La strage mafiosa dei Georgofili

 

Nella notte fra il 26 e il 27 maggio 1993, a Firenze, viene fatta esplodere una Fiat Fiorino imbottita di esplosivo nei pressi della storica torre dei Pulci, tra gli Uffizi e l’Arno, sede dell’Accademia dei Georgofili.

Nell’esplosione perdono la vita 5 persone: i coniugi Fabrizio Nencioni (39 anni) e Angela Fiume (36 anni) con le loro figlie Nadia Nencioni (9 anni), Caterina Nencioni (50 giorni di vita) e lo studente Dario Capolicchio (22 anni); 48 persone rimangono ferite.

Oltre alla torre vengono distrutte moltissime abitazioni e perfino la Galleria degli Uffizi subisce gravi danneggiamenti.

La strage viene inquadrata nell’ambito della feroce risposta di Cosa Nostra all’applicazione dell’articolo 41 bis che prevede il carcere duro e l’isolamento per i mafiosi.

Due mesi dopo, il 27 luglio, altri attentati mafiosi vengono compiuti a Roma (alle chiese di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro) e a Milano, in via Palestro, dove un’autobomba provoca cinque morti: tre vigili del fuoco e un agente della Polizia municipale intervenuti sul posto, e un cittadino straniero che dormiva su una panchina.

Secondo le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, la bomba in via dei Georgofili non avrebbe dovuto provocare morti ma solo danni alla Galleria degli Uffizi, ma la scarsa conoscenza dei luoghi e i pochi sopralluoghi fecero mettere l’autobomba in un posto diverso da quello previsto.

Successivamente il pentito Gaspare Spatuzza ha espresso “malessere” nei confronti di questo attentato e chiesto “perdono” alla città.

Come mandanti dell’attentato di via dei Georgofili nel 2000 vennero condannati all’ergastolo i boss Salvatore RiinaGiuseppe GravianoLeoluca Bagarella e Bernardo Provenzano

Viene  poi condannato all’ergastolo il pescatore Cosimo D’Amato, con l’accusa di aver recuperato esplosivo da residuati bellici della seconda guerra mondiale nel mare della Sicilia e di averlo consegnato al cugino, il mafioso palermitano Cosimo Lo Nigro, che lo utilizzò nell’attentato di via dei Georgofili e negli altri attentati dinamitardi del 1992-1993.

 

FRANCESCO TAGLIAVIA e la strage dei georgofili

 

AUDIO Deposizioni ai processi

 

Strage di via dei Georgofili: ergastolo per il boss Francesco Tagliavia  Esponente della cosca di Brancaccio, è stato riconosciuto colpevole della bomba esplosa a Firenze il 27 maggio 1993. Si tratta del processo di appello bis. La Cassazione nel 2014 aveva annullato con rinvio una prima condanna al carcere a vita  25 febbraio 2016 FIRENZE TODAY 

Il boss mafioso Francesco Tagliavia, della cosca di Brancaccio, è stato condannato all’ergastolo per la strage di via dei Georgofili, avvenuta a Firenze il 27 maggio 1993. Il verdetto è stato emesso dalla Corte di Assise d’appello di Firenze. Per Tagliavia i giudici hanno disposto anche l’isolamento diurno in carcere.Si tratta del processo d’appello-bis. La Cassazione aveva annullato con rinvio una prima condanna in appello all’ergastolo per Tagliavia (nella foto a destra), chiedendo di approfondire alcuni elementi di prova legati alle testimonianze dei pentiti Gaspare Spatuzza e Pietro Romeo. In particolare, la Suprema corte chiedeva di valutare nell’appello-bis la credibilità di Spatuzza quando racconta che Tagliavia aveva partecipato in una villa di Santa Flavia, alcuni giorni dopo l’attentato a Maurizio Costanzo (14 maggio 1993), a una riunione fatta per organizzare l’attentato di Firenze. E chiedeva anche di verificare l’attendibilità di Romeo, che aveva confermato il coinvolgimento di Tagliavia nell’organizzazione della strage, costata la vita a cinque persone.   Le motivazioni della sentenza saranno rese disponibili tra 90 giorni, ma intanto il difensore di Tagliavia, l’avvocato Luca Cianferoni ha annunciato un altro ricorso per Cassazione. 

Strage Georgofili: confermato l’ergastolo al boss mafioso Tagliavia febbraio 2016 La I sezione della corte d’assise di appello di Firenze ha condannato stasera, in un processo d’appello-bis, il boss di mafia Francesco Tagliavia all’ergastolo e all’isolamento diurno di un anno per la strage di Via dei Georgofili del 27 maggio 1993, in cui per lo scoppio di un’autobomba morirono cinque persone, fra cui due bambine, con 40 feriti e ingenti danni al patrimonio artistico. La Cassazione aveva annullato con rinvio una prima condanna in appello all’ergastolo per Tagliavia, chiedendo di approfondire alcuni elementi di prova legati alle testimonianze dei pentiti Gaspare Spatuzza e Pietro Romeo. La conferma della condanna all’ergastolo per il boss di Corso dei Mille è il risultato che si aspettava il pg di Firenze, Alessandro Crini, che ha sostenuto l’accusa. Per il difensore di Tagliavia, avvocato Luca Cianferoni, “non ci sono negli atti processuali elementi che sostengano questa decisione” della corte. Cianferoni ha annunciato un altro ricorso per Cassazione. Le motivazioni della sentenza saranno rese disponibili tra 90 giorni.  La corte di assise di appello di Firenze è rimasta riunita in camera di consiglio da stamani per circa 10 ore e 45 minuti. Il presidente Luciana Cicerchia ha letto il dispositivo della sentenza verso le 21.30. La corte di Cassazione aveva prosciolto Francesco Tagliavia per gli attentati stragisti del 1993 di via Palestro a Milano e per quelli di Roma in via Fauro, al Velabro e quello successivamente fallito all’Olimpico, ma per la strage di via dei Georgofili a Firenze aveva annullato la condanna di secondo grado (ergastolo) con rinvio a un nuovo processo di appello indicando alla corte di assise di chiarire alcuni aspetti di prova.     In particolare, nel rinvio sulla strage dei Georgofili la Suprema corte chiedeva di valutare nell’appello-bis la credibilità del pentito Gaspare Spatuzza quando racconta che Tagliavia aveva partecipato in una villa di Santa Flavia (Palermo), alcuni giorni dopo l’attentato a Maurizio Costanzo (14 maggio 1993), ad una riunione fatta per organizzare l’attentato di Firenze. E chiedeva anche di verificare l’attendibilità del pentito Pietro Romeo che nel 1997 aveva detto che il mafioso Francesco Giuliano, cugino di Tagliavia e appartenente al ‘gruppo di fuoco’ di Corso dei Mille, gli aveva detto che lo stesso Tagliavia si stava interessando per individuare una base logistica a Sieci (Firenze) invista dell’attentato da compiere ai Georgofili. Altra indicazione data dalla Cassazione era per rilevare se ci fossero motivi di rancore verso Tagliavia da parte di Spatuzza, Romeo e Giuliano.   Dopo la lettura della sentenza, le parti civili hanno espresso soddisfazione. Il presidente dell’associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, Giovanna Maggiani Chelli, ha commentato: “Francesco Tagliavia ha perso ancora una volta la partita, è stato condannato a Firenze per la seconda volta all’ergastolo per la strage di via dei Georgofili del 27 Maggio 1993. Si è occupato dell’esplosivo che ha fatto saltare in aria i nostri parenti. Sicuramente la mafia ricorrerà nuovamente in Cassazione, perché è dura per chi sta per finire di scontare un ergastolo per omicidi, ovvero un ergastolo di fatto solo sulla carta, ritrovarsi improvvisamente sulla testa un ergastolo ostativo per strage a regime di 41 bis”. 12 luglio 2020 pistoia today


Sequestro beni per 38 milioni di euro  Nel mirino il gruppo criminale capeggiato dal figlio di Francesco Tagliavia, esponente di vertice del mandamento mafioso di Brancaccio, condannato all’ergastolo sia per la strage di via d’Amelio a Palermo che per quella di via dei Georgofili a Firenze Mafia palermitana con l’accento toscano: “Quella telefonata alla mamma di Pietro Tagliavia”  6 maggio 2020 Schiaffo al clan Tagliavia di corso dei Mille. I finanzieri del gruppo di Prato – coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia – hanno sequestrato disponibilità finanziarie, conti correnti, imprese, immobili ed automezzi di proprietà, fino all’equivalente di oltre 38,6 milioni di euro (importo corrispondente al profitto complessivamente conseguito tramite attività di riciclaggio) a presunti esponenti della famiglia palermitana capeggiata da Pietro Tagliavia. Si tratta del figlio di Francesco Tagliavia, esponente di vertice del “mandamento mafioso di Brancaccio”, condannato all’ergastolo sia per la strage di via d’Amelio a Palermo che per quella di via dei Georgofili a Firenze.

Il riciclaggio sarebbe avvenuto utilizzando una galassia di imprese (33 in tutto) con sedi in tutta Italia, aventi per oggetto sociale il commercio dei pallets, le pedane in legno usate per il trasporto di materiali. Alcune sedi del gruppo criminale si trovavano in Sicilia. Si stima un giro di fatture per operazioni inesistenti di 50 milioni di euro.

Le Fiamme gialle hanno sottoposto a sequestro: 9 immobili, tra cui una lussuosa villa nella riviera romagnola, una villetta sulla costa palermitana, due appartamenti sulla riviera ligure di Ponente con pertinenti box, un immobile di Prato dove ha sede un bar e due terreni agricoli nel palermitano; 8 autoveicoli, alcuni dei quali di grossa cilindrata, ed un motoveicolo; 22 rapporti finanziari, tra cui conti correnti, polizze vita, buoni postali e fondi comuni d’investimento, per un controvalore pari a circa 1,2 milioni di euro; denaro contante per oltre 200 mila euro e 4 imprese operanti nel settore del commercio all’ingrosso di imballaggi.

Un consulente del lavoro palermitano, sospeso dall’Ordine, sarebbe stato specializzato proprio nella gestione delle false fatture. I sequestri, disposti dal tribunale di Firenze per equivalente del profitto conseguito col riciclaggio, rappresentano la seconda parte dell’inchiesta “Golden Wood”, che lo scorso febbraio aveva portato all’arresto di 12 persone (10 palermitani e due pugliesi).

 

A Francesco Tagliavia confermato l’ergastolo Capo della famiglia palermitana di Corso dei Mille era accusato di aver messo a disposizione i suoi uomini per la strage dei Georgofili  La Corte di assise di appello di Firenze ha confermato l’ergastolo per Francesco Tagliavia, 62 anni, capo della famiglia palermitana di Corso dei Mille. Tagliavia era accusato di aver messo a disposizione i suoi uomini e prestato il suo assenso alla strage mafiosa di via de’ Georgofili a Firenze, dove il 27 maggio 1993 un’autobomba carica di 250 chili di esplosivo uccise il vigile urbano Fabrizio Nencioni, sua moglie Angela Fiume, custode della Accademia de’ Georgofili, le loro figlie, Nadia di 9 anni e Caterina di 50 giorni, e lo studente di architettura Dario Capolicchio. Altre decine di persone rimasero ferite, la Accademia de’ Georgofili fu completamente distrutta, la Galleria degli Uffici fu devastata e il centro di Firenze subì fanni gravissimi. Tagliavia, difeso dagli avvocati Luca Cianferoni e Antonio Turrisi, era stato già condannato all’ergastolo in primo e secondo grado sia per la strage di via de’ Georgofili che per quelle del 27 e 28 luglio 1993 a Milano (via Palestro – 5 morti) e a Roma (colpite la basilica di San Giovanni in Laterano e la chiesta di San Giorgio al Velabro) e per il fallito attentato contro i carabinieri allo Stadio Olimpico di Roma (23 gennaio ’94). Le stragi per le quali già altre venti anni fa sono stati condannati i vertici di Cosa Nostra, da Salvatore Riina, a Bernardo Provenzano, a Giuseppe Graviano, a Leoluca Bagarella, a Matteo Messina Denaro (l’unico ancora latitante). CORRIERE DELLA SERA di FRANCA SELVATICI 24 febbraio 2016


Riciclavano i soldi del clan mafioso dei Tagliavia: 12 arresti tra Prato, Campi e Sesto  Pietro Tagliavia è il figlio di Francesco, condannato per le stragi di via d’Amelio e via dei Georgofili. I denari venivano riciclati e ripuliti attraverso imprese che commerciavano pedane in legno  L’operazione della Gdf di Prato, coordinata dalla Dda di Firenze, che ha portato all’esecuzione di 12 arresti (sei in carcere e sei ai domiciliari), con un totale di 60 indagati, contesta i reati di associazione a delinquere finalizzata a riciclaggio, autoriciclaggio, emissione di fatture per operazioni inesistenti, nonché reati di intestazione fittizia di beni, contraffazione di documenti di identità e sostituzione di persona. Il sodalizio riciclava proventi degli affari criminali della «famiglia mafiosa di Corso dei Mille» di Palermo, capeggiata da Pietro Tagliavia, condannato con sentenza irrevocabile per il reato di associazione mafiosa, figlio di Francesco Tagliavia, condannato all’ergastolo per le stragi di via d’Amelio a Palermo e via de’ Georgofili a Firenze.

Gdf di Prato e Dda di Firenze hanno ricostruito un flusso illecito di denaro per circa 150 milioni di euro, di cui 39 provenienti direttamente da soggetti di Palermo legati alla mafia. Sono denari riciclati principalmente nell’economia toscana. L’associazione a delinquere avrebbe immesso nel circuito economico denaro di provenienza illecita attraverso le creazione di una galassia di 33 imprese con sedi in tutta Italia, in particolare in Toscana, Sicilia e Lazio, tutte aventi per oggetto sociale il commercio dei pallets, le pedane in legno usate per il trasporto e la movimentazione di materiale.

Le fatture inesistenti venivano emesse sia tra aziende interne al gruppo criminale, sia a favore di aziende ad esso estranee, che usufruendo del servizio illegale si garantivano vantaggi fiscali. Le imprese `sane´ versavano tramite bonifico a quelle facenti capo al gruppo criminale il corrispettivo degli importi falsamente fatturati (per consegne di pallets mai avvenute), che poi veniva restituito in contanti, decurtato del 10%.

Lo scopo del sodalizio illecito era, dunque, riciclare, ostacolando l’identificazione della provenienza delittuosa, i proventi criminali della «famiglia mafiosa di Corso dei Mille» di Palermo, capeggiata da Pietro Tagliavia. In particolare, secondo gli inquirenti, gli indagati si erano messi a completa disposizione di Pietro Tagliavia nel periodo in cui egli era detenuto presso la casa circondariale di Prato, tanto da reperirgli nel 2017 un’abitazione in Campi Bisenzio (Firenze) dove aveva scontato gli arresti domiciliari e fornirgli, clandestinamente e in violazione delle prescrizioni imposte dall’Autorità Giudiziaria, un telefono con cui mantenere contatti anche con i propri sodali in Sicilia. Sulla presenza di Tagliavia e dei suoi possibili fiancheggiatori a Campi Bisenzio proseguono gli accertamenti. Emergono in particolare due gruppi familiari di origine siciliana, imparentati tra loro, trasferitisi nel Lazio e in Toscana.

Sono state 120 le perquisizioni eseguite dalla Gdf, nel corso delle quali sono stati sequestrati anche denaro e armi. Sequestrate, inoltre, 15 aziende e 86 conti correnti. I destinatari degli arresti sono originari della Sicilia (10) e della Puglia (due). Risultano residenti a Palermo (sette), Prato (due), Campi Bisenzio (due) e Sesto Fiorentino (uno). Negli stessi territori gravitano le altre decine di indagati dell’inchiesta denominata «Golden Wood». 6 febbraio 2020 | CORRIERE DELLA SERA

 

Messina Denaro: “La Strage di Firenze? Bisognava prendersela con i beni dello Stato” | L’audio dell’interrogatorio

 

 


PIETRO GRASSO

È notte quando a Firenze, tra il 26 e il 27 maggio 1993, esplode un’autobomba a pochi passi dagli Uffizi.
In quell’attentato mafioso perdono la vita Caterina di appena 50 giorni, sua sorella Nadia di 9 anni, i loro genitori Angela e Fabrizio Nencioni, e lo studente Dario Capolicchio; molti i feriti e ingenti i danni al patrimonio artistico e al tessuto urbano.
Quest’anno, a causa dell’emergenza sanitaria, non ci saranno manifestazioni pubbliche, ma la memoria di quella strage non si ferma e viaggia sulla rete.
Questo il mio contributo per l’Associazione familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, con un particolare pensiero a due persone: Giovanna Maggiani Chelli, che nel nome delle vittime ha lottato per tutta la vita per cercare la verità, e Gabriele Chelazzi, magistrato con cui ho condotto parte delle prime indagini.
A distanza di 27 anni non è stata fatta piena giustizia. Per questo con determinazione dobbiamo continuare a impegnarci per fare luce sui punti ancora oscuri.
PIETRO GRASSO