Denunciato e perquisito Salvo Palazzolo

 

 

I poliziotti Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di essere fra i depistatori di Stato della strage Borsellino, mi hanno denunciato perché ho scritto che stava iniziando un processo nei loro confronti. E la procura di Catania ha disposto la perquisizione della mia abitazione, il sequestro di un cellulare, di un tablet, di tre hard disk. Ora, sono indagato per rivelazione di segreto d’ufficio. Per aver dato la notizia che sta iniziando un processo ad alcuni uomini delleistituzioni accusati di aver costruito ad arte il falso pentito Scarantino. Udienza preliminare il 20 settembre, al tribunale di Caltanissetta. Ci sarò, ci saranno tutti i giornalisti che vogliono conoscere la verità sulla strage di via D’Amelio.

Chi ha suggerito tante bugie al pentito Scarantino?

Chi, nei palazzi delle istituzioni, conosce le verità e non parla?

I giornalisti siciliani continueranno a fare le loro domande, continueranno a cercare l’agenda rossa di Paolo Borsellino, continueranno a dare voce al dolore dei familiari delle vittime. I giornalisti siciliani non si rassegnano ai segreti di Stato, questo dicono i tanti messaggi di solidarietà che sto ricevendo dopo la perquisizione, vi ringrazio davvero. La battaglia per la verità sulle stragi prosegue. La battaglia di tante persone di buona volontà: magistrati, avvocati, insegnanti, studenti, sacerdoti, la lista – per fortuna – è ogni giorno più lunga. Denunciare tutti quelli che chiedono la verità sulle stragi di Stato sarà davvero difficile.  Salvo Palazzolo 14.9.2018

 

Fino a qualche giorno fa, pensavo che un cronista a cui hanno sequestrato il suo archivio (chissà perchè) è uomo senza una gamba, che non può correre. Poi, invece, all’improvviso, ho cominciato a ricordare. Nomi, volti, domande. Mi sono tornati in mente davvero tanti dettagli dei misteri di Palermo. Tanti. Ogni giorno di più. Non posso, non possiamo dimenticare che molte verità sulle stragi sono ancora custodite in alcuni archivi di Stato. La prima domanda: perché il principale depistatore dell’inchiesta su via d’Amelio, il superpoliziotto Arnaldo La Barbera, era anche un agente dei servizi segreti? Nell’archivio del Sisde c’è la risposta? 
Il presidente Claudio Fava mi ha convocato per un’audizione alla commissione regionale antimafia. Alle 14, affiderò ai commissari le domande che i cronisti siciliani non hanno mai smesso di fare. Domande ancora senza risposta. Salvo Palazzolo 18.9.2018

 

APPELLO PALAZZOLO, CREIAMO UNA PIATTAFORMA DI GIORNALISTI CHE INDAGHI SUI SEGRETI DI STATO

 

SALVO PALAZZOLO IN COMMISSIONE SPECIALE ANTIMAFIA REGIONE SICILIA – GAZZETTINO DI SICILIA 17.9.2018

 

Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha incaricato gli ispettori del ministero di compiere accertamenti in merito alla perquisizione di ieri in casa del giornalista di Repubblica Salvo Palazzolo, disposta dalla procura di Catania, durante la quale gli è stato anche sequestrato il cellulare.Palazzolo è indagato per rivelazione di notizie, in particolare quella legata ad un articolo, nel marzo scorso, sulla chiusura dell’inchiesta sul depistaggio del pentito Vincenzo Scarantino nell’ambito delle indagini sulla strage di via D’Amelio.

 

Giovedì 20 settembre la Commissione Speciale Antimafia della Regione Sicilia ascolterà il giornalista di Repubblica Salvo Palazzolo “che – afferma il presidente Claudio Fava – su quel depistaggio ha scritto cronache, accurate e preziose e che oggi si trova a pagare il suo scrupolo di giornalista con una perquisizione che riteniamo un atto tardivo ed eccessivo”.

 

Strage di via d’Amelio, perquisizione a casa del cronista che rivelo’ l’inchiesta sul depistaggio Scarantino

Perquisizione a casa del cronista di Repubblica Salvo Palazzolo, che ha rivelato la chiusura dell’indagine sul depistaggio Scarantino. Su disposizione della procura di Catania, a Palazzolo è stato sequestrato un telefono cellulare ed è in corso una perquisizione della casa del giornalista e un controllo del suo computer personale. Palazzolo è indagato per rivelazione di notizie dopo l’articolo con il quale a marzo diede atto della chiusura dell’indagine sui poliziotti accusati di avere creato ad arte il pentito Vincenzo Scarantino. Una svolta nell’indagine sulla strage di via D’Amelio arrivata sei mesi fa. La procura di Caltanissetta ha chiuso l’indagine sul colossale depistaggio che ha tenuto lontana la verità per tanti anni e si apprestava a chiedere un processo per il dottore Mario Bo, per l’ispettore Fabrizio Mattei e per Michele Ribaudo (all’epoca era agente scelto). Secondo la sentenza del Borsellino quater “soggetti inseriti negli apparati dello Stato” indussero Vincenzo Scarantino a rendere false dichiarazioni sulla strage che uccise il procuratore aggiunto Paolo Borsellino e i poliziotti della scorta.”Sconcerto e forte preoccupazione” dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia e dell’Assostampa siciliana per la decisione della Procura di Catania di indagare il giornalista di Repubblica Salvo Palazzolo. “Non si può trattare un giornalista come un criminale – dicono con una nota congiunta Odg Sicilia e Assostampa siciliana -. Agli occhi dei magistrati di Catania Palazzolo è ‘colpevole’ di avere fatto bene il proprio lavoro, di essersi occupato, con scrupolo e con la serietà che gli è riconosciuta da tutti, della vicenda del depistaggio nelle indagini per la strage di via D’Amelio in cui morirono il giudice Borsellino con i suoi uomini della scorta”. “Ciò che viene contestato in particolare al cronista di Repubblica – proseguono Ordine dei giornalisti di Sicilia e Assostampa – è l’avere pubblicato a marzo scorso un articolo con cui informava della chiusura dell’indagine sui poliziotti accusati (tre sono gli indagati) di avere creato ad arte il pentito Scarantino, inducendolo a rendere false dichiarazioni sulla strage che costò la vita al giudice Borsellino. La notizia c’era, il collega, dandola, ha solo fatto il proprio dovere di cronista, cui va riconosciuto, tra l’altro, il diritto alla tutela delle proprie fonti”. LA REPUBBLICA

ARCHIVIO

La Procura di Caltanissetta ha chiesto di processare tre poliziotti per il depistaggio sulla strage di via D’Amelio. Il processo è stato chiesto per il funzionario Mario Bo, già indagato per gli stessi fatti e che ha ottenuto l’archiviazione e per i poliziotti Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. Sono tutti e tre accusati di calunnia in concorso.

Borsellino Quater – dalla Sentenza … IL DEPISTAGGIO DI STATO

(…) Va quindi sottolineata la particolare pervicacia e continuità dell’attività di determinazione dello Scarantino a rendere false dichiarazioni accusatorie, con la elaborazione di una trama complessa che riuscì a trarre in inganno anche i giudici dei primi due processi sulla strage di Via D’Amelio, così producendo drammatiche conseguenze sulla libertà e sulla vita delle persone incolpate.Poiché l’attività di determinazione così accertata ha consentito di realizzare uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana, è lecito interrogarsi sulle finalità realmente perseguite dai soggetti, inseriti negli apparati dello Stato, che si resero protagonisti di tale disegno criminoso, con specifico riferimento:

– alla copertura della presenza di fonti rimaste occulte, che viene evidenziatadalla trasmissione ai finti collaboratori di giustizia di informazioni estranee alloro patrimonio conoscitivo ed in seguito rivelatesi oggettivamente rispondentialla realtà;

– ai collegamenti con la sottrazione dell’agenda rossa che Paolo Borsellino aveva con sé al momento dell’attentato e che conteneva una serie di appunti difondamentale rilevanza per la ricostruzione dell’attività da lui svolta nell’ultimo periodo della sua vita, dedicato ad una serie di indagini di estrema delicatezza e alla ricerca della verità sulla strage di Capaci;

– alla eventuale finalità di occultamento della responsabilità di altri soggetti per la strage, nel quadro di una convergenza di interessi tra “Cosa Nostra” e altri centri di potere che percepivano come un pericolo l’opera del Magistrato.In proposito, va osservato che un collegamento tra il depistaggio e l’occultamento dell’agenda rossa di Paolo Borsellino è sicuramente desumibile dalla identità di taluno dei protagonisti di entrambe le vicende: si è già sottolineato il ruolo fondamentale assunto, nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia, dal Dott. Arnaldo La Barbera, il quale è stato altresì intensamente coinvolto nella sparizione dell’agenda rossa, come è evidenziato dalla sua reazione – connotata da una inaudita aggressività – nei confronti di Lucia Borsellino, impegnata in una coraggiosa opera di ricerca della verità sulla morte del padre. L’indagine sulle reali finalità del depistaggio non può, poi, prescindere dallaconsiderazione sia delle dichiarazioni di Antonino Giuffrè (il quale ha riferito che, prima di passare all’attuazione della strategia stragista, erano stati effettuati “sondaggi” con “persone importanti” appartenenti al mondo economico e politico, ha precisato che questi “sondaggi” si fondavano sulla “pericolosità” di determinati soggetti non solo per l’organizzazione mafiosa ma anche per i suoi legami con ambienti imprenditoriali e politici interessati a convivere e a “fare affari” con essa, ha ricondotto a tale contesto l’isolamento – anche nell’ambito giudiziario – cheportò all’uccisione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e ha chiarito che la stessa strategia terroristica di Salvatore Riina traeva la sua forza dalla previsione – rivelatasi poi infondata – che passato il periodo delle stragi si sarebbe ritornati alla “normalità”), sia delle circostanze confidate da Paolo Borsellino alle persone e lui più vicine nel periodo che precedette la strage di Via D’Amelio. Vanno richiamati, al riguardo, gli elementi probatori già analizzati nel capitolo VI. Un particolare rilievo assumono, in questo contesto, la convinzione, espressa da Paolo Borsellinoalla moglie Agnese Piraino proprio il giorno prima della strage di Via D’Amelio, «che non sarebbe stata la mafia ad ucciderlo, (…) ma sarebbero stati i suoi colleghi ed altri a permettere che ciò potesse accadere», e la drammatica percezione, da parte del Magistrato, dell’esistenza di un «colloquio tra la mafia e parti infedeli dello stato». Occorre, altresì, tenere conto degli approfonditi rilievi formulati nella sentenza n. 23/1999 emessa il 9 dicembre 1999 dalla Corte di Assise di Caltanissetta nel processo n. 29/97 R.G.C.Ass. (c.d. “Borsellino ter”) secondo cui «risulta quanto meno provato che la morte di Paolo BORSELLINO non era stata voluta solo per finalità di vendetta e di cautela preventiva, bensì anche per esercitare – cumulando i suoi effetti con quelli degli altri delitti eccellenti – una forte pressione sulla compagine governativa che aveva attuato una linea politica di contrasto alla mafia più intensa che in passato ed indurre coloro che si fossero mostrati disponibili tra i possibili referenti a farsi avanti per trattare un mutamento di quella linea politica. (…) E proprio per agevolare la creazione di nuovi contatti politici occorreva eliminare chi come BORSELLINOavrebbe scoraggiato qualsiasi tentativo diapproccio con COSA NOSTRA e di arretramento nell’attività di contrasto alla mafia, levandosi a denunciare anche pubblicamente, dall’alto del suo prestigioprofessionale e della nobiltà del suo impegno civico, ogni cedimento dello Stato o di sue componenti politiche». Questa Corte ritiene quindi doveroso, in considerazione di quanto è stato accertato sull’attività di determinazione realizzata nei confronti dello Scarantino, del complesso contesto in cui essa viene a collocarsi, e delle ulteriori condotte delittuose emerse nel corso dell’istruttoria dibattimentale (tra cui proprio quella della sottrazione dell’agenda rossa), di disporre la trasmissione al Pubblico ministero, per le eventuali determinazioni di sua competenza, dei verbali di tutte le udienze dibattimentali, le quali possono contenere elementi rilevanti per la difficile ma fondamentale opera di ricerca della verità nella quale la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta è impegnata

 

SALVO PALAZZOLO – chi è

Dopo la laurea in Giurisprudenza ha iniziato l’attività giornalistica nel 1992, al quotidiano L’Ora di Palermo. Ha poi collaborato con i quotidiani il manifestoLa Sicilia e Il Mediterraneo, occupandosi di cronaca giudiziaria. In collaborazione con Video On Line ha realizzato il primo sito internet italiano su un processo penale. Dal 1999 è redattore di giudiziaria del quotidiano La Repubblica. Nel 2004 ha intervistato in carcere il capomafia Pietro Aglieri, ha poi rivelato la trattativa segreta fra i boss e un gruppo di sacerdoti, che dopo le stragi che uccisero Giovanni Falcone e Paolo Borsellino avrebbe dovuto portare alla dissociazione di alcuni mafiosi da Cosa nostra. Ha collaborato con la società di produzione Magnolia e con la RAI come coautore di programmi televisivi di inchiesta su Cosa nostra, curati da Claudio Canepari e trasmessi da Rai 3Scacco al re, la cattura di ProvenzanoDoppio gioco, le talpe dell’antimafiaLe mani su Palermo. Quest’ultimo programma nel 2009 ha ricevuto il premio della critica alla XV edizione del premio giornalistico televisivo “Ilaria Alpi”.

Insieme ad Agnese Borsellino ha scritto il bellissimo libro  Ti racconterò tutte le storie che potrò

 

Interventi – audio archivio Radio Radicale

 

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L’ARTICOLO INCRIMINATO 

Strage Borsellino, tre poliziotti sotto accusa per il depistaggio del falso pentito Scarantino

Notificato il provvedimento di chiusura dell’indagine, verso il processo un funzionario e due sottufficiali. I pm di Caltanissetta contestano il reato di calunnia

dal nostro inviato SALVO PALAZZOLO08 marzo 2018

Via d’Amelio, 19 luglio 1992 

CALTANISSETTA. Prima degli interrogatori, suggerivano le dichiarazioni. Dopo, le aggiustavano. Un funzionario di polizia e due sottufficiali – simboli dell’antimafia in terra di Sicilia – sono accusati di aver costruito ad arte il pentito fantoccio Vincenzo Scarantino, la gola profonda che prometteva di svelare tutti i segreti della strage in cui morirono il procuratore aggiunto Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta. La procura di Caltanissetta ha chiuso l’indagine sul colossale depistaggio che ha tenuto lontana la verità per tanti anni e si appresta a chiedere un processo per il dottore Mario Bo, oggi in servizio a Gorizia, per l’ispettore Fabrizio Mattei e per Michele Ribaudo (all’epoca era agente scelto).

E’ la prima volta che uomini delle istituzioni vengono messi sul banco degli imputati per i misteri che ancora avvolgono le indagini sulla strage di via d’Amelio, avvenuta a Palermo il 19 luglio 1992. L’anno scorso, era stato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a lanciare un appello per la verità: «Troppe sono state le incertezze e gli errori – aveva detto al Csm – e tanti gli interrogativi sul percorso per assicurare la giusta condanna ai responsabili di quel delitto». Parole che raccoglievano l’amarezza dei figli del giudice Paolo.

«Sono stati buttati via 25 anni a costruire falsi pentiti con lusinghe e con torture», ha detto Fiammetta Borsellino davanti alla commissione parlamentare antimafia. «Ci vorrebbe un pentito nelle istituzioni». Ma nessuno ancora ha infranto il muro dell’omertà. I magistrati non si sono arresi.

La procura di Caltanissetta, oggi diretta da Amedeo Bertone, ha fatto un lavoro certosino in questi anni. Prima, ha svelato il grande imbroglio, scagionando nove innocenti, grazie alle rivelazioni del pentito (vero) Gaspare Spatuzza, lui e non Scarantino aveva rubato la Fiat 126 trasformata in autobomba. Poi, è stato istruito il processo ai veri esecutori della strage (i mandanti di mafia erano già stati individuati). Adesso, si apre il capitolo del depistaggio di Stato. I tre poliziotti sono accusati di calunnia dal sostituto procuratore Stefano Luciani e dai procuratori aggiunti Gabriele Paci e Lia Sava. E ci sarebbe stato anche un altro imputato nella lista, ma è deceduto nel 2002: è l’ex capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, che coordinava il gruppo di indagine “Falcone-Borsellino” sulle stragi del 1992. In un primo tempo, era stata invece archiviata la posizione di Bo e di altri due funzionari, Vincenzo Ricciardi e Salvatore La Barbera. Ma le indagini sono andate avanti. «Chiederemo una nuova audizione – dice l’avvocato Nino Caleca, che assiste Mario Bo – ribadiremo quanto già detto al primo giudice, che aveva archiviato. E solleciteremo una nuova archiviazione».

I VERBALI AGGIUSTATI

«Mi davano i verbali con degli appunti scritti a penna», ha raccontato Scarantino. «Mi facevano studiare anche il libro di Buscetta, che spiegava le regole dell’affiliazione a Cosa nostra e altri argomenti che non conoscevo». Dopo gli interrogatori con i magistrati, i tre poliziotti tornavano dal falso pentito, per fare il punto sulle contraddizioni emerse nei verbali. Erano sempre tante. Venivano corrette nelle successive audizioni. «Nessuno cercava conferme alle mie parole – ha accusato ancora Scarantino – bastava che facessi i nomi. Mi veniva detto: “Tu dichiara questo e stai tranquillo”. E se c’erano dei dubbi sulle cose da dire ai pm, sarebbe bastato chiedere di andare in bagno. Lì, avrebbe trovato i poliziotti a suggerire. In un altro caso, Bo sarebbe intervenuto con modi sbrigativi quando Scarantino annunciò la sua ritrattazione con un’intervista a Studio Aperto: nel giro di poche ore, il pentito fu convinto a ritrattare la ritrattazione. I tre indagati si difendono, negano qualsiasi pressione e fanno capire che era il superpoliziotto La Barbera l’unico vero dominus dell’indagine Scarantino.

I MISTERI CHE RESTANO

Ma davvero la spaventosa macchina delle menzogne fu solo iniziativa dell’ex capo della squadra mobile La Barbera e di alcuni suoi fedelissimi? Davanti alla commissione antimafia Fiammetta Borsellino ha chiesto che si faccia luce anche sui magistrati che si occuparono del caso. Durante il nuovo processo Borsellino, il quater, il pentito Scarantino ha chiamato in causa l’allora sostituto procuratore Anna Palma, ma sono rimaste accuse generiche, che non hanno portato all’apertura di un fascicolo (competente è la procura di Catania).

Un’altra questione: cosa avrebbe spinto validi investigatori a mettere in piedi questa grande messinscena? L’ipotesi dell’inchiesta di Caltanissetta è che La Barbera sia stato spinto da una smodata ansia di trovare un colpevole a tutti i costi.

Ma la strage Borsellino è ancora un buco nero: non sappiamo chi rubò l’agenda rossa del giudice nell’inferno di via d’Amelio; e neanche Spatuzza conosce il nome del misterioso uomo che il giorno prima della strage caricò la 126 di esplosivo, nel garage di via Villasevaglios 17, poco distante dal luogo dell’attentato. Si continua a indagare. I pm di Caltanissetta stanno cercando di dare un nome anche a un altro uomo del mistero, «l’amico che mi ha tradito», confidò in lacrime Paolo Borsellino ai suoi giovani colleghi Massimo Russo e Alessandra Camassa. Era l’inizio di luglio.

C’è poi il mistero del dialogo fra il pentito Santino Di Matteo e la moglie, avvenuto dopo il rapimento del figlio, il piccolo Giuseppe, poi strangolato e sciolto nell’acido. Era il dicembre 1993. La donna parlò di «qualcuno della polizia» che era «infiltrato». Faceva riferimento alla strage Borsellino, disse che aveva paura. Chi era l’infiltrato? E perché il capo della Mobile Arnaldo La Barbera era anche a libro paga dei servizi segreti? Anche questo hanno scoperto i magistrati di Caltanissetta.

 

A cura  di Claudio Ramaccini Resp. Ufficio Stampa e Comunicazione Centro Studi Sociali contro le mafie – Progetto San Francesco