SALVATORE CANDURA, il falso pentito

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Strage di via d’Amelio, assolto uno dei falsi pentiti

Mafia, operazione Dia: in manette Candura, l’uomo della 126 di Borsellino

La Cassazione annulla la condanna per calunnia a Salvatore Candura
E’ l’uomo che aveva detto di aver consegnato la Fiat 126 utilizzata nella strage del 19 luglio 1992 all’ex picciotto della Guadagna Vincenzo Scarantino. Dichiarazioni smentite molti anni dopo dall’ex boss di Brancaccio Gaspare Spatuzza. Per Salvatore Candura, quindi, la Suprema Corte ha deciso che “il fatto non sussiste”. La condanna (in appello) a nove anni, per calunnia, nell’ennesimo processo sull’eccidio nel quale morirono il giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti di scorta, è stata quindi annullata senza rinvio. Il 13 marzo 2013, lo stesso Candura era stato condannato con rito abbreviato a 12 anni per calunnia aggravata assieme ai collaboratori Gaspare Spatuzza (15 anni) e Fabio Tranchina (10 anni). Secondo i giudici l’ex sodale di Scarantino avrebbe mentito ai magistrati con dichiarazioni che in precedenti processi avevano portato a condanne di persone estranee alla strage di via D’Amelio. Il filone d’inchiesta era nato dalle dichiarazioni di Spatuzza che avevano portato anche alla scarcerazione di mafiosi e presunti mafiosi già condannati in via definitiva a seguito delle dichiarazioni del falso collaboratore Vincenzo Scarantino.

Antefatto Il 29 settembre del ’92 veniva arrestato Vincenzo Scarantino, poche ore dopo l’arresto l’allora procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra si era lasciato andare ad esternazioni entusiastiche. “In un primo tempo si era pensato che l’auto imbottita fosse una Seat Marbella. Ma raccogliendo dei pezzi in via D’Amelio, tecnici e periti hanno ricostruito la 126 bianca (in realtà di coloro rosso amaranto, ndr). Quest’auto era stata rubata da tre giovani, arrestati il mese scorso dalla Squadra Mobile per avere tentato di violentare una ragazza. Due di questi sono parenti della proprietaria della 126 e sono ancora detenuti in carcere”. Si trattava di Luciano Valenti e Salvatore Candura, di 28 e 31 anni, e di Roberto Valenti, di 20 anni, nipote di Luciano. Alcuni giornalisti avevano chiesto a Tinebra come fosse stato possibile che Cosa Nostra si fosse affidata ad un balordo per compiere una strage. Il procuratore di Caltanissetta aveva replicato senza indugi: “non ci siamo posti la domanda. I fatti, secondo noi, si sono svolti in un certo modo. Scarantino non è uomo di manovalanza”.

La trattativa Nella requisitoria in abbreviato gli inquirenti avevano sottolineato come “Paolo Borsellino sapeva della trattativa che apparati dello Stato avevano avviato con Cosa Nostra tramite Vito Ciancimino. Totò Riina lo riteneva un ‘ostacolo’ alla trattativa con esponenti delle istituzioni, che gli ‘sembrava essere arrivata su un binario morto’ e che per questo il capo di Cosa Nostra voleva ‘rivitalizzare’ con la strage”. Secondo l’ex procuratore aggiunto di Caltanissetta, Nico Gozzo, le dichiarazioni di Spatuzza “erano state pienamente sincere. Confessioni che sono riscontrate e che hanno permesso alla Procura non solo di ricostruire in maniera più dettagliata la dinamica della strage, ma anche di scoprire che in carcere vi erano degli innocenti”. Decisamente importante anche l’apporto di Fabio Tranchina che aveva indicato in Giuseppe Graviano l’uomo che avrebbe schiacciato il pulsante che ha fatto esplodere l’autobomba in via D’Amelio.

L’appello Il 9 gennaio di quest’anno le condanne per Fabio Tranchina e per Salvatore Candura erano state ridotte in appello. Candura era stato condannato per calunnia a 9 anni dalla Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta per le sue dichiarazioni ritenute false. Fabio Tranchina era stato invece condannato a 7 anni e 6 mesi per strage, per aver partecipato alla fase esecutiva dell’attentato in via D’Amelio. La condanna a 15 anni di Gaspare Spatuzza non era stata invece appellata.

Ombre sul depistaggio L’assoluzione di Candura si interseca con le indagini per depistaggio nei confronti dei tre ex agenti di polizia del pool Falcone e Borsellino. Come è noto per Vincenzo Ricciardi, Mario Bo e Salvatore La Barbera la Procura di Caltanissetta ha chiesto l’archiviazione. Dal canto suo Candura aveva dichiarato agli inquirenti di aver subito minacce e pressioni, per fornire una determinata versione dei fatti, dagli stessi poliziotti indagati. A tuttoggi si è ancora in attesa di conoscere la decisione del Gip.  di Lorenzo Baldo ANTIMAFIA DUEMIL 1.12.2005

 

Candura, uno dei falsi pentiti. uno stralcio della deposizione dell’Ispettore Claudio Castagna, che assisteva ai sopralluoghi (videoregistrati) con Gaspare Spatuzza e con Pietrina Valenti:

  • P.M. Dott. LUCIANI – Senta, lei ha parlato, invece, di sopralluoghi esperiti con l’Autorità Giudiziaria assieme a Gaspare Spatuzza.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Sì.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Lei ha presenziato a questi sopralluoghi?
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Sì.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Sa le modalità con le quali sono stati condotti questi sopralluoghi? Cioè da un punto di vista tecnico intendo.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Sì, tra l’altro mi sono occupato quasi… quasi totalmente, in una sola occasione credo si sia occupato un collega di tutte le videoriprese, di tutti i sopralluoghi che sono stati fatti con…
  • P.M. Dott. LUCIANI – Quindi i sopralluoghi sono stati…
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Tutti videofilmati.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Lei ha detto di aver visto anche le immagini del sopralluogo di Candura Salvatore.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Di Candura, sì. Sì, ne ho fatto anche annotazione, tra l’altro, su questo per…
  • P.M. Dott. LUCIANI – Ha fatto anche annotazione per descrivere.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Sì, sì.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Ecco, sa che luogo ha indicato Candura Salvatore al momento del sopralluogo?
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Allora, lui, invece, sosteneva che… di essere, quindi, l’autore del furto della 126 e che l’autovettura, nel momento in cui l’aveva prelevata, si trovava posteggiata proprio davanti l’ingresso dello stabile, quindi nella parte terminale della L.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Davanti il portone, diciamo.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Allora, immaginando questa L immaginaria, Spatuzza e la signora Valenti la indicavano proprio nel primo parcheggio principale sul lato dello stabile, mentre Candura diceva che la macchina si trovava al termine della L, del… della L.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Nel vialetto che conduce al portone di accesso.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Proprio davanti al portone di accesso.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Proprio davanti al portone.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Dove c’erano questi gradini, questi gradini che conducevano verso il piazzale.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Senta, per poter fare le attività che vi sono state delegate dalla Procura della Repubblica, avete avuto modo di visionare anche le attività che erano state fatte illo tempore?
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Sì, abbiamo, praticamente, acquisito buona parte del carteggio degli accertamenti che erano stati fatti all’epoca.
  • P.M. Dott. LUCIANI – Per quello che ha potuto lei verificare dalla lettura di questi atti, chiaramente per poter assolvere alle deleghe della Procura, questo tipo di accertamento in via Sirillo di individuazione dei luoghi era mai stato fatto?
  • TESTE C.G. CASTAGNA – No, non…
  • P.M. Dott. LUCIANI – Da parte del Candura.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Non risultano atti.
  • P.M. Dott. LUCIANI – O da parte della Valenti.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Non risultano atti in cui… cioè in cui sarebbero stati fatti questi sopralluoghi.

Orbene, come emerge anche dalla testimonianza appena riportata, una tale attività istruttoria di sopralluogo non veniva mai espletata in passato, allorquando si raccoglievano le dichiarazioni di Candura e Scarantino, per la strage di via D’Amelio.

Durante le pregresse investigazioni, condotte dal dott. Arnaldo La Barbera e dai suoi uomini, nonostante le naturali perplessità che potevano insorgere, in relazione alla personalità di entrambi i ‘collaboratori’ ed anche al contenuto delle loro dichiarazioni (si pensi, solo per fare un esempio, al racconto di Scarantino sulla cerimonia della sua affiliazione a Cosa nostra), non veniva mai fatto un sopralluogo con il ladro dell’automobile, né con la derubata.

Anche per questo motivo, oltre che per il sopravvenuto mutamento dei luoghi, l’atto istruttorio si rivela di fondamentale importanza, andando a riscontrare, in maniera molto significativa e puntuale, le dichiarazioni di Spatuzza (e, per converso, ad escludere la credibilità di quelle rese da Salvatore Candura e da Vincenzo Scarantino, nei precedenti processi). Inoltre, l’individuazione del luogo esatto di sottrazione della Fiat 126, da parte di Gaspare Spatuzza, si rivela ancor più attendibile, in considerazione del fatto che il collaboratore indicava un punto dove, all’epoca del sopralluogo, era impossibile posteggiare un’automobile, poiché vi erano delle fioriere, installate in epoca successiva, come spiegato dalla stessa Pietrina Valenti. Quest’ultima (nella consueta maniera confusionaria), spiegava che, all’epoca dei fatti, nel posto dove venivano poi collocate le fioriere condominiali, si poteva parcheggiare (“io la posteggiavo la macchina dov’è che ora ci sono messe le piante”).

[…] Sempre in occasione della sua testimonianza, Pietrina Valenti precisava che, per come aveva parcheggiato la sua Fiat 126, quella sera, non aveva modo di controllarla a vista, dalle finestre del suo appartamento. […] Le dichiarazioni della Valenti trovavano anche conferma nell’attività di riscontro del Centro Operativo DIA di Caltanissetta, da cui risultava che, effettivamente, la zona dove venivano installate le menzionate fioriere condominiali (dove la teste, come detto, posteggiava la Fiat 126, prima che le venisse rubata), non era visibile dalle finestre dell’appartamento della proprietaria. Al contrario (come anticipato), Salvatore Candura, nel sopralluogo del 24 novembre 2008 (anch’esso agli atti), confermando quanto già dichiarato nei precedenti procedimenti, indicava, come luogo dove rubava la Fiat 126 di Pietrina Valenti, un posto diverso, nelle immediate vicinanze del portone d’ingresso dello stabile, peraltro in una posizione parzialmente visibile dalla camera da letto della Valenti. Venivano, poi, acquisite al fascicolo per il dibattimento, sul consenso delle parti, anche tutte le dichiarazioni rese dai condomini di via Sirillo, su tre temi di prova:

1) se i luoghi subivano o meno delle modifiche, dal luglio 1992, come affermato da Pietrina Valenti e negato da Salvatore Candura (fatta eccezione, secondo quanto dichiarato da quest’ultimo, per due archi in ferro, messi per ostruire la marcia di possibili autovetture, nel vicolo cieco d’accesso al portone condominiale);

2) se, all’epoca dei fatti, era possibile oppure no posteggiare automobili, per un tempo apprezzabile, nel predetto vicolo cieco, come escluso dalla Valenti ed affermato da Candura, che sosteneva, appunto, d’aver rubato la Fiat 126 proprio da siffatta posizione;

2) se qualche condomino notava il furto della Fiat 126 oppure la presenza di due persone nei pressi della medesima automobile, la sera in cui la stessa veniva asportata (attese le menzionate dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, secondo cui, mentre perpetrava il furto con Tutino, una coppia con due bambini transitava a piedi).

Le circostanze complessivamente desumibili dalle dichiarazioni acquisite agli atti, possono riassumersi (in maniera estremamente sintetica, considerata anche la sopravvenuta confessione, da parte di Salvatore Candura, della falsità delle proprie precedenti dichiarazioni, sul furto della Fiat 126, sotto casa di Pietrina Valenti), come segue. Effettivamente, alla fine del vicolo cieco che conduce al portone dello stabile di via Bartolomeo Sirillo n. 5, successivamente al luglio del 1992, venivano realizzate, da uno dei condomini (Passantino Vincenzo), delle opere (abusive), consistenti nella realizzazione di alcuni gradini, di fronte all’entrata per l’edificio. Detta circostanza, oltre che dal diretto interessato (che operava, come accennato, senza alcun titolo edilizio, per cui non esistono atti pubblici, per una precisa datazione delle opere), veniva confermata anche dagli altri condomini (tutti collocavano tali opere, all’incirca, negli anni 2000-2005). Inoltre, pure i paletti per impedire l’accesso al cortile prospiciente al portone d’ingresso, venivano collocati in epoca più recente, rispetto al luglio 1992 (verosimilmente, dopo l’anno 2003). Lo stesso vale per le fioriere poste nel cortile/parcheggio dello stabile, a ridosso dell’edificio condominiale, collocate nella stessa epoca dei paletti.

Quanto alla possibilità di posteggiare, all’epoca dei fatti, nel vicolo cieco che conduce al portone d’ingresso condominiale, le dichiarazioni dei condomini non erano del tutto univoche: molti evidenziavano che, prima dell’installazione dei paletti, le automobili venivano parcheggiate fin davanti al portone dello stabile, ma solo per soste brevi (come per scaricare merci o per la pausa pranzo); tuttavia, la collocazione degli ostacoli si rendeva necessaria proprio per evitare che parcheggiassero lì autovetture che non consentivano l’accesso allo stabile, qualora ve ne fosse stato bisogno, per i mezzi di soccorso; con particolare riferimento alla signora Pietrina Valenti, alcuni condomini dichiaravano che la stessa era solita parcheggiare dal lato delle fioriere; altri ricordavano, genericamente, che la predetta parcheggiava dove trovava posto. Sul punto, Roberto Valenti (confermando, sia pure con qualche titubanza, le indicazioni già fornite in fase d’indagine, anche con la redazione di uno schizzo planimetrico) dichiarava che sua zia Pietrina, abitualmente, posteggiava la Fiat 126 sul lato lungo del cortile, limitrofo all’edificio condominiale, in posizione dove la stessa ne poteva controllare visivamente la presenza, affacciandosi dalle finestre dell’abitazione. Analoghe indicazioni dava Luciano Valenti, che spiegava come la sorella Pietrina era solita posteggiare, sul lato lungo dello stabile di via Sirillo (confermando, anche in tal caso, le indicazioni offerte in uno schizzo planimetrico, redatto di suo pugno, acquisito al fascicolo per il dibattimento); inoltre, quest’ultimo teste chiariva anche quanto dichiarato nel dibattimento del primo processo sulla strage di via D’Amelio: allorquando rispondeva che la Fiat 126 della sorella, prima di esser rubata, veniva posteggiata “sotto la scala” (proprio come sostenuto, all’epoca, da Salvatore Candura), non intendeva indicare (in senso letterale) proprio l’ingresso dello stabile.

Peraltro, anche Salvatore Candura, allorché (nell’interrogatorio reso il 10.3.2009, acquisito al fascicolo per il dibattimento, col consenso delle parti e riportato in nota) decideva di ammettere (innanzi all’evidenza) la falsità delle sue precedenti dichiarazioni in merito al furto della Fiat 126, dichiarava (fornendo una versione, comunque, da prendere con le dovute cautele) che l’automobile della Valenti era posteggiata dalla parte delle fioriere (anch’egli redigendo uno schizzo planimetrico, allegato al verbale), riferendo che la vedeva parcheggiata lì, nella stessa sera in cui veniva, poi, asportata (poiché, a suo dire, quella sera, si recava effettivamente a casa di Pietrina, per farle visita) e che, durante il sopralluogo indicava agli inquirenti, volutamente, un posto sbagliato per lanciare loro un segnale sulla falsità delle proprie dichiarazioni (delle quali avrebbe sempre avvertito il peso). Anche in dibattimento, Candura confermava tali indicazioni.

[…] Infine, si deve dare atto (più che altro per completezza d’esposizione) che anche Vincenzo Scarantino e Salvatore Candura, dopo aver confessato -entrambi- la falsità delle loro precedenti dichiarazioni su questi fatti, tornavano sui loro passi anche sul punto specifico, spiegando che la Fiat 126 di Pietrina Valenti non si poteva affatto rubare con lo “spadino”. Vincenzo Scarantino, nel corso di un interrogatorio (acquisito al fascicolo per il dibattimento), ammetteva di aver adeguato le sue dichiarazioni alla versione di Candura circa l’utilizzo dello “spadino” per rubare la Fiat 126 della Valenti, spiegando che solo i modelli più “antichi” di detta automobile potevano essere rubati con tale arnese, mentre quelle “di ‘a secunna serie in poi con uno spadino non si apre”, confermando così la versione di Agostino Trombetta e quella di Gaspare Spatuzza.

Anche Salvatore Candura ammetteva che quel modello di Fiat 126 in uso a Pietrina Valenti si poteva mettere in moto solo rompendo il bloccasterzo e collegando i fili d’accensione, spiegando addirittura (ma la circostanza deve esser valutata con il beneficio dell’inventario) che, al momento della sua falsa collaborazione, dichiarava volutamente che lui utilizzava un “chiavino”, anche se ciò era un “controsenso” (così come, a suo dire, lo era pure la circostanza di avere utilizzato il medesimo attrezzo anche per aprire la portiera, poiché quella macchina si poteva aprire pure con la “chiave Simmenthal”), al fine di lanciare dei segnali agli inquirenti […].

 

MENZOGNE E FALSI PENTITI, ECCO SALVATORE CANDURA E VINCENZO SCARANTINO  Durante le investigazioni, condotte dal dott. Arnaldo La Barbera e i suoi uomini, nonostante le perplessità che potevano insorgere sulle dichiarazioni di Salvatore Candura e Vincenzo Scarantino e sulla loro personalità, non veniva mai fatto un sopralluogo con il ladro dell’automobile… Si riporta qui di seguito (per maggiore comodità di lettura e consultazione) uno stralcio della deposizione dell’Ispettore Claudio Castagna, che assisteva a detti sopralluoghi (videoregistrati) con Gaspare Spatuzza e con Pietrina Valenti:

  • TESTE C.G. CASTAGNA – Sì.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Sì.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Sì, tra l’altro mi sono occupato quasi… quasi totalmente, in una sola occasione credo si sia occupato un collega di tutte le videoriprese, di tutti i sopralluoghi che sono stati fatti con…
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Tutti videofilmati.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Di Candura, sì. Sì, ne ho fatto anche annotazione, tra l’altro, su questo per…
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Sì, sì.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Allora, lui, invece, sosteneva che… di essere, quindi, l’autore del furto della 126 e che l’autovettura, nel momento in cui l’aveva prelevata, si trovava posteggiata proprio davanti l’ingresso dello stabile, quindi nella parte terminale della L.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Allora, immaginando questa L immaginaria, Spatuzza e la signora Valenti la indicavano proprio nel primo parcheggio principale sul lato dello stabile, mentre Candura diceva che la macchina si trovava al termine della L, del… della L.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Proprio davanti al portone di accesso.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Dove c’erano questi gradini, questi gradini che conducevano verso il piazzale.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Sì, abbiamo, praticamente, acquisito buona parte del carteggio degli accertamenti che erano stati fatti all’epoca.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – No, non…
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Non risultano atti.
  • TESTE C.G. CASTAGNA – Non risultano atti in cui… cioè in cui sarebbero stati fatti questi sopralluoghi.

PERPLESSITÀ  Orbene, come emerge anche dalla testimonianza appena riportata, una tale attività istruttoria di sopralluogo non veniva mai espletata in passato, allorquando si raccoglievano le dichiarazioni di Candura e Scarantino, per la strage di via D’Amelio.

Durante le pregresse investigazioni, condotte dal dott. Arnaldo La Barbera e dai suoi uomini, nonostante le naturali perplessità che potevano insorgere, in relazione alla personalità di entrambi i ‘collaboratori’ ed anche al contenuto delle loro dichiarazioni (si pensi, solo per fare un esempio, al racconto di Scarantino sulla cerimonia della sua affiliazione a Cosa nostra), non veniva mai fatto un sopralluogo con il ladro dell’automobile, né con la derubata.

Anche per questo motivo, oltre che per il sopravvenuto mutamento dei luoghi, l’atto istruttorio si rivela di fondamentale importanza, andando a riscontrare, in maniera molto significativa e puntuale, le dichiarazioni di Spatuzza (e, per converso, ad escludere la credibilità di quelle rese da Salvatore Candura e da Vincenzo Scarantino, nei precedenti processi). Inoltre, l’individuazione del luogo esatto di sottrazione della Fiat 126, da parte di Gaspare Spatuzza, si rivela ancor più attendibile, in considerazione del fatto che il collaboratore indicava un punto dove, all’epoca del sopralluogo, era impossibile posteggiare un’automobile, poiché vi erano delle fioriere, installate in epoca successiva, come spiegato dalla stessa Pietrina Valenti. Quest’ultima (nella consueta maniera confusionaria), spiegava che, all’epoca dei fatti, nel posto dove venivano poi collocate le fioriere condominiali, si poteva parcheggiare (“io la posteggiavo la macchina dov’è che ora ci sono messe le piante”).

[…] Sempre in occasione della sua testimonianza, Pietrina Valenti precisava che, per come aveva parcheggiato la sua Fiat 126, quella sera, non aveva modo di controllarla a vista, dalle finestre del suo appartamento. […] Le dichiarazioni della Valenti trovavano anche conferma nell’attività di riscontro del Centro Operativo DIA di Caltanissetta, da cui risultava che, effettivamente, la zona dove venivano installate le menzionate fioriere condominiali (dove la teste, come detto, posteggiava la Fiat 126, prima che le venisse rubata), non era visibile dalle finestre dell’appartamento della proprietaria. Al contrario (come anticipato), Salvatore Candura, nel sopralluogo del 24 novembre 2008 (anch’esso agli atti), confermando quanto già dichiarato nei precedenti procedimenti, indicava, come luogo dove rubava la Fiat 126 di Pietrina Valenti, un posto diverso, nelle immediate vicinanze del portone d’ingresso dello stabile, peraltro in una posizione parzialmente visibile dalla camera da letto della Valenti. Venivano, poi, acquisite al fascicolo per il dibattimento, sul consenso delle parti, anche tutte le dichiarazioni rese dai condomini di via Sirillo, su tre temi di prova:

se i luoghi subivano o meno delle modifiche, dal luglio 1992, come affermato da Pietrina Valenti e negato da Salvatore Candura (fatta eccezione, secondo quanto dichiarato da quest’ultimo, per due archi in ferro, messi per ostruire la marcia di possibili autovetture, nel vicolo cieco d’accesso al portone condominiale);

se, all’epoca dei fatti, era possibile oppure no posteggiare automobili, per un tempo apprezzabile, nel predetto vicolo cieco, come escluso dalla Valenti ed affermato da Candura, che sosteneva, appunto, d’aver rubato la Fiat 126 proprio da siffatta posizione;

se qualche condomino notava il furto della Fiat 126 oppure la presenza di due persone nei pressi della medesima automobile, la sera in cui la stessa veniva asportata (attese le menzionate dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, secondo cui, mentre perpetrava il furto con Tutino, una coppia con due bambini transitava a piedi).

Le circostanze complessivamente desumibili dalle dichiarazioni acquisite agli atti, possono riassumersi (in maniera estremamente sintetica, considerata anche la sopravvenuta confessione, da parte di Salvatore Candura, della falsità delle proprie precedenti dichiarazioni, sul furto della Fiat 126, sotto casa di Pietrina Valenti), come segue. Effettivamente, alla fine del vicolo cieco che conduce al portone dello stabile di via Bartolomeo Sirillo n. 5, successivamente al luglio del 1992, venivano realizzate, da uno dei condomini (Passantino Vincenzo), delle opere (abusive), consistenti nella realizzazione di alcuni gradini, di fronte all’entrata per l’edificio. Detta circostanza, oltre che dal diretto interessato (che operava, come accennato, senza alcun titolo edilizio, per cui non esistono atti pubblici, per una precisa datazione delle opere), veniva confermata anche dagli altri condomini (tutti collocavano tali opere, all’incirca, negli anni 2000-2005). Inoltre, pure i paletti per impedire l’accesso al cortile prospiciente al portone d’ingresso, venivano collocati in epoca più recente, rispetto al luglio 1992 (verosimilmente, dopo l’anno 2003). Lo stesso vale per le fioriere poste nel cortile/parcheggio dello stabile, a ridosso dell’edificio condominiale, collocate nella stessa epoca dei paletti.

ANCHE CANDURA AMMETTE DI AVER MENTITO  Quanto alla possibilità di posteggiare, all’epoca dei fatti, nel vicolo cieco che conduce al portone d’ingresso condominiale, le dichiarazioni dei condomini non erano del tutto univoche: molti evidenziavano che, prima dell’installazione dei paletti, le automobili venivano parcheggiate fin davanti al portone dello stabile, ma solo per soste brevi (come per scaricare merci o per la pausa pranzo); tuttavia, la collocazione degli ostacoli si rendeva necessaria proprio per evitare che parcheggiassero lì autovetture che non consentivano l’accesso allo stabile, qualora ve ne fosse stato bisogno, per i mezzi di soccorso; con particolare riferimento alla signora Pietrina Valenti, alcuni condomini dichiaravano che la stessa era solita parcheggiare dal lato delle fioriere; altri ricordavano, genericamente, che la predetta parcheggiava dove trovava posto. Sul punto, Roberto Valenti (confermando, sia pure con qualche titubanza, le indicazioni già fornite in fase d’indagine, anche con la redazione di uno schizzo planimetrico) dichiarava che sua zia Pietrina, abitualmente, posteggiava la Fiat 126 sul lato lungo del cortile, limitrofo all’edificio condominiale, in posizione dove la stessa ne poteva controllare visivamente la presenza, affacciandosi dalle finestre dell’abitazione. Analoghe indicazioni dava Luciano Valenti, che spiegava come la sorella Pietrina era solita posteggiare, sul lato lungo dello stabile di via Sirillo (confermando, anche in tal caso, le indicazioni offerte in uno schizzo planimetrico, redatto di suo pugno, acquisito al fascicolo per il dibattimento); inoltre, quest’ultimo teste chiariva anche quanto dichiarato nel dibattimento del primo processo sulla strage di via D’Amelio: allorquando rispondeva che la Fiat 126 della sorella, prima di esser rubata, veniva posteggiata “sotto la scala” (proprio come sostenuto, all’epoca, da Salvatore Candura), non intendeva indicare (in senso letterale) proprio l’ingresso dello stabile.

Peraltro, anche Salvatore Candura, allorché (nell’interrogatorio reso il 10.3.2009, acquisito al fascicolo per il dibattimento, col consenso delle parti e riportato in nota) decideva di ammettere (innanzi all’evidenza) la falsità delle sue precedenti dichiarazioni in merito al furto della Fiat 126, dichiarava (fornendo una versione, comunque, da prendere con le dovute cautele) che l’automobile della Valenti era posteggiata dalla parte delle fioriere (anch’egli redigendo uno schizzo planimetrico, allegato al verbale), riferendo che la vedeva parcheggiata lì, nella stessa sera in cui veniva, poi, asportata (poiché, a suo dire, quella sera, si recava effettivamente a casa di Pietrina, per farle visita) e che, durante il sopralluogo indicava agli inquirenti, volutamente, un posto sbagliato per lanciare loro un segnale sulla falsità delle proprie dichiarazioni (delle quali avrebbe sempre avvertito il peso). Anche in dibattimento, Candura confermava tali indicazioni.

[…] Infine, si deve dare atto (più che altro per completezza d’esposizione) che anche Vincenzo Scarantino e Salvatore Candura, dopo aver confessato -entrambi- la falsità delle loro precedenti dichiarazioni su questi fatti, tornavano sui loro passi anche sul punto specifico, spiegando che la Fiat 126 di Pietrina Valenti non si poteva affatto rubare con lo “spadino”. Vincenzo Scarantino, nel corso di un interrogatorio (acquisito al fascicolo per il dibattimento), ammetteva di aver adeguato le sue dichiarazioni alla versione di Candura circa l’utilizzo dello “spadino” per rubare la Fiat 126 della Valenti, spiegando che solo i modelli più “antichi” di detta automobile potevano essere rubati con tale arnese, mentre quelle “di ‘a secunna serie in poi con uno spadino non si apre”, confermando così la versione di Agostino Trombetta e quella di Gaspare Spatuzza.

Anche Salvatore Candura ammetteva che quel modello di Fiat 126 in uso a Pietrina Valenti si poteva mettere in moto solo rompendo il bloccasterzo e collegando i fili d’accensione, spiegando addirittura (ma la circostanza deve esser valutata con il beneficio dell’inventario) che, al momento della sua falsa collaborazione, dichiarava volutamente che lui utilizzava un “chiavino”, anche se ciò era un “controsenso” (così come, a suo dire, lo era pure la circostanza di avere utilizzato il medesimo attrezzo anche per aprire la portiera, poiché quella macchina si poteva aprire pure con la “chiave Simmenthal”), al fine di lanciare dei segnali agli inquirenti […]. A CURA DELL’ASSOCIAZIONE COSA VOSTRA processo Borsellino quater


Borsellino Quater, Candura racconta il depistaggio

Tutte ebbe inizio i primi giorni del settembre 1992. Salvatore Candura, ladro d’auto, venne arrestato con Luciano e Roberto Valenti per rapina e violenza sessuale. Pochi giorni dopo l’arresto cominciò a parlare del furto della Fiat 126, utilizzata come autobomba per l’attentato di via D’Amelio, “commesso su incarico di Vincenzo Scarantino che gli aveva promesso un compenso di 500.000 lire” dando di fatto vita al colossale depistaggio sulla strage. Una storia che venne scritta con tanto di sentenze e condanne definitive ma che è stata sgretolata dalle dirompenti rivelazioni del collaboratore di giustizia di Brancaccio Gaspare Spatuzza.
Così il 10 marzo 2009, interrogato dai pm di Caltanissetta, Candura ha ammesso che diciassette anni prima s’inventò tutto. Non solo dichiarò di non aver affatto rubato l’auto ma anche di essere stato indotto ad accusarsi del furto e a chiamare in causa lo Scarantino a seguito delle pressioni e delle minacce fattegli dal dott. Arnaldo La Barbera, e anche da altri funzionari di polizia. Pressioni che sarebbero proseguite anche negli anni successivi al 1992, nell’arco della sua “falsa collaborazione”.
E di questo ha parlato ieri lo stesso Candura, ascoltato come teste al Processo Borsellino quater che si sta celebrando innanzi alla Corte d’assise a Caltanissetta.

“Nel giorno dell’arresto erano presenti Ricciardi, Salvatore La Barbera e 3-4 agenti, mi interrogavano all’inizio sulla violenza sessuale ma ben presto il tema cambiò e mi parlarono della Fiat 126. Io dicevo che ero estraneo sia alla violenza sessuale che al furto. Ad un tratto i dirigenti sono usciti dalla stanza e sono rimasto con gli agenti. Mi hanno fracassato di botte, Presidente, non potete immaginarlo. Mi massacrarono. Un poliziotto mi fede sbattere la testa sul tavolo. Poco dopo rientrò Arnaldo La Barbera. Io non avevo nemmeno la forza per piangere e lui mi disse: ‘Ne va della tua vita, ti faccio dare l’ergastolo, io sarò la tua ossessione. Devi dirmi che hai rubato tu l’auto e dirmi a chi l’hai portata. Ti incastrerò perché ho le prove. Io continuavo a proclamarmi innocente. Con il furto della 126 non c’entravo nulla così come non c’entravo nulla con l’accusa di violenza sessuale. Ero un galantuomo e mai e poi mai avrei potuto abusare di una ragazza così come non sapevo nulla di quella 126” ha raccontato rispondendo alle domande dei pm. E da quel momento, dopo le pressioni, iniziò la storia del “falso collaboratore di giustizia”. “Io ero titubante – ha proseguito nel racconto – chiedevo a La Barbera come avrei fatto se avessi avuto dei confronti perché sapevo di accusare persone che neanche conoscevo. Lui mi diceva di stare tranquillo che avrebbe pensato a tutto lui, che sarei entrato nel programma di protezione, che non ci sarebbero stati problemi. Ore e ore su questo punto, voleva che gli dicessi che il furto me l’aveva commissionato Profeta. Era accanito. Mi diceva che mi avrebbe fatto avere la protezione e mi dava 200 milioni”.
Così venne definita ogni cosa. Secondo il teste il defunto capo della mobile palermitana lo avrebbe anche invitato a fare il nome di Salvatore Tomasello, e sostenere che la vettura era stata consegnata in una traversa di via Cavour “anche se generalmente, quando lavoravo per Scarantino, non portavo mai le auto fuori dalla zona della Guadagna”.
Dopo aver trascorso alcuni giorni alla Squadra mobile, Candura venne portato in carcere all’Ucciardone assieme a Luciano Valenti. “Lì chiesi di parlare con un funzionario del carcere perché volevo ritrattare quelle dichiarazioni e dire cosa era successo. Sono entrate in cella tre guardie carcerarie e non ho avuto nemmeno il tempo di parlare: uno mi ha dato una testata e mi ha rotto il setto nasale e gli altri mi hanno picchiato a sangue. Poi massacrarono anche Luciano Valenti. Quando mi portarono dal medico questi mi chiese solo poche cose e non disse nulla. Ero ridotto così male che non hanno nemmeno potuto farmi le foto segnaletiche in carcere. E lo ha visto anche il pm che mi interrogava per la violenza sessuale, al quale ho dovuto dire che ero caduto dalle scale”.
Delle violenze subite Candura, durante gli interrogatori dell’ultima inchiesta non aveva mai detto nulla almeno fino al 2010.
Candura, che più volte nel corso dell’esame ha affermato di aver “passato 10 anni di inferno” per una cosa che dice di non aver fatto, ha sostenuto di essere sempre stato ‘telecomandato’ da La Barbera e dal suo vice, Ricciardi anche se in lui i dubbi restavano. “A La Barbera dicevo sempre che se questa versione cadeva io ero rovinato. Indicavo anche le incongruenze tra le mie dichiarazioni rispetto a quelle di Scarantino, ma lui mi diceva di non preoccuparmi. E quando Scarantino cambiò le proprie dichiarazioni sul luogo di consegna dell’auto capii che lo avevano indottrinato”.
Oltre al capo della Mobile, Candura ha chiamato in causa anche i funzionari Vincenzo Ricciardi, Salvatore La Barbera e Mario Bo, dicendosi sicuro che fossero consapevoli della versione costruita a tavolino. “A Mantova, Ricciardi e La Barbera mi avevano fatto un cazziatone: guai a te se sbagli, e mi facevano ripassare quello che dovevo dire. Se durante l’interrogatorio io andavo nel pallone, intervenivano”.
E proprio su Mario Bo si è soffermato ancora il pm chiedendo: “Come mai ha detto di aver visto Mario Bo negli uffici della Mobile nel settembre del ’92, in occasione del suo arresto, quando risulta che il dottor Bo venne assegnato a Palermo solo nell’agosto del ’93?”. E Candura ha risposto “Lui c’era, dottor Luciani mi creda. Era in borghese ma c’era”.
Nel corso della lunga deposizione – costellata di interruzioni ai collegamenti in videoconferenza con gli imputati, che hanno costretto la Corte a lasciare l’aula bunker per trasferirsi a palazzo di Giustizia – il teste ha anche affermato di temere per la propria vita e per quella della figlia, raccontando inquietanti episodi, l’ultimo dei quali, avvenuto 15 giorni addietro: “Hanno incendiato il motore del mio scooter. Io temo che facciano qualcosa a me o a mia figlia. Anche pochi giorni dopo l’interrogatorio del marzo 2009, in un bar di Palermo, si presentarono due persone, che ritengo essere poliziotti, che mi invitarono a mantenere le mie vecchie dichiarazioni. Poi – ha rivelato oggi – mi hanno rubato la macchina che ho ritrovato smontata e con un cartello con su scritto la parola ‘pentito’ o ‘confidente’”. “Quando ero un pentito – ha affermato – mi sono inventato una valanga di fesserie pur di apparire credibile. Spesso mi contraddicevo e mi chiedevo come mai nessun magistrato se ne accorgesse”.
Il processo è ripreso oggi, al Palazzo di Giustizia di Caltanissetta, con altri testi citati dall’accusa. Il controesame di Candura è fissato invece per il 22 ottobre. 

di Aaron Pettinari – 11 ottobre 2013 Antimafia duemila

a cura di Claudio Ramaccini  Direttore Centro Studi Sociali contro la mafia – Progetto San Francesco