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Intervista a cura di PIERRE BARBANCEY E LINA SANKARI(Pubblicazione per gentile concessione degli autori)
Come descriverebbe gli attuali attacchi del Governo alla magistratura?
Certamente si tratta di attacchi strumentali che perseguono un obiettivo diverso da quello proclamato. L’offensiva del Governo parte da una posizione apparentemente garantista, che proclama la necessità di tutelare al massimo i diritti dei cittadini, la loro privacy e la loro immagine. In verità il Governo con la scusa del garantismo persegue obiettivi di ridimensionamento della autonomia ed indipendenza della magistratura per poterne ottenere il controllo ed il condizionamento. Il Governo non ha mai mostrato di valutare l’indipendenza della magistratura come un valore democratico da salvaguardare, ma come un ostacolo da abbattere e da sostituire con misure tendenti al controllo politico della giustizia.
La Meloni accusa la magistratura di interferire negli affari politici. Su quali basi muove queste accuse? Come risponde?
Il problema principale (se non esclusivo) della Meloni nei confronti della magistratura sta nella sua gestione politica del fenomeno della immigrazione. Le soluzioni drastiche assunte sino a questo momento sono apparse spesso contrarie al diritto interno ed al diritto internazionale. La magistratura italiana, ogni qual volta è stata chiamata in causa per risolvere problemi inerenti le conseguenze delle scelte politiche del governo, ha dovuto assumere provvedimenti contrari al disegno politico governativo. Ribadisco che certe decisioni contrarie agli interessi politici governativi sono state imposte dalle norme primarie universalmente riconosciute, quali i diritti fondamentali di tutti gli esseri umani, che certamente non possono essere derogati da norme interne ai singoli paesi che hanno riconosciuto i trattati sui diritti. Non si tratta quindi di interferenze della magistratura nella politica ma, al contrario, di doverosi interventi a salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui.
La riforma della giustizia risponde ad un a richiesta dell’Europa?
L’Europa ha richiesto ai paesi membri di adeguare i loro ordinamenti giudiziari a principi di garanzia per i diritti degli imputati ed al contempo di tenere nella giusta considerazione i diritti delle persone offese dai reati ed ai loro interessi. In linea di massima si può affermare che i paesi ai quali le direttive europee erano diretti sono quelli che hanno un ordinamento più oscurantista e vessatorio rispetto all’ordinamento italiano. Purtuttavia si è voluto, da parte della politica, utilizzare i richiami delle autorità europee per mettere mano ad una riforma complessiva del nostro sistema giustizia, che rispondesse ai bisogni della politica ed alle istanze “liberali” dell’apparato istituzionale che mal sopporta i controlli di legalità, in materia di corruzione e, in generale, nei confronti di tutti i reati contro la pubblica amministrazione che limitano le attività (border Line) di importanti centri di poteri. L’Europa, ad es. non si è mai sognata di imporre un bavaglio ai magistrati che esprimono il loro parere su leggi che riguardano il funzionamento della giustizia, nè ha mai pensato di imporre limitazioni alla pubblicazione di atti giudiziari già pubblici, cioè non più coperti dal segreto investigativo, così come non ha mai voluto che la magistratura dovesse avvisare un indagato del fatto che sta per essere arrestato. A ven vedere l’Europa ha sempre guardato al nostro sistema giustizia con favore e spesso ha richiamato questo nostro sistema (specie in materia di lotta alle mafie ed alla corruzione) come uno dei più efficaci. Ovviamente ha prodotto numerosi richiami all’Italia in materia di Giustizia per il cattivo funzionamento della macchina complessiva e per gli enormi ritardi che spesso affliggono la nostra giustizia, sia penale che civile. Ma le soluzioni proposte dal governo attuale non avranno alcun effetto benefico sul migliore funzionamento della giustizia e sul taglio dei tempi dell’iter giudiziario. Anzi si può affermare che le ultime riforme in materia di immigrazione ( la competenza esclusiva delle Corti di Appello) ritarderanno ed appesantiranno ancora di più il nostro sistema e produrranno maggiori ritardi.
Che ne sarà della lotta alla mafia con la riforma della giustizia di Giorgia Meloni?
La lotta alla mafia, o per meglio dire il contrasto alla criminalità organizzata di tipo mafioso, nel nostro paese ha sempre avuto bisogno di un impegno armonico di tutte le Istituzioni e non soltanto della magistratura e delle forze dell’ordine. Il problema della presenza e del potenziamento delle organizzazioni mafiose è principalmente un problema sociale e politico. Detto questo mi sento di dire che in un paese dilaniato dai contrasti tra il potere politico e quello giudiziario non si potrà mai efficacemente combattere o limitare il diffondersi di organizzazioni criminali diffuse e radicate nel territorio come quelle di stampo mafioso.
Alcune delle riforme approvate negli ultimi mesi sembrano andare in una direzione diversa da quella della efficacia delle misure antimafia. Avere abrogato il reato di abuso d’ufficio è stato già un primo importante segnale di debolezza, perchè ha privato la magistratura e gli inquirenti di un importante comportamento criminale estremamente sintomatico della possibile presenza di accordi correttivi e di stampo mafioso tra i soggetti coinvolti. Così come le limitazioni alle intercettazioni telefoniche ed ambientali nei reati di corruzione e simili, rendono meno penetrante l’azione giudiziaria ed investigativa nei confronti di fenomeni criminali che sono spesso l’anticamera dell’attività mafiosa. L’alleggerimento dell’ergastolo ostativo ha comportato, nelle scorse settimane, il rilascio per permessi premio di pericolosissimi mafiosi già condannati in via definitiva per reati di mafia e per gravissimi omicidi e stragi mafiose. Il clima generale che si ispira ad un garantismo di facciata, mostra un paese capace di affrontare i gravi problemi delle mafie imperanti, e sembra volere apparire forte ed intransigente con deboli e debole e permissivo con i forti.
Lei stesso ha dovuto essere messo sotto protezione per il suo impegno nella lotta alla mafia. Lei ha spesso denunciato i legami tra la mafia e le forze politiche italiane che mettono in discussione l’indipendenza dei giudici. Qual è l’attuale atteggiamento della mafia nei confronti dell’attuale governo?
L’esistenza di legami, forti e duraturi, tra alcune forze politiche ed alcuni esponenti politici di spicco del nostro paese e la mafia, non sono soltanto una mia astratta denuncia derivante dalla mia personale esperienza professionale ma costituiscono, ormai, una conoscenza certa e storicamente accertata, come risulta dalle innumerevoli sentenze divenute ormai definitive, a carico di taluni esponenti politici che sono stati riconosciuti colpevoli a vario titolo di collateralismo con la mafia. Credo che le mafie oggi non abbiano motivo di temere alcuna forte iniziativa politica che tenda a limitarne e controllarne i poteri e le infiltrazioni. Inoltre il clima di conflitto istituzionale favorisce le organizzazioni criminali che possono tranquillamente a gestire i loro affari e ad infiltrarsi nel tessuto economico, imprenditoriale, finanziario, e politico del paese. Quindi credo che l’atteggiamento della mafia sia attualmente di fiduciosa attesa.
Come è cambiato il lavoro dei giudici dopo i contributi di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone?
Il lavoro di Paolo Borsellino e di Giovanni Falcone (e con essi di tutto il pool antimafia) negli anni ‘80 non è stato soltanto un lavoro di repressione di gravissimi delitti che si erano scoperti, ma una vera e propria rivoluzione nei metodi investigativi nei processi aventi ad oggetto il crimine organizzato, sotto tutti gli aspetti in cui esso si manifestava. La mafia militare (quella che uccide, organizza e porta a termine le stragi) non è e non era diversa da quella imprenditoriale (quella che si affacciava sul mercato del lavoro con ditte intestate agli stessi mafiosi o a loro prestanomi) o da quella politica (quella che era operava il controllo totale delle attività amministrative e politiche dei Comuni, delle Province e della Regione Sicilia) nè da quella economico finanziaria (quella che controllava gli enormi frutti di tutte le attività illecite della organizzazione e li riciclava per nasconderne le origini criminali e che avvelenava il mercato legale e quella che controllava le banche). Il pool antimafia e Falcone in testa riuscirono a realizzare un sistema investigativo che esaminasse tutte le facce della mafia, grazie ad una visione unitaria e sistematica del fenomeno mafioso riuscendo così a capovolgere i sistemi investigativi precedenti, che affrontavano i singoli aspetti criminali senza una visione di insieme e quindi senza una lettura ragionata dell’intero fenomeno criminale che si combatteva. Queste straordinarie intuizioni e le conseguenti attività investigative successive, hanno creato il modello ideale di magistrato in Sicilia, ove non puoi operare se non hai la piena consapevolezza della gravità e pervasività del fenomeno mafioso, sia come riferimento storico per ciò che è avvenuto, sia come modello attuale e futuro, per capire le difficoltà di un territorio che pur possedendo grandi potenzialità è sempre rimasto soffocato dal sotto sviluppo economico e sociale.
Oggi esiste un dibattito intorno alla Corte penale internazionale che pone la questione del diritto internazionale e della sua applicazione. La CPI è uno strumento necessario?
Credo che in ogni tempo dell’era moderna, i singoli Stati abbiano sempre visto negativamente il nascere e il funzionamento di organismi sovranazionali che controllassero e limitassero la loro sovranità. A mio modo di vedere si tratta di organismi di controllo e di garanzia che mettono tutti al sicuro da derive autoritarie ed assolutiste che facciano ricorso alla violenza ed alla soppressione del dissenso con metodi da pulizia etnica. Le moderne Costituzioni degli Stati prevedono tutte l’esistenza di tali organismi di controllo e di garanzia ed essi vanno valutati con enorme favore e rispettati, purché mantengano intatta la loro composizione super partes e la loro speciale autonomia ed indipendenza.
Come si è evoluto il sistema giudiziario italiano dalla fine del fascismo?
Durante il fascismo la giustizia aveva un assetto tipico degli Stati assolutisti, e quindi non godeva di autonomia ed indipendenza e l’Ufficio del Pubblico Ministero non era equiparato a quello del Giudice, ed infatti nello statuto Albertino (che era la legge costituzionale in vigore all’epoca) era chiamato Ufficio del Procuratore del Re; la Polizia giudiziaria non era alle dirette ed esclusive dipendenze del Pubblico Ministero. Con la Costituzione del 1948 si è realizzata una rivoluzione generale del sistema in quanto è stata riconosciuta piena indipendenza ed autonomia al Potere Giudiziario, che è stato disegnato come uno dei tre Poteri dello Stato e che deve rispondere “soltanto alla legge. La creazione e l’operatività effettiva del Consiglio Superiore della Magistratura, come organo di rilevanza a costituzionale, composto da membri di provenienza dalla Magistratura e da membri di nomina politica, ha completato l’assetto di completa autonomia. Qualche anno dopo è stata approvata anche la legge di equiparazione dei generi per l’accesso alla Magistratura, dando in tal modo attuazione all’articolo 3 della Costituzione che sancisce l’uguaglianza di tutti i cittadini e ripudia ogni discriminazione. Purtroppo oggi si rischia di vedere compresso il valore della autonomia della indipendenza della magistratura, in quanto l’attuale governo sembra volere ridurre tale autonomia ricorrendo ad un rimedio normativo di separazione delle carriere dei Giudici da quale dei PM, aprendo in tale modo la strada ad una rischiosa sottoposizione dei magistrati inquirenti al potere politico.