quanti sono e come vivono i collaboratori di giustizia

 

Oltre 6 mila persone, tra “pentiti” e familiari”, vivono sotto la tutela dello Stato. E, come racconta uno di loro, dopo l’omicidio del fratello di un pentito di ‘ndrangheta Marcello Bruzzese, molti si considerano “morti che camminano”. E tra i collaboratori di giustizia c’è anche un bambino di 12 anni

Sono 6.246 persone che ogni giorno rischiano di essere uccise come Marcello Bruzzese, fratello di un pentito di ‘ndrangheta massacrato da un commando di killer a Pesaro. Di questi, 1.319 sono collaboratori e testimoni di giustizia e quasi 5 mila i loro familiari che li hanno seguiti: mogli, figli, fratelli, suoceri, cognati, nipoti, conviventi, secondo un report realizzato dall’agenzia AdnKronos. Sono sparsi in tutto il territorio nazionale, dal nord al sud, molti hanno un’altra identità, si sono rifatti una nuova vita e vivono con i loro familiari. Molti altri sono usciti dal programma di protezione ottenendo una sorta di “liquidazione” dallo Stato, ma la maggioranza per la propria sicurezza e quella dei propri cari fa affidamento su centinaia di poliziotti del Servizio Centrale di Protezione che dà loro assistenza, procurandogli nuove identità, nuove abitazioni e adoperandosi anche per trovargli un lavoro.

Poche decine di collaboratori sono stati “espulsi” dal programma di protezione e ritornati in carcere perché non avevano perso il vizio di compiere reati. La gestione dei collaboratori e dei testimoni di giustizia non è semplice e la loro valutazione viene periodicamente fatta da alcuni magistrati della Direzione Nazionale Antimafia che deve accettare o respingere le richieste di questo popolo di pentiti. 

In genere un “collaboratore di giustizia” ha uno stipendio di 1000-1.500 euro al mese, più altri 500 per ogni familiare a carico. A spese dello Stato ci sono anche gli affitti delle loro abitazioni, spese mediche ed altri benefit.

I pentiti di Cosa Nostra sono oltre 300 ma l’organizzazione che registra più collaboratori di giustizia è la Camorra con oltre 600 pentiti seguita dalla ‘ndrangheta con poco meno di 200 e la Sacra Corona unita che supera il centinaio e poi una ottantina di collaboratori stranieri sudamericani, africani e dell’ est europeo.

Sono oltre 60 le collaboratrici di giustizia, madri, figli, sorelle di dei boss e killer delle organizzazioni mafiose che hanno deciso, per salvare loro stessi ed i loro figli, di passare dall’altra parte della barricata. Una scelta difficilissima che ha provocato l’allontanamento dal nucleo familiare, dalle loro città o paesi e che ha registrato anche vittime, come Maria Concetta Cacciola, figlia del boss della Ndrangheta Gregorio Bellocco, madre di tre figli, che decise di collaborare con la giustizia. Aveva vissuto per mesi in una località protetta ed in attesa del ricongiungimento con i propri figli, fu trovata morta. Suicidio, si disse in un primo momento poi si scopri che era stata uccisa dai suoi familiari. E tra i collaboratori e testimoni di giustizia c’è anche un ‘baby pentito’, un bambino di 12 anni calabrese che andava in giro con il padre ndranghetista assistendo ad omicidi o traffici di droga. 

Sempre l’Adnkronos ha intervistato un collaboratore di giustizia, ex mafioso di Bagheria (Palermo), che oggi vive con la sua famiglia in una località protetta del Centro Nord: “Diciamoci la verità, io sono un morto che cammina… Il fratello del collaboratore che è stato ammazzato a Pesaro è solo il primo. Temo un effetto domino. Oggi, domani, o tra un mese, potrei essere ucciso anche io. O un mio familiare. Perché non siamo protetti“. Anche lui, come Bruzzese, ha scelto di mantenere la sua vera identità: “Me lo hanno consigliato gli stessi funzionari del Servizio di protezione – dice – perché anche per avere i contributi lavorativi sarebbe stato un problema in futuro. O per l’iscrizione a scuola di mio figlio”. 

FAMIGLIA CRISTIANA 28.12.2018