L’onere della toga di Lionello Mancini – Servizio Rai

 

Milleeunlibro – Scrittori in TV. Un servizio RAI dedicato a “L’onere della toga” (dall’11° minito del video)

 

Monza, estate 1988, una casa prende fuoco: è l’avvertimento della ‘ndrangheta a un teste perché non riveli nulla al magistrato che già allora indagava sulle infiltrazioni mafiose al Nord. Milano, tribunale: il sostituto procuratore ascolta il dramma di una ragazza tenuta per anni in schiavitù, sfruttata e prostituita. E poi San Marino: un luogo caratteristico e almeno per tanti, ma non per i Pm di Forlì che indagano sull’evasione fiscale e per questo ricevono silenziose pressioni e velate minacce. La vita quotidiana dei magistrati è fatta di tante storie come queste. La scelta di battersi in nome della legge comporta rischi, paure e rinunce, quasi sempre sconosciuti all’opinione pubblica. In questo libro, Lionello Mancini dà voce a cinque toghe e alle loro storie di caparbietà, lotta, fatica e ideali forti, offrendoci allo stesso tempo un quadro esaustivo del mondo giudiziario italiano, utile a comprendere cosa significhi oggi, in questo Paese, lottare ogni giorno per un po’ di Giustizia.

 

Cultura, equilibrio e senso di responsabilità

Questo è uno stralcio della prefazione di Giuseppe Pignatone del libro di Lionello Mancini L’onere della Toga, in libreria a partire da oggi

Lionello Mancini è un giornalista di vaglia e – non credo mi faccia velo l’amicizia – come tale annovera tra le sue caratteristiche una forte curiosità. Curiosità per i fatti ma anche, e direi ancora prima, per le persone che di quei fatti sono protagoniste. Da giornalista economico, per molti anni al “Sole 24 Ore”, Mancini ha progressivamente allargato il suo campo d’interesse (e, appunto, la sua curiosità) al mondo della giustizia, della magistratura, dei processi, includendo tutti quei temi che sono sempre più spesso parte rilevante del dibattito pubblico in Italia e che condizionano, piaccia o no, molti aspetti della vita sociale, politica e anche economica del Paese.

Questo interesse e questa curiosità sviluppati con articoli, inchieste, reportage, hanno, io credo, ispirato L’onere della toga.

Leggendo in trasparenza le storie raccontate nel libro, mi pare emerga che per Lionello Mancini esistono tre condizioni chiave (o almeno tre), tratti essenziali per chiunque svolga la funzione di Pubblico ministero.

La prima potrebbe essere indicata, approssimativamente, con il termine cultura ed è costituita – per Mancini – non dal bagaglio di nozioni tecnico-giuridiche acquisito con gli studi e nemmeno dalla (pur indispensabile) accumulazione di conoscenza data dall’esperienza; bensì, in senso ben più lato e senza perdere d’occhio la specificità del lavoro di Pubblico ministero, il termine sembra riferirsi alla capacità, non sempre innata, di rinunciare ai propri canoni di giudizio per lasciare serenamente spazio alla realtà quale emerge dalle indagini. Un esercizio non facile, che richiede grande apertura mentale e formazione continua. La seconda condizione essenziale, nella visione di Mancini, può essere sintetizzata con il termine equilibrio: non degradato a equilibrismo opportunistico e deteriore, ma come frutto della capacità di valutare le situazioni con obiettività, comportandosi, quindi, di conseguenza, senza tuttavia mai perdere il senso delle proporzioni. Il Pm e, in genere, il magistrato, non deve essere vittima di eccessiva preoccupazione, tanto da esitare davanti a determinati scenari, ma nemmeno deve sentirsi “in missione per conto di Dio”, come scherzosamente amavano ripetere i Blues Brothers, sentendosi così autorizzato a “strattonamenti” tali da stravolgere i dettati normativi o procedurali.

Questo equilibrio è reso ancor più arduo – e, insieme, necessario – dai poteri accordati dalla legge al Procuratore e ai suoi sostituti e deve anche soppesare con attenzione la diversità dei contesti nei quali i Pm sono chiamati a operare.

La terza condizione che l’autore indica come essenziale per il corretto esercizio della funzione requirente è quella, onnicomprensiva, del fortissimo senso di responsabilità che ciascuno di noi dovrebbe in ogni momento avvertire e coltivare, quotidianamente, instancabilmente. Da ognuna delle storie che seguono emerge, infatti, che senza una profonda consapevolezza dell’impegno assunto, accompagnata da un’ampia percezione delle conseguenze derivanti da comportamenti non adeguati, discende il rischio concreto di danneggiare gravemente i cittadini e, allo stesso tempo, proprio le istituzioni che il magistrato deve contribuire a rendere sempre più credibili anche con il suo operato. Per un verso, dunque, è la stessa responsabilità che grava in capo a ogni dipendente pubblico, ma resa ancora più impegnativa dal fatto che l’azione penale incide sui beni essenziali della persona. E anzi, proprio le peculiarità dell’ordinamento giudiziario – l’autogoverno in primo luogo – devono invitare i magistrati a un surplus di responsabilità. Una concezione alta ed esigente dell’azione e della funzione del Pubblico ministero, quella indirettamente espressa da Lionello Mancini, sulla quale è utile una riflessione, in primo luogo da parte di noi magistrati.

Giuseppe Pignatone è Procuratore della Repubblica di Roma

“Attraverso i racconti, Mancini descrive chi ‘sono’ quelle persone che ‘fanno’ il Pubblico ministero: quali sono le emozioni, le fatiche, le debolezze, e mette a fuoco l’aspetto, di solito ignorato, dei costi umani e personali che pagano per svolgere al meglio questo lavoro.”

 

 

Dolore e umanità dietro le inchieste

Christian Stocchi

Sosteneva Libero Bovio che «un giudice senza umanità è un giudice senza giustizia». Spesso, troppo spesso, non distinguendo la funzione dalla persona che la ricopre, dimentichiamo che, sotto la toga del giudice, così come del pubblico ministero, c’è l’uomo. Con le sue fatiche e le sue emozioni. I suoi dubbi e le sue difficoltà. In una parola: la sua umanità. Ora Lionello Mancini, giornalista di lungo corso esperto di cronaca giudiziaria, firma del «Sole 24 ore», ci porta dentro il pianeta giustizia, osservandolo da un punto di vista certamente poco esplorato: quello della vita e del lavoro quotidiano del Pubblico ministero. Lo fa con una scelta non casuale, visto che i nomi dei cinque protagonisti di quest’opera, significativamente intitolata «L’onere della toga», non sono tra quelli in primo piano nelle cronache nazionali, anche se il loro ruolo li ha portati ad affrontare casi di estrema delicatezza. Lucia Musti, Marco Ghezzi, Fabio Di Vizio, Alessandra Dolci, Cuno Jacob Tarfusser: forse avete già sentito nominare alcuni di questi magistrati, probabilmente non tutti. Ma conoscerli meglio è senza dubbio utile: la loro dedizione al lavoro ci svela fino i   che umanissime sofferenze e di quali quotidiani pesi sia gravata la toga. Al netto delle ricorrenti polemiche della politica contro la magistratura, alimentate dal circuito dei media, che troppo spesso amano accendere la luce dei riflettori per cibarsi poi soltanto di apparenze. Il ritmo e lo stile della narrazione di Mancini sono certamente coinvolgenti. Come nota nella prefazione il Procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone, «le cinque storie del libro vengono raccontate come se l’autore avesse potuto assistere, non visto, negli uffici della Procura, alla nascita di un’inchiesta o ai momenti in cui questa si trovava nelle fasi secretate che precedono la possibilità di diffusione mediatica». Un «artificio», una tecnica che consente di rendere la narrazione palpitante, di entrare con efficacia nei pensieri, nelle speranze e nei timori delle persone, di scavare nella psicologia non solo dei magistrati, ma anche dei collaboratori, che vivono quotidianamente in trincea con loro, e delle altre figure che ruotano intorno ai casi al centro dal libro. Prendete la prima vicenda affrontata dall’autore: un caso che ha sconvolto profondamente Parma e tutta l’Italia, quello del piccolo Tommy. Ripercorrendo con attenzione le fasi delle indagini, l’autore descrive bene come visse quei giorni il magistrato della Dda di Bologna Lucia Musti. Mancini, insomma, prende per mano il lettore e lo porta dentro la vita della donna, con le incombenze quotidiane, la gestione della famiglia (l’anziano padre, la figlia quindicenne); il rapporto con i colleghi; il modo di condurre (e di affrontare) le indagini. Senza tralasciare i momenti difficili. Tanti. Fino ai minuti, ai secondi forse più duri, quando, risolto di fatto il caso, il Pm va di persona dalla mamma di Tommy per annunciarle la tragica notizia. «Sì – scrive Mancini, fotografando il profilo umano di Lucia Musti –, era un magistrato, ma anche una madre che andava da un’altra madre per portarle la disperazione. Aveva scritto in faccia che la speranza era ormai sepolta da qualche parte lungo un fosso». Il Pubblico ministero non può cedere al sentimento. Deve lavorare. Deve portare a termine l’incarico. E così congela le proprie emozioni fino al termine del processo. Poi, ecco che, una volta compiuto il proprio dovere, esplode in un pianto senza più freni nel tornare verso casa, a Bologna. Adesso sì, può farlo: può sfogarsi. Oltre alla storia di Lucia Musti, ci sono altre vicende di quotidiana dedizione al lavoro, come quella di Marco Ghezzi, impegnato a indagare in alcuni casi di abuso su soggetti deboli. C’è poi la sfida coraggiosa di Fabio Di Vizio, magistrato di Forlì, di cui l’autore descrive le indagini che vanno a toccare il sistema bancario dello «Stato-cassaforte»: San Marino. Vincendo lo spirito gerarchico che lo contraddistingue, il pm non esita a scrivere direttamente a Mario Draghi, allora Governatore della Banca d’Italia, per chiedere quella collaborazione che altrove dispera di poter trovare. Ma, in questo percorso non privo di sorprese, ci sono anche la sensibilità e la tenacia di un’altra donna, Alessandra Dolci, che sicuramente non può non colpire il lettore: impegnata in prima linea nel processo «Cerberus» alla ‘ndrangheta milanese, si batte gagliardamente, nauseata dal clima e dal sistema che deve affrontare. Chiude la galleria la vicenda di Tarfusser, ora approdato alla Corte penale internazionale dell’Aja, dopo l’esperienza-modello di Bolzano, dove il magistrato diventa procuratore a soli 46 anni, avviando una gestione di notevole efficienza. Anche qui non mancano difficoltà e incomprensioni. Anche, anzi soprattutto con i colleghi, da cui subisce un malanimo che amareggia. E ferisce. In questo libro, colpisce come in diversi momenti ritorni il tema della delusione, della nausea di fronte alle brutture del mondo. Di fronte a un’umanità talora difficile da riconoscere. Ma emergono anche sentimenti positivi, forti, come la consapevolezza che, dietro alla fatica, ci sono, irriducibili, l’orgoglio dell’impegno civile e la consapevolezza del ruolo fondamentale che rivestono i magistrati. Da queste pagine, si rileva, come giustamente nota Pignatone, «una concezione alta ed esigente dell’azione e della funzione del Pubblico ministero». Pagine da leggere, insomma. Per capire. Per riflettere, soprattutto.

  

PRESENTAZIONE ONERE DELLA TOGA A FANO 4.10.2013

PRESENTAZIONE ONERE DELLA TOGA A MILANO  13.9.2013

PRESENTAZIONE ONERE DELLA TOGA A COMO 11.7.2013

MANCINI ALLA TAVOLA ROTONDA – CHI HA IL LAVORO HA IL POTERE – Cittanova  4.4.2013

MANCINI ALLA TAVOLA ROTONDA – LIBERTÀ, LEGALITÀ, PARTECIPAZIONE CON BONANNI E LO BELLO – Cermenate 22.6.12

MANCINI AL CONVEGNO “LE PAROLE SONO PIETRE” – Pavia 16.10.2012

Gli editoriali di Lionello Mancini

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