COMMISSIONE ANTIMAFIA, AUDIZIONE MAGISTRATI – ALESSANDRA CAMASSA E MASSIMO RUSSO

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12/07/2017 Commissione Antimafia, audizione magistrati – Alessandra Camassa e Massimo Russo

L’audizione odierna rientra, pertanto, nei compiti di cui all’articolo 1, comma 1, lettera f), della legge istitutiva relativa alle manifestazioni del rapporto tra mafia e politica, che nei successivi momenti storici hanno determinato delitti e stragi di carattere politico-mafioso, ed è dedicata in particolare al tema della strage di via D’Amelio, in cui lasciarono la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta, di cui il prossimo 19 luglio ricorre il venticinquesimo anniversario.
La Commissione intende pertanto fare la propria parte con approfondimenti mirati, dedicati nella sede plenaria a una vicenda che tanta importanza ha avuto e ha tuttora nella storia del nostro Paese, oltre naturalmente alla partecipazione agli eventi commemorativi in programma la prossima settimana a Palermo, che la Commissione stessa ha contribuito a promuovere e organizzare.
La Commissione, inoltre, non intende infatti lasciare inascoltati gli appelli rivolti dalla famiglia Borsellino e, per questo, la prossima settimana a Palermo si svolgerà anche l’audizione formale di Fiammetta Borsellino, figlia minore del giudice, che fa seguito a quelle già svolte dall’altra figlia Lucia, dalla sorella Rita e dal fratello Salvatore, che hanno già fornito molti spunti di interesse per il nostro lavoro, che si pone in un’ottica di analisi e valutazione soprattutto di carattere politico piuttosto che giudiziario.
Venticinque anni di tormentate vicende giudiziarie, tanto più alla luce delle ultime risultanze del processo Borsellino-quater, richiedono infatti una considerazione che vada oltre i contenuti e i limiti dell’azione giudiziaria, come da ultimo ci ha ricordato la stessa procura distrettuale di Caltanissetta rispetto alle scadenze della prescrizione, ove prevista, ma anche dello stesso accertamento in concreto dei fatti e delle conseguenti responsabilità a tanti anni di distanza dal loro accadimento.
Ricordo che la seduta odierna si svolge nelle forme dell’audizione libera e che, ove necessario, i lavori potranno proseguire in forma segreta. Ringrazio gli auditi per la loro disponibilità, diamo molta importanza a questa loro audizione, e cediamo loro la parola iniziando dalla dottoressa Camassa.
Posso chiedervi di inquadrare il periodo nel quale avete lavorato con Borsellino? Grazie.

  • ALESSANDRA CAMASSA, magistrato. Paolo Borsellino arriva a Marsala come procuratore della Repubblica nel 1986, invece io arrivo a Marsala nel settembre del 1989, quindi dopo un po’ di anni dall’arrivo del dottor Borsellino a Marsala, nel settembre del 1989 insieme al dottor Antonio Ingroia perché eravamo dello stesso concorso. Anche il dottor Russo arriva nello stesso periodo, ma all’epoca lavorava a Marsala nelle funzioni di GIP presso la pretura circondariale di Marsala.
    Comincia subito un rapporto particolare con il dottor Borsellino come con tutti i colleghi, perché il dottor Borsellino aveva una particolare predisposizione per i giovani, una vocazione decisa e quindi ci si sentiva particolarmente protetti e particolarmente entusiasmati dal suo lavoro.
    Benché spesso tornasse a Palermo dalla famiglia alla quale era molto legato, la mattina era comunque il primo ad arrivare in ufficio prima di tutti noi ed era sua abitudine fare una sorta di briefing, chiedendoci tutto quello che era successo, ci descriveva tutto e ci dava tantissimo entusiasmo e tantissima voglia di fare delle cose.
    L’opportunità di lavorare con il dottor Borsellino a Marsala è stata quella di entrare subito a contatto con il fenomeno dei collaboratori di giustizia, che all’epoca non era poi così diffuso, a parte i collaboratori storici del periodo del maxiprocesso. Specialmente nella provincia di Trapani ancora di collaboratori di giustizia non si parlava. Fu proprio grazie alla fiducia e all’autorevolezza del dottor Borsellino che molti soggetti più o meno vicini alla mafia cominciarono a collaborare con la giustizia e, ovviamente, per dei giovani magistrati questa è stata una opportunità particolare.
    Ci sono state, è vero, collaborazioni che poi sono state anche messe in discussione, ma lì è sempre un problema di avvicinamento ai fatti, in realtà molti di questi collaboratori resero dichiarazioni utilissime sul traffico di droga, ma anche sulla stessa cosa nostra. Mi riferisco anche a collaboratori poi considerati non del tutto credibili, come Spatola o lo stesso Calcara, ma nell’essenza iniziale delle dichiarazioni fornirono molti contributi utili, perché inizialmente fornirono contributi diretti, l’uno spacciava stupefacenti e l’altro pure e fino a quando la loro collaborazione riguardò questi temi fu una collaborazione sicuramente molto valida.
    Questa consentì di conoscere quei personaggi che cominciarono a collaborare dopo, gente come Patti o Sinacori, che invece erano molto addentro a cosa nostra e fornirono contributi di ben altra qualità e di ben altro approfondimento.
    Questo fu l’impatto, ma la procura di Marsala all’epoca non si occupava soltanto di mafia in senso stretto, anche se il dottor Borsellino, come faceva a Palermo, anche a Marsala aveva sempre l’agenda telefonica con tutti i nomi dei mafiosi raccolti nel primo maxiprocesso, per cui ogni volta che in un’indagine nostra a Marsala spuntava un nome, lui andava a guardare, trovava le pagine degli atti del maxiprocesso e diceva: «su questo signore abbiamo già tutti questi elementi», quindi per noi Paolo era anche la memoria storica di tutte queste vicende.
    Tra l’altro, una delle figure di mafioso storico che Paolo ha particolarmente seguito nella sua permanenza a Marsala è stata la figura di Agate Mariano, un mafioso di Mazara del Vallo, capo del mandamento di Mazara del Vallo e, per dirvi il calibro di questo soggetto, quando lui nel 1991 per soli sei mesi, per un errore probabilmente di calcolo nelle misure cautelari, stette fuori, in quei sei mesi fu decisa una serie enorme di omicidi nella zona del marsalese. Essendo lui un uomo di Riina, molto fedele a Riina, quelli furono sei mesi di fuoco nella deliberazione di tutta una serie di omicidi che riscrivessero la carta della mafia nella provincia di Trapani.
    Agate Mariano era uno dei soggetti sui quali il dottor Borsellino si era sempre soffermato, ma insieme al dottor Borsellino ci siamo occupati anche di tante altre attività. Ci fu, per esempio, nell’estate del 1990 o del 1991 (forse più nell’estate del 1990) anche l’indagine mafia e appalti di Pantelleria, che coinvolse il sindaco dell’epoca, tale Petrillo, e arrivò anche a Marsala quel famoso rapporto di cui poi si discusse nel tempo, un rapporto fondamentale che descriveva i rapportipolitica e dell’imprenditoria in Sicilia. Il dottor Borsellino si occupò specificamente per competenza territoriale della tranche relativa agli appalti per la realizzazione del porto di Pantelleria, indagine che fu seguita dal dottor Borsellino, dal dottor Ingroia e non da me.
    Tante furono le collaborazioni e i processi iniziati da quelle collaborazioni e quasi tutti finiti con pesanti condanne relative alla mafia di Marsala, di Castelvetrano, di Mazara del Vallo, fu una stagione di grandissimi processi a Marsala e ci fu non solo la collaborazione di questi primi collaboratori che nel tempo ci consentirono di avvicinarci alla mafia, tanto che poi ci furono collaborazioni ben più importanti, ma ci furono anche le famose collaborazioni femminili, ci fu questo risvolto particolare.
    In particolare quello fu il processo che seguii io, la mafia di Partanna, non Partanna di Palermo, ma Partanna nella Valle del Belice, dove ci fu la collaborazione di tre donne, Piera Aiello, Rita Atria e Rosalba Triolo, quest’ultima meno nota, ma importante perché era l’amante di uno dei killer della zona di Partanna che poi venne ucciso dagli stessi mafiosi.
    Questo fu un processo molto interessante, in cui ancora una volta emerse la personalità morale del dottor Borsellino, che metteva sempre anche molta anima in tutto quello che faceva, per cui curò anche l’aspetto umano di queste giovani collaboratrici. Rita Atria come tutti sapete aveva meno di 18 anni, mentre Piera Aiello ne aveva appena 24, quindi erano ragazze che intanto erano testimoni e non erano imputate di reato connesso, quindi erano persone che ovviamente meritavano tutto la nostra gratitudine, il nostro rispetto e la nostra considerazione, ma in più erano persone giovani, per cui lui si curò tanto di questa collaborazione che la madre di Rita Atria lo denunciò per sottrazione di minore.
    Noi fummo quindi costretti a fare il procedimento al tribunale dei minorenni per sospendere la patria potestà della madre della Atria. Rita era una ragazza di grande intelligenza e capiva che doveva mantenere il rapporto con lei perché comunque era sua madre, ma ricordo che insieme al dottor Borsellino assistevamo a questi colloqui difficilissimi, perché ogni volta Rita si ostinava a incontrarla e la madre non perdeva occasione per rivolgerle minacce come «ti farò fare la fine di tuo fratello» e il dottor Borsellino, con la sua grande umanità, cercava di trovare la quadratura del cerchio, ma erano due mondi che non si potevano parlare.
    Non so se volete farmi delle domande precise, ci sono tanti aspetti della permanenza del dottor Borsellino a Marsala che potrei individuare, anche del dopo Borsellino, del subito dopo Borsellino che è stato per noi molto difficile. Con il dottor Borsellino abbiamo fatto tantissime indagini, siamo andati in processi a Varese, tante indagini sempre nell’ambito della criminalità organizzata e io specialmente ho seguito le indagini di mafia più che quelle di pubblica amministrazione, il dottor Ingroia anche quelle di pubblica amministrazione.
    Se volete, parlo anche del dopo, però è una fase successiva, la fase finale del dottor Borsellino, quando il dottor Borsellino se ne va, perché il dottor Borsellino viene applicato alla procura di Palermo nel novembre del 1991 e quindi già comincia ad andare via, però nel marzo del 1992 va via definitivamente e inizia questa fase molto difficile per noi.
    Ci eravamo infatti abituati a fare indagini di un certo livello (e penso fosse anche giusta questa impostazione) e il fatto che fossimo tutti molto giovani in una procura che si occupava di indagini anche molto pesanti, perché poi c’erano state estensioni anche alla politica, si era indagato su Gunnella, su Culicchia, quindi il fatto che si stava indagando anche su politici forse giustamente preoccupò il procuratore generale di Palermo, che subito cercò di mandarci in applicazione qualcuno che potesse guidare la procura che era gestita da quelli che venivano chiamati «i giudici ragazzini», i giovani di Borsellino.
    Questa seconda fase è stata difficile, perché ci occupavamo di indagini delicate e siamo incappati in una vicenda molto particolare.
    Venne mandato da noi (su questo sarà ancora più preciso il dottor Russo, perché ha ricordi forse più vivi di me) il dottor Mimmo Signorino, Domenico Signorino, la particolarità sta nel fatto che noi fummo subito in difficoltà per questa nuova direzione, sia pure di facente funzioni, del dottor Signorino, perché noi in ben due processi avremmo dovuto ascoltarlo, sentirlo almeno come testimone e questo certamente ci poneva in difficoltà, tanto che decidemmo di scrivere una lettera al procuratore generale con cui manifestavamo il nostro problema.
    Il dottor Signorino doveva essere sentito perché nel procedimento a carico dell’onorevole Culicchia per il reato di associazione mafiosa era emersa una circostanza particolare. Forse ricorderete, perché è una vicenda molto nota, che quell’anno, poco prima che andasse in camera di consiglio – penso in tribunale di primo grado – per l’omicidio del capitano Basile, omicidio di mafia che coinvolgeva mafiosi di altissimo livello, il dottor Scaduti, presidente di quel collegio, era stato chiamato dal notaio Pietro Ferraro.
    Il notaio Ferraro gli aveva fatto un ragionamento molto particolare, un po’ contorto, di matrice pirandelliana, in cui cercava di dirgli: «tu stai andando in camera di consiglio e so che sei una persona severa». Insomma era preoccupato della decisione che poteva essere adottata nei confronti dei mafiosi di altissimo livello responsabili dell’omicidio Basile: Riina, Greco, tutto il gotha della mafia.
    Il dottor Scaduti, chiamato dal notaio Ferraro, che forse era suo amico, il giorno prima di andare in camera di consiglio, si preoccupa di questa richiesta e gli dice sostanzialmente: «chi ti manda?», e lui risponde: «un politico trombato a nome Enzo di area manniniana».
    Il giorno dopo il dottor Scaduti fa una relazione di servizio, dove racconta tutta questa storia. Cosa c’entra con Culicchia? Contemporaneamente io e il dottor Russo a Marsala stavamo facendo le indagini per 416-bis su Culicchia.
    La procura di Palermo, ritenendo che questo Enzo politico trombato di area manniniana potesse identificarsi con l’onorevole Culicchia, ci manda gli atti di questa indagine appena cominciata, con delle intercettazioni a carico del notaio Ferraro, che però non ci vennero trasmesse subito, quindi noi facemmo una delega molto semplice.
    Quando ci arrivarono gli atti, ci sorprese il coinvolgimento dell’onorevole Culicchia in questa vicenda da parte della procura di Palermo, perché era a tutti noto come l’onorevole Culicchia non fosse di area manniniana, dato fondamentale per noi per dubitare che fosse lui.
    Abbiamo fatto una delega al dottor Rino Germanà, che era stato applicato da Catania alla Criminalpol di Palermo, per capire se questo soggetto che aveva mandato il notaio Ferraro a fare questa sollecitazione, che definire inopportuna è poco, al collega che doveva andare in camera di consiglio potesse essere veramente l’onorevole Culicchia. Questa delega mi pare fosse della fine di aprile, il dottor Germanà ci risponde intorno ai primi di maggio dandoci una serie di indicazioni, dalle quali emergeva con maggiore evidenza che il politico trombato non era Culicchia, ma era in realtà il senatore Enzo Inzerillo che effettivamente era di area manniniana.
    Quando poi ci trasmisero le intercettazioni che la procura di Palermo aveva iniziato nei confronti del notaio Ferraro, ci stupì molto che ci avessero trasmesso gli atti dicendoci che gli elementi convergevano sull’onorevole Culicchia, perché subito dopo l’incontro Ferraro/presidente Scaduti c’erano circa dieci-quindici intercettazioni tra il notaio Ferraro e l’onorevole Enzo Inzerillo di area manniniana, trombato perché non ricandidato alle elezioni.
    Cosa c’entra Signorino, da cui eravamo partiti? C’entra perché il numero di telefono della camera di consiglio presso la quale venne rintracciato dal notaio Ferraro, al presidente Scaduti glielo fornì proprio il dottor Signorino, quindi noi volevamo capire quali fossero i rapporti tra Signorino, il notaio Ferraro e Inzerillo, cosa ci fosse dietro tutta questa vicenda.
    Il nome di Signorino risultava anche altrove, perché nelle indagini nei confrontidell’onorevole Gunnella contemporanee a quelle dell’onorevole Culicchia avevamo sequestrato una cassetta di sicurezza.
    Nella mia ingenuità, ritenevo che le cassette di sicurezza contenessero gioielli, mentre non c’era niente di tutto questo: la cassetta dell’onorevole Gunnella era piena di dossier su tanti altri politici, proprio con la storia di quello aveva fatto questa cosa che non andava bene, l’altro quest’altra cosa.
    In questo dossier c’era un’agenda dove c’era scritto il nome Signorino ma, cosa che comprendemmo dopo, in questa cassetta c’era anche una lettera intestata Il Circoletto, un club privato di Palermo, una lettera di raccomandazioni a firma del dottor Signorino, una lettera di raccomandazione rivolta a Gunnella perché raccomandasse per un esame di maturità una tale Misia Caterina.
    La cosa non sarebbe stata particolarmente rilevante se nelle dichiarazioni di Mutolo, che però sono successive, non si fosse appreso che questa Misia Caterina era la figlia del famoso costruttore amico di Riccobono, che aveva realizzato quella casa a Palermo in contrada Pallavicino che, secondo le dichiarazioni di Mutolo, era stata costruita e donata da questo Misia su incarico di Riccobono.
    Da questa semplice storia emerge che noi avremmo dovuto sentire il dottor Signorino, quindi considerate che noi avevamo ventinove anni, considerate che quando noi scriviamo al procuratore generale che sarebbe stato opportuno revocare l’incarico al dottor Signorino rappresentavamo i fatti e, quindi, poteva venirne fuori questa cosa.
    Certo non abbiamo sortito un grande successo col procuratore generale, io devo dire che ero abbastanza preoccupata della vicenda e poi non è stato neanche bello sentire il collega Signorino, che comunque era una persona molto più anziana di noi, convocarlo, chiedergli queste cose… Lui non gradì assolutamente la nostra convocazione, insomma fu un periodo molto difficile ma, per fortuna, eravamo educati dal dottor Borsellino che non guardava in faccia nessuno ed era una persona sempre molto diretta e molto corretta.
    Borsellino era al corrente.
    Dovete considerare che io seguivo i processi alla mafia di Partanna e all’epoca, nel novembre del 1991, ci fu il trasferimento della competenza dalle procure circondariali alle direzioni distrettuali antimafia, ma, siccome il processo di Partanna l’avevo seguito io, ogni settimana andavo a riferire al dottor Borsellino, quindi i miei rapporti con lui non si erano assolutamente affievoliti e in una di queste occasioni ci disse: «con questa nota diretta al procuratore generale, dove avete detto che Signorino… pensano tutti che dietro a queste vostre iniziative ci sia io», in realtà onestamente lui non c’era dietro le nostre iniziative in questo caso, c’era stato in tante altre prima, ma in questa sicuramente no.
    Di Signorino non aveva una grande idea, e non era soltanto lui, ma anche il dottor Falcone. Perché lo dico? Quando si seppe della revoca del dottor Signorino ai primi di maggio, perché il procuratore generale lo revocò dall’incarico di applicato alla procura della Repubblica di Marsala, arrivò una nota dal Ministero della giustizia Direzione affari penali (c’era ancora il dottor Falcone) che chiedeva le motivazioni della revoca del dottor Signorino, perché in tutto questo sono quasi coeve e comincia lì Mutolo, che probabilmente già aveva dato alcune indicazioni, che poi darà a Paolo Borsellino.
    Con Paolo, che è morto poi domenica, ci siamo sentiti telefonicamente giovedì e già lui aveva ricevuto le dichiarazioni di Mutolo (anche se non le aveva verbalizzate) sia su Contrada, sia su Signorino, proprio sulla vicenda di questo costruttore amico di Riccobono che gli avrebbe donato la casa.
    Certo, non si sapevano tante cose, però una stima profonda verosimilmente non c’era, qualcosa di peggio probabilmente il dottor Falcone.
  • MASSIMO RUSSOmagistrato. Vorrei proseguire e offrire alla Commissione degli elementi per approfondire una vicenda che può essere definita inquietante perché, se si va a vedere l’evolversi, si comprendono o dovrebbero comprendersi alcune cose che chiare non sono.
    La collega Camassa, che insieme a me ha vissuto quel periodo, ha delineato un po’ i contorni di questa storia. Io e Alessandra siamo dello stesso concorso ed arrivammo a Marsala nel 1989; io presi le funzioni di GIP, lei andò nella procura di Paolo Borsellino dove poi io mi trasferii dopo due anni, il 24 ottobre del 1991 mentre, se non ricordo male, Alessandra Camassa successivamente andò via da quell’ufficio nel 1993. È inutile dire che il fascino e il carisma di Paolo avevano giocato un ruolo importantissimo.
    Mi furono assegnate delle indagini, tra le quali quella di Culicchia, 110 e 416-bis, e di Gunnella, 110 e 416-bis.
    Molto attuale. Per Gunnella chiesi l’archiviazione dopo qualche anno, il processo Culicchia invece fu celebrato e Culicchia venne assolto.
    Questa vicenda, con il senno di poi e con le informazioni che abbiamo poi raccolto, la possiamo definire una vicenda estremamente inquietante, rispetto alla quale Alessandra dice che i miei ricordi sono più puntuali; in realtà sono molto puntuali solo perché supportati da una relazione oramai pubblica, perché l’ho data per la prima volta l’anno scorso o due anni fa, durante la mia testimonianza al processo Borsellino-ter a Caltanissetta. Si tratta di una relazione con degli allegati che purtroppo non ho e una bozza di una relazione che io consegnai (non c’è nemmeno la data) penso ai primi del 1994 al procuratore Caselli.
    Poi infatti andai alla procura di Palermo, ma quando la consegnai ero ancora a Marsala, perché andai a Palermo nell’ottobre del 1994. In questa relazione fissiamo alcuni punti, il racconto di Alessandra fa comprendere alcune cose, se ritenete chiedo la cortesia di ascoltare pezzi di lettura della bozza di questa relazione per non sbagliare date e per non sbagliare soggetti.
    Noi conosciamo la storia della vicenda Scaduti, presidente della corte d’assise d’appello che doveva giudicare Riina, Greco ed altri, per l’omicidio Basile. Per quel processo era morto il collega Saetta, quindi è un processo particolarmente importante, carico di una storia criminale anche per la morte del collega Saetta.
    L’11 aprile del 1992 la procura della Repubblica di Palermo trasmette copia di atti asseritamente concernenti «indagine nei confronti di Culicchia Vincenzino per competenza e unione agli atti». Noi avevamo a Marsala il processo per 416-bis nei confronti di Culicchia, nato dalle dichiarazioni di questi collaboratori o pseudo-tali (io ho un’opinione un po’ diversa dalla dottoressa Camassa per esempio su Calcara, che aveva dato un contributo su alcune cose, ma a mio avviso non era in grado di dare alcun contributo sull’organizzazione mafiosa).
    La procura di Palermo manda quindi queste carte costituite dalla relazione del presidente Scaduti del 13 febbraio del 1992 – quindi il giorno successivo alla vicenda che ha raccontato Alessandra – e dalla copia dell’esame testimoniale, delle sommarie informazioni di Scaduti del 21 febbraio del 1992 per unione agli atti per quanto di competenza, ipotizzando che l’Enzo mandante di quell’invito/minaccia che il notaio Ferraro, che aveva preso il numero di telefono dell’aula bunker da Signorino, aveva rivolto al presidente Scaduti potesse identificarsi con Culicchia. Noi giovani magistrati ragazzini capimmo subito che la cosa puzzava, e non poco, quindi decidemmo di approfondire.
    Abbiamo avuto poi l’esatta consistenza della vicenda soltanto un anno dopo con lo sviluppo delle indagini che si intersecano tra Palermo e Caltanissetta. Se ritenete, lascerò questa bozza di cui mi assumo ovviamente tutta la responsabilità, era una vicenda talmente grave che ritenni a mia futura memoria di consegnarla all’epoca al dottor Germanà quando se ne andò da Palermo, dicendogli: «visto che non ti hanno ammazzato, tienila tu, non si sa mai», e mel’ha restituito due anni fa, perché non la trovavo più, mandandomela con un’e-mail; io l’avevo data a Caselli nel 1993-1994. Quindi la valutazione finale ci è stata consentita da questa trasmissione degli atti che acquisiamo da Palermo e da Caltanissetta, perché poi ci sono gli stralci che, ovviamente, per quella vicenda vanno a Caltanissetta.
    Con ordine voglio puntualizzare due o tre aspetti interessanti, rinviando poi alla lettura della mia relazione.
    Relazione di servizio di Scaduti, sommarie informazioni di Scaduti, delega di indagine che viene fatta da Palermo su quella vicenda. La relazione è del 13, l’interrogatorio è del 21 e risulta che lo stesso giorno, il 21, la procura di Palermo attiva le intercettazioni telefoniche nei confronti di Culicchia. Però lo stesso giorno, il 21 alle 13.00 (perché lo fa per telefono e c’è un’annotazione) si chiede alla PG dei Carabinieri nella procura di Palermo di identificare, sulla base degli elementi che aveva fornito Scaduti nella relazione del 13 e nelle sommarie informazioni, le utenze (che però in quel momento risultano intercettate).
    Infatti, l’esito di questa prima indagine viene riferito tre o quattro giorni dopo ma, nel frattempo, sono già state avviate le intercettazioni sui telefoni di Culicchia. Cosa cogliamo (anzi in realtà colgo io perché quando poi arrivano tutte le carte Alessandra è già andata via dalla procura)? Che la procura di Palermo dà una delega in cui si dice di indagare, di accertare, di individuare questo Enzo politico trombato di area manniniana che, secondo l’indicazione, sarebbe stato il mandante, ma aggiunge: «candidato ma non eletto nelle ultime elezioni, oltre ad essere – attenzione a questo passaggio – della zona prossima alla sede notarile e di origine del Ferraro». Il notaio Ferraro è di Castelvetrano.
    Il punto qual è? Che né nella relazione di Scaduti, né nelle sue sommarie informazioni risultano questi dati, cioè che l’Enzo fosse della zona del notaio Ferraro non emerge, infatti lo sottolineo, da nessun atto.
    Aliquò, il procuratore aggiunto dell’epoca che firma queste carte
    No, il procuratore Vittorio Aliquò, perché poi arriviamo a un aspetto un po’ particolare su cui magari…
    Il 25 febbraio del 1992 il maggiore Minnella risponde a quella delega e, quindi, io mi ritrovo queste carte (la relazione, le sommarie informazioni, l’indagine disposta con un appunto, in cui però vengono evidenziate delle circostanze che non emergevano nei due atti). Quindi, a quel punto, a Marsala ci ritroviamo questa patata bollente e facciamo partire il 23 aprile del 1992 la delega al dottor Germanà.
    Questi sono passaggi basilari per capire quello che è successo dopo. Il 27 aprile io ero in ferie a Firenze, chiamo Alessandra per sapere come andava l’ufficio perché Paolo era andato già via e mi dice (lo ricordo perfettamente): «lo sai che hanno mandato a sostituire Paolo» (quindi la procura generale per la fase di vacanza in vista del nuovo concorso aveva mandato un sostituto procuratore generale)? Ho detto: «chi, Signorino?». Ha detto: «sì, Signorino».
    Noi avevamo colto che qualcosa non andasse perché Siclari, procuratore generale, era venuto a Marsala a fine marzo, quando era andato via Paolo, aveva fatto una riunione, ricordo eravamo nel corridoio e voleva sapere come era la situazione, quali indagini importanti stavamo facendo e io parlai di Gunnella e dissi che avremmo dovuto sentire Signorino per la storia che vi ha raccontato Alessandra, quindi lui sapeva perfettamente che a Marsala c’era l’indagine su Gunnella, che noi dovevamo sentire necessariamente Signorino per la vicenda Gunnella. E chi arriva? Signorino.
    Qui ho la necessità di leggere: «Il 27 aprile, telefonando in ufficio, mentre mi trovavo in ferie a Firenze, apprendo che era stato applicato a Marsala quale procuratore della Repubblica il dottor DomenicoSignorino.
    Incontrai il nuovo procuratore nella prima occasione utile, vale a dire nel corso della mattinata del successivo giovedì 30 aprile, alla presenza della collega Lina Tosi.
    Lo stesso immediatamente, sfilando un bigliettino da un codice, mi chiese notizie in ordine allo stato dei procedimenti nei confronti di Petrillo, dell’onorevole Leone, dell’onorevole Culicchia, dell’onorevole Gunnella, domandandomi inoltre chi se ne stesse occupando.
    Dopo avergli dato i necessari chiarimenti, mi disse con riferimento a questi ultimi due, Culicchia e Gunnella, che insieme alla collega Camassa lo avremmo dovuto dettagliatamente informare sulla base degli atti del contenuto dei relativi fascicoli delle indagini in corso nella riunione del prossimo martedì 5 maggio, che fissò, sottolineando che inoltre aveva avuto ripetute sollecitazioni da parte del loro difensore, avvocato Riela che, anzi, gli aveva preannunciato una visita».
    Quindi arriva Signorino e la prima cosa che chiede è “fatemi vedere, ditemi che state facendo su questi fascicoli”.
    Attenzione, quando arriva Signorino abbiamo quello stralcio dell’Enzo politico trombato che era arrivato a Marsala, perché si ipotizzava fosse Culicchia.
    «Rimasi turbato da quell’incontro non solo per i modi freddi e distaccati in cui si svolse, ma per il contenuto della conversazione, poiché ebbi netta la sensazione che le sue richieste non fossero disinteressate.
    Inoltre mi apparve strano che l’avvocato Riela che, peraltro, risultava essere il codifensore del notaio Ferraro, nell’interrogatorio da questo reso alla procura di Palermo il 6 aprile 1992, gli avesse già potuto rivolgere ripetute richieste di informazione, ovvero sollecitazioni in ordine ai procedimenti in corso presso questo ufficio, dato che solamente da meno di una settimana il dottor Signorino rivestiva formalmente il ruolo di procuratore della Repubblica di Marsala». Come poteva Riela rivolgere ripetute sollecitazioni, se erano passati cinque giorni dalla sua carica, salvo che tutto non fosse preordinato, come ritengo?
    «Mi stupì, infine, il fatto che egli dimostrò attenzione solamente per quei procedimenti a carico dei politici», eccetera, eccetera.  
    Quindi noi ci troviamo Signorino che ci fa questa richiesta e decidiamo, io e Alessandra da soli, di scrivere una missiva al procuratore generale e a Signorino, anzi a Signorino e, per conoscenza, al procuratore generale (questa missiva l’ho conservata, ma non l’ho portata), in cui diciamo: il 5 maggio è fissata una riunione, però sappi che ti dobbiamo sentire per la vicenda Culicchia/Ferraro perché vogliamo che ci spieghi come mai Ferraro sia venuto da te a chiedere il numero di telefono che ha utilizzato per minacciare il presidente della corte, e per chiarirci i tuoi rapporti con Gunnella, visto che c’è un appunto a nome Mimmo e poi Gunnella dirà trattarsi di Signorino.
    Io e Alessandra l’abbiamo portata al procuratore Siclari, che sbiancò. Ci ricevette, gli demmo la lettera e andammo via.
    Ora non ricordo (è una cosa su cui mi arrovello) se, dopo aver lasciato questa missiva a Sua Eccellenza Siclari (attenzione qui alle date, perché sono date importanti) il 4 maggio, proprio in quell’occasione incontrammo anche Paolo Borsellino ovvero, nell’altra ormai nota occasione, dopo la strage di Falcone del 23 maggio e prima ovviamente del 19 di luglio, quando poi Paolo Borsellino ci disse «un amico ci ha tradito», perché in questa occasione, cioè il 4 maggio, o nella successiva, Paolo Borsellino ci disse (credo abbia usato questo termine): «mi avete messo nei casini, perché tutti qua a Palermo sono convinti che dietro questa storia di Signorino e della lettera che voi avete mandato ci sia io, ma me lo potevate dire».
    Infatti di questa storia ricordo che io e Alessandra non gli dicemmo nulla, proprio per non metterlo in imbarazzo; fu una nostra autonoma iniziativa.
  • ALESSANDRA CAMASSAmagistrato. Apparentemente buoni, apparentemente.
  • MASSIMO RUSSOmagistrato. Apparentemente buoni, però non credo che godesse della stima di Borsellino.
  • ALESSANDRA CAMASSAmagistrato. Questo no, però apparentemente buoni.
    Signorino era stato il pubblico ministero al maxiprocesso insieme ad Ayala, quindi i rapporti erano più che esistenti ovviamente, c’era forse un diverso modo di vedere la giustizia, ma i rapporti apparentemente erano buoni.
  • MASSIMO RUSSOmagistrato. Proseguo su quella storia. Il 19 maggio Germanà, che avevamo incaricato di individuare l’Enzo politico trombato e di chiarire se si trattasse o meno di Culicchia, ci deposita una breve relazione e, come credo questa Commissione sappia, il giorno stesso o il giorno dopo viene convocato d’urgenza a Roma dal prefetto Rossi, che credo fosse allora vice capo della polizia.
    Io ricordo quello che mi disse Germanà, che rimase veramente avvilito, perché gli chiesero che cosa avesse scritto in quel rapporto in cui ipotizzava che non si trattasse di Enzo Culicchia, ma del Vincenzo Inzerillo che all’epoca era assessore della giunta Orlando a Palermo, e se avesse fatto riferimento a Mannino. Lui abbozzò delle spiegazioni (credo lo abbia già riferito).
    Il punto è che il 19 maggio deposita l’annotazione, viene convocato a Roma e l’8 di giugno Germanà, che Paolo Borsellino doveva portarsi a Palermo perché era uno dei più bravi e brillanti funzionari di polizia che avevamo (come lui nessun altro lo conosceva le vicende di mafia del trapanese, è il primo che individua Messina Denaro Matteo in un rapporto, che sente Messina Denaro Matteo in occasione del duplice omicidio che c’è a Partanna quello di Sciacca-Piazza), ma viene mandato – udite udite – a Mazara del Vallo, commissariato dal quale proveniva prima di assumere l’incarico alla Criminalpol.
    Si dirà perché c’era la moglie insegnante, ma non è vero: fu una retrocessione incredibile, una sorta di punizione, almeno come tale dai noi magistrati fu vissuta. Il 14 settembre sapete come è andata a finire, dopo le stragi, perché dobbiamo cogliere la sequenza temporale che è l’abc delle indagini, quindi abbiamo Falcone, abbiamo Borsellino e abbiamo Germanà, e a sparare a Germanà non c’è lo «scassapagliaro», come si dice dalle nostre parti, c’è Messina Denaro Matteo, Bagarella e il signor Graviano che stava latitante a Triscina, e Riina che stava a Mazara del Vallo (tra l’altro io sono di Mazara del Vallo, quindi so di cosa parlo), e ricordo che fu la collega Camassa a chiamarmi dicendomi: «tieniti forte, hanno sparato a Rino». Quel giorno avremmo dovuto essere insieme sul lungomare di Tonnarella.
    Quindi ci sono questi fatti in sequenza, e bisognerebbe capire (qualcuno lo dovrebbe spiegare dicendo la verità) perché Rino Germanà è stato mandato a Mazara del Vallo quando Paolo Borsellino se lo voleva portare a Palermo, alla Criminalpol.
  • ALESSANDRA CAMASSAmagistrato. Perché lui era applicato in Criminalpol.
  • MASSIMO RUSSOmagistrato. Io questo non lo so, io sto raccontando una sequenza di fatti e una cronologia. Certo, un funzionario di polizia che deposita un rapporto e viene convocato dal vice capo della polizia che gli chiede delle spiegazioni, ditemi voi…
    Il prefetto Rossi.
    Non lo so. Fatemi proseguire perché dobbiamo ancora arrivare al punto centrale.
    Noi sentiamo il 12 giugno Signorino, il quale ci spiega che è amico di Ferraro, che Ferraro conosce Scaduti, che Ferraro è amico diSignorino, insomma c’era una certa relazione tra questi soggetti.
    Qui poi vi rimando alla relazione prima di dirvi la cosa su cui mi preme soffermarmi, perché le carte Palermo non ce le manda, quando poi otteniamo le carte da Caltanissetta, dal dottor Polino, allora scopriamo tante cose.
    Abbiamo però dimenticato di dire che il 12 febbraio io ero a Marsala, Paolo Borsellino era a Marsala (ho dei fermi immagine stampati nella memoria) e parlava al telefono, c’eravamo io e un altro collega, forse Lina Tosi o qualche altro, poi chiude e con un fare sornione dice: «era il collega Scaduti, l’hanno minacciato, Totò ’u curtu» (sarebbe Riina), e io gli ho detto: «fai una relazione di servizio e ti fai un’assicurazione sulla vita». Lo diceva quasi compiaciuto per il consiglio che aveva dato, capendo però la gravità di ciò che era accaduto.
    Di questa vicenda però del 12 febbraio…
    Certo, sì, ci sono processi e assoluzioni, poi lo vedrete voi, però c’è una cosa che non è nota. Leggendo tutte le carte e, in particolare, il fascicolo sulle misure di protezione da adottare nei confronti del dottor Scaduti che era stato minacciato, scorgo una cosa che mi sorprende non poco e sorprenderà anche voi: il procuratore Giammanco, della procura di Palermo dell’epoca, non era stato avvisato di ciò che era accaduto.
    Leggo: «risulta innanzitutto che delle descritte vicende delittuose l’ufficio di procura di Palermo non era stato tempestivamente informato, il procuratore Giammanco infatti l’aveva appreso soltanto il successivo 19 febbraio 1992 in sede di riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica appositamente convocato per l’adozione delle necessarie misure di sicurezza in favore del dottor Scaduti, come emerge dalla sua missiva del 19 febbraio 1992, nella quale, nel dolersi di tale ritardo, riportava testualmente frasi dette in quell’occasione del presidente della corte d’appello (credo che fosse Micela) per sottolineare la gravità della situazione».
    In queste carte che mi arrivano da Caltanissetta scopro quindi che c’è una missiva, però non so a chi sia indirizzata, del procuratore Giammanco che dice di non essere stato avvisato di nulla, nonostante si trattasse di una vicenda gravissima, e per dire che si trattava di una vicenda gravissima aggiunge che erano state fatte (sono parole tratte dalla missiva) «gravissime minacce da parte di una insospettabile persona di alto rango, proprio prima che la corte entrasse in camera di consiglio per deliberare la sentenza» e altresì che detta persona avrebbe detto al dottor Scaduti «tu fai parte della P2? Perché in tal caso possiamo parlare».
    Il riferimento alla P2, oltre ad essere intrinsecamente inquietante, risulta oltremodo sconcertante, in quanto non emerge da nessun atto, tanto più che, data l’autorevolezza del procuratore della Repubblica che riporta testualmente quanto riferito poco prima dal presidente della corte di appello, non può fondatamente dubitarsi che vi sia stato un qualsivoglia richiamo o accenno da parte dei diretti protagonisti alla pericolosa loggia massonica deviata.
    Questo è un punto che è rimasto insondato, non sviluppato da nessuno. Leggendo quelle carte, che conoscevo in maniera molto approfondita, perché è una questione che ci aveva richiesto impegno specialmente per quanto era successo, sul riferimento alla P2 non c’è alcun riscontro né nella relazione di Scaduti, né nelle sommarie informazioni, poi non so nel processo, però all’epoca tutto questo era rimasto all’interno del fascicolo di protezione, quindi del Comitato per l’ordine e la sicurezza.
    Sorvolo sulle altre cose, ma aggiungo soltanto un altro particolare. Nell’immediatezza della vicenda partono intercettazioni per Culicchia, che non risulta mai iscritto a Palermo, né indagato. Viene iscritto Ferraro, si fanno le intercettazioni, non ci mandano le bobine, ci mandano soltanto dei brogliacci e, dopo reiterate richieste, soltanto le bobine di una delle tre utenze intercettate ma, per farla breve, risultava già nell’immediatezza dei fatti che Manninoparlava undici volte con Inzerillo, c’erano i contatti tra Mannino e Inzerillo…
  • ALESSANDRA CAMASSAmagistrato. Ferraro e Inzerillo.
  • MASSIMO RUSSOmagistrato. Ferraro e Inzerillo, chiedo scusa. Nonostante questo, quando i Carabinieri chiudono le indagini e la procura chiede l’archiviazione per il 416-bis di Ferraro, perché dopo quella vicenda una parte del fascicolo va a Caltanissetta per la minaccia aggravata, Palermo iscrive un 416-bis e lo trattiene a Palermo, viene chiuso il 416-bis per Ferraro e nella richiesta di archiviazione c’è scritto «non sono emersi elementi utili per individuare l’Enzo politico trombato».
    Questo fascicolo 416-bis poi va a Caltanissetta con una procedura che andrebbe verificata, va a finire nel processo per il quale era stata esercitata l’azione penale, per cui si perde il 416-bis, comunque poi Ferraro verrà arrestato nel 1993 nell’operazione Ghibli, però sul 416-bis che nasce da quella vicenda c’è una richiesta di archiviazione, in cui si dice che non erano emersi elementi utili per individuare l’Enzo.
    Inzerillo sarà poi il soggetto (fui io a prendere le dichiarazioni di Sinacori) che un collaboratore di giustizia importante, insieme ad altri, dice di essersi recato in una riunione dai fratelli Graviano dove avrebbe detto: «picciotti, ora basta con le bombe» nel 1993.
    Sì, riferito dai collaboratori. Questo è un affresco purtroppo…
  • ALESSANDRA CAMASSAmagistrato. In sostanza, la cosa che però capimmo dopo è come mai ci hanno trasmesso gli atti su Culicchia quando dalle prime intercettazioni emergeva che i rapporti continui e costanti telefonici erano con Enzo Inzerillo, politico trombato – quello sì – di area manniniana…
  • MASSIMO RUSSOmagistrato. E poi il tentativo andato a vuoto di riprendersi le carte con Signorino, perché questo è chiaro…
  • ALESSANDRA CAMASSAmagistrato. Forse.
  • MASSIMO RUSSOmagistrato. No, per me è sicuro, perché Signorino venne lì, ci chiese e noi bloccammo questa iniziativa.
    Il problema potrebbe avere un altro carattere di rilevanza se poi lo rapportiamo a quella vicenda che abbiamo narrato io e Alessandra, quando Paolo Borsellino, che andammo a trovare ma non sappiamo fissare la data e le indagini non sono state in grado di identificare proprio la giornata esatta, che è rilevante per tante cose, andammo a incontrare Borsellino dopo la strage di Falcone (siamo a giugno, escludiamo che sia il giorno 12 giugno)…
  • ALESSANDRA CAMASSAmagistrato. Io lo escludo.
  • MASSIMO RUSSOmagistrato. Anch’io.
  • ALESSANDRA CAMASSAmagistrato. Il 12 giugno è il giorno in cui abbiamo sentito il dottor Signorino, non è possibile…
  • MASSIMO RUSSOmagistrato. O prima o dopo il 12 giugno Paolo Borsellino, che era stato il nostro procuratore, che era molto legato ad Alessandra perché Alessandra c’era stata più tempo, a un certo punto si abbatte proprio fisicamente sul divano, si mette a piangere e dice: «un amico mi ha tradito».
    In quella stessa occasione, quando gli chiediamo come stia, aggiunge: «a Palermo questa procura è un nido di vipere» e poi non ricordo, ma sarei portato a pensare che anche in quell’incontro facesse riferimento al fatto che l’avevamo messo nei casini facendo quell’iniziativa che aveva comportato la revoca dell’applicazione del dottor Signorino.
  • ALESSANDRA CAMASSAmagistrato. Io no, nel senso che questa vicenda dell’amico che tradisce bisogna collocarla, intanto perché ovviamente tutti si sono chiesti perché ne abbiamo parlato tanto tempo dopo, ma dovete considerare che venticinque anni fa il dottor Borsellino era una persona molto più grande di noi.
    Per me fu una cosa molto strana che si fosse lasciato andare così, è stata una scena triste, premesso che il dottor Borsellino attraversava una fase ovviamente difficilissima della sua vita, per me vedere piangere Paolo che, essendo un uomo all’antica, non avrebbe mai pianto davanti agli altri, ma anche davanti a una donna (era così Paolo), mi fece particolare impressione.
    Pensai all’epoca – e per molto tempo continuai ad ascriverlo – a una cosa personale, a qualcosa che gli era successa, e nessuno di noi due gli chiese chi fosse questo soggetto, perché provai una sensazione di imbarazzo per questo personale momento di sfogo.
    Noi quindi non l’abbiamo mai compreso, posso essermi fatta delle idee, ma sono idee molto… certamente si doveva trattare di una persona che per Paolo era autorevole, perché quando Paolo dice «un amico mi ha tradito» e comincia a lacrimare non doveva essere l’ultimo amico… una persona sicuramente autorevole…
    Poteva essere un collega, Paolo aveva grandissimi rapporti anche con le forze dell’ordine, in particolare con i carabinieri, aveva rapporti di amicizia, quindi poteva essere un collega o poteva essere… però io lo metterei nell’ambito di una categoria di persone con le quali Paolo lavorava, anche se l’atteggiamento era di una delusione umana, personale, che all’epoca non attribuii assolutamente al fatto investigativo.
    Quando vent’anni dopo cominciarono a uscire sui giornali le notizie secondo cui la presunta trattativa avvenne nell’ultimo periodo di giugno, io che collocavo questo ricordo a fine giugno, incontrando il dottor Lari ho detto: «guarda, Sergio, io ti racconto la vicenda così com’è andata, se tu ritieni che sia importante, vengo, se tu ritieni che sia una sciocchezza…» e il dottor Lari, neanche tre giorni dopo questo dialogo informale, mi convocò a Caltanissetta.
    Credo però che se ci avessero sentito subito, quando nel settembre il dottor Cardella, che allora era alla procura di Caltanissetta mi chiamò, probabilmente avrei raccontato subito questa cosa, perché andarsi a presentare da un collega dicendo di sapere questa cosa che non mi era sembrata una cosa investigativa che, probabilmente sbagliando, con il dottor Russo non abbiamo ritenuto di dire all’epoca, perché non avevamo pensato a un fatto investigativo…
    Quando abbiamo saputo della trattativa, devo dire…
    Io non saprei rispondere…
  • MASSIMO RUSSOmagistrato. Il problema è che noi rimanemmo interdetti…
  • ALESSANDRA CAMASSAmagistrato. Interdetti dallo sfogo umano.
  • MASSIMO RUSSOmagistrato. Esattamente, come se ci avessero mozzato la lingua.
  • ALESSANDRA CAMASSAmagistrato. Dovete considerare che avevamo vent’anni meno del dottor Borsellino, che era il nostro procuratore…
    È stata una debolezza che ci ha imbarazzato perché non eravamo abituati. Lui era affettuoso, ma con il distacco dell’età rispetto a noi, non c’era questa cosa…
  • MASSIMO RUSSO, magistrato. È il mio grande rimpianto non aver avuto la prontezza di dire: «scusa, Paolo, ma che ti è successo?».
  • ALESSANDRA CAMASSAmagistrato. Io non glielo avrei chiesto.
  • MASSIMO RUSSOmagistrato. Io ricordo proprio questa emozione di vedere Paolo, forte e carismatico, cedere fisicamente e psicologicamente, perché i due momenti erano associati, perché lui si lascia andare sul divano, si butta quasi in una sorta di svenimento e comincia a piangere, gli scendevano le lacrime e ha detto: «un mio amico mi ha tradito», e noi rimanemmo interdetti.
  • DAVIDE MATTIELLO. Grazie, presidente, e grazie agli auditi. Ho due domande. La prima: vi è capitato con il dottor Borsellino di parlare del rapporto mafia-appalti, rapporto consegnato a Falcone da De Donno, che però Borsellino vide?
    La seconda domanda chiama a una riflessione più ampia. Lei, dottoressa Camassa, ha fatto riferimento a Rita Atria, alla quale siamo tutti molto legati, e aggiungo alle sue parole che il 26 luglio di quello stesso 1992 Rita si tolse la vita qui a Roma e noi ricorderemo quel 26 luglio in via Amelia come ogni anno.
    Vorrei ritornare sulla vicenda testimoni per capire cosa vi abbia insegnato la vicenda di Rita, quell’epilogo triste. Perché ci sta a cuore, oltre che per lasciarlo agli atti di questa Commissione? Ci sta a cuore perché questa Commissione ha lavorato per proporre una riforma del sistema tutorio dei testimoni di giustizia, riforma che è già passata all’unanimità alla Camera e auspico che il Senato la voti senza più modificarla. La memoria di Rita ha animato la nostra inchiesta e il nostro lavoro e, cercando di migliorare il sistema tutorio, abbiamo fatto più volte riferimento a quella vicenda e, quando abbiamo cominciato l’inchiesta, abbiamo chiamato Piera Aiello.
    C’è un secondo fatto che rende di particolare attualità un approfondimento storico e poi politico sulla vicenda dei testimoni di giustizia, ovvero le informazioni che abbiamo ricevuto tutti quanti ieri, ci sono stati tre arresti nell’ambito del Servizio centrale di protezione, tre funzionari del servizio che sono accusati (poi vedremo come si svolgerà la vicenda) di aver sottratto denaro dalla cassa dedicata ai testimoni e collaboratori di giustizia, fatto che, se dovesse essere confermato, è evidentemente molto grave.
    Anche per questo ho chiesto alla presidente Bindi di sentire quanto prima il viceministro Bubbico o il direttore del Servizio centrale Caridi. Grazie.
  • GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Grazie, presidente. Dottoressa Camassa, dottor Russo, con tutto il rispetto che ho nei vostri confronti e nei confronti del dottor Germanà, devo dire che la vicenda dell’Enzo manniniano è una vicenda più inquietante di quel che sembra, perché non c’era la necessità di nessun rapporto, non c’era necessità di nessuna indagine perché, presidente Bindi, all’epoca dei fatti bastava chiedere a qualsiasi operatore politicoanche di decima fila della Sicilia occidentale per capire che Enzo Culicchia non poteva assolutamente essere l’Enzo manniniano per due ordini di motivazioni: intanto perché non era trombato, ma era stato brillantemente eletto nel 1992.
  • MASSIMO RUSSOmagistrato. Nelle regionali però…
  • GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Nelle regionali aveva avuto una piccola disavventura, ma soprattutto perché politicamente aveva sempre militato in provincia di Trapani come discepolo di Piersanti Mattarella, quindi era assolutamente da escludere per due ordini di motivi, intanto per militanza politica e secondo, per chi conosceva all’epoca le correnti democristiane, c’era una idiosincrasia e una incompatibilità totale per chi militava al seguito di Mattarella…
  • GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Aspetti, aspetti, ma il tema grosso è anche un altro, viceversa su Enzo Inzerillo si sapeva già tutto, tanto è vero che, se non ricordo male, nel 1992 non venne ricandidato dal segretario nazionale della Democrazia Cristiana dell’epoca proprio per quell’aura che circondava il personaggio, tanto che, sebbene senatore eletto nella legislatura precedente, nel 1992 non venne nemmeno ricandidato.
    Detto questo, la domanda che volevo farvi era questa: la personalità del notaio Pietro Ferraro è una personalità molto complessa, tra l’altro il soggetto veniva da una storia familiare già importante, mi riferisco al genitore proveniente da Santa Margherita, imprenditore agricolo, che aveva fatto una fortuna in maniera discutibile e, se non ricordo male, era morto per morte violenta in una vicenda collegata alla mafia del Belice.
    Siccome Pietro Ferraro era anche notoriamente, oltre che notaio ed esponente politico, anche amico e vicino alle posizioni politiche dell’allora ministro Mannino, ma era un personaggio chiave anche in alcune logge massoniche della provincia di Trapani e, comunque, ben inserito anche in quegli ambienti della città di Palermo, all’epoca dei fatti avete esplorato fino in fondo questo genere di pista o di posizionamento del Ferraro in relazione alle logge massoniche?
    Questo anche perché il personaggio nella sua trasversalità, frequentatore dei migliori salotti, dei circoli palermitani dove nelle ore libere ci si incontra tutti, dalla borghesia ai magistrati, ai professionisti, è il personaggio tipico di quell’area grigia che in un certo modo poteva contattare tutti, al di là delle amicizie, delle continuità o delle contiguità.
    Proprio la sua appartenenza a quell’area particolare delle logge massoniche del trapanese credo che potesse essere verificata e sicuramente credo che voi lo abbiate fatto all’epoca.
  • ALESSANDRA CAMASSAmagistrato. Comincio dal rapporto mafia-appalti. Quando uscì la vicenda del rapporto mafia- appalti dopo la morte del dottor Falcone sembrava che questo rapporto fosse una cosa segretissima, invece per la verità il rapporto mafia-appalti alla procura di Marsala era a tutti noto perché il dottor Borsellino lo fece leggere subito a tutti i sostituti come un rapporto fondamentale per conoscere alcune dinamiche di strategia di cosa nostra a livello imprenditoriale, anche se poi non ho seguito io le indagini, quindi non ho ricordi precisi, ricordo soltanto che il filone di Pantelleria con il sindaco Petrillo lo seguirono il dottor Borsellino e poi il dottor Ingroia in particolare, ma non so dirvi altro del rapporto mafia-appalti.
    Ripeto: mi stupì il fatto che tutti considerassero questo rapporto segreto (quello che lo teneva nella cassaforte, l’altro che raccontava…) mentre io l’ho letto sul mio tavolo e avevo appena ventotto anni, non mi era stato neanche dato come segreto, comunque sono dinamiche che a volte sfuggono nelle procure di provincia rispetto alle procure più grandi.
    Per quanto riguarda Rita Atria, la storia è un po’ complicata, perché il problema diRita Atria è a mio avviso molto soggettivo. Difficilmente si può trarre un principio dalla vicenda di Rita Atria per vedere come sono trattati i collaboratori. Devo dirvi che Rita Atria è una ragazza di diciassette anni, alla quale hanno ucciso il padre, lei si lega tantissimo al fratello e le uccidono il fratello; mentre Piera Aiello non veniva da una famiglia di mafia, Rita Atria era una ragazza che invece era stata strettamente educata in quel modo, anche la madre aveva una mentalità assolutamente coerente a quel contesto.
    Quando Rita inizia a collaborare con la giustizia, non pensa minimamente di aiutare i giudici per arrivare al risultato (assolutamente no), c’è una rabbia, ma che metodo può avere una ragazzina di diciassette anni per vendicare la morte del padre e del fratello? Certamente non si poteva mettere a sparare per la strada, pur conoscendo tutti i mafiosi, tutti gli amici del padre, e collabora con la giustizia.
    Il trauma di Rita, paradossalmente, è che per Rita la giustizia erano i Carabinieri che le venivano a fare le perquisizioni a casa la notte, e Rita inizia a collaborare dicendo: «dottoressa, lei non sa chi è mio padre: mio padre era un uomo straordinario, perché ogni volta che rubavano le pecore al mio paese poi lui riusciva a farle restituire» e le faccio vedere tutti i rapporti giudiziari, le dico: «guarda, Rita, tuo padre ruba le pecore, dopodiché vanno da lui che si fa pagare e le restituisce, si chiama estorsione».
    Questo vi sembrerà banale, ma per Rita, che era una ragazza molto intelligente, questo è stato un percorso di tipo analitico, cioè lei ha rivisitato la sua vita, sono stati traumi continui, perché ha reinterpretato la figura del padre, il fratello trafficava in droga e aveva l’unico obiettivo di trovare gli autori dell’omicidio del padre per ucciderli (d’altronde il padre a diciassette anni gli aveva regalato il fucile a canne mozze), ma in tutta questa vicenda io dico: «guarda, Rita, tuo fratello, in questa attività che tu ritieni importantissima di cercare di vendicare tuo padre, fa affari con gli stessi uomini che tu dici poter essere i mandanti dell’omicidio di tuo padre».
    Non solo: Rita aveva della giustizia un’idea ovviamente molto particolare operando e vivendo in un contesto del genere. Quando come giustizia si trova dinanzi un uomo come il dottor Borsellino e anche – consentitemi – due brave ragazze come eravamo io e la dottoressa Plazzi, giovani e abbastanza serene, semplici, comprende che tutto quello in cui aveva creduto…
    Si affida veramente in un modo personale al dottor Borsellino, per cui la morte del dottor Borsellino è la terza figura maschile. Il suicidio di Rita è quindi personale, molto soggettivo, e francamente non lo collegherei a falle nel servizio di protezione. Tra l’altro, era una persona molto testarda, una ragazza di fortissima volontà. Dopo che avevano reso le dichiarazioni, quindi senza problemi di inquinamento probatorio, lei viveva nella stessa casa con Piera Aiello, ma a un certo punto si mette in testa che doveva stare da sola e – credetemi – le avrò fatto 500 telefonate per dire: «Rita, ma perché devi andare a vivere da sola? È vero che stai per compiere diciotto anni, ma che senso ha?».
    Lei però aveva preso questa decisione, e la morte di Paolo la settimana prima… non è che possiamo sottovalutare che Paolo muore il 19 luglio e lei si suicida il 26 luglio. È una storia drammatica di una ragazza che per la prima volta nella sua vita aveva trovato conforto, aveva trovato nella vita cose pulite e, siccome era intelligente, aveva capito la differenza tra le cose sporche in cui aveva vissuto e quelle pulite che aveva trovato, e quando perde questo riferimento… Tra l’altro, come lei scrive nel diario, il concetto di paura è diverso da quello di chi è abituato a vivere normalmente, senza correre ogni giorno il rischio di essere ucciso, mentre Rita dopo la morte di Paolo era convinta che da lì a poco avrebbero ucciso anche lei.
    La sensazione di paura che può avere una persona alla quale hanno ammazzato in poco tempo il padre e poi il fratello amatissimo non è la stessa paura a cui siamo abituati noi, che può essere una paura eccezionale: per lei il concetto di paura era ordinario della sua vita.
    Non ne farei quindi un discorso di sistema di protezione, poi dico sempre che nei confronti dei testimoni dovremmo avere il massimo rispetto, perché ricordiamoci che la gente può avere tutti i difetti di questo mondo, ma Rita Atria, Piera Aiello e altri testimoni hanno cambiato la loro esistenza, Rita e Piera vivevano a Partanna, Montevago, in paesini. Se ne vanno a vivere a Roma da sole, poi erano ragazze intelligenti che di tutta questa vita hanno saputo… ma ricordo che Rita andò via che aveva il vestitino con il pizzo, sembrava una donna siciliana del 1800, è tornata con una grande consapevolezza di sé, aveva continuato a studiare in tutto questo bailamme, però non direi che il suicidio di Rita si ascriva a problemi del sistema di protezione, è un fatto soggettivo in una storia molto, molto complicata.
    Per quanto riguarda invece l’altro argomento, credo che il dottor Russo sia più preparato.
  • MASSIMO RUSSOmagistrato. Ha ragione il senatore, perché negli ambienti politici si sapeva tutto perfettamente…
  • GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Infatti….
  • MASSIMO RUSSOmagistrato. Io ricordo il povero Culicchia come vibratamente manifestava la sua innocenza e trovava delle sponde attente quando lo sentivamo e diceva: «io con questa vicenda non c’entro nulla» e lui stesso chiese l’autorizzazione a procedere, sollecitò, perché dovevamo sviluppare quel filone di indagini, però la politica è una cosa, la magistratura è un’altra e gli accertamenti sono ancora altre cose. Il problema è che su quella vicenda si costruì quella indagine..
    Per quello che era di nostra competenza dovevamo escludere che si trattasse di Culicchia, ma è ovvio che per escluderlo dovevamo individuarne un altro, quindi facemmo indirettamente l’indagine volta all’individuazione del vero mandante, posto che Palermo ci aveva mandato le carte ipotizzando che si trattasse di Culicchia.
  • ALESSANDRA CAMASSAmagistrato. A proposito della massoneria, se non ricordo male ma tu lo ricorderai meglio, abbiamo fatto accertamenti per sapere chi fosse iscritto e chi non fosse iscritto di questi soggetti alla massoneria.
  • MASSIMO RUSSOmagistrato. Credo di sì, però….
    Ferraro è stato poi arrestato nel 1993 e credo che poi sia stato assolto dal 416-bis, se non ricordo male, però, come ha delineato esattamente chi ha posto la domanda, questa vicenda si iscrive esattamente in quel tessuto magmatico fatto di professionisti, uomini delle istituzioni, ma anche di esponenti mafiosi.
    Che si suicida nel dicembre del 1992.
    L’abbiamo sentito a sommarie informazioni.
  • ALESSANDRA CAMASSAmagistrato. Sì, viene fuori dalle dichiarazioni di Mutolo proprio su questa vicenda dell’imprenditore Misia che avrebbe costruito questa casa a Pallavicino, imprenditore Misia finanziato dal mafioso Riccobono che avrebbe donato tramite Misia questo immobile…
  • MASSIMO RUSSOmagistrato. Mutolo l’ho sentito qualche volta, ma non per questa vicenda, perché poi Signorino muore. Io vado a Palermo nel 1994 e continuo a occuparmi del trapanese come direzione distrettuale antimafia.
  • ALESSANDRA CAMASSAmagistrato. Non mi risulta assolutamente.
  • MASSIMO RUSSOmagistrato. È ovvio che quella raccomandazione che abbiamo trovato in Gunnella era un formidabile riscontro alle dichiarazioni di Mutolo, era la prova che Signorino conoscesse i Misia, perché ne raccomandava la figlia a Gunnella.
  • ALESSANDRA CAMASSAmagistrato. Sì, ma è anche particolare il fatto che Gunnella capiva che era importante, perché non credo che una raccomandazione per un esame di maturità sia un documento da conservare in una cassetta di sicurezza, almeno secondo me.
    Per di più in una cassetta di sicurezza, ma, come ho detto, quella era una cassetta.
    Non ricordo esattamente se Paolo si interessò di Rostagno, forse acquisì qualche intervista giornalistica perché Rostagno si interessava anche di Agate, forse per Mariano Agate, qualcosa così, ma che io ricordi nulla di particolarmente importante, non darei rilievo alle indagini di Borsellino proprio su Rostagno.
    Io non lo posso confermare perché non lo ricordo. Paolo aveva delle agende, era un tipo maniacale perché scriveva tutto, anche se si prendeva il caffè («ho preso il caffè e ho speso 50 lire per prenderlo»), molto ordinato, però al di là di questo l’unica agenda che ricordo con certezza è quella del maxiprocesso, dove c’era questa agenda come una rubrica telefonica con i nomi e ogni volta che noi facevamo un processo di mafia lui diceva: «questo nome io me lo ricordo» e andava lì e trovava tutto… altre agende francamente non ci ho fatto caso.
  • MASSIMO RUSSOmagistrato. Io sono stato con Paolo Borsellino quattro o cinque mesi…
  • ALESSANDRA CAMASSAmagistrato. Io sono stata molto di più, ma non me lo ricordo lo stesso. Noi tutti avevamo le nostre agende, quindi se era rossa, se era marrone, se ce n’era una, due o tre francamente non me lo ricordo.
    Se ho parlato della strage di Capaci quella volta… ripeto che andavo tutte le settimane a riferire le indagini che stavo continuando a fare, perché ero applicata alla procura di Palermo per le indagini sulla mafia di Partanna nel Belice, e l’incertezza sulla collocazione temporale di quell’episodio, che sicuramente è di fine giugno, dipende propriodal fatto che, andando ogni settimana, uno poi non ricorda in quale volta accade un certo fatto.
    Molte volte Paolo cercava di parlare della vicenda, la cosa che stupiva me e che qualche volta telefonicamente gli ho anche rimproverato è che cercasse di tenersi sempre in contatto con Caltanissetta, con le forze dell’ordine che facevano le indagini su Giovanni, e io glielo contestavo dicendo: «ti metti in una posizione difficile, ti sovraesponi, perché non sei il titolare delle indagini».
    Chiedere sempre informazioni agli organi investigativi che si occupavano della vicenda e che riferivano sicuramente a Caltanissetta, chiedere anche ai colleghi, lo sovraesponeva, però non mi ha mai detto di aver scoperto questo o trovato quest’altro, anche perché non è che lui facesse indagini in prima persona, ma spesso, sapendo di avere una cognizione dei fatti molto superiore a molti altri colleghi, faceva una sintesi di indagini fatte da altri.
    Non ho mai saputo, per esempio, se fosse consapevole di tutte quelle indagini che si facevano, delle dichiarazioni di Scarantino (non ricordo neanche se erano già in atto quando fu ammazzato), ma che lui seguisse le indagini su Giovanni sicuramente…
    Aveva chiesto di essere sentito, a me avevano detto che mi dovevano sentire, non è stato sentito lui e non sono stata sentita nemmeno.
    No, per quanto mi riguarda no. L’unica cosa che mi disse Paolo fu: «sai, Alessandra, a Marsala lavoravamo serenamente, serenamente nel senso che facevamo il nostro lavoro anche approfonditamente, ma non si sentiva il peso del potere. Qua a Palermo questo si sente». Ma questo è abbastanza normale, a prescindere da tutto quello che è accaduto, è una città dove c’è la politica regionale che, come è noto, ha un peso ben maggiore.
    Non ricordo però che Paolo ci abbia mai parlato (almeno io non ricordo) di politici, tranne quelli su cui facevamo le indagini, indagini che aveva iniziato lui…
    No, assolutamente, di questo non ci ha mai parlato, se è questo l’argomento no. Però aspetti, perché ora mi sto ricordando… l’unico argomento che ricordo è questo: in quell’estate, nel giugno del 1992, poiché quando facevamo le indagini e interrogavamo i vari collaboratori come Spatola, a Roma facevamo questi interrogatori all’Alto commissariato, venivamo a sentire questi collaboratori perché allora non c’era ancora il Servizio centrale di protezione e i collaboratori venivano gestiti dall’Alto commissariato.
    In quella occasione io ho conosciuto il prefetto Sinesio, ma dovete sapere che allora non ne fui consapevole. Paolo era in ottimi rapporti con questo prefetto Sinesio (all’epoca non lo era ovviamente, era un funzionario), però la cosa è più delicata, perché una caratteristica di Paolo Borsellino è che, quando una persona gli sembrava intelligente e in gamba ed era delle istituzioni, tendenzialmente si affidava molto, aveva instaurato con questo Sinesio sicuramente un rapporto molto confidenziale, fatto sta che io pensavo che questo soggetto fosse un poliziotto e non appartenesse all’epoca ai servizi segreti, non lo sapevo. Lo immaginavo perché noi facevamo spesso degli interrogatori all’Alto commissariato e magari presenziava questo soggetto, quindi credevo che fosse…
    In questo rapporto di confidenzialità con questo Sinesio, ricordo che questo Sinesio voleva essere trasferito da Roma probabilmente in Sicilia, perché era originario del Catanese, si era rivolto a Paolo e ricordo che la settimana prima dell’omicidiodi Paolo (non fine giugno, quando è l’incontro con me) Sinesio mi aveva detto, visto che dal rapporto con Paolo si era instaurato anche un rapporto con me, che Paolo si sarebbe incontrato con il capo della polizia all’Alto commissariato per fare questa segnalazione: «questo funzionario è molto bravo, mi farebbe piacere che venisse in Sicilia». Questa è la vicenda.
    Apprendo solo dopo la morte di Paolo che Sinesio invece non era un poliziotto come ritenevo erroneamente, ma apparteneva ai servizi segreti, quindi io ricordo di un incontro di Paolo, perché me ne parlò Sinesio, per una segnalazione, e ricordo che in questo incontro c’era sicuramente Parisi e verosimilmente anche Contrada. Questo mi disse Sinesio.
    La vicenda di Sinesio forse è nota alle cronache, perché quando Paolo morì il 19 luglio…
    Sì, dopo sì, ma non ci ci siamo più incontrati, lui venne a trovarmi il mercoledì successivo alla morte di Paolo a casa mia, due settimane prima dovevamo andare a Taormina ospiti a casa sua, io dissi: «guarda io posso anche venire, ma credo che Paolo sarà impegnato e non potrà venire» e poi così fu.
    Due giorni dopo la morte di Paolo lui si presentò a casa mia e mi chiese tante cose sulle indagini che stava facendo Paolo, su chi stava indagando…
    Sì, dopo la morte di Paolo, due giorni dopo, forse faceva semplicemente il suo mestiere.
    Sì, io credevo che fosse un poliziotto, poi ero molto traumatizzata in quei giorni. Andammo a pranzo fuori, c’era anche mio marito per fortuna, e lui mi fece tante domande.
    Il lunedì avevo appreso in procura che il dottor Borsellino (ma questa è una vicenda nota nei processi) aveva raccolto le dichiarazioni di Mutolo su Signorino e su Contrada, che non era riuscito ancora a verbalizzare, raccontai purtroppo questa vicenda al dottor Sinesio, che cominciò a tossire fortemente e si alzò, il locale era fornito di un telefono pubblico e seppi poi dai processi che questa notizia che avevo dato arrivò immediatamente a De Luca della polizia e poi a Contrada.
    La particolarità sta nel fatto, che poi ho saputo dai processi o forse dai giornali, che poi lui disse: «non è possibile che io abbia fatto questa telefonata, non è vero, perché eravamo a casa della dottoressa Camassa», ma non eravamo a casa della dottoressa Camassa e la telefonata, se fu fatta da lì… comunque che la notizia che io gli fornii arrivò a Contrada tramite lui non ci sono dubbi.
    Gliela fornii perché per me lui era un amico intimo di Paolo, una persona di cui Paolo si fidava moltissimo, però pensò bene di rivelare questo particolare immediatamente al soggetto interessato, cosa che mi ha causato una grande sofferenza perché ritengo di avere sbagliato ad affidarmi e di essere stata anche inopportuna, però nella convinzione che fosse una persona di fiducia, e mi fece molto soffrire sapere come erano andati i fatti, ma non l’ho più visto.
    Però uno si fida di una persona e poi magari… ma queste sono valutazioni personali.
    Per proprietà molto transitiva.
  • MASSIMO RUSSOmagistrato. Io ritengo che quella vicenda, per come l’ho narrata, per come la ricordo e per come l’ho fissata, presenti contorni inquietanti. Il tema è perché bisognava allontanare il più possibile le indagini dal nome di Inzerillo, perché è in quel momento…
    Per 416-bis, forse 110 e 416-bis. A quell’epoca non sapevamo chi fosse Inzerillo….
    Sì, era l’assessore. Vi do un altro elemento che poi emerge nelle indagini Ghibli: Inzerillo si incontrava con soggetti di Mazara del Vallo, un avvocato romano ma di Mazara amico di Giovanni Bastone, uomo d’onore della famiglia di Mazara, che è colui che, come sa solo chi ha letto la sentenza delle stragi di Firenze, fa avere l’ordigno bellico che mettono a Boboli, annunciando la campagna delle stragi che purtroppo ci saranno dopo. Sono dei filoni…
    Poi Sinacori riferisce (ma non è soltanto Sinacori, credo anche qualche altro collaboratore) che il senatore Inzerillo lo vide lì a questa riunione con i Graviano, ma questo è tutto documentato dalle sentenze.
    Questo lo sapremo nel 1997, però all’epoca ci stupì questa sorta di presa in giro nei confronti dei giovani magistrati della procura (all’epoca la vivemmo così), ci rifilarono la vicenda Culicchia che non era iscritto da nessuna parte, dicendoci: «indagate, guardate lì», poi ci mandano Signorino, il quale ci chiede subito i fascicoli e, come scrivo anche nella relazione, io dissi: «guarda che ci stiamo apprestando a fare la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Culicchia» e rispose: «questo si vedrà», perché era la condizione per proseguire le indagini, e lo metto nei miei ricordi.
    Certo è che il riferimento alla P2, il procuratore della Repubblica di Palermo che non conosce questa vicenda e che avverte il bisogno di scrivere a sua volta quello che aveva sentito dal presidente della corte d’appello che era al Comitato per l’ordine e la sicurezza, la discrasia che c’è tra il tema d’indagine e poi le dichiarazioni, certo qualche perplessità mi rimane su come sono andati realmente i fatti, a cominciare dalla vicenda in cui Scaduti narra del rapporto con Ferraro, perché se si conoscevano avrebbe potuto chiedergli «chi ti manda?», e non fare riferimento a tale Enzo politico trombato di area manniniana, che mi sembra un arzigogolo inverosimile.
  • ALESSANDRA CAMASSAmagistrato. Va bene, in Sicilia ogni tanto si parla così comunque…
  • MASSIMO RUSSOmagistrato. Sì, ma io non sono di Bolzano.
    È inutile dirvi che io da venticinque anni mi faccio questa domanda e da venticinque anni penso a questa vicenda e alla vicenda Germanà. Posso avere qualche idea, ma non è ipotizzabile dirlo neanche a me stesso, perché mettere in mezzo una persona che distruggi senza avere il più banale degli indizi sarebbe gravissimo, uno deve procedere (credo che la Commissione istituzionalmente possa approfondire) sui fatti, questi sono fatti, qua ci sono le carte, purtroppo non ho gli allegati…
    No, la relazione con gli allegati li diedi a Giancarlo Caselli quando io ero ancora alla procura di Marsala, che conosceva bene questa vicenda e gli dissi che ci stavamo occupando di questa storia.
    Sì, ma questo si trova… c’è questa riunione a Palermo, in albergo, e mi stupì che Inzerillo in siciliano dicesse: «picciotti, ora basta con le bombe, finitela», come dire che già si sapeva che stavano mettendone, ma a un certo punto arrivò l’ordine «basta», e siamo nel 1993- 1994, quando poi cessano.
    Ma c’è quella del gennaio 1994 all’Olimpico. Io queste vicende le ho sviluppate tutte, hanno prodotto materiale, perché sono stato il referente del povero, grande Gabriele Chelazzi, che ha fatto le indagini, mi occupavo del filone trapanese, protagonista delle stragi del 1993 (i pistolotti di esplosivo partono da Castelvetrano e vanno a Milano e a Firenze, questo dobbiamo ricordarcelo).
    Non è inutile rievocarlo, perché poi Germanà si occupava di cosa nostra del trapanese, a quell’epoca non era ipotizzabile che Riina fosse a Mazara, che i mafiosi del trapanese (forse noi ci eravamo arrivati, ma gli altri non ci credevano) potessero avere un ruolo, per come poi è stato delineato, anche nelle stragi.
  • ALESSANDRA CAMASSAmagistrato. A proposito di Germanà, mandandolo a Mazara del Vallo, lui non poteva più seguire le indagini che facevamo noi su Inzerillo, perché erano indagini di competenza distrettuale e lui, come commissario di Mazara del Vallo, non le avrebbe seguite, come poi non le seguì più.
  • MASSIMO RUSSOmagistrato. Che l’ho rinviato a giudizio ed è stato assolto, quindi prendiamo atto dell’assoluzione delle due sentenze di primo e secondo grado. Credo che sia l’unico processo in cui ho fallito come pubblico ministero, perché un pubblico ministero quando manda a giudizio deve proiettarsi…
     No, no, bisogna riconoscerlo, rispettare le sentenze e dire che un pubblico ministero quando fa le indagini ed esercita l’azione penale deve mettersi nei panni del giudice e capire se quel processo possa andare in porto, quindi mi assumo la mia responsabilità.
    In che senso si parlò? Per quelle che sono le indagini (non vorrei che mi arrivasse un’altra querela), dagli atti risulta che si parlava prima di Canale come di uno che dava le informazioni, processualmente e investigativamente dopo.
    Una sfilza, dai marsalesi ai mazaresi, ai palermitani, quindi Patti, alcuni collaboratori di Marsala, Brusca, Sinacori, Siino.
  • ALESSANDRA CAMASSAmagistrato. Tutti, di Marsala tutti. Quella fu una cerimonia mesta, e io colloco quell’incontro con Paolo a fine giugno proprio perché io ricordavo che quell’incontro con il pianto fu anche l’occasione in cui l’avevo invitato, perché Paolo Borsellino se n’era andato a febbraio da Marsala e non era riuscito ad organizzare il saluto che si fa sempre quando si va via da un ufficio (si salutano i colleghi,si fa di solito un piccolo rinfresco, si ricorda l’attività), poi c’era stato l’omicidio di Giovanni e tutto aveva preso un’altra china, ma a fine giugno, in uno dei miei incontri con Paolo alla procura a Palermo, gli dissi che dovevamo fare questa cerimonia perché a Marsala tutti ci tenevano, e lui venne.
    Devo dire che era veramente un altro Paolo, perché Paolo era una persona che comunque rimaneva sempre con grande entusiasmo investigativo, però in quella giornata era tristissimo, raccontò tutto quello che aveva fatto a Marsala, ribadì come a Marsala fosse stato molto bene e quante difficoltà avesse trovato a Palermo, ribadì poi il grande dolore anche per la pubblicazione di un libro in cui si sosteneva che fosse andato a Marsala perché era una procura di mare e gli piaceva il mare, ma posso testimoniare che Paolo a Marsala non ha mai fatto un bagno a mare perché non aveva il tempo, quindi c’era stato un collega che aveva parlato male di lui in questo senso, ma comunque era tutto un atteggiamento di grande  
    Sì, c’era una grande partecipazione, poi lui è riuscito a parlare di ognuno di noi, ha ricostruito che con quel collega magari aveva avuto un litigio che ha raccontato, insomma era molto affettuoso nei nostri riguardi, ma noi gli volevamo molto bene, quindi era un affetto ricambiato.
    Tutti i processi di mafia che sono stati istruiti quasi tutti, quello mio sulla mafia di Partanna finì con una serie di condanne, sulla mafia del Belice ci furono altrettante condanne, nonostante le dichiarazioni di Calcara che quando parlò di traffico di droga furono tutte riscontrate e ci furono condanne, quindi ci furono cinque, sei o sette processi che poi si celebrarono tutti a Marsala, perché comunque il giudice…
    Quello sugli appalti di Petrillo non andò bene, finì con un’assoluzione, fu un processo complicato ma non l’ho seguito io, quindi non ho ricordi precisi, potrebbe parlarne il dottor Ingroia.
  • MASSIMO RUSSOmagistrato. C’è un altro capitolo, presidente, che potremmo aprire, ma diventa lunghissimo, la vicenda Calcara, perché Calcara che io imputo di autocalunnia aggravata dall’articolo 7 (l’aggravante di avere agevolato la mafia, ma poi il processo si prescrive), perché lui dice di essere un uomo d’onore ed è certo che non è mai stato uomo d’onore, né ha avuto a che fare con i mafiosi, ma questo ce lo dicono venti o trenta collaboratori di giustizia, era un personaggio che ha detto delle cose che andavano oltre la sua cognizione e non sappiamo se siano farina del suo sacco o di qualche altro sacco che non è di farina.
    Il punto è che Calcara però a un certo punto si accredita nel novembre del 1991 e dice: «io dovevo ammazzare Paolo Borsellino». In quella sequenza cronologica forse dobbiamo fissare questo incipit, quando Calcara parla dell’attentato a Borsellino.
    Nel novembre del 1991, quando Calcara si pente e dice che il mandante era Antonio Vaccarino, il quale poi nel 2003, 2004, 2005 scopriamo essere al servizio dei servizi per stanare Messina Denaro Matteo con delle asserite lettere (per me molto asserite) che aveva con Alessio, alias Messina Denaro Matteo, mentre lui era Svetonio.
    Questo è un altro tema. Calcara dice a un certo punto che doveva ammazzare Borsellino, ma bisogna vedere come si pente Calcara, dove si pente, chi lo gestisce…
    Lui scherzava anche sulla paura…
  • Paolo aveva un concetto di paura molto relativo, nel senso che ci scherzava, aveva una visione molto siciliana del rapporto con la morte.
  • MASSIMO RUSSOmagistrato. Si preoccupava di noi, perché mi ricordo a proposito della paura…
  • GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Era fatalista.
  • ALESSANDRA CAMASSAmagistrato. Molto fatalista.
  • MASSIMO RUSSOmagistrato. Però si preoccupava di noi e, siccome conoscevo il suo sentimento sulla paura, un giorno mi disse che non mi sarei dovuto occupare dei mafiosi mazaresi, perché prima o poi i miei concittadini me l’avrebbero fatta pagare, ma risposi: «scusa, Paolo, ma tu sei di Palermo, quindi che vuoi da me?» e ci siamo messi a ridere.
    La vicenda Calcara pone il problema Borsellino, i pentiti poi diranno che era in preparazione un attentato a Marsala, che non venne fatto probabilmente (questo è acclarato processualmente) per il diniego opposto dalla famiglia marsalese, e forse non solo marsalese.
    Tra la fine del 1991 e il 1992 vengono infatti decapitati tutti i vertici delle famiglie mafiose del trapanese (perché a Castellammare viene ucciso Evola, ad Alcamo, Milazzo). A Marsala Craparotta e D’Amico, che erano il capo della famiglia e il vicecapo-consigliere, vengono uccisi perché si sarebbero rifiutati di consentire l’attentato a Marsala nei confronti di Paolo Borsellino.
  • ALESSANDRA CAMASSAmagistrato. Sì, non solo avremmo voluto fargliele, ma forse avremmo anche voluto dire cose prima, perché probabilmente venticinque anni fa si sarebbero capite più cose, però è andata così.

12.7.2017 – Commissione Parlamentare Antimafia – Audizione CAMASSA e RUSSO – Testo integrale da word