La nuova cultura si è fermata ai confini di Pavia

 

di Lionello Mancini

di Lionello Mancini

«Negli ultimi anni, grazie anche all’azione propulsiva di Confindustria Sicilia, la Confindustria di tutto il Mezzogiorno è entrata con forza sui temi della legalità e dell’antimafia. Nel Mezzogiorno, Confindustria ha iniziato a espellere iscritti collusi e, soprattutto, a stare concretamente a fianco delle vittime. Sarebbe sbagliato e dannoso continuare a pensare che legalità e antimafia siano temi solo del Mezzogiorno.

Ormai, purtroppo, hanno portata nazionale ed europea. Negare questo dato di fatto, o sottovalutarlo, significa aiutare la criminalità a penetrare meglio nel tessuto economico e industriale. Legalità e imprenditoria sono un binomio inscindibile. Questo dovrebbero saperlo tutti gli imprenditori». Così Giorgio Squinzi, il 25 maggio 2012, nell’insediarsi al vertice di Confindustria.

Forse erano distratti, quel giorno, gli imprenditori di Pavia. Certamente lo erano i loro vertici, stando a quanto hanno pubblicamente dichiarato, ribadito e rivendicato il 23 novembre, al convegno “ConSenso sociale. Anticorpi di legalità al contagio mafioso”.

I dirigenti pavesi di Confindustria e Ance hanno saputo lasciare di stucco co-relatori, moderatore e pubblico, con un crescendo di affermazioni decisamente “pre-25 maggio”. L’uditorio, per lo più studentesco, del Collegio universitario Santa Caterina ha potuto ascoltare un vasto repertorio di argomentazioni non più reperibili nelle rassegne stampa da almeno cinque-sei anni. Dal «siamo imprenditori e non poliziotti», al «pensi lo Stato a fare pulizia», al «cosa possiamo farci se c’è chi ricorre ai prestanome», fino al «non possiamo guardare dentro le aziende degli altri». Eppure, narrano le cronache più recenti, Pavia dovrebbe essere in stato di massima allerta dopo i ripetuti campanelli d’allarme risuonati con gli arresti del direttore dell’Asl, Carlo Chiriaco, e dell’avvocato Pino Neri, accusati di legami strettissimi con la ‘ndrangheta e giudicati in un processo, in corso, in cui il Comune di Pavia si è inserito chiedendo un risarcimento per il danno d’immagine subìto dalla città.

E invece i dirigenti degli industriali e dei costruttori pavesi – entrambi attivi nel delicatissimo settore edile – non sono apparsi esitanti né autocritici, anzi: al moderatore che ricordava loro come loro colleghi (riferendosi al vicepresidente di Confindustria, Ivan Lo Bello), in ben altri e difficili contesti (la Sicilia) avessero dato prova di diversa determinazione, non hanno trovato di meglio che sbottare: «Non mi pare che Lo Bello abbia sconfitto la mafia cambiando un codice etico», «nessuno espelle nessuno da Confindustria, se prima non c’è una condanna della magistratura».

Sbagliato: basta rileggere le prime righe di questo articolo. Il bizzarro show andato in scena al Santa Caterina merita di essere segnalato perché testimonia come, accanto alle interessanti colture lombarde di anticorpi, resistano ancora oggi sacche di grave arretratezza. Resistenze culturali che, intanto, rendono più complicata proprio quella repressione invocata per puro benaltrismo dai due imprenditori pavesi ma che, soprattutto, finiscono con lo spianare la strada alla criminalità organizzata, ai loro traffici, ai loro prestanome, ai loro soldi sporchi.

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