Lavoro Punto Fermo – Cermenate (CO) 12.5.2012

Mafia.Cermenate 12.5.12.200

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 CERMENATE  12 maggio 2012

PROGRAMMA MANIFESTAZIONE

FOTO EVENTO

Video TG di Etv

RASSEGNA STAMPA

Lettera del Sindaco di Cermenate Mauro Roncoroni

comunicato Centro Studi PSF

Mafia Casa raccolta fondi200

 

il 7 maggio 2011, a Cermenate, è stato inaugurato il CENTRO STUDI SOCIALI CONTRO LE MAFIE dedicato a Giorgio Ambrosoli


il 2 giugno 2011
, a Cermenate, à stato inaugurato il percorso della legalità

 

E’ lungo l’elenco dei protagonisti della giornata nazionale che si è svolta a Cermenate, dedicata al lavoro e alla legalità, a partire dal Presidente del Tribunale di Milano Livia Pomodoro, il segretario confederale Maurizio Petriccioli,  molti dirigenti generali nazionali dei sindacati dell’edilizia, dei metalmeccanici, dei bancari come Domenico Pesenti, Marco Bentivogli e Giacinto Palladino e poi le associazioni antiracket italiane con Maria Teresa Morano, i ragazzi anti gomorra di Napoli di Nuova Cucina Organizzata con le oltre quaranta associazioni del territorio, Gaetano Saffioti, l’impreditore calabrese che ha detto no ai boss della ‘ndrangheta. Infine un simbolo, ad arricchire la partecipazione di tutti al progetto comune: al mattino verrà piantato un albero (alle 9) nel parco Scalabrini dedicato ad Epifanio Li Puma, il sindacalista ucciso nelle Madonie dalla mafia una settimana prima di Placido Rizzotto, alla presenza del figlio e dei familiari.
E inoltre, Padre Antonio Garau di Jus Vitae di Palermo, e numerosi esponenti sindacali nazionali e regionali fra cui: Luciano Belmonte, Roberto Bocchio, Salvatore Scelfo (Filca Calabria, Brescia, Palermo), Paola Bavoso (Filca Genova), Massimo Bani (Filca Toscana) Ottavio de Luca (Flica Firenze), Roberto Scotti (Direttore Scuola Nazionale Filca), Pino Virgilio (Filca nazionale), Nicola Alberta, Alberto Zappa (Fim Lombardia e Como) Rosario Iaccarino (Fim Nazionale) Giusy Greco (Slp Lombardia), Attilio Cornelli (Fai Lombardia), Leonardo Palmisano, Ino Pellitteri (Slp Como),  Roberto Turri, Massimo Rimoldi, Stefano Zucchi (Filca Como), Alessandro Romano (FPS Como), Guido Marzaro, Mario Marzorati (Fnp Como), Michele Mercuri (IAL) Silvia Monti, Letizia Marzorati (Cisl Como), Vanni Petrelli (Filca nazionale).
Gerardo Larghi, Gloria Paolini, e Mario Piccinelli (Segreteria provinciale della Cisl comasca).
Per il comune di Cermenate, oltre al Sindaco Mauro Roncoroni, Federica Berardi, vice sindaco di Cermenate, Lorena Sinigaglia assessore del Comune di Cermenate, unitamente a esponenti di vari comuni  fra cui  Cadorago e Fino Mornasco e i rappresentanti delle associazioni di volontariato di Cermenate.
Il Prefetto Michele Tortora, i comandi provinciali di Polizia di Stato e Carabinieri. Battista Villa, Alessandro De Lisi, Claudio Ramaccini, Andrea Zoanni, Benedetto Madonia, Stefano Biondi e Salvatore Teresi del Centro Studi.

Il Centro Studi Sociali contro le mafie Progetto San Francesco è l’incubatore per sviluppare il welfare della legalità, un progetto comune della società civile e del sindacato verso un nuovo modello sociale.
Il Progetto San Francesco crede che la legalità, l’equità e il lavoro non siano soltanto principi e impegni ma devono essere gli strumenti contrattuali a sostegno del federalismo della responsabilità.
Il Progetto San Francesco con la Cisl, attraverso proposte e impegni condivisi, crede sia utile trasferire la lotta alle mafie dal capitolo culturale a quello economico e produttivo.
Nel XX anniversario delle stragi siciliane di Capaci e via d’Amelio, ne siamo certi, la cultura della legalità deve ritrovare una nuova maturità.
I capitali mafiosi, i soldi e i patrimoni immobiliari confiscati ai boss, siano sostegno per i lavoratori in cassa integrazione, per le famiglie sovra indebitate e nuova linfa per i piccoli e medi imprenditori in difficoltà.
Il Progetto San Francesco parte dalla lotta alle mafie e va verso un nuovo modello di responsabilità sociale.
Celebrando i principi della Costituzione italiana dobbiamo lottare per i diritti dei più deboli e impegnarci per i doveri di tutti, vogliamo il pane e le rose. Equità e crescita, legalità e sviluppo, solidarietà e competitività, innovazione e consapevolezza, questa è l’Italia che vogliamo.

Maria Teresa Morano è Presidente FAI (Federazione delle Associazioni Antiracket Italiane)

Teresa MoranoTra il 1990 e il 1991 l’azienda di famiglia, con la quale collaborava, è stata oggetto di richieste estorsive che furono denunciate dal padre (titolare dell’azienda) insieme ad altri 11 operatori economici e, dopo le testimonianze rese in tribunale, gli imputati sono stati condannati in primo grado con condanne poi divenute definitive. A processo quasi ultimato, ha promosso e fattivamente partecipato alla costituzione dell’Associazione Antiracket ACIPAC [Associazione Commercianti, Imprenditori, Professionisti, Artigiani di Cittanova (RC)] poi costituitasi parte civile in processi per estorsione. Negli anni seguenti ha contribuito alla costituzione delle associazioni antiracket di Gioia Tauro, Polistena e più recentemente Amantea (Cs). Nel 2004 ha coordinato e organizzato incontri periodici di operatori economici di Lamezia Terme finalizzati alla creazione di un’Associazione Antiracket nella città (ALA Onlus Lamezia) costituitasi formalmente nel maggio 2005, con la quale ha promosso varie iniziative di protesta contro la criminalità, incoraggiato diverse denunce per il reato di estorsione e la costituzione di parte civile nei successivi procedimenti penali. Già componente del Comitato di solidarietà per le vittime del racket e dell’usura costituito presso il Ministero dell’Interno (dal 2002 al 2006). Già Coordinatrice Regionale delle Associazioni Antiracket iscritte alla FAI operanti sul territorio calabrese, componente del Consiglio Direttivo e anche dell’Ufficio di Presidenza della FAI (Federazione delle Associazioni Antiracket Italiane).

L’imprenditore Gaetano Saffioti opera nel suo cantiere trasformato in bunker per aver fatto arrestare 48 taglieggiatori dell’ ndrangheta

Saffiotti.150L’azienda «Saffioti calcestruzzi e movimento terra», alla periferia di Palmi sulla strada che porta a Gioia Tauro, è un bunker: cancelli blindati, muri in cemento armato, decine di telecamere, filo spinato come nelle caserme , un’auto fissa della Finanza.
Gaetano Saffioti, 48 anni, gli ultimi otto vissuti sotto scorta per aver fatto arrestare 48 malavitosi della ‘ndrangheta che lo taglieggiavano, non ha perso il senso dell’umorismo. Da quando ha denunciato il racket, praticamente non lavora più in Calabria, è riuscito a salvare l’azienda con le commesse all’estero. «Gaetano Saffioti, ovvero la storia di un uomo esemplare» è il capitolo della sentenza del processo nato dalle sue denunce. «Sono nato cresciuto e pasciuto a Palmi. La mia famiglia aveva un frantoio. La ‘ndrangheta l’ho conosciuta a 8 anni. Ero andato in una colonia estiva a Sant’Eufemia, in Aspromonte, riservata ai più bravi della classe. Ci tenevo da morire. Dopo due giorni fui richiamato a casa. Torna perché mi manchi, disse mio padre. Anni dopo ho saputo che era stato minacciato e temeva per me. Morto mio padre, la famiglia era diventata più debole: una donna sola con sei figli minorenni. Arrivavano telefonate e mia madre piangeva. Noi chiedevamo: chi è ‘sta ‘ndrangheta?».
Nel 1981 Saffioti apre la ditta. «Ero appassionato di mezzi per movimento terra. Prima zappavo con il trattore, poi ho noleggiato la prima autopala, quindi un cingolato, un paio di camioncini. Fatturavo 5 milioni e mezzo di lire. Nel 1992 aggiungo l’impianto di calcestruzzo e vinco le prime gare d’appalto pubbliche». E le cosche? «Sempre tra i piedi. A loro non sfugge niente: persino i professori di scuola pagano il pizzo, costretti a dare voti alti ai figli dei boss. Quando ho cominciato a lavorare, c’era il boom dell’abusivismo: tanto lavoro, i boss lasciavano le molliche e prendevano i grossi appalti. «Si presentavano a tutte le ore, io preparavo i soldi e li consegnavo a pacchi da dieci milioni. Quando ne arrestavano uno, il giorno stesso si presentava un sostituto. Erano cordiali, sapevano prima di me che mi era arrivato un accredito in banca e venivano a riscuotere la percentuale, dal 3 al 15 per cento. Quando c’era un sequestro dei beni di un boss, automaticamente bisognava “risarcirlo” pagando il doppio. Per arrivare al cantiere al porto di Gioia Tauro dovevo attraversare i territori di tre famiglie. E pagavo per tre. Come i caselli autostradali. Compravo una cava di inerti per fare il calcestruzzo? Non me la facevano usare, imponevano di comprare il materiale da loro. Così per le macchine: le mie restavano ferme e noleggiavo le loro. Pagavo anche se non mi piaceva. Io glielo dicevo: non si può andare avanti così. E loro mi sfidavano: denuncia. Avevo paura: di essere ucciso ma anche di essere considerato un prestanome dei boss e arrestato. Quindi registravo tutto: gli incontri, i colloqui, i pagamenti. Una specie di polizza vita».
L’azienda cresce a ritmi vertiginosi: 20-30 per cento l’anno. E così le tangenti ai boss. Ma anche la frustrazione di Gaetano, anche perché nel frattempo gli attentati intimidatori non cessano. In uno di questi, l’incendio di un mezzo in pieno giorno, il fratello di Gaetano rischia di morire. È la svolta: Saffioti si presenta dal procuratore Roberto Pennisi e consegna tutte le registrazioni. «All’alba del 25 gennaio 2002, all’arrivo in azienda trovo la Finanza: “Siamo qui per lei, se deve uscire l’accompagniamo noi”. Finiva un incubo e ne cominciava un altro. Da allora sono sempre con me e con la mia famiglia. In pochi giorni persi tutte le commesse, 55 dei 60 operai. Il fatturato scese da 15 milioni a 500 mila euro, le banche mi chiudevano i conti attivi, i fornitori mi chiedevano fideiussioni oltre il terzo grado di parentela perché “tu sei un morto che cammina”. Mia moglie piangeva. I clienti sparivano, nemmeno le confraternite venivano più a chiedermi i contributi per le feste patronali». Saffioti, diventato testimone di giustizia, vivrà il resto della sua vita blindato.
Gaetano Saffioti – imprenditore – video