Sulle white list il rischio burocrazia

mancini180

di Lionello Mancini

di Lionello Mancini

La ricostruzione, nei Comuni emiliani colpiti dal sisma, soffre. E non solo per i ritardi di permessi e pagamenti, ma anche nella composizione delle white list.

Ci sono due numeri che dicono molto: 1.400 e 20. Il primo, in rapido aumento, indica le richieste di ammissione alle white list presentate finora, mentre 20 sono le imprese già iscritte negli elenchi. Insomma, uno dei classici “colli di bottiglia” che strozzano nella culla progetti piccoli o grandi, locali o nazionali. Il delta tra 1.400 e 20 è originato dai ritardi e i paradossi che azzoppano la nostra pubblica amministrazione: norme e circolari che confliggono tra loro fino alla paralisi; scarsità di personale negli uffici; irrazionale distribuzione del medesimo; povertà di tecnologie; assenza di formazione che ne frena l’utilizzo. È proprio l’insieme di questi elementi a gravare direttamente e indirettamente su Modena, dove l’ufficio che elabora le pratiche per le white list appare sottodimensionato e il suo lavoro appesantito dal forzoso ricorso alla carta, anche dove le pratiche potrebbero nascere e rimanere nella sfera digitale. Ma concezioni antiquate tuttora diffuse, fino a un uso saltuario della Pec, vecchi riti burocratici che resistono ai database oltre alle inefficienze individuali, costringono anche il personale più abile e attrezzato a frenare, ripiegando su fotocopie, telefax e faldoni. Un problema già segnalato un anno fa dagli uffici milanesi, all’avvio delle selezioni per l’Expo, quando ci fu l’allarme per la prevedibile impennata dei carichi di lavoro su prefettura e tavolo interforze (cioè i vari corpi di polizia), sia per i controlli preventivi sia per gli accessi in cantiere. Mentre a limitare questi ultimi pesa l’endemica carenza di personale, per l’ammissione alle white list – teoricamente accentrata su due prefetture – il ricorso al cartaceo è diffusissimo, anche perché negli uffici referenti per competenza geografica capita che l’uso della mail sia ridotto, o sconosciuto il simbolo “@” (non è uno scherzo, ma il racconto di un addetto ai lavori). Se questo avviene in importanti Utg di capoluoghi di regione, le cose non possono andar meglio nelle aree in cui lo Stato è meno attrezzato, le reti telematiche più lente, l’assistenza tecnica rarefatta. Ne discende che l’uso delle banche dati è sporadico, le visure camerali da tempo disponibili in rete devono invece viaggiare su carta, i tempi si dilatano e la necessità – apprezzabile – di estendere alcuni controlli a familiari e conviventi del titolare di una ditta può bloccare una domanda per settimane, dato che impegna numerosi uffici da Aosta a Crotone. Inutile aggiungere che a fronte dei carichi di lavoro che si impennano in alcuni uffici, non è possibile avvalersi di figure (per esempio, tecnici informatici), magari sovrabbondanti in altre sedi meno esposte: le regole sindacali non lo permettono e così Modena o Milano sono in affanno, mentre gli uffici del ministero dell’Interno o alcune Prefetture periferiche restano inutilmente oversized.   È su queste scogliere, per nulla sconosciute o invisibili, che rischia di infrangersi la buona volontà delle imprese che chiedono il timbro sulla loro affidabilità, insieme a quella dei dipendenti pubblici frustrati e offesi per tanta, inscalfibile inefficienza.

Sole 24 Ore – 18.2.2013

editoriali precedenti