nostra, il SALAMONE si impegnava a riservare una quota dei grandi appalti a società

sponsorizzate dall’associazione mafiosa e, fra esse, in primo luogo, a quelle del gruppo FERRUZZI;

  • sempre il SALAMONE si impegnava a versare a Cosa Nostra o, per meglio dire, al capo della organizzazione pro-tempore lo 0,80% sull’importo delle tangenti da corrispondere in relazione a tutti gli appalti aggiudicati ad imprese riconducibili a lui ed ai suoi soci più stretti, oltre che agli altri soggetti ai quali si fosse eventualmente associato;
  • Cosa Nostra e per essa la famiglia di San Giuseppe Jato avrebbe continuato a provvedere alla messa a posto delle imprese riconducibili al SALAMONE o ad essa associate presso ogni famiglia mafiosa della Sicilia; impegno, per la verità, già assunto in precedenza dalla stessa famiglia di San Giuseppe Jato fin dalla metà degli anni ’80.

Del ritiro delle somme necessarie si sarebbe occupato, in particolare, il SIINO che dichiarava di avere ricevuto, dal 1988 al 1991, dal SALAMONE la somma mensile di 200 milioni di lire.

Il contratto come sopra descritto assumeva una valenza fondamentale per il prosieguo delle indagini svolte dalla Procura di Palermo, poiché grazie alle dichiarazioni prontamente riscontrate fatte dal SIINO, si individuava in Antonino BUSCEMI un altro protagonista decisivo nella vicenda complessiva degli appalti.

Infatti è proprio quest’ultimo che, sfruttando al meglio quanto stabilito dall’accordo, riesce, da un lato, a ridimensionare il ruolo del SIINO e conseguentemente di Giovanni BRUSCA, ma al tempo stesso, se si vuole, quello dello stesso SALAMONE e del “comitato di affari” costituito da politici ed imprenditori di cui quest’ultimo è l’organizzatore.

Il SALAMONE – che li rappresenta – viene delegato alla stipula di un patto con l’associazione mafiosa che segna appunto il passaggio – nella gestione complessiva degli appalti – da un regime di duopolio51 ad una fase ulteriore, in cui la distribuzione dei grandi appalti viene pianificata e decisa da una sorta di comitato ristretto, il c.d. “tavolino”, cui partecipano solo elementi selezionati facenti parte delle due fazioni.

Antonino BUSCEMI, a seguito della costituzione del “tavolino”, era pertanto riuscito ad entrare nel grande giro degli appalti avvalendosi di una serie di società a lui di fatto riconducibili e, fra esse, quelle del gruppo FERRUZZI (dapprima la CISA, poi la GAMBOGI, ma anche altre società di minor rilievo sempre comunque riconducibili al cd. “gruppo CALCESTRUZZI”).

 

Le risultanze d’indagine sopra evidenziate permettevano così di formulare nuove ipotesi investigative riferibili a coloro che gestivano la spartizione degli appalti pubblici.

Emergeva infatti dalle indagini svolte nel procedimento n. 1120/97 n.c. – DDA che tutti gli indagati contribuivano in maniera non occasionale alla realizzazione degli scopi della associazione mafiosa Cosa Nostra, partecipando alle attività illecite di tale consorteria mafiosa nel campo del controllo degli appalti pubblici, con la piena consapevolezza, peraltro, dello spessore mafioso davvero elevato degli interlocutori che si sono succeduti nel tempo.

Ma il più significativo elemento di novità emerso dalle indagini stava nel fatto che i soggetti sopra citati non avevano accettato supinamente né il cd. “metodo SIINO” né, successivamente, quello che potrebbe definirsi “metodo BUSCEMI”; poiché, in entrambi i casi, i predetti hanno avuto un molo centrale di effettivi protagonisti; anzi nel secondo caso ne sono stati, unitamente al BUSCEMI ed al BINI, fra i promotori.

Se di metodi si deve parlare, le ultime risultanze potrebbero anche far ipotizzare, in successione di tempo, l’esistenza dapprima di un “metodo SALAMONE”, originariamente imperante nel settore dei grandi appalti, poi di un “metodo SIINO” (che si sarebbe integrato con il primo), ed infine di un “metodo BUSCEMI”, destinato a razionalizzare ulteriormente il sistema precedente.

Nell’ambito di tale sistema un ruolo particolarmente delicato va poi attribuito – allo stato delle indagini – alla condotta posta in essere da taluni esponenti di società del gruppo FERRUZZI (la CISA prima e la GAMBOGI in un secondo momento).

Da un lato, infatti, detti imprenditori avrebbero fornito un contributo necessario al rafforzamento della struttura associativa, acconsentendo ad “in.serir.si” nella “turnazione ” illecita delle aggiudicazioni; e dall’altro, avrebbero altresì cooperato al perseguimento degli scopi dell’associazione, anche mediante il versamento delle tangenti destinate a Cosa Nostra ed al suo capo in particolare (la cd. tassa RIINA dell’0,80%, ma anche le tangenti pagate forfettariamente al BRUSCA affinché quest’ultimo curasse la messa a posto delle imprese su tutto il territorio regionale).

Le indagini più recenti della Procura di Palermo sono ora principalmente volte a individuare gli attuali collegamenti tra i referenti dell’organizzazione mafiosa ancora operativi ed i nuovi rappresentanti del mondo politico-imprenditoriale.

Tali indagini, ancora nella fase preliminare, si avvalgono della collaborazione di Angelo SIINO e di altri imprenditori facenti parte del “gotha” dell’economia palermitana.

Al momento attuale, nel settore mafia-appalti è in corso una attività di indagine che ha dato luogo a decine di procedimenti in istruzione preliminare; attività che si avvale del prezioso supporto fornito dal G.I.C.O. della G.d.F. e dal R.O.N.O. dei Carabinieri.

Una citazione particolare merita anche l’organizzazione interna che la Procura si è data per affrontare la vastità della materia trattata.

Infatti, è ormai operativa una sezione “grandi appalti”, coordinata dal Procuratore Aggiunto CROCE, e composta da magistrati dotati di specifica competenza nel settore consolidata da anni di indagini.