VIA D’AMELIO, I FIGLI DI BORSELLINO PARTE CIVILE CONTRO I TRE POLIZIOTTI

 

VIA D’AMELIO, I FIGLI DI BORSELLINO PARTE CIVILE CONTRO I TRE POLIZIOTTI ACCUSATI DEL DEPISTAGGIO L’atto d’accusa di Fiammetta: “Lo Stato non c’è, non si è costituito contro gli imputati”. Al via l’udienza preliminare al tribunale di Caltanissetta

Fiammetta Borsellino, la figlia di Paolo e Agnese, arriva di buon mattino al tribunale di Caltanissetta. Nell’aula intitolata a “Gilda Loforti” – una giudice coraggiosa stroncata da un brutto male – non c’è ancora nessuno. Fiammetta si siede su una panca e aspetta paziente. Da 26 anni, lei e i suoi fratelli Manfredi e Lucia aspettano pazienti di sapere chi ha tenuto lontana la verità sulla morte del loro papà, Paolo Borsellino, il procuratore aggiunto di Palermo che voleva scoprire gli assassini del suo amico Giovanni Falcone. Ma fermarono anche lui, 57 giorni dopo. E poi venne costruita una montagna di menzogne attorno alla strage del 19 luglio 1992, attraverso il falso pentito Vincenzo Scarantino, un balordo di borgata fatto passare per novello Buscetta. Ora, per la prima volta, tre uomini dello Stato sono chiamati in causa dalla procura di Caltanissetta per quel “colossale depistaggio”, come l’ha definito la sentenza dell’ultimo processo per la strage Borsellino: il funzionario Mario Bo’, gli ispettori Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo sono accusati di concorso in calunnia. I figli di Paolo Borsellino chiedono di costituirsi parte civile contro di loro. “Seguiremo ogni sviluppo processuale della vicenda  – dice Fiammetta Borsellino – saremo impegnati in prima persona per dare un contributo all’accertamento della verità. Ma siamo qui anche per solidarizzare con chi, come la procura di Caltanissetta e non altri, sta cercando con ostinata pervicacia di venire a capo di questa matassa, che purtroppo rimane gravemente compromessa proprio a causa del depistaggio”. Fa una pausa, Fiammetta. E dice: “Oggi, in questa aula lo Stato non c’è. Né la presidenza del Consiglio, né il ministero dell’Interno o della Giustizia hanno chiesto di costituirsi parte civile contro chi ha tradito le istituzioni. E questo mi amareggia molto”. Chiedono di costituirsi parte civile anche Salvatore Borsellino, il fratello di Paolo, e i figli di Adele, la sorella del magistrato. Il giudice li ammette nel processo. Chiedono tutti verità sul depistaggio. La chiede anche il presidente della Commissione regionale antimafia Claudio Fava, che questa mattina è arrivato pure lui al palazzo di giustizia di Caltanissetta: “Con la commissione sto conducendo un’indagine sul depistaggio istituzionale, è importante essere qui: 26 anni dopo, finalmente, il primo atto giudiziario su una vicenda scandalosa”. Il depistaggio fu organizzato sul campo dall’allora capo del gruppo investigativo sulle stragi, Arnaldo La Barbera, lui fu il principale suggeritore di Scarantino.Ma cosa lo spingeva? Su indicazione di chi agì? E’ morto nel 2002. Dalle indagini è emerso che La Barbera era anche un collaboratore dei servizi segreti. Per quale missione da compiere? Qualcuno sa e non parla. Gli imputati sono in aula.  Cosa sanno Ribaudo e Bo’ dei misteri di Arnaldo La Barbera? Domande su domande che adesso scandiscono l’udienza preliminare che si apre oggi al tribunale di Caltanissetta, davanti al gip Graziella Luparello. Il sostituto procuratore Stefano Luciani e il procuratore aggiunto Gabriele Paci chiedono che i tre poliziotti vengano rinviati a giudizio. Contro Bo’, Mattei e Ribaudo si sono costituiti parte civile anche i mafiosi accusati ingiustamente per la strage di via D’Amelio: Cosimo Vernengo, Giuseppe La Mattina, Gaetano Murana, Gaetano Scotto e Natale Gambino, assistiti dagli avvocati Rosalba Di Gregorio, Pino Scozzola e Giuseppe D’Acquì. Hanno anche citato in giudizio, come “responsabili civili”, la presidenza del Consiglio dei ministri e il ministero dell’Interno. A loro chiedono un maxi risarcimento, 50 milioni di euro. Spiega l’avvocato Di Gregorio: “L’udienza preliminare è un primo importante passaggio, ma come dice la sentenza del Borsellino quater, dietro Scarantino non ci fu un mero errore giudiziario, bisogna piuttosto scoprire le ragioni del depistaggio”. La Repubblica 20.9.2018 SALVO PALAZZOLO