FIAMMETTA BORSELLINO : “PERCHE’ I MAGISTRATI NON PARLANO?”

 

La pista “mafia-appalti” per capire le stragi di Capaci e di via D’Amelio. Torna a ribadirla con sempre maggior forza Fiammetta Borsellino, la figlia del magistrato coraggio che conFalcone stava indagando sui grandi lavori pubblici entrati nel mirino della delinquenza super organizzata, a partire da quelli per l’allora nascente Alta Velocità.

Punta l’indice, Fiammetta, su quell’ultima bollente riunione che si svolse alla procura di Palermo cinque giorni prima del tritolo di via D’Amelio.

Al centro della rovente discussione proprio l’inchiesta “mafia-appalti”, mai ufficialmente assegnata ai due magistrati, Giovanni Falcone Paolo Borsellino, ma da loro sempre seguita con grande attenzione per via delle enormi esperienze maturate sul campo.

QUELLA RIUNIONE DEI MISTERI

“Cosa successe in quella riunione? Cosa si dissero i magistrati che vi parteciparono?”, si chiede con tormento Fiammetta. “Interrogativi ai quali non è mai stata data una risposta. Da nessuno di quei magistrati che vi presero parte. E’ ora che qualcuno parli”. Si sa che alla fine di quella riunione Borsellino era su tutte le furie. E poi quasi rassegnato, il viso rigato dal pianto.

Parole dure come pietre, quelle della figlia Fiammetta. Chissà se riusciranno a smuovere il gigantesco macigno relativo al movente, quello vero, che ha armato le mani mafiose in grado di eseguire ordini più ‘alti’. Perché anche Borsellino, dopo Falcone, “Doveva morire”.

“In quella maxi indagine mafia-appalti c’erano dentro politici, imprenditori, mafiosi”, ricorda Fiammetta, e tanti magistrati – oltre una mezza dozzina – si sono passati la patata bollente, senza imprimere peraltro una efficace svolta giudiziaria a quella mole di lavoro investigativa già svolta dal ROSdei carabinieri per ordine proprio di Falcone.

Un’inchiesta che si sgonfierà come un palloncino praticamente “intempo reale”. Tutto in un baleno. A poche ore da quella infuocata riunione, Il 13 luglio di quel maledetto 1992, la procura di Palermo chiede infatti l’archiviazione. A firmare la richiesta i sostituti procuratori Guido Lo Forte Roberto Scarpinato.

Il procuratore Pietro Giammanco (“perchè mai interrogato su quei fatti?”, si chiede Fiammetta) la controfirma quando il cadavere di Borsellino è ancora caldo, a tre giorni dall’eccidio di via D’Amelio.

L’archiviazione definitiva si verifica dopo meno di un mese, alla vigilia di ferragosto, un periodo leggermente “atipico”. E’ il 14 agosto ‘92, infatti, quando il gip di Palermo Sergio La Commare mette una pietra tombale su quell’inchiesta che avrebbe fatto tremare l’Italia.

Perché – si chiede oggi Fiammetta – nessuno vuol parlare di quella riunione e di quella decisione? Perché neanche una sillaba su quella archiviazione lampo, da guinness dei primati nella storia giudiziaria del nostro martoriato Paese?

MAFIA-APPALTI, L’INCHIESTA BOMBA

Ma torniamo all’inchiesta Mafia-Appalti che stava tanto a cuore di Falcone e Borsellino. I quali avevano deciso da tempo di percorrere “il cammino dei soldi”, come rammentavano spesso.

In questa chiave si spiegano le incursioni svizzere di Falcone e Borsellino, la visita di Carla Dal Ponte all’Addaura, compreso il fallito attentato.

Fu Falcone, in particolare, ad ordinare al Ros di Palermo una approfondita indagine per appurare i legami di imprese siciliane – paravento di interessi mafiosi – con pezzi medio grandi dell’imprenditoria nazionale.

E’ nel 1989 che Falcone esclama – quando viene a conoscenza dalle prime anticipazioni sulle connection siciliane della Calcestruzzispadi Ravenna made in Ferruzzi– “la mafia è entrata in Borsa!”. E’ poi la volta di altre imprese nazionali che hanno significativi referenti siciliani: per fare solo alcuni nomi la napoletana Icla-Fondedile, la trentina Rizzani De Eccher, la Saiseb.

E’ così che, con il passar dei mesi, il dossier Mafia-Appaltisi ingrossa, un vero fiume in piena. 890 pagine, 44 personaggi di spicco e altrettante imprese citate nel rapporto come anelli di congiunzione tra la mafia e il potere politico, una super bomba in grado di rappresentare la vera, prima, autentica Tangentopoli: altro che i tric trac successivi griffati Mani pulite.

Per la precisione, è questa la scansione temporale. Il Rosconsegna a Falcone una prima informativa a luglio 1990, poi una seconda un mese dopo, 5 agosto. Le stesse memorie vengono recapitate anche al sostituto procuratore di Palermo Guido Lo Forte.

Falcone studia le carte e a settembre chiede al Ros di approfondire alcune piste investigative. Ed è così che il rapporto finale approda sulla scrivania del magistrato a febbraio 1991, la data clou. Ci sarà anche il tempo per una pilotata fuga di notizie, tanto per informare in anticipo gli indagati eccellenti: altro tassello mai chiarito del giallo.

Per continuare nella scaletta temporale, il potente Dc Salvo Lima viene ucciso a marzo ‘92, poi a giugno e luglio le stragi di Capaci e via D’Amelio.

Come non leggere in quelle date l’escalation stragista? Gli avvertimenti politico-mafiosi in quella tempistica?

Di tutta evidenza Falcone e Borsellino dovevano essere fermati ad ogni costo. Anche di stragi che avrebbero richiamato l’attenzione del mondo.

FALCONE E BORSELLINO DOVEVANO MORIRE

Di tutti questi scenari e soprattutto delle connection che stanno alla base delle stragi di Capaci e via D’Amelio, hanno scritto nel profetico “Corruzione ad Alta Velocità” Ferdinando Imposimato Sandro Provvisionato. Un j’accuse firmato esattamente 20 anni fa e che poneva al centro di quella stagione stragista proprio gli appalti, ed in particolare quella in fase di ebollizione ormai da un paio d’anni, appunto la TAV, oggi al centro delle querelle gialloverdi.

In quel libro Imposimato e Provvisionato dettagliavano i protagonisti politici dell’affaire TAV, a cominciare dal presidente IRI e poi capo ulivista Romano Prodi, il padre di tutte le sciagurate privatizzazioni made in Italy. Per continuare con i magistrati che hanno insabbiato le prime inchieste sull’Alta Velocità, in pole position Antonio Di Pietro che non solo decapita il filone milanese ma anche – previa avocazione – quello romano,  coprendo le responsabilità dell’uomo “A un passo da Dio” che tutto conosceva sulle maxi tangenti Enimont e l’alta velocità, il finanziere italo elvetico Francesco Pacini Battaglia.

VOCE delle VOCI 5.5.2019